Fotonica
La f. si è andata configurando come quel settore disciplinare che comprende tutte le acquisizioni, le tecniche e i dispositivi che competono alla produzione, alla trasmissione di fotoni e all'elaborazione dei segnali ad essi associati. Deriva il suo nome dal quanto di luce, il fotone. Postulato solo nel 1905 da A. Einstein, alla fine del 20° secolo il fotone è ormai assurto al ruolo di grande protagonista in campi ben più ampi della fisica e la f. si è rivelata, nell'ambito delle comunicazioni ottiche, uno degli argomenti di ricerca di maggiore interesse e importanza nello sviluppo delle economie dei paesi più avanzati.
La tecnica fotonica è nata alla fine degli anni Ottanta, all'interno dell'optoelettronica (App. V, iii, p. 772). Con gli sviluppi dell'ottica integrata si è verificato tuttavia uno spostamento progressivo della ricerca verso il trattamento delle informazioni con tecniche puramente ottiche (impiego di fotoni in sostituzione degli elettroni), con la tendenza a realizzare dispositivi che lavorano nel dominio ottico in luogo dei dispositivi elettronici e optoelettronici.
Per il futuro è facilmente prevedibile che, a fronte di una richiesta crescente di servizi a larga banda (TV digitale e interattiva, video on demand, servizi multimediali, Internet) e di una diffusione sempre più capillare delle reti di comunicazione (App. V, iv, p. 478), le comunicazioni ottiche giocheranno un ruolo centrale nella costruzione di quello che ormai viene definito il villaggio globale, ossia di una società in cui vi sia una possibilità di scambio, condivisione e utilizzo di informazioni praticamente illimitata e aperta a qualsiasi utente. Data la rilevanza assunta dalla f. nelle comunicazioni ottiche, vengono qui approfonditi gli aspetti connessi a questo settore, anche se molti dei concetti trattati sono comuni all'intera disciplina, soprattutto per quanto riguarda materiali e dispositivi. Ampio spazio viene dedicato alle fibre ottiche (v. cavo: Cavi per telecomunicazioni, App. V, i, p. 530 e ottica: Fibre, App. V, iii, p. 803) come mezzo trasmissivo dominante e alle sorgenti ottiche, primo fra tutti il laser (App. V, iii, p. 137). Vengono quindi trattati i ricevitori, gli amplificatori, i modulatori e i filtri ottici e affrontate le prospettive di sviluppo della tecnologia dei sistemi ottici con particolare riferimento alle reti fotoniche e ai metodi di trasmissione più avanzati.
Già dagli anni Cinquanta si era compreso che i sistemi trasmissivi a grande distanza su cui ci si basava (ponti radio e cavi coassiali) non avrebbero consentito un continuo e indefinito aumento di numero di canali e di frequenza di trasmissione, come invece era avvenuto fino ad allora. La soluzione teorica fu presto individuata nell'impiego di guide d'onda cilindriche che offrivano numerosi vantaggi sul piano tecnico, ma scarsissima flessibilità e costi elevati. Nel 1966 fu per la prima volta suggerito di utilizzare fibre di vetro. Il principale vantaggio, a livello teorico, delle fibre ottiche è la banda praticamente illimitata che esse offrono (varie decine di THz, circa quattro ordini di grandezza - cioè diecimila volte - superiori rispetto a quelle dei sistemi convenzionali). Questo implica la possibilità, almeno idealmente, di trasmettere segnali di grandissima capacità (numero di informazioni al secondo). La capacità reale di trasmissione su una fibra ottica dipende da una serie di fattori, quali attenuazione e dispersione della fibra, tipo di modulazione utilizzata, caratteristica delle sorgenti e dei ricevitori impiegati (v. oltre). Inizialmente, le attenuazioni (ovvero le perdite di potenza durante la propagazione del segnale lungo la fibra) erano elevatissime, fino a un migliaio di dB/km, ma si stimava che una riduzione a valori attorno ai 20 dB/km avrebbe aperto la strada al loro utilizzo pratico. In effetti, quel valore fu raggiunto, con rapidità sorprendente, nel 1970 e, grazie a una serie di miglioramenti tecnici nella preparazione e nella lavorazione delle fibre, solo pochi anni dopo quel valore critico di attenuazione fu abbassato ulteriormente di oltre cento volte, fino ai valori minimi teorici attorno a 0,2 dB/km a 1,55μm. Un altro problema relativo alle prime fibre, quello della loro fragilità, fu anch'esso presto risolto predisponendo un ricoprimento in plastica posto attorno alla fibra direttamente nell'atto della filatura, ricoprimento che avvolgendola completamente le forniva la robustezza necessaria. Contemporaneamente, agli inizi degli anni Sessanta, era stato inventato il laser, e successivamente la sua versione a semiconduttore. Anche in questo caso i primi dispositivi realizzati offrivano un livello di affidabilità molto basso, con tempi di vita dell'ordine delle ore (per oggetti che devono funzionare per anni). I miglioramenti nella tecnologia dei materiali e dei processi di fabbricazione, oltre che una serie di innovazioni di natura progettuale, consentirono comunque di raggiungere velocemente livelli di affidabilità tali da candidare il laser come sorgente ideale per sistemi di comunicazione ottici.
Si passò così in pochi anni da questi primi risultati di laboratorio alla realizzazione di interi sistemi di telecomunicazione basati sulle fibre ottiche. Il primo sistema in fibra ottica fu installato infatti negli Stati Uniti nel 1977 per reti metropolitane, e fu seguito subito dopo dall'introduzione di collegamenti ottici per grandi distanze. Gli anni Ottanta hanno visto l'inizio della fase di installazione del portante ottico nella rete più economicamente vantaggiosa, cioè quella, detta del trasporto, che collega le varie centrali e nella quale le elevate frequenze di cifra raggiunte richiedono un portante di elevata capacità trasmissiva, di ottima qualità e con possibilità di coprire lunghe distanze con un grande passo di ripetizione.
Numerosi sono i vantaggi offerti dai sistemi in fibra ottica rispetto ai sistemi convenzionali:
1) grande distanza tra ripetitori (tipicamente 70 km per un sistema ottico contro i 2 km per sistemi elettrici) e banda estremamente ampia (teoricamente superiore a 10¹³ Hz, banda che consentirebbe di trasmettere sulla rete telefonica da un capo all'altro della penisola una quantità di informazioni pari al contenuto di una enciclopedia di circa 60.000 pagine in meno di un secondo; in pratica la banda è limitata dagli apparati utilizzati e dai sistemi di modulazione); 2) immunità alle interferenze elettromagnetiche e integrità, importante per la trasmissione dati e applicazioni industriali; 3) peso praticamente nullo; 4) costo estremamente ridotto, specie se riferito alle prestazioni.
Un altro vantaggio importante proviene dal fatto che il materiale di base per le fibre ottiche (composte di silice) è la sabbia, la cui disponibilità è assicurata senza limiti, a differenza, per es., del rame.
I vantaggi elencati sopra fanno sì che i sistemi in fibra ottica vengano utilizzati non solo per i collegamenti a grande distanza, ma anche per reti locali, distribuzione di TV via cavo, trasmissione dati, collegamenti in cui è richiesta sicurezza (reti militari o di banche) o in ambienti molto disturbati da interferenze esterne. Da uno studio statunitense emerge che alla fine del 1992 erano stati installati su scala mondiale più di 42 milioni di km di fibra ottica. Solo nell'anno 1992 ne furono installati 10 milioni, e ben 12 nel 1993. La crescita da allora è stata addirittura più rapida (circa 30 milioni di installazioni per il 1998) (fig. 1). Il forte incremento è dovuto in gran parte alla crescita dei mercati emergenti e dei paesi dell'Europa orientale, dell'Asia e del Pacifico. Sulla base di tale studio, che tiene conto solo della rete del trasporto, la suddivisione dei fatturati relativi ai componenti installati (cavi, apparati di ricezione e trasmissione, connettori) è quella mostrata nella fig. 2 (oltre 14 miliardi di dollari per il 1998). Si può notare dal grafico come circa il 60% del fatturato venga dai cavi ottici. A riprova di quanto appena detto sulla penetrazione della fibra fino alla rete di distribuzione, la fig. 3 mostra l'andamento del mercato per i vari settori di impiego (indicati in percentuale sul totale, che ha il tasso di crescita mostrato nella figg. 1 e 2). Lo studio indica che nel 1998 la rete di distribuzione da sola ha assorbito il 40% dei costi complessivi, uno sviluppo essenzialmente legato agli investimenti in atto in vari paesi, non ultima l'Italia, per poter offrire servizi a larga banda (TV interattiva, video on demand, Internet) agli utenti residenziali. A ulteriore dimostrazione dell'importanza strategica dei sistemi in fibra, il governo statunitense ha stanziato negli ultimi anni ingenti finanziamenti per la realizzazione delle cosiddette autostrade dell'informazione (information superhighway), una rete in fibra ottica in grado di garantire su tutto il territorio servizi a larga banda.
Apparati e sistemi per le comunicazioni ottiche
Le parti fondamentali di un sistema ottico di telecomunicazioni sono il trasmettitore, il mezzo trasmissivo (in questo caso la fibra ottica), il ricevitore e i rigeneratori.
Il trasmettitore è costituito da una sorgente luminosa opportunamente modulata, e da tutti i circuiti elettronici di pilotaggio e di controllo. Rispetto alle trasmissioni radio, quelle ottiche sono ancora a un livello molto più primitivo quanto a tecniche di modulazione, basandosi principalmente sulla modulazione di intensità (anche indicata con l'acronimo OOK dall'inglese On-Off Keying, in quanto è un po' come trasmettere un segnale accendendo e spegnendo una lampadina). Tentativi sono stati compiuti negli ultimi anni per arrivare a una trasmissione coerente, per es. basata sulla modulazione di fase, ma le varie tecniche sviluppate non hanno prodotto finora risultati incoraggianti.
Il mezzo trasmissivo è la fibra ottica, realizzata in varie tipologie (v. oltre). La propagazione ottica in aria è limitata a sistemi molto particolari e in genere su distanze molto brevi (a parte possibili applicazioni satellitari).
Il ricevitore è costituito da un fotorivelatore (ed elettronica collegata) che riceve il segnale luminoso e lo trasforma in un segnale elettrico. In collegamento con la modalità di trasmissione OOK, la forma di ricezione è quella diretta, in cui un certo flusso di fotoni viene trasformato da un fotodiodo in un segnale elettrico. Visto che il ricevitore necessita di un'intensità minima per riconoscere un certo segnale ottico, e che il segnale stesso si attenua propagandosi nel mezzo trasmissivo, un sistema ottico comprende un certo numero di rigeneratori, apparati optoelettronici che amplificano il segnale effettuando una doppia conversione della luce in un segnale elettrico e viceversa. Questa conversione costituisce uno dei colli di bottiglia per la trasmissione ad alta capacità (tipicamente sopra al Gigabit per secondo, Gbit/s), oltre a risultare un'operazione molto costosa e poco flessibile. Recentemente, l'introduzione di amplificatori ottici in grado di ripristinare i livelli originari di potenza, rimanendo sempre nell'ambito ottico, ha permesso il superamento di questo limite e aperto la strada per ulteriori miglioramenti, sia dal punto di vista delle prestazioni che da quello dei servizi che possono essere offerti.
Lo schema di sistema ottico qui sopra delineato è quello che viene definito punto-punto, pensabile dunque come un collegamento tra un punto A e un punto B senza reinstradamenti o interruzioni: un tipico esempio può essere un collegamento sottomarino in fibre ottiche tra due siti a grande distanza (migliaia di km l'uno dall'altro). Esistono anche sistemi molto più complessi, dove ogni utente può essere collegato a molti altri utenti in modo uni- o bidirezionale. In questo caso, l'efficacia della trasmissione dipende non solo dalle caratteristiche fisiche della portante, ma anche da funzioni quali l'instradamento, la risoluzione di conflitti, l'interferenza tra i vari segnali che viaggiano sulla rete. La capacità complessiva del sistema viene in questo caso aumentata, a costo di una maggiore complessità e difficoltà di gestione.
Dispositivi e tecnologia nei sistemi ottici
Nel seguito vengono descritte più in dettaglio le parti più importanti di un sistema ottico, con un cenno all'evoluzione storica dei vari componenti. Per quanto riguarda i materiali, sono i semiconduttori cristallini e gli isolanti amorfi a giocare la parte del leone, i primi con riferimento a sorgenti e ricevitori, i secondi invece per il canale trasmissivo e per la modulazione e amplificazione del segnale.
Le fibre ottiche. - Una fibra ottica si presenta come un sottile filamento di vetro costituito da un nucleo cilindrico trasparente nella regione spettrale del vicino infrarosso (lunghezze d'onda comprese tra 780 nm e 2 μm), circondato da un materiale con indice di rifrazione leggermente inferiore (2÷9%), da un rivestimento primario e da un rivestimento secondario. Il valore tipico dell'indice di rifrazione del mantello è attorno a 1,4572. Il meccanismo di trasmissione di un segnale luminoso attraverso la fibra ottica è quello della propagazione guidata, garantita dal fenomeno della riflessione totale, per il quale un raggio luminoso che incida a un angolo maggiore di un certo angolo critico sulla superficie di separazione tra un mezzo meno denso e uno più denso, provenendo da quest'ultimo, non viene trasmesso attraverso la superficie ma viene riflesso rimanendo così confinato. In termini più esatti, la fibra ottica si può pensare come una cavità cilindrica all'interno della quale il campo elettromagnetico della luce si propaga secondo certe configurazioni dette modi. A partire da questo concetto, le fibre ottiche si possono dividere in due categorie principali: le fibre multimodo (MM, Multi Mode), in grado di trasportare un gran numero di configurazioni del campo elettromagnetico, e le fibre monomodo (SM, Single Mode) che invece trasportano solo una configurazione, corrispondente al modo fondamentale. Queste ultime sono le più utilizzate nei sistemi di telecomunicazione in ragione delle prestazioni operative notevolmente più elevate.
Le fibre MM sono caratterizzate da un nucleo di diametro grande rispetto alla lunghezza d'onda della luce trasmessa (50 μm a norma CCITT, Comitato Consultivo Internazionale Telegrafico e Telefonico, con un diametro del mantello di 125 μm), da un profilo di indice di rifrazione generalmente a gradino o di tipo quasi parabolico, e da un salto di indice tra mantello e centro del nucleo relativamente elevato (inferiore all'1%). Le fibre monomodo sono invece caratterizzate da un nucleo di diametro pari a poche lunghezze d'onda (7÷10 μm), da un salto di indice più contenuto (inferiore allo 0,4%) e da un profilo di indice a gradino o di forma triangolare. Entrambi i tipi di fibra sono ricoperti da un rivestimento primario del diametro di 250 μm, costituito principalmente da acrilati, e da un rivestimento secondario, generalmente di plastica, di 900 μm di diametro.
Le proprietà trasmissive di una fibra sono completamente determinate dalla sua frequenza normalizzata
dove a è il raggio del nucleo, NA l'apertura numerica della fibra e λ la lunghezza d'onda d'operazione. Solo i modi la cui frequenza normalizzata di taglio è inferiore a ν possono propagarsi nella fibra. Per avere una fibra monomodo bisogna operare in modo che ν〈νc, frequenza normalizzata di taglio del primo modo di ordine superiore ( indicato come modo HE₁₁). Per un profilo d'indice a gradino si ha νc=2,405.
Due delle caratteristiche pricipali di una fibra ottica come canale trasmissivo sono l'attenuazione e la dispersione. Entrambi i fenomeni costituiscono una perdita ai fini del segnale trasmesso, in quanto esso viene assorbito dal materiale o diffuso in esso.
Il coefficiente di attenuazione a(λ) è solitamente espresso in decibel per chilometro (dB/km) secondo la definizione:
dove L è la lunghezza della fibra, P(0, λ)/P(L, λ) sono rispettivamente le potenze ottiche d'ingresso e di uscita della fibra e λ la lunghezza d'onda di misura.
Le cause di attenuazione possono essere di tipo intrinseco, in quanto insite nella struttura stessa del materiale (tra queste le più importanti sono la diffusione di Rayleigh, l'assorbimento da vibrazioni molecolari nell'infrarosso e da transizioni elettroniche nell'ultravioletto), e di tipo estrinseco, legate in qualche modo al processo produttivo e a condizioni esterne (per curvature e microcurvature, assorbimento da metalli di transizione o da impurezze di ioni OH⁻). Il limite teorico di attenuazione spettrale in una fibra ottica è dato dalla curva di attenuazione della diffusione di Rayleigh (αλ⁻⁴), e dalle code delle bande di assorbimento delle molecole di SiO₂ nella regione dell'ultravioletto (UV) e dell'infrarosso (IR).
La fig. 4 mostra l'andamento teorico del coefficiente di attenuazione di una fibra ottica in funzione della lunghezza d'onda, mettendo in evidenza i singoli contributi. I due minimi, corrispondenti a 1,3 e 1,55 μm, caratterizzano quelle che solitamente vengono chiamate seconda e terza finestra di trasmissione (la prima finestra è a 0,85 μm, in corrispondenza con la lunghezza d'onda caratteristica dell'emissione di sorgenti al GaAs). Come si può rilevare dalla fig. 4, per ogni finestra si hanno a disposizione circa 200 nm, che corrispondono complessivamente a 50 THz di banda.
Per dispersione s'intende l'allargamento temporale che un impulso luminoso subisce propagandosi lungo una fibra (fig. 5). In un collegamento in fibra ottica la dispersione provoca un allargamento temporale del segnale all'entrata del rivelatore. È quindi necessario che due impulsi ottici successivi siano sufficientemente distanziati nel tempo in modo da evitare la sovrapposizione in ricezione, con conseguente limitazione nella frequenza di cifra (descritta come il numero di bit trasmessi per secondo) del sistema. Nel caso di fibre multimodali, il principale contributo alla dispersione proviene dal fatto che i vari modi si propagano con velocità di gruppo diverse. Se vengono utilizzate fibre monomodali, la dispersione (detta intramodale o cromatica) deriva dalle differenti velocità di gruppo di ciascuna lunghezza d'onda che compone lo spettro della sorgente.
Tre effetti contribuiscono alla dispersione cromatica:
la dispersione del materiale (M), dovuta al fatto che in un mezzo otticamente dispersivo la velocità di fase di un'onda piana varia con la lunghezza d'onda, per cui componenenti di diversa lunghezza d'onda viaggiano con velocità diverse, causando un allargamento del pacchetto originario;
la dispersione di guida d'onda (G), dovuta al fatto che una porzione, dipendente dalla lunghezza d'onda, della potenza ottica viaggia nel mantello e causa così una dipendenza da λ della velocità di propagazione;
la dispersione di profilo (P), dovuta alla diversa dipendenza dalla lunghezza d'onda degli indici di rifrazione di nucleo e mantello, che causa una variazione del profilo di indice di rifrazione al variare di λ.
L'impatto della dispersione cromatica sulle prestazioni della fibra è misurato dal coefficiente di dispersione cromatica definito, per un dato modo, come la derivata, fatta rispetto alla lunghezza d'onda, del ritardo di gruppo τ (l'inverso della velocità di gruppo) del modo:
D(λ)=dτ(λ)/dλ
Agendo sulle caratteristiche che determinano le dispersioni M e G è possibile modificare la dispersione totale secondo le esigenze e le necessità specifiche. Con opportuni profili di indice è possibile ottenere le cosiddette fibre a dispersione spostata (DS, Dispersion Shifted) e le fibre a dispersione appiattita (DF, Dispersion Flattened). Le fibre DS sono realizzate in modo da avere il valore di minima dispersione coincidente con la minima attenuazione (nell'intorno di 1,55 μm). Le fibre DF presentano valori di dispersione ragionevolmente bassi in un ampio intervallo di lunghezze d'onda (λ=1,2÷1,6 μm).
Un parametro frequentemente usato nelle valutazioni sistemistiche per caratterizzare le capacità trasmissive di una fibra è la banda passante totale, legata alla larghezza spettrale del modulo della funzione di trasferimento della fibra, ed esprimibile tramite la relazione
dove Bm è la banda risultante dalla dispersione intermodale, e Bc è la banda dipendente dalla dispersione cromatica. Per un collegamento in fibra ottica SM la banda cromatica, coincidente con la banda totale, è fornita (in MHz) dall'espressione:
Bc=0,4410⁻⁶/(DΔλL)
dove Δλ è la larghezza spettrale a metà altezza della sorgente, L la lunghezza del collegamento, e D il coefficiente di dispersione cromatica. È chiaro dalla relazione sopra riportata che la banda è tanto maggiore quanto minore è la larghezza spettrale della sorgente. Da questa condizione deriva l'interesse a utilizzare dispositivi come i laser che sono caratterizzati da una riga molto stretta, il più possibile monocromatica.
Per es., nella rete di distribuzione italiana vengono principalmente utilizzate fibre SM con le seguenti caratteristiche: attenuazione inferiore a 0,35 dB/km a 1310 nm; dispersione cromatica nella regione 1285÷1330 nm〈3,4 (ps/nm)/km; lunghezza d'onda di dispersione nulla intorno a 1315 nm. Specie nelle applicazioni più spinte, è importante considerare fenomeni non lineari legati per es. alla dipendenza dell'indice di rifrazione della fibra dalla potenza ottica trasmessa, dall'interazione della luce con le vibrazioni molecolari o con le onde acustiche presenti nella cavità.
Cavi ottici. - Uno dei maggiori problemi iniziali quando le fibre furono introdotte era costituito dalla loro fragilità. Si comprese presto che era necessario proteggere ogni fibra con uno strato di plastica che avvolga la fibra già mentre questa viene tirata e prima che venga avvolta sui tamburi di raccolta. Un ulteriore elemento di stabilità, oltre che un aumento delle capacità trasmissive dei sistemi ottici, viene assicurato dal fatto che varie fibre vengono raccolte all'interno di un cavo ottico. Le caratteristiche di base di un cavo ottico devono essere tali da garantire un'adeguata protezione alle fibre in fase sia di posa sia di esercizio.
Le parti essenziali dei cavi ottici sono il nucleo contenente le fibre, uno o più membri di forza, le guaine esterne e i materiali riempitivi. Il nucleo del cavo offre alle fibre adeguata protezione. Fibre con rivestimento secondario possono essere strettamente affasciate nel nucleo. In alternativa, le fibre possono essere inserite in strutture (tubi o cavi scanalati) che consentono libertà di movimento laterale e permettono una certa extra-lunghezza della fibra rispetto al cavo. I membri di forza, che offrono protezione dallo schiacciamento e resistenza alla trazione, possono essere inseriti al centro della struttura e/o esternamente vicino alle guaine. I materiali più utilizzati sono o fili aramidici o cordini in vetroresina, che rispetto ai fili d'acciaio consentono di realizzare cavi completamente dielettrici, di maggiore flessibilità e massa minore. La guaina esterna offre protezione meccanica e da agenti esterni, quali acqua, umidità e idrogeno. Le guaine plastiche sono estruse sul nucleo del cavo (operazione molto delicata a causa delle forti tensioni meccaniche). I materiali usati sono quelli dei cavi tradizionali, cioè PVC (polivinilcloruro), polietilene e poliuretano, i primi due per guaine esterne, il terzo per guaine interne. Una barriera metallica (tipicamente un nastro di alluminio spesso pochi decimi di millimetro) può essere aggiunta sotto la guaina esterna per prevenire l'ingresso di umidità e idrogeno nel nucleo del cavo. Ulteriori protezioni esterne (per es. fili d'acciaio) possono essere aggiunte esternamente alla guaina quando il cavo è direttamente interrato. I materiali riempitivi possono essere: a) gelatine o polveri inserite all'interno del cavo contro la propagazione di acqua in caso di falle sulla protezione esterna; b) conduttori metallici con isolamento plastico quali supporto di canali di servizio; c) materiali plastici inseriti nel nucleo per proteggerlo nella fase di estrusione della guaina.
Esistono diverse strutture di cavo, praticamente una o più per gestore. Un cavo a nucleo scanalato (slotted core) è utilizzato nella rete ottica italiana di distribuzione; in questo cavo sono usate sia strutture con una fibra per ogni scanalatura sia strutture con gruppi di fibre per ogni scanalatura. La potenzialità di un nucleo di questo tipo è di qualche decina di fibre, ma è possibile aumentare la potenzialità raggruppando più nuclei scanalati nello stesso cavo.
Nel perfezionamento di una rete ottica, per quanto riguarda costi e prestazioni, i connettori e i giunti rivestono un ruolo di primaria importanza, sia per la quantità di pezzi impiegati, sia per le prestazioni richieste dall'utilizzo di una rete di flessibilità sempre crescente. Infatti per ogni connessione tra fibre o tra una fibra e un dispositivo, sia esso ottico o optoelettronico, si ha una perdita che può assumere valori rilevanti se non vengono rispettate particolari condizioni fisico-geometriche. Un giunto non è altro che un'interconnessione di natura permanente (un po' come una saldatura negli impianti elettrici) mentre un connettore è un'interconnessione temporanea (sostanzialmente simile a una spina). Questi ultimi permettono dunque di accoppiare e disaccoppiare a piacimento una fibra, ma a prezzo di perdite particolarmente elevate. I giunti collegano tra loro le fibre delle diverse spezzettature del cavo. I requisiti cui devono rispondere i giunti sono essenzialmente: buone caratteristiche trasmissive, elevato 'impaccamento', buona stabilità termica e basso costo. Dal punto di vista delle caratteristiche trasmissive, un giunto deve presentare bassa attenuazione della potenza trasmessa e limitata riflessione nel punto di contatto tra le due fibre.
Sorgenti ottiche. - Il dispositivo di gran lunga più utilizzato quale sorgente di radiazione per sistemi ottici di telecomunicazione è il laser, costituito da materiali semiconduttori. Un laser, nella sua forma più semplificata, non è altro che una giunzione p-n formata tra due regioni molto drogate di un materiale semiconduttore a gap diretto (si ricordi che il gap è quella zona di energia proibita che separa la banda di valenza da quella di conduzione). Quando la giunzione viene polarizzata direttamente (tensione positiva sulla zona drogata p) le lacune dalla zona p vengono iniettate nella zona n, mentre gli elettroni vengono iniettati dalla zona n a quella p. Entrambi i portatori di carica possono ricombinare radiativamente e dar luogo a emissione di luce. In presenza di un elevato numero di fotoni nella regione popolata di elettroni e lacune, l'emissione viene assistita da uno dei fotoni presenti (e viene pertanto detta stimolata) e il risultato del processo è un secondo fotone, 'clone' di quello stimolante (ossia con la stessa energia e fase). I fotoni emessi sono dunque tutti strettamente correlati e la luce emessa viene detta coerente. Quest'effetto è ottenuto inserendo il materiale semiconduttore che costituisce il laser all'interno di una cavità, che non è altro che una guida d'onda a pareti parzialmente riflettenti che confina i fotoni emessi lasciandone uscire solo una parte e creando una densità di radiazione tale da sostenere i processi di emissione stimolata. Tali processi rappresentano un guadagno nel semiconduttore, in quanto il numero di fotoni tenderà a crescere per effetto di essi. A bilanciare questo fatto avvengono nel semiconduttore fenomeni di assorbimento, in cui i fotoni presenti in cavità vengono assorbiti da un elettrone in banda di valenza che viene così promosso in banda di conduzione lasciando dietro di sé una lacuna. Quindi, mentre l'emissione stimolata rappresenta un guadagno nel mezzo attivo (il semiconduttore inserito nella cavità), l'assorbimento rappresenta invece una perdita. L'azione laser avviene quando, per ogni passaggio di un fotone all'interno della cavità, il guadagno ottico uguaglia le perdite.
In una cavità di lunghezza L esiste una condizione di soglia del guadagno, che indichiamo con gth, oltre la quale questo bilancio è ottenuto. Il valore del guadagno di soglia è dato dalla relazione
dove il termine γ rappresenta le perdite mentre il secondo termine a destra rappresenta l'uscita utilizzabile dal laser; R è la percentuale di potenza ottica riflessa da ogni parete (detta riflettività) e Γ è il fattore di confinamento, tipicamente molto vicino all'unità, che rappresenta la frazione d'intensità luminosa effettivamente confinata all'interno del mezzo attivo. In un laser a semiconduttore infatti parte della radiazione si estende nella regione passiva della guida, dove non viene amplificata.
Dal punto di vista del semiconduttore, la condizione per funzionare da mezzo attivo è l'esistenza di un'inversione di popolazione, ovvero di un'altissima concentrazione di elettroni in banda di conduzione in una zona in cui esista allo stesso tempo una grande concentrazione di lacune in banda di valenza. Mentre nei laser convenzionali la creazione dell'inversione di popolazione (processo detto di pompaggio) avviene eccitando il mezzo otticamente o attraverso scariche elettriche, in un laser a semiconduttore il pompaggio è ottenuto attraverso un'iniezione di corrente in una giunzione p-n simile polarizzata direttamente. L'iniezione di elettroni e di lacune che viene favorita dalla polarizzazione esterna è sufficiente per creare la condizione di inversione. I primi laser a semiconduttore furono realizzati proprio secondo questo semplice principio; la cavità era costituita dalle facce esterne del semiconduttore tagliate opportunamente secondo certi piani reticolari (queste facce offrono infatti una riflettività del 30% circa senza alcun trattamento particolare). Purtroppo, a causa delle perdite elevate, la condizione di inversione di popolazione poteva essere ottenuta solo a livelli molto alti di iniezione, tali da rendere impraticabile l'utilizzo continuo di queste sorgenti che infatti erano destinate a deteriorarsi dopo pochi secondi, a causa del riscaldamento prodotto dalle elevate dissipazioni termiche localizzate nella giunzione. Miglioramenti nella tecnologia dei materiali semiconduttori e nei processi di fabbricazione, oltre che una serie di brillanti innovazioni, hanno portato in breve alla disponibilità di laser a semiconduttore di grande affidabilità e quindi alla loro implementazione all'interno di sistemi ottici di telecomunicazioni.
Una delle caratteristiche che fa di un laser a semiconduttore la sorgente ideale per tali sistemi è, oltre alla compattezza, lo spettro di emissione. Mentre infatti il processo di emissione spontanea tenderebbe a creare uno spettro particolarmente largo e poco appetibile, la cavità agisce da filtro selezionando solo un certo numero di modi che corrispondono ai modi propri della cavità stessa (quello che succede è abbastanza simile a quanto discusso per le fibre ottiche; anche per le cavità laser la forma e le dimensioni della cavità determinano quali configurazioni di campo elettromagnetico sono stabili e quali no). Lo spettro tipico di emissione di un laser a semiconduttore presenta dunque, sopra soglia, una serie di stretti picchi corrispondenti ai modi della cavità. Progettando opportunamente quest'ultima si può arrivare a una condizione di emissione laser su un solo modo, condizione ovviamente ottimale per l'accoppiamento con una fibra ottica monomodo. È poi possibile aumentare il grado di purezza spettrale di un laser ricorrendo a strutture corrugate o reticoli in cui viene creata una variazione periodica dell'indice di rifrazione della cavità lungo la direzione di propagazione ottica. Si innesca così un meccanismo di retroazione per il quale l'energia ottica associata alla radiazione viene continuamente lanciata all'indietro come risultato di una diffrazione alla Bragg da parte del reticolo.
Laser di questo tipo vengono detti DFB (Distributed FeedBack ) e DBR (Distributed Bragg Reflector). La struttura base è quella in cui si ha uno strato attivo in cui avviene la ricombinazione stimolata (per es. costituito da GaAs), contenuto all'interno di uno strato di materiale diverso (per es. una lega ternaria di alluminio, gallio e arsenico, AlGaAs) che ha il duplice scopo di confinare i portatori di carica e la radiazione luminosa all'interno dello strato attivo. Tale doppio confinamento è provocato da un lato dal fatto che la lega ha un gap energetico maggiore, per cui gli elettroni e le lacune del GaAs 'vedono' una barriera di potenziale che ne impedisce il movimento fuori dalla zona attiva (in direzione perpendicolare a quella della cavità), e dall'altro dal diverso indice di rifrazione tra GaAs e AlGaAs che provoca un effetto ottico di guida. Questo abbinamento tra materiali semiconduttori diversi (ma con la stessa struttura cristallina e lo stesso parametro reticolare) è detto eterostruttura. L'introduzione delle eterostrutture è stata senz'altro uno dei passi risolutivi per il successo dei laser a semiconduttore, in quanto ha permesso la riduzione delle correnti di soglia e l'ottenimento dei livelli di prestazione richiesti dai sistemisti.
Dal punto di vista dei materiali, laser per la prima finestra sono ottenibili da eterostrutture del tipo GaAs/AlGaAs. Per la seconda e terza finestra si utilizzano eterostrutture formate dal materiale di base, fosfuro di indio (InP), con leghe quaternarie (InGaAsP) che permettono di accordare il colore di emissione del laser semplicemente variando la composizione della lega. Nel trasmettitore di un sistema ottico il laser viene pilotato da un circuito elettronico, che è tanto più complicato quanto maggiore è la velocità alla quale tali sorgenti devono essere utilizzate.
Ricevitori. - Nei rivelatori a semiconduttore la fotorivelazione avviene in base al fenomeno dell'assorbimento, già accennato sopra. Quando un fotone incide sul materiale semiconduttore, esiste una probabilità finita che esso venga assorbito dal materiale purché la sua energia sia superiore al gap del semiconduttore. Questa condizione impone ovviamente una soglia energetica al processo di assorbimento e discrimina i possibili materiali da utilizzare.
Se per es. si vuole rivelare una radiazione con lunghezza d'onda di 0,85 μm (prima finestra), è necessario utilizzare un materiale in grado di assorbire tale radiazione e che abbia quindi un gap con un'energia inferiore a 1,42 eV (lunghezza d'onda λ ed energia di un fotone sono infatti legate dalla relazione E=hc/λ dove h è la costante di Planck e c la velocità della luce nel vuoto); i materiali quali il silicio (gap di 1,12 eV) o il germanio (gap di 0,86 eV) sono pertanto i più utilizzati.
L'assorbimento di un fotone provoca il passaggio di un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione, o, in altri termini, la creazione di una coppia elettrone-lacuna. In un fotorivelatore è necessario riuscire a separare le coppie di elettroni e lacune generate. Ciò può avvenire solo in presenza di campi elettrici che spingano le cariche fotogenerate verso contatti opposti, come nel caso di giunzioni p-n o di strutture PIN (v. elettronica e microonde, App. IV). In queste ultime strutture si utilizzano due strati molto drogati di tipo n e p rispettivamente, e una regione intermedia intrinseca o debolmente drogata. Quando si applica al diodo una polarizzazione inversa, la zona intrinseca si svuota e diviene sede di un campo elettrico molto elevato. Le cariche fotogenerate nella zona intrinseca vengono trascinate dal campo fuori da questa regione e raccolte poi ai contatti, dando origine a un segnale elettrico di fotocorrente. Dal lato in cui incide la luce (quindi il lato della fibra ottica, che può essere sulla superficie superiore o inferiore a seconda delle esigenze) la metallizzazione del contatto è parzialmente rimossa o limitata a una zona laterale per consentire la trasmissione della radiazione incidente che altrimenti verrebbe completamente riflessa dal metallo.
I principali parametri che caratterizzano un fotodiodo sono l'efficienza quantica
definita come il rapporto tra il numero di elettroni fotogenerati Ne, e il numero di fotoni incidenti Nf, e la responsività
grandezza definita come il rapporto tra la fotocorrente generata Ip e la potenza ottica incidente P.
Un fotodiodo ideale è in grado di raccogliere tutti i fotoni incidenti e di convertirli in coppie elettrone-lacuna, ed è quindi caratterizzato da un'efficienza quantica unitaria. Esiste in realtà un'altra categoria di fotodiodi, detti a valanga o APD (Avalanche Photo Diode), in cui si attivano dei processi di amplificazione interna, per cui l'efficienza quantica è superiore a uno. Tali diodi sono fabbricati in modo da avere una zona molto ristretta con un campo elettrico elevatissimo (molto più del valore che si ha nella zona svuotata dei diodi PIN). Questo campo fa sì che gli elettroni (o le lacune) guadagnino un'energia sufficientemente elevata da poter estrarre un elettrone dalla banda di valenza, attraverso un impatto diretto, e portarlo in banda di conduzione. Un processo del genere ha quindi come risultato la creazione di una coppia elettrone-lacuna che va ad aggiungersi all'elettrone (o alla lacuna) che ha generato il processo. Se ripetuto, questo fenomeno porta alla moltiplicazione dei portatori di carica disponibili, e quindi alla moltiplicazione della fotocorrente.
Il circuito di controllo e pilotaggio dei fotodiodi è in generale abbastanza complesso. Tale circuito deve includere funzioni quali il ripristino della sincronizzazione dei bit in arrivo, la decisione relativa all'arrivo di un 'uno' o di uno 'zero' e il filtraggio per limitare il rumore ad alta frequenza. Nel caso dei fotorivelatori PIN, il circuito deve prevedere uno stadio di amplificazione a basso rumore, per far sì che il rumore inerente al processo di rivelazione (v. reti di comunicazione, App. V) non venga ulteriormente enfatizzato andando a deteriorare le prestazioni del ricevitore. Nel caso dei fotodiodi APD, la necessità di applicare tensioni molto elevate e il conseguente controllo richiesto per la temperatura porta a un'ulteriore complessità dei circuiti di controllo e pilotaggio, che hanno di fatto limitato la diffusione di questi tipi di ricevitore.
Amplificatori ottici. - Fino a qualche anno fa, il metodo classico per compensare le perdite lungo una linea di trasmissione coinvolgeva l'uso di ripetitori. Questi dispositivi contengono un fotorivelatore, che rivela il segnale ottico e lo converte in uno elettrico, e un complicato circuito elettronico che amplifica e risagoma il segnale, che viene poi utilizzato per modulare una sorgente laser il cui output viene rilanciato in fibra. Le prestazioni di una rete o di un collegamento a lunga distanza che utilizzi rigeneratori sono limitate dall'elettronica. In aggiunta, il processo di rigenerazione dipende dal formato di modulazione e dalla capacità di trasmissione del segnale, ed è lento e dispendioso dal punto di vista energetico, oltre che costoso. Se si pensa che in un collegamento sottomarino di migliaia di km occorre un rigeneratore ogni 50 km, è chiaro qual è l'impatto di questi componenti sul sistema.
Gli amplificatori ottici rimuovono del tutto il problema, operando a livello completamente ottico grazie al fenomeno dell'emissione stimolata presente in un mezzo attivo portato in condizione di inversione di popolazione grazie a una sorgente esterna di energia. L'amplificatore ottico costituisce, almeno a livello ideale, un elemento trasparente (indipendente cioè dal formato di modulazione, dalla capacità di trasmissione, dalla lunghezza d'onda e dalla potenza del segnale) in cui la potenza del segnale in entrata viene ripristinata a costi molto inferiori che nei rigeneratori. In realtà gli amplificatori ottici si discostano da questo modello ideale in quanto lo spettro di guadagno è piatto solo su una regione finita dello spettro, la potenza di uscita è limitata dal fenomeno di saturazione del guadagno, ed esiste un rumore aggiuntivo caratteristico dell'amplificatore che causa un degrado della sensitività del ricevitore. Oltre che per amplificare un segnale ottico durante la sua trasmissione in fibra, gli amplificatori ottici possono essere utilizzati come amplificatori di potenza, posti direttamente all'uscita di un laser per incrementarne la potenza, o come preamplificatori appena prima del ricevitore di cui diventano parte integrante.
I due tipi di amplificatore ottico più utilizzati per i sistemi di comunicazione ottica sono quelli a semiconduttore (denominati SOA, Semiconductor Optical Amplifier) e quelli a fibra drogata con erbio (EDFA, Erbium Doped Fiber Amplifier). Un SOA di tipo a onda viaggiante (travelling wave) non è altro che un laser a semiconduttore senza le facce riflettenti. Una corrente elettrica crea una popolazione di inversione e conseguentemente l'emissione stimolata quando un campo ottico esterno è presente. L'emissione stimolata fornisce il guadagno interno dell'amplificatore. Esistono anche SOA di tipo Fabry-Perot, che di fatto sono laser a semiconduttore mantenuti a una corrente di polarizzazione sotto soglia per impedire che si verifichi azione laser.
Un amplificatore a fibra attiva è formato invece da tratti di fibra ottica monomodo opportunamente drogati con elementi quali le terre rare. Il più utilizzato in questa classe di amplificatori è quello di tipo EDFA, che fornisce guadagno per lunghezze d'onda comprese tra 1525 e 1560 nm. L'inversione di popolazione viene creata dall'eccitazione di un secondo laser, che emette alla lunghezza d'onda di 980 o di 1480 nm una radiazione che viene lanciata nella fibra dove si propaga il segnale attraverso un dispositivo detto accoppiatore ottico. All'interno della matrice vetrosa della fibra, gli ioni di erbio forniscono una serie di livelli energetici del tutto simili a quelli caratteristici dei laser a gas o a stato solido. In assenza di perturbazioni elettromagnetiche esterne, gli ioni erbio popolano il livello corrispondente al minimo livello di energia. Quando il mezzo è invece percorso da fotoni di energia corrispondente a una transizione energetica dell'erbio, questi vengono assorbiti e trasferiscono gli ioni a uno dei livelli eccitati, da cui poi decadono sui livelli coinvolti nella transizione stimolata. È chiaro che per gli EDFA si hanno perdite minime di accoppiamento amplificatore-fibra (che penalizzano invece molto più pesantemente i SOA) essendo l'amplificatore stesso una fibra. Per l'amplificazione in seconda finestra esiste la possibilità di utilizzare fibre attive drogate con praseodimio (gli amplificatori vengono allora indicati come PDFA) che fornisce un intervallo di guadagno tra 1280 e 1330 nm.
Gli EDFA hanno prestazioni superiori ai SOA (anche se presentano degli svantaggi in termini di compattezza, larghezza di banda e velocità nella dinamica del guadagno) e hanno dunque trovato maggiore applicazione, soprattutto nei collegamenti a lunga distanza, in particolare quelli transoceanici. In realtà il ruolo degli amplificatori ottici in generale, soprattutto per la loro caratteristica di trasparenza, si è esteso anche alle reti più complesse e ha aperto la strada a numerose soluzioni innovative. Purtroppo negli amplificatori ottici anche la componente spontanea dell'emissione collegata all'inversione di popolazione viene amplificata, dando origine a quello che viene chiamato rumore ASE (Amplified Spontaneous Emission). Questo tipo di rumore è particolarmente problematico quando si utilizzino più amplificatori in cascata.
Modulatori. - Il metodo più immediato per modulare un segnale ottico con dati in forma digitale è quello di modulare direttamente la corrente di pilotaggio della sorgente laser, che a sua volta modula la concentrazione di portatori di cariche nel mezzo attivo del semiconduttore. Purtroppo la modulazione della concentrazione ha l'effetto deleterio di causare una variazione dell'indice di rifrazione del mezzo (che dipende dalla concentrazione stessa). Questa variazione si ripercuote sulla condizione di accordo di fase nella cavità laser facendo variare la posizione spettrale delle risonanze della cavità. Il risultato finale è un allargamento spettrale della riga emessa dal laser, detto comunemente chirp. A causa della dispersione cromatica della fibra, che è proporzionale alla larghezza spettrale della sorgente, il chirp limita la possibilità di trasmettere a frequenze elevate mediante modulazione diretta del laser. Con sorgenti laser avanzate è possibile raggiungere capacità di 2,5 Gbit/s con distanze di circa 100 km senza risentire di problemi legati alla dispersione. Nei sistemi ad altissima capacità la dispersione limiterebbe invece la lunghezza di tratta a pochi km. Può essere allora conveniente far operare il laser con polarizzazione costante (CW, Continuos Wave), modulando la luce esternamente attraverso dispositivi detti modulatori. Un modulatore è un dispositivo nel quale si utilizza un effetto ottico non lineare per far variare la trasmissione di luce in funzione di qualche parametro esterno, per es. un potenziale applicato a un elettrodo. I modulatori più utilizzati sono quelli basati su niobato di litio, ma recentemente sono stati sviluppati interessanti modulatori a semiconduttore.
Filtri. - Così come nel caso elettrico, i filtri ottici giocano un ruolo fondamentale nei sistemi di comunicazione ottici trasmettendo una lunghezza d'onda desiderata e bloccando tutte le altre. Le principali applicazioni dei filtri sono nei demultiplatori, quando diversi segnali sono trasmessi su una singola fibra, ognuno a una diversa lunghezza d'onda, e in cascata ad amplificatori ottici per ridurre la componente di rumore legata all'emissione spontanea. Uno dei filtri ottici più utilizzati è quello Fabry-Perot, il cui funzionamento è analogo a quello della cavità risonante di un laser.
Applicazioni e tendenze di sviluppo
La fig. 6 mostra le diverse generazioni attraverso le quali è progredita la tecnologia dei sistemi ottici punto-punto. La prima generazione di sistemi ottici era basata su laser ad arseniuro di gallio, operanti a 0,85 μm, e fibre ottiche multimodali. Questi sistemi operavano a 50÷100 Mbit/s su distanze massime di soli 10 km. Le due succesive generazioni impiegavano fibre monomodali con laser rispettivamente a InGaAs (1,3 μm) e InGaAsP (1,55 μm) ottenendo prestazioni di ordini di grandezza superiori. I sistemi ottici coerenti hanno introdotto leggeri miglioramenti, ma a prezzo di una tecnologia molto più complessa. L'ultima generazione è quella che fa uso di EDFA, con fibre monomodali DS e laser operanti in terza finestra.
Sistemi fotonici: reti e nodi ottici
In generale, la trasmissione di segnali può avvenire in modo analogico o digitale. Nel primo caso, il segnale ha una forma continua in ampiezza e tempo. Nel secondo, invece, l'informazione è contenuta in una serie di impulsi la cui ampiezza può assumere solo un limitato numero di valori a intervalli di tempo specificati. I sistemi digitali presentano una tolleranza al rumore più elevata, e sono quelli su cui la trasmissione ottica ha conosciuto i successi maggiori, anche se non mancano importanti applicazioni analogiche, come per es. la TV via cavo.
Nell'implementazione di un sistema di telecomunicazioni, specialmente nella rete di distribuzione, esiste la scelta tra varie topologie, alcune delle quali sono illustrate in fig. 7, ovvero reti a stella, a doppia stella (A), ad albero (B) e ad anello (C). Mentre l'unica architettura basata interamente su cavi in rame a coppie simmetriche (il noto doppino telefonico) che trova una pratica applicazione è quella a stella, l'impiego delle fibre ottiche permette una vasta gamma di soluzioni di rete alternative, il cui scopo è quello di condividere tra più connessioni di utente le fibre posate, lungo tutto il percorso o su parte di esso. La condivisione di una fibra da parte di più utenti porta a un più efficace utilizzo della capacità di trasmissione messa a disposizione (che è estremamente elevata, v. oltre) e consente uno sfruttamento più intensivo delle infrastrutture di rete (tubazioni, camerette ecc.) che costituiscono per un gestore un notevole patrimonio di investimenti.
Il tipo di dispositivo che consente la realizzazione di questi collegamenti multipunto è il diramatore, che può o semplicemente distribuire su varie fibre un segnale viaggiante sul portante principale, o svolgere anche funzioni cosiddette di multiplazione/demultiplazione, ossia di indirizzamento selettivo in base alle lunghezze d'onda di cui è composto il segnale.
Dal punto di vista del grado di copertura in fibre realizzato sul percorso centrale-utente si possono individuare tre categorie, denominate rispettivamente:
FTTC (Fiber to the Curb): il collegamento in fibra ottica arriva a un certo punto (o più punti) della rete di distribuzione. Da qui le connessioni afferenti vengono multiplate/demultiplate e il collegamento all'utente assicurato da portanti in rame;
FTTO (Fiber to the Office): il collegamento in fibra ottica arriva direttamente a un utente affari, e può essere diramato all'interno dell'edificio o sempre in fibra o in cavo di rame;
FTTH (Fiber to the Home): il collegamento tra centrale e utente è realizzato interamente in fibra ottica, con condivisione o meno del portante.
Le varie architetture vengono ulteriormente classificate in: attive, quando impegnano apparati di multiplazione elettronici, in genere posizionati in strada, per affasciare assieme più collegamenti terminali di utente (in fibra o in rame); passive, quando la combinazione dei collegamenti d'utente, interamente ottici, avviene attraverso componenti ottici passivi.
Uno dei principali problemi nell'introduzione della fibra ottica fino all'utente è costituito dal costo della rete, per quanto riguarda sia i componenti sia i cavi. Mentre da un lato si può pensare di procedere in modo graduale, per lo meno nel cablaggio, è però d'altro lato senz'altro conveniente predisporre il più presto possibile la transizione verso la rete ottica per poter poi avviare l'esercizio di sistemi a larga banda. Una possibile soluzione già in fase di avanzata sperimentazione da parte di molti gestori è basata sul concetto di rete ottica passiva (PON, Passive Optical Network), ossia di una rete totalmente passiva e con topologia ad albero, almeno nella parte terminale. Un'evoluzione ulteriore nell'ambito di questa tecnologia prevede l'inserimento di portanti ottiche per servizi diffusivi quali la televisione, traendo vantaggio dalla trasparenza della rete ai segnali ottici. Tale rete sovrapposta è in genere detta BPON (Broadband PON) visto che il principio su cui si basa è comune in realtà al trasporto di segnali a larga banda. Nel caso di segnali video, come per i servizi CATV (Community Antenna TeleVision), si può utilizzare una codifica di tipo analogico o numerico.
Collegamenti sottomarini
Fino a tutti gli anni Ottanta, i mezzi trasmissivi più impiegati nei collegamenti intercontinentali erano i cavi sottomarini in coppie coassiali e i satelliti per telecomunicazioni. Da allora in poi la tendenza è stata di sostituire i cavi coassiali transcontinentali con i cavi ottici, con predominio di questi sui satelliti. La prima serie di collegamenti transoceanici in cavo ottico iniziò il servizio nel 1988 con le tratte USA-Francia (TAT-8), Haway-Giappone (TPC-3) e California-Giappone (HAW-4). Si prevede per es. che fino al 2004, circa il 70% del totale dei collegamenti internazionali che interesseranno l'Italia sarà costituito da cavi ottici transatlantici, mentre il restante 30% sarà coperto da servizi satellitari. Le ragioni di questa tendenza risiedono sostanzialmente nella forte riduzione dei costi e nell'aumento della capacità trasmissiva che ha avuto il cavo ottico in questi anni, mentre i servizi satellitari hanno avuto da questo punto di vista un miglioramento più lento. La mappa dei collegamenti sottomarini più importanti attuati nel 1996 è mostrata in fig. 8. Una delle caratteristiche del cavo ottico sottomarino è la possibilità di un reinstradamento autonomo del traffico. Questo è fondamentale per i collegamenti punto-punto. Ciò non avveniva per i collegamenti in cavo caossiale, per i quali il traffico veniva, in caso di guasto, instradato verso il satellite. I cavi ottici TAT-12 e TAT-13 installati nell'Oceano Atlantico e il cavo ottico TCP-5 installato nel Pacifico sono invece costituiti da coppie di fibre, di cui una viene utilizzata per il trasporto di traffico e l'altra per eventuali reinstradamenti. In caso di guasto il passaggio da una fibra all'altra avviene in 10 secondi. Inizialmente gli impianti sottomarini in fibra ottica (per es. il TAT-8) sono stati realizzati con capacità di 565 Mbit/s e con passo di rigenerazione di 135 km. Grazie all'utilizzo di amplificatori ottici EDFA si è passati a sistemi con frequenza di cifra di 5 Gbit/s e con passo di ripetizione di 60 km. Per il futuro sono previsti sistemi a 10 Gbit/s e superiori, utilizzando tecniche di compensazione della dispersione e trasmissione solitonica.
Reti interamente ottiche
Le innovazioni tecnologiche che abbiamo esaminato in precedenza hanno creato la condizione per la realizzazione di reti interamente ottiche (photonic networks), nelle quali tutte le funzioni che ancora vengono compiute (all'interno della rete) da dispositivi elettronici o optoelettronici siano invece effettuate nel dominio ottico (v. reti di comunicazione, App. V). Oltre che garantire velocità di trasmissione molto elevate, sopra alla decina di Gbit/s, la rete completamente ottica garantirebbe una grande flessibilità, potendo sfruttare varie soluzioni topologiche, e semplicità di gestione e manutenzione, grazie soprattutto alla sua 'trasparenza' intesa come indipendenza delle sue funzioni dal formato di modulazione e dalla velocità di trasmissione. Una rete fotonica può essere concepita come un insieme di nodi di trasporto e di nodi di accesso. Il sistema dei nodi di trasporto configura i cammini ottici tra nodi di accesso arbitrari utilizzando connessioni in fibra con amplificatori ottici. In ogni nodo, per rispondere in tempo reale alle esigenze di traffico, è possibile riconfigurare quest'ultimo in modo dinamico. Sono dunque necessari dispositivi attivi e passivi capaci di svolgere funzioni quali indirizzamento di segnali, accoppiamento e diramazione, conversione di lunghezza d'onda, amplificazione, senza mai ricorrere a conversioni dal dominio ottico a quello elettrico. Una rete fotonica offrirebbe la possibilità di suddivisione dell'intero dominio in sottoreti, anche operanti a lunghezze d'onda diverse, indipendenti ma interconnesse. Una rete di questo tipo, attualmente ancora a livello sperimentale presso i più avanzati laboratori di ricerca mondiali, garantirebbe capacità tali da soddisfare tutti i servizi a larga banda che si possano prevedere per l'immediato futuro. Due recenti sviluppi sono di importanza fondamentale per la realizzazione delle reti fotoniche: da un lato lo sviluppo di apparati di trasmissione basati sulla tecnologia SDH (Synchronous Digital Hierarchy) e dei nodi di commutazione ATM (Asynchronous Transfer Mode), dall'altro le tecniche di multiplazione nel dominio della frequenza e nel dominio del tempo (v. oltre).
Ci si può interrogare sull'effettivo bisogno di reti ottiche ad alta capacità e sulle ricadute derivanti dalla loro realizzazione. Come già detto, una rete ad alta capacità, e in particolare una rete fotonica, consentirebbe di portare fino all'utente residenziale numerosi servizi a larga banda e multimediali quali TV ad alta risoluzione e interattiva, video on demand, videoconferenze, accesso a banche dati e loro consultazione, accesso a Internet. In questo modo si sarebbe creata l'infrastruttura necessaria per offrire telelavoro, teledidattica, teleshopping, telebanking, trasferimenti elettronici.
Metodi avanzati di trasmissione
Tradizionalmente, gli approcci verso sistemi ad alta capacità sono stati basati sulla multiplazione a divisione di tempo (TDM, Time Division Multiplexing) in cui diversi segnali elettrici multiplati modulavano direttamente un trasmettitore laser. Questa tecnica non è comunque applicabile per velocità di trasmissione dell'ordine dei Gb/s. In alternativa sono state sviluppate tecniche ottiche di multiplazione, a divisione di lunghezza d'onda (WDM, Wavelength Division Multiplexing) o, in previsione più di lungo termine, ancora a divisione di tempo (OTDM, Optical Time Division Multiplexing).
Uno dei vantaggi principali dei sistemi WDM è quello di permettere di lavorare ad alte capacità senza le penalizzazioni poste dalla dispersione della fibra. Si pensi per es. a un sistema che debba operare a 10 Gb/s, quindi con una limitazione alla lunghezza di tratta imposta dai limiti di dispersione. Con tecniche WDM è possibile utilizzare quattro segnali a 2,5 Gb/s a quattro diverse lunghezze d'onda, rimuovendo di fatto il vincolo posto dalla dispersione. Il prezzo che si paga è una maggiore attenuazione dovuta ai dispositivi passivi di multiplazione e demultiplazione.
Nei sistemi WDM, il trasmettitore multicanale è costituito da più sorgenti ottiche modulate indipendentemente. Il ricevitore consiste invece di un dispositivo capace di selezionare le differenti lunghezze d'onda e di rivelarle separatamente. La multiplazione di N lunghezze d'onda su una stessa fibra può essere effettuata in modo semplice utilizzando un combinatore non selettivo in lunghezza d'onda, pagando il prezzo di una perdita di inserzione di almeno 1/N.
La demultiplazione è invece più complessa, in quanto richiede l'impiego di un dispositivo spettralmente selettivo. In aggiunta c'è da considerare che generalmente il demultiplatore va collocato presso l'utente, con ovvi problemi di affidabilità e di costi. I demultiplatori utilizzati finora e commercialmente disponibili sono basati sull'uso di filtri interferenziali e di accoppiatori direzionali selettivi. Tali disposivi consentono di arrivare a spaziature tra canali di alcune decine di nanometri, consentendo dunque solo una multiplazione a bassa densità, con un numero di canali limitato a qualche unità.
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