FOTOGRAFIA (XV, p. 782; App. II, 1, p. 963; III, 1, p. 663)
In campo fotografico i fatti più notevoli negli ultimi anni sono stati di natura sociale e culturale, e riguardano l'aumento dei consumi piuttosto che nuovi e sostanziali progressi tecnici. Automatizzata l'operazione di ripresa e - fatto ancor più importante - i procedimenti di sviluppo e stampa, specialmente a colori, per conto terzi, l'industria fotografica si è impegnata a fondo per la conquista di un mercato di massa ai suoi prodotti, provocando la seconda grande ondata di popolarizzazione della f., e nello stesso tempo per la difesa del suo mercato da un concorrente, il videoregistratore.
La prima ondata di popolarizzazione della f. si era avuta nell'ultimo decennio dell'Ottocento con la produzione non più artigianale, ma industriale e di serie di apparecchi leggeri, di limitate dimensioni e relativamente economici, e delle pellicole in rullo abbastanza sensibili per consentire riprese a mano libera, cioè senza treppiede, quelle che poi sono state chiamate istantanee. La seconda ondata, mezzo secolo dopo, riducendo ulteriormente il costo delle attrezzature più semplici, unificando definitivamente i formati di base e i procedimenti fondamentali per lo sviluppo e la stampa delle pellicole, ha reso definitivamente popolare un passatempo che fino alla seconda guerra mondiale era ancora limitato alle classi borghesi medio-superiori. In alcuni paesi altamente industrializzati la fotografizzazione delle masse, se vogliamo usare questo termine, è più che completa: negli SUA, nella Rep. Fed. di Germania e in Giappone già si contano, nella media, più di un apparecchio per nucleo famigliare. In Italia non si posseggono cifre esatte, ma sicuramente non è troppo lontana la misura di un apparecchio per famiglia. Secondo una recente inchiesta condotta per conto di una grande azienda del settore, sei italiani su dieci, da 15 anni in su, hanno dichiarato di scattare qualche fotografia.
La diffusione della f. come consumo di massa è stata oggettivamente favorita dalla concentrazione industriale della produzione degli apparecchi più economici, o dei brevetti relativi, ma specialmente del materiale sensibile, in sei aziende mondiali le quali soddisfano da sole l'80% dei consumi. Sono la Kodak, la 3M e la Polaroid nell'area angloamericana, l'Agfa nella Rep. Fed. di Germania, la Orwo nella Rep. Dem. Tedesca, la Fujica giapponese. Molte aziende nazionali, di paesi per altri settori progrediti e autonomi, sono state assorbite: in Italia, la Ferrania. Le superpotenze dell'industria fotografica conducono fra loro una viva competizione commerciale, però attenta a non compromettere l'espansione del mercato fotografico. I nuovi brevetti relativi ad accorgimenti tecnici, diversi formati di pellicola o sistemi di trattamento della medesima, vengono subito rilasciati alle altre industrie, ovviamente dietro pagamento dei diritti, per unificare al massimo, internazionalmente, i "calibri fotografici" principali, cioè le misure del materiale e degl'impianti di trattamento, condizione fondamentale per l'espansione dei consumi senza ostacoli tecnici.
Anche se non a tutti risulta evidente, le industrie produttrici del materiale sensibile (che in qualche caso sono anche produttrici o detentrici dei brevetti degli apparecchi più popolari) esercitano un controllo più o meno indiretto sulle più numerose e meno potenti industrie di apparecchi. Contrariamente a quanto avvenuto nei primi decenni della f., l'attrezzatura viene oggi in buona misura progettata e rinnovata in funzione dei nuovi tipi di materiale sensibile piuttosto che viceversa. Una nuova pellicola di formato diverso, maggiore sensibilità, minor grana, colori più brillanti e altri vantaggi più o meno sostanziali, confezionata in modo da non poter essere caricata in una categoria di apparecchi da tempo in circolazione, talvolta in milioni di esemplari, in brevissimo tempo può farli apparire obsoleti, convincendo molti possessori a rinnovare la propria attrezzatura, oltre a richiamare milioni di nuovi utenti. In questo senso operano anche accorgimenti, in genere semplicissimi, per facilitare il caricamento e lo scaricamento dell'apparecchio.
È dunque, nell'insieme, soprattutto in funzione del gioco di un mercato mondiale che vengono adottate nuove soluzioni tecniche più o meno formali e si concretano le nuove scoperte, spesso rilevanti, della ricerca fotografica, particolarmente nel settore delle emulsioni sensibili. La vivacità del mercato viene continuamente sollecitata da novità che sono il più delle volte la riesumazione di idee addirittura secolari. Un esempio fra i molti: verso la metà degli anni Settanta si è assistito al rilancio di apparecchi e caricatori di microformato, o formato "110", il quale corrisponde a un terzo circa del già ridotto formato Leica di 24 mm × 35 mm. I nuovi apparecchi, definiti promozionalmente da taschino, rappresentano la versione moderna, e negli esemplari più costosi automatizzata, delle macchinette chiamate detective che ebbero gran voga un centinaio d'anni fa. È senza dubbio vero che gli attuali detective si avvantaggiano di obiettivi ed emulsioni migliorati, come qualsiasi altro apparecchio, ma è altrettanto vero che il nuovo microformato richiede, per l'uso dell'immagine, tutta una serie di nuove attrezzature e accessori, indispensabili per la stampa, la proiezione e il trattamento in genere del minuscolo fotogramma, e che viene proposto come seconda o terza macchina addirittura, il cui acquisto viene giustificato, più che da una reale necessità, da una generale tendenza al cosiddetto consumismo.
Ma oltre che da motivi di competitività interna al loro mercato, le industrie sono oggi stimolate dall'esterno dal rischio rappresentato da una scelta sempre più plausibile, alternativa all'hobby della f. nel suo insieme. A partire dagli anni Sessanta si è diffuso fra il vasto pubblico il gusto di apparire come produttore di ciò che possiamo genericamente chiamare "comunicazione", oltre che ricevitore e consumatore esclusivamente passivo di un'infinità di messaggi diffusi da radio, televisione, cinema e stampa illustrata. Restando nel campo delle immagini: la scelta che fino a poco tempo fa si proponeva fra macchina fotografica e cinepresa, oggi si sta allargando fra la registrazione dell'immagine su pellicola o sul nastro magnetico del videoregistratore; quando addirittura l'utente potenziale alla ricerca di un "elettrodomestico culturale" non appare indeciso fra un costoso apparecchio fotografico, un radioregistratore o un impianto ad alta fedeltà per la riproduzione del suono. Ancor più delle ricerche di mercato, la prova evidente di questa solo apparentemente irragionevole contaminazione fra mercati che sono formalmente assai diversi, la offrono i negozi tradizionalmente "cine-ottico-fotografici", i quali allargano precipitosamente le loro esposizioni, e le vendite, alle nuove attrezzature, tecnicamente non meno efficienti e automatizzate di quelle fotografiche.
La grande industria fotografica, dominatrice assoluta per quasi un secolo di quella che è stata chiamata civiltà delle immagini, può quindi seriamente temere di vedersi emulare dalla più recente industria mondiale produttrice delle attrezzature che consentono la registrazione delle immagini stesse, oltre che dei suoni nelle riprese dal vero, su nastro magnetico, e temere altresì il diffondersi di una "civiltà del suono", cioè di un mercato alternativo la cui dimensione non si avvicina ancora a quella di massa dei prodotti fotografici solo per ragioni di costo. La diffusione del videoregistratore, dal punto di vista sociale, è per il momento limitata alle stesse classi medio-superiori che nei primi anni della f. erano in grado di procurarsi la costosa attrezzatura allora necessaria per registrare le nuovissime "immagini ottiche e meccaniche". Ma i continui progressi tecnici e i perfezionamenti all'organizzazione della produzione in serie lasciano prevedere con certezza a scadenza breve la prima ondata di popolarizzazione del videoregistratore, così come ebbe luogo quella della fotografia.
Per mantenere la propria posizione di primato sul mercato di massa l'industria fotografica ha da tempo elaborato una strategia tecnica e commerciale per superare i propri svantaggi nei confronti dell'"immagine magnetica", via via che la riduzione dei costi renderà quest'ultima sempre più disponibile per un largo consumo. Come si è gia detto, il videoregistratore consente la registrazione immediata dal vivo non solo delle immagini ma anche del suono: a partire dal 1975 l'industria fotografica ha prodotto nuove cineprese e pellicole amatoriali che consentono, per la prima volta, quanto da molti anni era già possibile, cioè la realizzazione diretta dei film sonorizzati. Il videoregistratore presenta poi il vantaggio di poter riutilizzare il supporto delle immagini, (il nastro magnetico) per un numero indefinito di nuove registrazioni, cancellandosi con l'ultima quella precedente; ma il nuovissimo "super-otto" vanta una migliore immagine a colori, sempre più ingrandibile su schermi di dimensioni assai maggiori di quelli dei videoriproduttori: e la possibilità di meglio adattarsi mediante il montaggio e il mixaggio del suono alle esigenze del linguaggio cinematografico.
Il vantaggio, maggiore e peculiare del videoregistratore nei confronti del cinema, era di consentire l'immediata visione e ascolto delle immagini e dei suoni registrati. Questo vantaggio assoluto è durato solo fino al 1977, l'anno in cui la soc. Polaroid ha annunciato la distribuzione sul mercato mondiale di un sistema di "cinema immediato" a colori formato super-otto amatoriale. Per questo cinema si usa una camera semplicissima, completamente automatica, rifornita con un contenitore di pellicola che a ripresa conclusa viene introdotto in un visore da tavolo, simile ai più maneggevoli dei videoregistratori, che provvede immediatamente allo sviluppo del film e alla proiezione, la quale ovviamente può essere poi replicata a piacere.
La struttura della pellicola per il cinema immediato è la stessa della f. "subito pronta" o "in un minuto" più sofisticata che, a partire dal 1976, non solo la Polaroid ma altresì la Kodak diffondono in tutto il mondo sottolineando un vantaggio: che con essa si ottiene una copia senza scarto, ovvero senza il distacco dall'immagine positiva del negativo umidiccio, non più utilizzabile e da buttare. Pure per il cinema immediato non si hanno scarti: la pellicola si autosviluppa e autostampa o, come si dice per la f., si auto-inverte da negativo in positivo. È chiaro che in questo modo si ricava una copia unica e non una matrice stampabile in tante copie quante se ne desiderano.
È facilmente prevedibile per il cinema immediato un avvenire di continui perfezionamenti, in gran parte già realizzati dall'industria, ma dosati per il mercato secondo criteri di convenienza commerciale. Un uso professionale del cinema immediato si avrà per le attualità televisive: in questo campo il vantaggio di una copia, anche se unica, immediatamente disponibile per la telediffusione appare a tutti evidente. Infine: ancor più semplice del film potrebbe essere la realizzazione di "trasparenze" o diapositive immediate, da usare come quelle con cui si alimentano i ben noti e assai diffusi proiettori fissi. Ancora una volta: è solo per motivi di tattica commerciale se la distribuzione del film si fa precedere (non si sa di quanto) a quella della pellicola correntemente definita "invertibile a colori" subito pronta per la proiezione dopo la presa dell'immagine.
Noteremo a questo punto come negli ultimi anni la proiezione di immagini fisse abbia avuto notevolissima espansione, in campo amatoriale e negli usi pedagogici. Le diapositive, ovvero le f. trasparenti e ormai esclusivamente a colori, e quasi sempre di formato 24 × 35 mm, hanno mantenuto e accresciuto un nettissimo vantaggio di qualità formali (brillantezza dei colori, definizione dei particolari) sulle f., sempre a colori, stampate su carta o altri supporti opachi (politenati). Inoltre ai tradizionali proiettori si sono affiancati proiettori congruenti, o multipli, capaci di produrre effetti fantasmagorici di notevole suggestione, sovrapponendo più immagini, incastrandole in mosaici complicati (multivisione) ai quali talvolta partecipano decine di diapositive differenti: moderne lanterne magiche le quali tentano di rinnovare il successo di massa di una forma d'intrattenimento già in auge due secoli fa.
Ma qualcuno ha detto che la f., come l'iceberg di un paragone ormai classico, mostra agli occhi dei più la sua parte emergente superficiale, mentre resta nascosta quella quantitativamente e qualitativamente più importante, ovvero la f. scientifica, industriale e di riproduzione in genere. La f., cioè, usata come mezzo di precisa documentazione e misurazione dalle varie discipline scientifiche; come strumento d'inventario visivo, di descrizione delle merci, per gli scopi più diversi (dal catalogo alla pubblicità) da tutte le industrie; e infine come mezzo di riporto delle immagini d'ogni genere, da quelle dell'arte a quelle direttamente eseguite dal vero dalla f. stessa, sulle matrici inchiostrabili necessarie alla stampa tipografica. In questi impieghi si sono verificati negli ultimi anni i progressi più concretamente utili della fotografia. Per la scienza essa è diventata uno strumento di misura sempre più vario nelle sue espressioni grafiche, oltre che preciso. Si fotografano a colori differenti, secondo scale di lettura prestabilite, i suoni, le temperature, persino gli odori. La f. aerea e quella spaziale hanno reso visibili oggetti e fenomeni fino a poco tempo fa non solo mai visti, ma anche sconosciuti. Con il microscopio elettronico e le riprese endoscopiche siamo riusciti a spingere lo sguardo fino al limite estremo della materia e nei più nascosti recessi del corpo umano. Nel campo della riproduzione delle immagini la f., alleata alla fotoincisione, riesce a riprodurre in numerose copie gli originali dell'arte con estrema verosimiglianza.
Sul futuro della f. pesa una spada di Damocle decisiva: l'estinguersi delle riserve minerarie mondiali dell'argento i cui sali, come tutti sanno, ovvero gli "alogenuri", sono alla base stessa della formazione di un'immagine, o qualsivoglia traccia, per effetto della luce. Ma è certo che le grandi industrie del settore non si trovano impreparate a questa eventualità sicuramente prevedibile, anche se non si sa per quando. Ricorderemo che già uno dei padri della f., J. F. W. Hershel, lo scopritore dell'iposolfito, ovvero del fissaggio fotografico senza il quale l'immagine risulterebbe effimera, aveva fin dal 1839, l'anno stesso dell'invenzione della f., indicato una sostanza alternativa ai sali sensibili dell'argento nei sali ferrici, egualmente sensibili anche se assai più lenti a reagire all'azione della luce. Da tempo si sono però individuate sostanze "acceleratrici", ma le industrie mantengono in proposito il massimo riserbo. Come, logicamente, su ogni altro metodo alternativo. Quello che si sa, e che è verificabile con le comuni analisi scientifiche, è la sempre più ridotta presenza di argento nelle pellicole fotografiche e, naturalmente, cinematografiche: un massimo di registrazioni si ottiene con quantità ancora minori di alogenuri.
Sono in fase avanzata anche le ricerche di supporti fotografici (film) recuperabili e riutilizzabili per la registrazione di nuove immagini, esattamente come avviene già da decenni con i nastri magnetici. Anche su questi, com'è risaputo, si registrano le immagini (videotape), ma quelle di cui ora si parla sono visibili, negative e positive, e, volendolo, trasparenti e disponibili per la proiezione e l'ingrandimento (che è poi la medesima cosa). Negli Stati Uniti, specialmente, sono già stati registrati in proposito numerosi brevetti. Nel 1976 la IBM, una ben nota industria produttrice di calcolatori e altri congegni elettronici, depositava, e ne dava notizia ufficiale, quello che è fra i più prestigiosi: un supporto opaco o trasparente per le riprese fotografiche a colori, che dopo l'esposizione si sviluppa con la corrente elettrica, senza dover ricorrere ai tradizionali bagni chimici. L'immagine si cancella, e il supporto torna a poter essere utilizzato, facendo ripassare la corrente in senso inverso.
Bibl.: P. J. Hillson, Photography at work, Londra 1969; G. Freund, Fotografia e società, Torino 1976; A. Gilardi, Storia sociale della fotografia, Milano 1976.
Fotografia nell'infrarosso. - L'uso della f. con l'infrarosso, cioè la possibilità di fotografare lunghezze d'onda superiori ai 0,759 μm, e non visibili per l'occhio umano, ha una lunga storia, ma solo in tempi relativamente recenti ha trovato una vasta applicazione nei più diversi campi.
La f. con l'infrarosso è impiegata utilmente in astrografia, in botanica, in bibliografia, in meteorologia, in criminologia, in medicina e nella ricerca scientifica in generale.
Entro certi limiti, usando emulsioni fotografiche e determinati accorgimenti tecnici, come filtri da apporre davanti all'obiettivo o davanti alle fonti di luce, possono essere fissate sulla lastra fotografica radiazioni comprese tra lunghezze d'onda predeterminate con esclusione delle altre. Per es., fotografando con una pellicola pancromatica una lampada accesa a filamento di tungsteno, le radiazioni infrarosse emesse dal filamento non impressionano l'emulsione e quindi verrà riprodotto solo il bulbo della lampada e il timbro della ditta stampigliato sul vetro. Usando una pellicola all'infrarosso sensibilizzata a 0,800 μm, una parte delle radiazioni infrarosse (quelle fino a un'ampiezza d'onda di 0,800 μm) emesse dal filamento riescono a impressionare l'emulsione e nello stesso tempo si riesce a riprodurre il timbro della ditta costruttrice e la porzione visibile dello spettro emessa dal bulbo. Usando infine una pellicola all'infrarosso sensibilizzata a 1,050 μm e applicando davanti all'obiettivo un filtro rosso al fine di escludere le radiazioni al di sotto degli 0,700 μm, si riesce a riprodurre chiaramente il filamento incandescente, mentre non risulta più visibile né il bulbo né il timbro. Particolari sostanze sensibilizzano un'emulsione a radiazioni di lunghezza d'onda maggiore, così, per es., l'eritrosina sensibilizza al verde le emulsioni ortocromatiche che rimangono comunque non sensibili all'arancione, al rosso e, a maggior ragione, all'infrarosso. Con il materiale pancromatico si è raggiunto un grado di sensibilità tale da comprendere tutte le radiazioni visibili, ma l'infrarosso viene comunque escluso. Le prime sostanze usate per la sensibilizzazione infrarossa sono state scoperte nel 1905 a Höchst da König e Philips; esse erano la dicianina e la dicianina A.
Le sostanze che vengono impiegate per la sensibilizzazione all'infrarosso hanno una composizione molto complicata e la loro fabbricazione prevede dei procedimenti costosi che spiegano, tra le altre componenti, l'alto costo del materiale infrarosso.
I sensibilizzatori sono numerosi; questi si dividono nei due grandi gruppi delle sostanze coloranti basiche (cianina, sali alcalini dell'acido prussico) e sostanze coloranti acide (ftaleina, sali derivanti dall'acido ftalico come la fenolftaleina, eosina, ecc.).
Sostanze coloranti diverse sensibilizzano a lunghezze d'onda diverse; la eosina sensibilizza fino a 0,570 μm, la iso-cianina fino a 0,620 μm, il pinocianolo fino a 0,750 μm. La dicianina (sostanza scoperta, come già detto, nel 1905) sensibilizza fino a 0,960 μm, ben entro cioè al settore infrarosso. Tuttavia i materiali trattati con dicianina non presentavano una stabilità tale da permettere la fabbricazione di materiale confezionato e l'emulsione trattata in tal modo doveva essere utilizzata quasi immediatamente. Nel 1919 fu scoperta la criptocianina, un sensibilizzatore che pur raggiungendo una lunghezza d'onda inferiore a quella raggiungibile con la dicianina, e cioè a 0,800 μm, presentava rispetto a questa una maggiore stabilità e rese così possibile la fabbricazione di materiale confezionato. Nel 1925 H. L. Clarke scoprì la neocianina, una sostanza, che offrendo una stabilità accettabile, arrivava a sensibilizzare le emulsioni fino a 0,900 μm; in seguito nuove sostanze, come la pentacarbocianina (1937), resero possibili nuovi progressi e si raggiunse una sensibilizzazione fino a 1,400 μm. Con il materiale infrarosso così sensibilizzato si riuscì a riprendere fotograficamente negli spettri dei gas nobili circa 109 linee oltre 1,300 μm. Varrà la pena ricordare che la criptocianina della Kodak e la rubrocianina dell'Agfa sono simili e che l'allocianina dell'Agfa corrisponde alla neocianina della Kodak.
Le pellicole sensibili all'infrarosso. - Per sensibilizzare all'infrarosso con mezzi propri e prodotti reperibili le emulsioni tradizionali, queste debbono essere immerse in soluzioni contenenti la sostanza colorante seguendo scrupolosamente metodologie dalle quali dipende la buona riuscita del trattamento.
La soluzione del bagno sensibilizzatore contenente la sostanza colorante, la durata del bagno, i tempi di risciacquo e le sostanze impiegate a tale scopo, la rapidità di asciugamento, sono tutti fattori che variano enormemente al variare della sostanza colorante impiegata. Inoltre per bagni con la stessa sostanza colorante vengono suggerite metodologie che spesso differiscono notevolmente tra di loro. Sono comunque abbastanza facilmente reperibili sul mercato emulsioni già sensibilizzate all'infrarosso.
Kodak high speed infrared 4143; Kodak high speed infrared 2481. La sensibilità spettrale di queste pellicole bianco-nere si estende dall'ultravioletto all'infrarosso fino a 0,900 μm. La prima viene venduta in fogli di formato 10,2 × 12, cm e si dimostra particolarmente adatta per riprese da lontano in condizioni di foschia, ma è anche utilizzata in fotomicroscopia. La seconda è abbastanza simile alla precedente, ma viene venduta in caricatori 135 da venti pose e in bobine 35 mm, un formato particolarmente indicato per la cinematografia e per apparecchi di piccolo formato. Queste pellicole possono essere usate per effetti speciali, nella f. commerciale, architettonica e paesaggistica (il materiale infrarosso è eccellente per la f. architettonica perché le linee architettoniche predominanti vengono messe bene in evidenza e le diverse superfici appaiono ben distinte l'una dall'altra). A causa della loro elevata sensibilità, per periodi di conservazione lunghi debbono essere conservate in frigorifero.
Kodak ektachrome infrared. Si tratta di una pellicola a colori disponibile in caricatori 135 da venti pose e presenta una sensibilità all'infrarosso fino a 0,900 μm. La caratteristica più interessante di questa pellicola invertibile è che essa riproduce i colori in un modo falsato: i suoi tre strati invece di essere sensibili al blu, al verde e al rosso sono sensibili al verde, al rosso e all'infrarosso. Il verde impressiona il primo strato e dopo il trattamento d'inversione dà luogo a un'immagine blu, il rosso dà luogo a un'immagine verde e le radiazioni infrarosse che impressionano il terzo strato dànno un'immagine rossa. È necessario operare con un filtro giallo (per es., Wratten n. 12) al fine di trattenere le radiazioni blu alle quali, sia pure in misura diversa, sono sensibili i tre strati. L'esposizione dev'essere effettuata con un'illuminazione avente le stesse caratteristiche della luce diurna. Questa pellicola viene usata con successo in patologia vegetale, in rilevamenti ecologici, in biologia e in medicina, specie per mettere in evidenza difetti di circolazione. Operando in interni con lampade a 3400 °K, al filtro tipo Wratten n. 12 è bene sovrapporre un filtro compensatore di colore CC20C e un filtro Corning glass CS n. 1-59. L'illuminazione dev'essere quanto più possibile piatta e uniforme. Per determinare con esattezza i tempi di esposizione e i diaframmi relativi alla sensibilità all'infrarosso di questa pellicola, è necessario fare delle prove attenendosi alle tabelle fornite dalla casa costruttrice. Per una lunga conservazione della pellicola è necessario che questa sia mantenuta a una temperatura compresa tra i −12 °C e i −18 °C.
Kodak infrared aerografic film 2424; Kodak aerochrome infrared film 2443. Trattasi di pellicole fornite nel formato 70mm particolarmente adatte alla ripresa aerea. La prima in bianco-nero, è sensibile dall'ultravioletto all'infrarosso fino a 0,900 μm. Per mettere in evidenza le radiazioni infrarosso in fase di ripresa si usa un filtro rosso del tipo Wratten n. 25 oppure, per una registrazione ancora più marcata dell'infrarosso, un filtro tipo Wratten n. 89B. L'uso di questa pellicola, con i filtri summenzionati, riduce gli effetti della foschia atmosferica, mette in evidenza i corsi d'acqua e i vari tipi di vegetazione; numerose le applicazioni nel campo della geologia e nello studio delle risorse idriche e forestali. Con questa pellicola si possono ottenere valori di risolvenza molto vicini a quelli prodotti dalle pellicole pancromatiche.
La Aerochrome Infrared 2443 è una pellicola invertibile a colori falsati simile alla Ektachrome Infrared dalla quale si distingue, oltre che per il diverso formato nel quale è venduta, anche e soprattutto per il fatto di essere stata appositamente progettata per la f. aerea allo scopo di produrre elevati contrasti nei casi di riprese da grande distanza. Prodotta originariamente per scopi militari (evidenziazione nel fogliame verde di obiettivi mimetizzati con vernice verde), attualmente viene impiegata per mettere in evidenza eventuali malattie delle piante sfruttando la sua fedele registrazione della quantità di radiazione infrarossa riflessa dalla clorofilla.
Polaroid Land Experimental Infrared Film Type 413. Si tratta di una pellicola fornita nel formato 8,8 × 10,5 cm adatta a macchine Polaroid, ma è adattabile anche a molte macchine fotografiche di grande formato, come 9 × 12 cm e più grandi. È impiegata, tra l'altro, nella ricognizione aerea, in medicina, in criminologia e in spettroscopia.
L'illuminazione. - Tutte le lampade a incandescenza oltre a emetterere radiazioni visibili emettono anche nel campo dell'infrarosso, particolari radiazioni comprese tra i 0,700 e i 0,900 μm, l'ampiezza dell'infrarosso d'interesse fotografico. Le lampade termiche per scopo terapeutico non sono adatte perché dànno in prevalenza un'emissione oltre i o,900 μm. Le normali lampade flash hanno una notevole emissione nel campo dell'infrarosso fotografico, ma si rende necessario un filtro rosso, che assorba le radiazioni di minor larghezza d'onda da montare indifferentemente davanti all'obiettivo o davanti alla lampada. Esistono tuttavia speciali lampade flash che hanno la superficie esterna colorata in rosso e che vengono contrassegnate con la lettera R. Anche il flash elettronico può essere usato per la f. all'infrarosso e naturalmente anche in questo caso si rende necessario l'uso del filtro rosso. I flash elettronici e normali, schermati con i filtri suddetti, sono particolarmente utili quando si voglia riprendere soggetti che verrebbero disturbati dalla luce del lampo.
Applicazioni. - Dal momento che la f. dei raggi infrarossi permette di rendere visibili radiazioni invisibili all'occhio umano e ai materiali fotografici non trattati nell'infrarosso, essa è principalmente un mezzo d'indagine e pertanto può essere applicata nei campi più disparati rivelando aspetti nuovi in ogni realtà fotografabile. Un dipinto, un viso, un cielo, una stoffa, un reperto archeologico, un corpo, un fossile, un paesaggio, una nebulosa, fotografati con materiale infrarosso rivelano nuovi aspetti di sé, offrendo nuova materia di studio nell'indagine della loro natura. Va infine osservato che, specie per quanto riguarda l'uso della pellicola infrarossa a colori, la tecnologia fotografica dell'infrarosso offre alla f. artistica un ulteriore mezzo d'espressione. Vedi tav. f. t.
Bibl.: W. Clark, Photography by infrared, New York 1946; W. Brügel, Physik und Technik der Ultrarotstrahlung, Hannover 1961; G. Wagner, Fotografia con luce invisibile. Possibilità e limiti della fotografia infrarossa, in Phototechnik und Wirtschaft, luglio 1967; id., Fotografia con l'infrarosso, Roma 1974.