fotorecettore UV-B
Recettore per la radiazione ultravioletta UV-B. Il 7% ca. della radiazione elettromagnetica emessa dal sole è rappresentata dalla componente ultravioletta compresa tra 200 e 400 nm, la quale, passando attraverso l’atmosfera, subisce sostanziali modifiche di composizione. La radiazione UV-C (200÷280 nm) è infatti, totalmente assorbita dai gas atmosferici, mentre l’UV-B (280÷320 nm) è assorbita dallo strato di ozono stratosferico, e quindi solo una piccola percentuale arriva sulla superficie terrestre. La radiazione UV-A (320÷400 nm), infine, non essendo assorbita dall’ozono, è la componente UV che raggiunge la superficie del nostro pianeta. A seguito della riduzione dello strato di ozono stratosferico, avvenuta progressivamente negli ultimi 50 anni anche a seguito dell’immissione nell’atmosfera di clorofluorocarburi derivanti da attività umana, una più elevata quantità di UV-B raggiunge la terra, generando danni di vario tipo agli organismi viventi. Infatti, mentre l’UV-A non provoca alterazioni nelle cellule viventi, l’UV-B (e ancor più l’UV-C) può causare danni anche molto gravi. Particolarmente sensibile agli UV-B è la molecola del DNA che, per un processo fotochimico, genera dimeri di ciclobutano-pirimidina e di pirimidina-pirimidinone che impediscono la normale attività delle DNA e RNA polimerasi. L’esistenza di un recettore per gli UV-B è stata a lungo discussa, sostenendo che, se vi fosse percezione degli UV-B nelle piante, questa dovrebbe passare attraverso i fitocromi e i citocromi che assorbono parzialmente gli UV-B; oppure, in alternativa, potrebbe essere attribuita ad altre molecole tra le quali il DNA sarebbe il principale candidato. Molte prove sperimentali hanno tuttavia dimostrato l’inconsistenza del DNA, ma anche dei fitocromi e citocromi, come recettori degli UV-B. Al momento, la natura del recettore UV-B non è stata scoperta, anche se molti ricercatori convergono nel considerarlo una proteina legata a una pterina o una flavina come cromoforo.