Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il fotogiornalismo è la documentazione fotografica di fatti e di avvenimenti che viene diffusa e resa di pubblico dominio attraverso gli organi di informazione. Può essere la fotografia di un attimo irripetibile o un lungo racconto fotografico. La fotografia è così il testo visivo del giornalismo. Parte integrante dei teatri di guerra e di pace, la fotografia d’attualità ha dato forma e immagine alla storia di un intero secolo.
Teatri di guerra
Dal 1839, data di presentazione ufficiale della dagherrotipia, i modi in cui le immagini si producono, riproducono e diffondono sono molto cambiati.
A metà Ottocento la tecnica tipografica ancora non permetteva di stampare testo e immagine sulla stessa pagina; spesso quindi, per corredare un testo di un’illustrazione, si ricorreva a incisioni, che generalmente riportavano la dicitura “da fotografia”. Grazie ai disegni sui periodici si conoscono la guerra di Crimea, quella di Secessione, i volti di personaggi illustri. Nel 1855 Roger Fenton viene mandato da sua maestà britannica in Crimea per fotografare direttamente la guerra. Non è tecnicamente in grado di testimoniare i momenti dell’azione, ma ritrae i soldati e i campi di battaglia dopo gli scontri. In patria le sue fotografie destano un grande scalpore; per noi soprattutto segnano l’inizio del reportage di guerra. Da allora i fotografi non mancheranno mai più sui teatri bellici. Durante la guerra di Secessione Matthew B. Brady chiude il suo studio di New York trasferendosi al fronte per fotografare. Allestisce negli Stati Uniti diverse esposizioni affinché la gente veda la guerra e ne compri l’immagine. Alexander Gardner (1821-1882) realizza sia magnifiche fotografie della guerra, raccolte nel volume Gardner’s Sketch book of the war del 1866, sia della frontiera americana contribuendo a far conoscere il nuovo mondo e le sue bellezze naturali. La guerra diviene un genere fotografico redditizio. Il XX secolo è stato il secolo della fotografia e i fotografi sono stati sempre presenti come testimoni per tutti coloro che al fronte non erano. Durante la prima guerra mondiale la fotografia viene utilizzata dagli eserciti per le ricognizioni aeree e per la documentazione delle battaglie. Molti sono i fotografi inviati sui fronti dai giornali e molti i soldati che fotografano la “loro” guerra. Robert Capa è il più famoso tra i reporter che nel 1936 fotografano la guerra civile spagnola, mostrando a tutto il mondo il dramma del Paese. La sua fotografia del miliziano colpito a morte, pubblicata da “Vu”, rimane l’icona di tutti i conflitti. Capa è stato uno dei migliori e celebri fotografi. È lui a cambiare radicalmente l’inquadratura. L’importante, per lui, è essere vicini al soggetto per entrare nell’emozione da trasmettere; qualche volta considera il fuori fuoco un mezzo espressivo che consente un maggior effetto di verità. Se Capa è il più noto molti altri grandi fotografi si impegneranno durante il successivo secondo conflitto mondiale: Margareth Bourke-White, George Rodger, Eugene Smith, Joe Rosenthal, Cecil Beaton, Yevgeny Khaldei e molti altri.
Malgrado la loro cruda testimonianza della guerra da allora i conflitti non sono mai cessati e, anche se l’informazione televisiva prenderà il sopravvento su quella stampata, molti altri reporter fotograferanno le guerre nel mondo: Don McCullin (1935-), Larry Burrows (1926-1971), Gilles Caron (1939-1970), Luc Delahaye (1962-), Josef Koudelka (1938-), Paolo Pellegrin (1964-), James Nachtwey (1948-), per citare solo i più noti.
Il proprio tempo
Sebbene la guerra sia abitualmente indicata come fonte per la nascita del reportage fotografico, l’attualità è anche altro. La fotografia, nell’Ottocento, era lo strumento più nuovo e immediato per dare la notizia e presto i fotografi si diffusero in tutto il mondo. Felice Beato si diresse verso Oriente arrivando fino in Giappone, facendo così conoscere all’Occidente un mondo che pochi avevano visto. Vittorio Sella (1859-1943) fotografò le Alpi. Compagnie ferroviarie ingaggiarono fotografi per riprendere la costruzione delle strade ferrate americane, il Congresso degli Stati Uniti istituì il primo parco naturale americano vedendo le fotografie di William H. Jackson (1843-1942) della zona di Yellowstone. Il 30 ottobre 1869 il “Canadian Illustrated News” pubblicò in via sperimentale una fotografia di William Notman (1826-1891). Finalmente il 4 marzo 1880 il “New York Daily Graphic” stampò una fotografia in prima pagina.
Le fotografie danno la sensazione di mostrare la realtà senza confini, senza bisogno di alcuna trascrizione o traduzione. Presto saranno i cronisti stessi a diventare fotoreporter. Jacob Riis (1849-1914), giornalista del “New York Tribune”, per rendere evidenti le condizioni sociali dei poveri di New York, lascia il taccuino per l’apparecchio fotografico realizzando un reportage sull’altra metà di New York (How the other half lives). Dopo di lui anche Lewis W. Hine userà la fotografia per denunciare aspetti della vita degli immigrati europei e del lavoro minorile. Il 5 settembre 1886 sul “Journal Illustré” compare un’intervista fotografica allo scienziato Eugène Chevraul in occasione del suo centesimo compleanno, realizzata da Paul Nadar . Si può considerare questo il primo fotoracconto pubblicato.
Dai primi del Novecento la fotografia è consueta sui giornali, utilizzata per raccontare fatti e avvenimenti di ogni genere: la cronaca, lo sport, la moda, lo spettacolo. Ogni redazione ha fotografi di cui avvalersi. Si sviluppa il giornale illustrato, compendio periodico di quanto di più interessante accade nel mondo. Tra i pìù noti in Italia vi sono la “Tribuna Illustrata”, “l’Illustrazione Italiana”, “Il progresso fotografico” e altre ancora. All’estero le riviste più importanti sono l’inglese “Illustrated London News”, il francese “L’Illustration”, gli statunitensi “Harper’s Weekly” e “Illustrated American”.
Negli anni Venti la Germania è il Paese in cui si pubblica il maggior numero di riviste illustrate, le più note sono il “Berliner Illustrierte Zeitung” e il “Münchner Illustrierte Presse”. La fotografia di attualità inizia a caratterizzarsi non solo perché riprende gli avvenimenti del mondo, ma perché è rapida, immediata, a volte scattata avventurosamente, se non pericolosamente; diventa un genere fotografico preciso e i fotoreporter acquistano agli occhi dei lettori un fascino particolare. La culla del fotogiornalismo è l’Europa, dove si impone il racconto fotografico. I fotografi che meglio si esprimono in questo nuovo genere di informazione, specialmente negli anni Venti e Trenta, sono spesso Tedeschi o Ungheresi. È il caso di Erich Salomon, Felix H. Man (1893-1985), di Martin Munkacsi (1896-1963), di Robert Capa, Gerda Taro (1911-1937), Alfred Eisenstaedt. Negli USA della grande depressione la Farm Security Administration incaricherà noti fotografi di testimoniare le condizioni delle campagne impoverite. Parteciperanno al progetto Dorothea Lange, Margareth Bourke-White, Walker Evans (1903-1975) e altri. I fotoreporter diventano giornalisti essi stessi: pensano un servizio e scelgono come realizzarlo, vanno direttamente sul luogo come testimoni dell’evento, danno la notizia. Weegee è l’antesignano del fotografo d’azione. Fotografa la cronaca nera notturna di New York, spesso il suo obiettivo arriva prima della polizia, il suo flash congela la scena del delitto. Con l’avvento di Hitler molti fotografi preferiscono emigrare in Francia e negli USA per sfuggire alle persecuzioni politiche e razziali. Con loro emigra anche il fotogiornalismo. Henry Luce, già ideatore e proprietario di “Time”, deciderà di fondare un nuovo settimanale basato esclusivamente sul racconto fotografico. Nel 1936 è in edicola “Life”: da allora il più famoso e diffuso periodico illustrato con cui collaboreranno i migliori fotografi fuggiti dall’Europa, ai quali altri se ne aggiungeranno. Eisenstaedt sarà a lungo fotografo di “Life”; con lui lavoreranno tra gli altri Capa, Bourke-White, Chim Seymour (1911-1956), John Phillips (1914-1996), Carl Mydans (1907-2004), Peter Stackpole (1913-1997). Seguendo lo stile di “Life” nasceranno altre riviste, dove sarà sempre la fotografia a prevalere sul testo e il fotografo sul redattore. Anche i periodici di moda daranno ampio spazio all’immagine. Adolf De Meyer, che inizia a collaborare con “Vogue” nel 1914, impone la fotografia di moda non solo come documentazione di un abito, ma di uno stile di vita. Sarà lui, con la tecnica del flou, le pose sapientemente esasperate, a creare uno stile all’interno del genere fotografico che in alcuni casi sopravvive ancora oggi. Dopo di lui si occuperanno di moda altri grandi autori: Edward Steichen, Man Ray, Martin Muncaksi, Cecil Beaton, Horst P. Horst, Irving Penn, Richard Avedon, David Bailey, Helmut Newton, Guy Bourdin, Steven Meisel, Ferdinando Scianna, Gian Paolo Barbieri, Ugo Mulas, solo per citarne alcuni. Tutti daranno la propria visione del mondo attraverso l’interpretazione della moda, seguendo con essa l’evoluzione del gusto e della società, ma non tutti sono fotografi di moda, anzi spesso fotografano anche la moda, con il loro stile. È dagli anni Sessanta del Novecento che fotografare la moda diventa sempre più un settore specialistico, con fotografi che si dedicano esclusivamente a questo genere. Tra i più noti, oltre ai già citati, vi sono Patrick Demarchelier (1943-), David LaChapelle (1963-), Paolo Roversi (1947-), Oliviero Toscani (1942-), Peter Lindbergh (1944-). Molti stilisti associano le loro creazioni a un fotografo; Dolce e Gabbana si impongono con una campagna fotografica firmata da Ferdinando Scianna, Benetton si affiderà per molti anni a Oliviero Toscani come fotografo e art director. Certamente un punto di osservazione sul mondo e la società assai patinato, dove è anche permessa una certa libertà di espressione e sperimentazione artistica. Ben diversa invece la posizione di chi il mondo lo deve descrivere attraverso l’attualità dei conflitti.
Agli inizi del XX secolo in Italia non mancano ottimi fotogiornalisti. Il capostipite è Adolfo Porry Pastorel (1888-1959), fondatore dell’agenzia V.E.D.O. (Visioni Editoriali Diffuse Ovunque), famoso per la rapidità d’azione e di distribuzione delle fotografie. Il regime fascista blocca per lungo l’espressività dei fotografi e per volere dello stesso Mussolini viene fondato l’Istituto L.U.C.E (L’Unione Cinematografica Educativa) con il preciso intento di controllare l’immagine ufficiale del regime fornendo fotografie ai giornali.
Con il ritorno alla democrazia in Italia si afferma un fotogiornalismo libero dalle maglie dalla censura. La presenza nelle edicole della stampa estera contribuisce a diffondere il nuovo stile del fotogiornalismo e dei rotocalchi. Su imitazione di questi sorgono in breve moltissime testate, soprattutto negli anni Cinquanta, le più note: “Epoca”, “L’Europeo”, “Oggi”, “Tempo Illustrato” e altre specializzate in attualità, cinema, sport o commenti politici. Molti anche i fotografi: pronti a dare le notizie in uno scatto. I loro nomi: Mario De Biasi (1923-2013), Federico Patellani (1911-1977) , Fedele Toscani (1909-1983), Tino Petrelli (1922-2001), ai quali man mano si aggiungono Caio Garrubba (1923-), Giorgio Lotti, Ugo Mulas, Mario Dondero (1928-), Gianfranco Moroldo (1927-2001), Franco Pinna (1925-1978), Carlo Bavagnoli (1932-), Gianni Berengo Gardin (1930-), Mauro Galligani (1940-). Nel resto d’Europa il riferimento è l’occhio, sempre attento e spesso ironico, di Henry Cartier Bresson in grado di cogliere l’eccezionale anche negli incontri casuali nelle strade cittadine. Enzo Sellerio (1924-2012) fotografa con lo stesso sguardo ironico personaggi famosi e gente comune, non tralasciando temi sociali con i suoi lavori Paesi dell’Etna o Borgo di Dio. I reportage più avvincenti, per come coniugano forma e comunicazione sono quelli di Werner Bischof. Se nell’Ottocento il limite tra fotogiornalista e fotografo d’attualità era assai tenue, un secolo dopo la classificazione si fa più forte perché la fotografia si è ramificata in molti generi.
Per fotografia d’attualità si intende generalmente quella legata ai principali temi affrontati dalla pubblicazione periodica, ma è con gli anni Sessanta in special modo che il fotogiornalista avverte come suo compito la capacità di restituire, attraverso l’obiettivo, una propria visione della realtà, spesso coincidente con una personale visione politica. La fotografia come denuncia sarà utlizzata, come un secolo prima avevano fatto Riis e Hine, da Mimmo Jodice, Carla Cerati, Tano D’Amico (1942-), Lisetta Carmi, Franco Zecchin (1953-), Letizia Battaglia, Mary Ellen Mark. Oggi tra i nomi di spicco del reportage internazionale vi sono Joseph Koudelka (1938-), James Nacthwey (1948-), Paolo Pellegrin, Francesco Zizola (1962-), Alex Majoli (1971-), Sebastião Salgado (1944-), Ian Berry (1934-).
Accanto al fotogiornalismo più impegnato si impone la fotografia scandalistica, accontentando così i bisogni primari dei lettori: immagini forti che lascino lo stupore e il desiderio di parlarne e saperne di più. Se da una parte vi è la guerra, dall’altra vi è il non meno redditizio mercato della cronaca rosa. In Italia il fenomeno esplode alla metà degli anni Cinquanta. Tazio Secchiaroli , da allora il fotografo d’assalto per eccellenza, inizia a fotografare i divi del cinema e del jet set, nelle loro notti romane trascorse a via Veneto e dintorni. Le star, spesso infastidite dai continui attacchi dei fotografi, reagiscono e in questo preciso momento scatta il flash e lo scoop. È il boom dei giornali di gossip: “Novella 2000”, “Paris Match”, “Ici”, “Voilà”, ma anche quotidiani e settimanali politici pubblicano le foto scandalo. Un genere fotografico iniziato da Secchiaroli e continuato da altri raffinando le tecniche di ripresa e gli appostamenti. Fotografi del gossip saranno Elio Sorci, Marcello Geppetti, Umberto Pizzi, Massimo Sestini, Ron Galella, Roy Belisario, Ken Lennox, Martin Stenning. Facce note si alterneranno a nuove celebrità sulle pagine colorate delle riviste, appassionando i lettori. Nel mondo di oggi, dove non esiste notizia senza immagine, paradossalmente la quantità delle fotografie è diminuita: sempre più spesso diversi giornali, anche concorrenti, usano le stesse immagini per la medesima notizia perché tutte le redazioni fanno riferimento a poche agenzie e meno a fotografi interni o free lance. Manca la diversificazione nell’informazione visiva e così è sempre più frequente che le fotografie di attualità trovino il loro sbocco sulle pareti delle esposizioni temporanee, nei premi annuali per le migliori fotografie e nei libri, così come in fondo era circa 150 anni fa, limitando la varietà dell’informazione a un pubblico selezionato.
Le nuove tecnologie, che semplificano l’uso delle fotocamere e la stampa delle immagini, non aiutano a migliorare la qualità e la ricerca fotografica ma solo a documentare la notizia. I telefoni cellulari permettono di avere in tasca una fotocamera integrata così da essere tutti testimoni visivi, ma non per questo fotografi. I fotografi di attualità e il fotogiornalismo stanno ancora una volta cercando uno spazio proprio che li contraddistingua oltre che come cronisti visivi come interpreti della nostra epoca, persa in un mare di immagini.