FOSSE, Robert, detto Bob
Coreografo, attore e regista statunitense, nato a Chicago il 23 giugno 1927, morto a Washington il 23 settembre 1987. Allievo di F. Weaver, sin da giovanissimo incominciò a lavorare nel cabaret e nei vaudevilles. Nel 1940 formò con C. Cross, in un night club, il gruppo The Riff Brothers. Compose coreografie per piccoli gruppi di dilettanti sino a raggiungere larga fama a Broadway. Al cinema giunse come attore e ballerino nel 1953 in tre film: Give a girl a break (Tre ragazze a Broadway), The affairs of Dobie Gillis, e Kiss me, Kate! (Baciami, Kate!), quest'ultimo ispirato alla Bisbetica domata di W. Shakespeare.
Nel 1955 fu interprete e anche coreografo di My sister Eileen (Mia sorella Evelina), seconda versione cinematografica (la precedente è del 1932) della commedia teatrale di J. Fields e J. Chodorov. Fu solo coreografo in Pajama game (Il gioco del pigiama, 1957), versione cinematografica della commedia musicale omonima del 1954.
Dopo aver preso parte, in un ruolo secondario, a Damn Yankees (1958) del quale, con P. Ferrier, curò anche le coreografie, nel 1967 esordì nella regia teatrale e nel 1969 firmò la sua prima regia cinematografica, Sweet Charity (Una ragazza che voleva essere amata) − ispirato, come il precedente teatrale del 1966, a Le notti di Cabiria di F. Fellini − nel quale mostra una spiccata estrosità nell'uso della macchina da presa e una concezione del musical che, contrariamente a quella tradizionale, tratta temi drammatici e non prevede il lieto fine.
Cabaret (1972; uno degli otto Oscar va alla regia), ambientato nella Germania del nascente nazismo, rispecchia la drammaticità e l'angoscia di quel periodo e ribalta gli schemi del musical, anche se troppo tardi per salvare il genere dall'inevitabile decadenza.
Il successivo Lenny (1974) è altrettanto anomalo rispetto alle biografie da Hollywood dedicate a personalità dello spettacolo, non solo perché Lenny Bruce, di cui il film segue la carriera, era un intrattenitore spregiudicato e scurrile, ma anche per l'insistenza di F. sulla sintesi di genio e sregolatezza già presente in Cabaret ed esasperata poi nell'autobiografico All that jazz (All that jazz − Lo spettacolo comincia, 1979) nel quale, ancora una volta ispirandosi alla maniera di Fellini, ma senza risultati di rilievo, confessa le proprie debolezze d'uomo e le ansie d'artista elevandole a ispiratrici della propria creatività. Poco di nuovo aggiunge al mondo di F. l'ultimo suo film, Star 80 (1983), nel quale tenta di adattare i moduli del musical a un tragico fatto di cronaca nera.
Bibl.: R. Philp, Bob Fosse's Chicago, in Dance Magazine, novembre 1975; M. Gottfried, All his jazz: the life and death of Bob Fosse, New York 1990; K.B. Grubb, Razzle dazzle: the life and work of Bob Fosse, ivi 1991.