Fotografia
(XV, p. 782; App. II, i, p. 963; III, i, p. 663; IV, i, p. 842; V, ii, p. 292)
Conservazione e restauro
di Anne Cartier-Bresson
Il valore attribuito alla f. e alla sua storia, legato a criteri soggettivi, come la moda o il gusto di un'epoca, e all'interpretazione del suo portato estetico o scientifico, ha condizionato le politiche e le metodologie d'intervento adottate per la salvaguardia del patrimonio fotografico che solo recentemente è entrato a pieno diritto nel più vasto settore dei beni culturali.
Percepita come oggetto d'uso corrente e familiare, oggi parte importante della nostra vita quotidiana, la f. ha utilizzato nel corso della sua storia materiali e procedimenti diversi; si presenta, tuttavia, costantemente come prodotto di un processo fotochimico complesso con una struttura composita, per lo più di natura laminare. Proprio per la sua natura (riproducibilità di vari esemplari da una 'matrice') e per l'uso che se ne è fatto anche come mezzo di documentazione di monumenti, non è un caso che le f. abbiano avuto spesso come prima destinazione raccolte o istituzioni legate alla grafica. Il tardivo riconoscimento dell'importanza delle f. storiche, nell'ambito delle collezioni, ha rappresentato per lungo tempo un freno allo sviluppo di una metodologia scientifica relativa alla loro conservazione, particolarmente problematica per la complessità dei procedimenti esecutivi e per la delicatezza e l'instabilità dei materiali. Solo a partire dalla metà degli anni Settanta del 20° sec., infatti, un nuovo atteggiamento ha determinato il formarsi di una specializzazione nel campo della conservazione e del restauro della fotografia.
È importante ricordare, tuttavia, che i primi tentativi per conservare o restaurare le immagini fotografiche ai sali d'argento, per loro natura instabili, risalgono già agli inventori di questo nuovo mezzo e ai primi fotografi. Questa sperimentazione fu condotta soprattutto in Francia, nell'ambito della Société française de photographie, e in Inghilterra con l'attività svolta dalla Royal Photographic Society (Cartier-Bresson 1989; Gray 1992). Dalla fine degli anni Sessanta del 19° sec. fu quindi possibile migliorare la stabilità dei procedimenti ai sali d'argento, grazie a una maggiore conoscenza dei meccanismi di deterioramento derivati dalle tecniche di fabbricazione. Tali ricerche favorirono inoltre la messa a punto di procedimenti fotografici a base di metalli nobili come il platino, oppure a base di pigmenti, come i processi ai bicromati alcalini (Rouillé 1989). Questi tentativi furono però interrotti alla fine del sec. 19° con lo sviluppo dei procedimenti industriali di lavorazione dei prodotti e dei supporti fotografici; perdute le conoscenze tecnologiche dell'epoca artigianale, i fotografi iniziarono a privilegiare i valori d'uso delle immagini rispetto a una qualità che ne permettesse la durata nel tempo.
Il primo laboratorio specializzato nel campo del restauro fotografico collegato a una collezione pubblica è stato creato, a metà degli anni Settanta, presso l'International Museum of Photography and Film al George Eastman House di Rochester. A partire da questo periodo, anche per il rapido sviluppo del mercato della f., si è presa sempre più coscienza della sua importanza culturale o estetica e insieme del diffuso degrado dei documenti storici. Sono stati quindi creati dei centri istituzionali, o comunque collegati alle raccolte pubbliche, di ricerca oppure di restauro, specializzati nella salvaguardia dei materiali fotografici; nella maggior parte dei casi, tuttavia, quest'attività specifica è andata ad aggiungersi a un servizio generale di conservazione delle opere d'arte.
Tra gli istituti e gli organismi pubblici che attualmente possiedono l'uno o l'altro dei servizi citati, il cui operato si affianca a quello dei laboratori privati sempre più numerosi, particolare rilievo hanno negli USA la George Eastman House di Rochester, il North East Document Conservation Center (NEDCC) di Andover, il Chicago Art Institute, l'Harry Ransom Humanities Research Center della University of Texas di Austin, il J. Paul Getty Museum a Los Angeles, il San Francisco Museum of Modern Art, il Metropolitan Museum of Art di New York; in Canada, a Ottawa il National Museum of Contemporary Photography (già presso la National Gallery of Canada) e i National Archives; per l'America Latina, il Centro de Conservação e Preservação brasiliano. In Europa ricordiamo il Victoria and Albert Museum e la National Gallery, a Londra; i National Museums of Scotland di Edimburgo; l'Atelier de restauration et de conservation des photographies de la Ville de Paris; l'Arquivo Municipal di Lisbona; il Museo finnico della fotografia (Suomen Valokuvataiteen Museo) di Helsinki; il Centre d'iconographie de la Ville de Genève; il Fotomuseum im Münchner Stadtmuseum a Monaco di Baviera; la Nationalbibliothek di Vienna.
La messa a punto di una disciplina specifica e, nel contempo, la prassi di un'applicazione controllata dei trattamenti conservativi delle f. è stata resa possibile soprattutto dai lavori svolti all'interno di alcuni laboratori scientifici pubblici, che si sono collegati, pur dovendo affrontare problematiche diverse, con i laboratori privati di qualche industria: tale collaborazione ha consentito di sviluppare programmi di ricerca sui materiali fotografici non più in rapporto all'utilizzo dei prodotti, come avveniva in precedenza, ma finalizzati alla conservazione e alla salvaguardia del patrimonio. Così, il Centre de recherches sur la conservation des documents graphiques in Francia, l'Image Permanence Institute al RIT (Rochester Institute of Technology) e il Conservation Analytical Laboratory della Smithsonian Institution, negli Stati Uniti, hanno avviato, a partire dalla fine degli anni Settanta, specifiche sezioni di ricerca sui materiali fotografici.
Analogamente, con l'obiettivo di una formazione professionale, oltre a seminari e a stages specifici su questi argomenti, organizzati con lo scopo di rispondere a una domanda sempre crescente da parte delle istituzioni a ciò interessate, alcune università o scuole nazionali di conservazione e restauro hanno istituito, a partire dall'inizio degli anni Ottanta, dei settori specifici nel campo della f.: i primi sono stati creati negli Stati Uniti (Art Conservation Program, all'università di Delaware), seguiti dalla Danimarca (Kunstakademiets Konservatorskole di Copenaghen) e dalla Francia (Maîtrise de sciences et techniques de conservation des biens culturels, all'Università di Parigi i, poi Institut de formation des restaurateurs d'oeuvres d'art; Poivert 1991). Altri corsi sulla f. sono stati avviati di recente presso la Columbia University di New York, la Schule für Gestaltung di Berna, l'Académie royale des beaux-arts di Anversa, e in Olanda.
Anche nell'ambito di istituzioni e comitati internazionali si sono formati gruppi professionali di studio sulla conservazione e il restauro delle f.: il primo si è costituito nel 1980 in seno all'AIC (American Institute for Conservation of historic and artistic works); ne dispongono attualmente anche la sezione francese dell'IIC (International Institute for Conservation) e il Committee for Conservation dell'ICOM (International COuncil of Museums): queste ricerche hanno consentito di aggiornare le norme d'intervento e di far emergere nuove metodologie di restauro e pratiche di intervento adeguatamente controllate.
Il rapido sviluppo di tale disciplina e la crescente richiesta d'intervento da parte delle istituzioni negli ultimi dieci anni hanno determinato un aumento del numero dei restauratori di materiali fotografici. Ciò ha comportato, come conseguenza, la stesura di programmi organici di lavoro finalizzati alla salvaguardia di intere raccolte, in quanto la conservazione dell'insieme delle immagini che costituiscono un fondo rappresenta, nel settore pubblico, una priorità rispetto ai trattamenti di restauro riguardanti singole unità. Le decisioni relative alle procedure e alla scelta delle metodologie sono in gran parte determinate dall'analisi della natura e del ruolo dei documenti fotografici in questione, e ogni diagnosi fa sempre riferimento allo stato di conservazione generale, proprio cioè di ogni raccolta nel suo complesso. Nonostante ciò, qualunque sia il livello di avanzamento delle conoscenze nel campo delle reazioni fisico-chimiche, gli interventi sulle f. vengono condotti seguendo gli stessi principi deontologici adottati nei confronti degli altri manufatti artistici: per evitare i rischi che potrebbero derivare da restauri non sottoposti a controllo, questo nuovo orientamento privilegia una considerazione globale del documento fotografico e del suo contesto tecnico, strutturale e storico.
Così considerata, la disciplina della conservazione e del restauro dei materiali fotografici non è più marginale né disgiunta dalle altre specializzazioni e professionalità inerenti al campo del patrimonio artistico; essendo, però, di più recente formazione, essa dovrà ancor più impegnarsi a sviluppare, nell'osservanza di un approccio multidisciplinare, una competenza specifica rispetto ad altri specialisti coinvolti nel settore, quali i restauratori di opere grafiche o i fotografi. I presupposti per far emergere quest'attività, ancora poco diffusa a livello mondiale, restano comunque la messa a punto di insegnamenti adeguati e le iniziative che i responsabili delle collezioni pubbliche interessate sapranno e vorranno assumere (Poivert 1991).
bibliografia
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W. Crawford, The keepers of light. A history and working guide to early photographic processes, Dobbs Ferry (N.Y.) 1979.
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K.B. Hendriks, Fundamentals of photograph conservation: a study guide, Toronto 1991.
M. Poivert, L'enseignement de la restauration et de la conservation des photographies en France. Entretien avec A. Cartier-Bresson, in Histoire de l'art, 1991, 13-14.
M. Gray, Problems of photographic permanence ... Talbot to Hardwich 1835 to 1855, in The imperfect image. Photographs their past, present and future: conference proceedings, London 1992.
Il restauro della fotografia in Italia
di Marina Miraglia
Negli ultimi decenni del Novecento si è assistito anche in Italia a una proliferazione di iniziative nel campo della f. storica e contemporanea, a livello sia pubblico sia privato, che rispecchiano il diffuso interesse per la f. e la coscienza di una sua autonoma dignità museale, come bene storico-artistico oltre che per il suo valore documentario. Momento fondamentale, nell'ambito delle iniziative istituzionali, è stato la designazione dell'Istituto nazionale per la grafica (ING) come responsabile dei "compiti di salvaguardia, catalogazione e divulgazione" dei beni concernenti la produzione fotografica, stabilita con la creazione del Ministero per i Beni culturali e ambientali (1975).
Oltre al Museo e archivio della fotografia storica, gestito dall'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) di Roma (1998), e alle istituzioni collegate a università - come il Centro studi e archivio della comunicazione (CSAD) dell'Università di Parma (1975), l'Archivio audiovisivo interdisciplinare dell'Università degli studi della Calabria, con sede a Messina, il Museo dell'immagine fotografica e delle arti visuali (MIFAV) dell'Università di Roma Tor Vergata (1992) - numerose sono le iniziative pubbliche e private connesse a diverse realtà locali, come l'Archivio fotografico toscano (AFT) di Prato (costituito nel 1980 e aperto al pubblico nel 1985), il Museo di storia della fotografia "Fratelli Alinari" di Firenze (1985), il Centro di ricerca e archiviazione della fotografia (CRAF) di Spilimbergo (1993), l'Archivio fotografico storico dell'Assessorato alla Cultura della provincia di Treviso, la Maison valdôtaine de photographie di Aosta, il Centro internazionale di fotografia del comune di Verona (1998), il Centro studi e museo metropolitano della fotografia (denominazione provvisoria), promosso dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Milano e dal Comune di Cinisello Balsamo (1998).
Molte di queste istituzioni si sono da tempo poste il problema della conservazione e del restauro del patrimonio di immagini che gestiscono e tutelano, problema strettamente legato alla musealizzazione della f. e al riconoscimento del suo status di bene storico-artistico: infatti, come osserva C. Brandi (1963), il restauro si pone essenzialmente "come momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica".
La disciplina del restauro della f., e quindi la formazione del restauratore della f. come figura professionale, non è ancora prevista, in Italia, a livello istituzionale e centrale. L'ING, che già dalla sua fondazione svolge compiti di tutela nel campo della f., tenendosi costantemente aggiornato sugli studi specifici del settore avviati negli anni Settanta in Francia e in America, ha intrapreso anche un'attività operativa, con i restauri delle proprie collezioni; si è inoltre dotato, sulla base degli standard indicati dalle normative internazionali, di un magazzino di conservazione con valori termo-igrometrici tarati per le diverse tipologie (per collodi e nitrati microambiente con temperatura di 12 °C e 45% di umidità relativa; per gelatine e altre tecniche microambiente con temperatura a 18 °C e 45% di umidità relativa), dove le opere, dopo il restauro, sono ordinate, per formato, entro materiali (buste, passe-partout, scatole ecc.) appositamente scelti per le loro caratteristiche di neutralità e idoneità alla conservazione e al trattamento dei beni fotografici.
Nel 1989, in occasione del centocinquantenario dell'invenzione della f., l'ING ha organizzato nella sede della Calcografia un seminario di studi sulla conservazione e sul restauro della f., originato dalla sua prima esperienza di restauro del fondo G. Bonaventura (1882-1966). Rivolgendosi agli storici della f. e, soprattutto, agli operatori impegnati a vario titolo nella gestione di collezioni e archivi fotografici italiani, l'Istituto intendeva fornire coordinate di orientamento teorico e di condotta pratica nell'ambito delle numerose problematiche connesse alla tutela conservativa dei beni fotografici, con l'auspicio di svolgere un'azione di tutela su tutto il territorio nazionale.
Cura dell'Istituto è stata di conseguenza quella di far sì tesoro delle esperienze maturate all'estero, ma, contemporaneamente, di contribuire all'approfondimento delle problematiche man mano affrontate, stabilendo costanti e fattivi rapporti di collaborazione con le istituzioni pubbliche italiane preposte alla ricerca scientifica nel campo specifico della conservazione e del restauro e provvedendo, nei propri laboratori scientifici e diagnostici, a un continuo controllo delle metodologie d'intervento e conservazione adottate.
Tutti i lavori di restauro eseguiti - non solo con personale esterno, ma anche avvalendosi di restauratori della carta interni all'Istituto e con esperienze specifiche nel restauro della f. - sono stati caratterizzati da un continuo scambio di opinioni e di informazioni fra storici della f., restauratori, chimici e biologi, coinvolgendo, oltre ai funzionari dell'ING, anche quelli di altre istituzioni, in particolare dell'Istituto centrale per la patologia del libro e del Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli Archivi di Stato.
Oltre al contributo offerto per un'impostazione scientificamente corretta del dibattito sul restauro fotografico presso istituzioni pubbliche e private, l'Istituto ha offerto la propria competenza anche per la progettazione, la programmazione, la direzione o il controllo di interventi di restauro su fondi appartenenti ad altre collezioni, come per il restauro delle albumine, delle carte salate, di medio e grande formato, del fondo di L. Sacchi (1805-1861) che fa parte delle collezioni dell'Accademia di belle arti di Brera.
L'impegno dell'ING, tuttavia, non risolve il vuoto istituzionale di una didattica specialistica del restauro fotografico. In tale situazione è significativo che, in varie regioni italiane, siano sorti centri e associazioni volti a far fronte al crescente interesse per il restauro fotografico e all'impellente richiesta di restauratori specializzati. Tra questi si può ricordare l'Associazione culturale Chartarius, nata nel 1993 con lo scopo della didattica e della ricerca scientifica nel campo della conservazione e del restauro dei beni cartacei: l'associazione ha rivolto, infatti, fin dall'inizio un particolare interesse alla didattica formativa del restauro fotografico, promuovendo corsi triennali per "Addetto alla conservazione e al restauro della fotografia storica", finanziati con fondi della Comunità Europea, gestiti dal Centro di formazione professionale di Sinalunga. Pur ispirandosi a modelli stranieri, in particolare quelli offerti dall'Institut de formation des restaurateurs des oeuvres d'art di Parigi e dalla George Eastman House di Rochester, questi corsi tendono a inserirsi nella tradizione teorica e applicativa italiana nel campo del restauro dell'opera d'arte.
La condizione più idonea a far nascere anche in Italia una disciplina specifica del restauro della f. dovrebbe essere l'affidamento della formazione e della ricerca a un'istituzione pubblica, in quanto è necessario un controllo teorico-metodologico e di prassi operativa da parte dello Stato. In questa prospettiva si inserisce la l. 12 luglio 1999 nr. 237, con la quale sono stati istituiti il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e il Museo della fotografia, al quale sono attribuiti il compito di raccogliere, conservare, valorizzare ed esporre al pubblico materiale fotografico e attinente alla f. e funzioni di ricerca nel campo delle attività di conservazione dei materiali e in quello delle tecnologie. Inoltre il d. legisl. 31 marzo 1998 nr. 112, che regola i rapporti fra lo Stato e le Regioni, prevede che lo Stato, oltre a definire gli standard della formazione professionale e delle metodologie da seguire nell'attività tecnico-scientifica di restauro, mantenga le funzioni e i compiti didattici delle scuole e istituti nazionali.
bibliografia
C. Brandi, Teoria del restauro, Roma 1963.
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M. Miraglia, Ristampa del fondo Rocci, in Filippo Rocci e la fotografia pittorica. Ritratto di un gentiluomo con camera, a cura di M. Miraglia, Roma 1987, pp. 265-76 (catalogo della mostra).
N. Berselli, R. Vlahov, Orientamenti per il riconoscimento delle tecniche fotografiche, in La fotografia. Manuale di catalogazione, a cura di G. Benassati, Bologna 1990, pp. 89-119.
La fragilità minacciata. Aspetti e problemi della conservazione dei negativi fotografici, a cura di K. Einaudi, P. Vian, Roma 1991.
M.G. Jacob, Il dagherrotipo a colori. Tecniche e conservazione, Firenze 1992.
Federico Peliti (1844-1914). Un fotografo piemontese in India al tempo della regina Vittoria, a cura di M. Miraglia, Roma 1993 (con testi, relativi al restauro e alla ristampa del fondo Peliti, di S. Berselli, G. Cucinella, A. Onesti, G. Pasquariello, L. Scaramella) (catalogo della mostra).
A. Onesti, D. Cecchin, Il restauro delle fotografie. Problemi conservativi e interventi su un nucleo di carte salate dell'Accademia di Belle Arti di Brera, in Alle origini della fotografia. Luigi Sacchi lucigrafo a Milano (1805-1861), a cura di M. Miraglia, Milano 1996, pp. 125-30 (catalogo della mostra).
S. Petrillo, Il "modus operandi" di Luigi Sacchi, in Luigi Sacchi. Un artista dell'Ottocento nell'Europa dei fotografi. Le fotografie della Raccolta Parenti nella Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, a cura di R. Cananelli, Torino 1998, pp. 161-80.
M. Miraglia, Il restauratore della fotografia in Italia. Riflessioni sulle necessità della formazione e del riconoscimento del suo ruolo professionale, in Scritti in onore di Paolo Costantini, a cura della Scuola normale superiore di Pisa (in corso di stampa).
Tra le riviste italiane che hanno dedicato articoli alla conservazione e al restauro della f., si vedano in particolare: Fotologia. Studi di storia della fotografia, organo del Museo di storia della fotografia "Fratelli Alinari" (dal 1984), e AFT, organo dell'Archivio fotografico toscano (dal 1985).