FOSCARINI, Giovanni, detto Ciera
Nato intorno al 1301 da Marino, procuratore di S. Marco nel 1319, fu uno dei più eminenti patrizi veneziani del Trecento.
Le fonti fanno menzione di un altro Giovanni Foscarini attivo a Venezia nella prima metà del Trecento, che non è sempre agevole distinguere dal F., a meno che il nome non compaia accompagnato dal patronimico o dall'indicazione della contrada d'origine. Di questo omonimo del F. sappiamo con certezza che era figlio di un Pietro; che fu correttore alla promissione del doge Francesco Dandolo nel 1329; che fu elettore del doge Andrea Dandolo nel 1343; che fu procuratore di S. Marco l'11 marzo 1344 e che morì nel 1349. È però probabile che in lui sia da identificare anche quel Giovanni Foscarini, che fu avogador di Comun nel 1329 e nel 1330; che fece parte di una commissione di savi nel 1331; che fu connestabile di Capodistria nel 1332; che fu di nuovo savio nel giugno e nel settembre del 1333; che fu membro del Senato nel 1334 e provveditore in Dalmazia nel 1340.
La prima notizia sicura sul F. risale al 21 ag. 1344 quando compare come testimone in un documento rogato a Venezia: l'assenza della qualifica di procuratore di S. Marco, consente di distinguerlo dall'omonimo figlio di Pietro. Il 20 sett. 1345 il Senato lo chiamò a far parte, insieme con altri due nobili veneziani, Paolo Belegno e Marino Falier, di una commissione che aveva il compito di esaminare alcune gioie appartenenti al conte di Fiandra. Il F., però, rimase in carica soltanto per alcuni giorni: il 26 dello stesso mese, infatti, al suo posto venne eletto Filippo Zane. Nel 1350 fu membro del Consiglio dei quaranta e, nel settembre dello stesso anno, all'inizio della guerra con Genova, venne nominato comandante di una squadra di dieci galere allestita a Venezia per andare in aiuto del capitano generale Marco Ruzzini, che già operava nei mari di Grecia.
La partenza della flotta, fissata per il 4 ottobre, ritardata per motivi organizzativi, avvenne la notte del 10, per affrettare l'invio di rinforzi al Ruzzini appena giunta la notizia che egli aveva sconfitto i Genovesi a Castro e ne aveva eliminato dieci galere. Il F. ebbe precisi ordini operativi: recarsi a Ragusa per attendere le galere destinate a completare la sua squadra e, di lì, proseguire alla volta di Corone e Modone, dove avrebbe dovuto attendere il capitano generale, se questi fosse stato in rotta per quei castelli; diversamente, si sarebbe dovuto portare a Negroponte o a Costantinopoli o in qualsiasi altra località nella quale potesse ricongiungersi con la sua flotta per un'azione concorde contro i Genovesi. Il F., che doveva mettersi agli ordini del capitano generale, era inoltre latore di una lettera del Senato veneziano a quello indirizzata.
La successiva fase della campagna, però, non si svolse secondo le aspettative delle autorità veneziane. Dopo la vittoria di Castro, infatti, il Ruzzini si recò ad assediare Pera. Non riuscendo a ottenere un successo, rientrò in patria. Nel frattempo i Genovesi, con un colpo di mano, s'impadronirono di Negroponte e la misero a sacco con notevole danno per Venezia (19 ott. 1350). Il F., a sua volta, non riuscì a venire in contatto con il nemico e prese la via del ritorno dopo aver navigato fino a Chiarenza e alla Sicilia.
Nel 1351 il F. fu membro del Consiglio di venticinque savi, nominati dal Maggior Consiglio il 16 gennaio per dirigere la guerra contro Genova e far fronte alle relative spese. L'anno successivo ebbe di nuovo un incarico di rilievo: venne inviato in tutta fretta - insieme con il futuro doge Lorenzo Celsi - a Conegliano per fronteggiare un'insorgente ribellione. Riuscì a prevenire il moto facendo arrestare tre persone sospette che vennero poi tradotte a Venezia. Nel 1353 fu membro del Consiglio dei quaranta. L'anno successivo ebbe di nuovo responsabilità militari nella guerra con Genova, questa volta connesse alle operazioni di terra. Infatti, quando i Genovesi, sconfitti nella battaglia combattuta al largo di Alghero (29 ag. 1353), si erano sottomessi a Giovanni Visconti, signore di Milano, per continuare sotto la sua egida la lotta, Venezia aveva costituito una lega antigenovese e antiviscontea e ne aveva affidato il comando a Francesco da Carrara signore di Padova. Nell'estate-autunno dello stesso anno il F. fu tra i comandanti del contingente veneziano che partecipò a un'incursione dei collegati nei territori di dominio visconteo, spingendosi fino a Bologna e a Guastalla.
Dopo un inutile tentativo di pace, promosso da Francesco Petrarca come ambasciatore del signore di Milano, i Genovesi ottennero importanti successi navali nell'Adriatico e giunsero a devastare Parenzo. Il governo della Serenissima fu costretto a organizzare la difesa della stessa città di Venezia affidandone il comando a Paolo Loredan (14 ag. 1354). Ai suoi ordini furono posti dodici nobili (due per sestiere) ciascuno dei quali aveva alle sue dipendenze 300 uomini. Fu inoltre deciso un prestito; venne censita la popolazione per individuare gli uomini atti alle armi e fu tesa una catena per chiudere il porto del Lido (tra agosto e settembre).
Il F., in questa circostanza, ebbe nuovamente un incarico di rilievo, essendo stato nominato insieme con Marco Querini responsabile del sestiere di San Polo, nel quale si trovava la sua dimora.
Al culmine della guerra con Genova morì il doge Andrea Dandolo (7 sett. 1354) e il F. fu uno dei quarantuno elettori del suo successore, Marino Falier, che fu eletto l'11 settembre.
L'andamento del conflitto continuò a essere negativo per Venezia, e il F. fu nuovamente incaricato della difesa del sestiere di San Polo. Qualche tempo dopo, scoperta la congiura ordita da Marino Falier e arrestato quest'ultimo (aprile del 1355), il F. venne chiamato a far parte della zonta di venti, scelti fra i più rinomati cittadini nobili, da cui il Consiglio dei dieci, data l'importanza e la delicatezza della causa, aveva deciso di essere integrato per costituirsi nel tribunale straordinario, che doveva celebrare il processo contro il doge reo di alto tradimento. Nel processo, che si concluse - come è noto - con la condanna a morte e l'esecuzione del Falier, il F. ebbe, al pari degli altri membri della zonta, diritto solo al voto consultivo. Sempre in quell'anno il F. fu uno dei quarantuno elettori del nuovo doge Giovanni Gradenigo (21 apr. 1355), sotto il quale venne conclusa la pace con Genova. Dopo la morte del Gradenigo (8 ag. 1356), fu correttore alla Promissione ducale ed elettore di Giovanni Dolfin, in quel momento assente da Venezia perché rinchiuso in Treviso assediata dal re di Ungheria Luigi I, con cui la Repubblica era allora in guerra. Quando il doge eletto, riuscito a uscire da Treviso grazie a un'audace sortita, si approssimò a Venezia, il F. fu tra i dodici nobili che a Mestre lo accolsero e gli resero omaggio e che poi di lì lo accompagnarono sino alla capitale, dove fecero ingresso solenne il 25 agosto. L'anno successivo era consigliere dei Dieci: il 31 maggio ricevette l'incarico di vendere le valli da pesca appartenute a Marino Falier, che erano state confiscate al doge traditore. Nell'estate fu uno dei tre provveditori inviati in Dalmazia dopo la perdita di Spalato e Traù, che si erano consegnate agli Ungheresi e, tornato a Venezia, fece parte della commissione di savi nominata il 9 novembre per le questioni dell'Istria, della Dalmazia e del Friuli.
Dopo la conclusione della guerra con l'Ungheria (18 febbr. 1358) il F. fu membro di un'altra commissione di dieci savi incaricata di cercare le vie per ottenere dall'imperatore Carlo IV di Lussemburgo il riconoscimento del possesso di Treviso, di cui la Repubblica si era impadronita nel 1339 a seguito della guerra con gli Scaligeri. Al termine dei lavori, i savi proposero di inviare ambasciatori all'imperatore per iniziare le trattative. Queste si protrassero per parecchio tempo: l'anno seguente il F. faceva parte della medesima commissione che, ridotta a cinque savi, si era vista prorogare il mandato. In seguito la commissione fu di nuovo portata a dieci membri per un ulteriore approfondimento della questione. Il F. fu poi uno dei tre provveditori che furono inviati a Treviso quando si temette un attacco del duca d'Austria contro il Friuli; nel 1361, fece parte di un Consiglio di dieci savi creato allorché la Repubblica decise di offrire aiuti al papa Innocenzo VI, minacciato in Avignone da bande mercenarie.
Nel 1361, dopo la morte del doge Dolfin (12 luglio), il F. fu uno dei correttori alla Promissione ducale del suo successore Lorenzo Celsi, eletto il 16 luglio. L'8 ag. 1364 divenne provveditore di S. Marco de ultra; fu posto cioè alla direzione della provveditoria addetta alle tutele, commissarie e testamenti dei sestieri di Dorsoduro, San Polo e Santa Croce. Come procuratore, il 17 genn. 1365, venne eletto dal Maggior Consiglio in una zonta di venti nobili al Consiglio dei pregadi con il compito di esaminare i fatti di Candia. Quando poi si trattò di scegliere un successore al Celsi, scomparso il 18 luglio 1365, il F. fece parte dei quarantuno elettori del successore. In questa occasione fu in ballottaggio con il procuratore Marco Corner, che fu eletto doge il 21 luglio.
Il F. non sembra aver ricoperto cariche pubbliche nel triennio in cui il Corner fu doge: lo ritroviamo infatti ricordato di nuovo soltanto agli inizi del 1368, quando fu tra i quarantuno elettori che, il 21 gennaio, posero Andrea Contarini al vertice dello Stato. L'anno seguente, durante la guerra di Trieste, fece parte di una zonta di venti nobili al Consiglio dei pregadi, eletta il 4 ottobre. Il 1° ott. 1370, inoltre, il Maggior Consiglio lo elesse in un'altra zonta ai Pregadi, deputata a trattare i problemi connessi con l'Istria, con Trieste, con il Friuli e dei rapporti con i duchi d'Austria. Subito dopo, insieme con altri nobili venne chiamato a occuparsi delle trattative di pace con i duchi d'Austria, che si conclusero positivamente il 20 ottobre.
Quando fu scoperta la macchinazione ordita da Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova, allo scopo di far assassinare in Venezia quegli esponenti della nobiltà che gli erano più avversi, il F. venne chiamato, il 2 luglio 1372, a far parte della zonta di trenta al Consiglio dei dieci creata per reprimere il moto e decidere le misure da prendere nei confronti dei fautori del Carrarese in città.
Il F. non sembra aver ricoperto altri incarichi pubblici sino al 1377, quando i Genovesi inviarono ambasciatori al re d'Ungheria e al signore di Padova per costituire una lega contro Venezia: egli fu allora chiamato a far parte della zonta di dieci, eletta dal Senato per definire - in vista della sua portata e della sua delicatezza - i termini della missione affidata ad Andrea Gradenigo, che il governo della Repubblica aveva deciso di inviare a Pietro IV, re di Aragona.
Il 4 febbr. 1378 il F. fu nominato dal Maggior Consiglio capitano generale da Mar, ma egli rifiutò l'incarico per motivi di salute (l'incarico fu poi affidato a Vettor Pisani).
Il F., a ogni modo, non abbandonò del tutto la vita politica: viene infatti ancora menzionato nel 1380, quando fu consigliere ducale e membro di una zonta di venti ai Pregadi, eletta il 20 sett. 1381. Dopo questa data non si hanno più notizie su di lui. Siamo soltanto informati che morì il 19 luglio 1391.
Non conosciamo il nome e l'origine della moglie del F.; ci è noto, tuttavia, che ebbe da lei almeno tre figli maschi: Tommaso, Nicolò e Bernardo. Quest'ultimo fu bailo di Negroponte dal 1403 al 1405. Di lui, come del padre, un componimento anonimo del Trecento, la Leandride, ricorda che furono fra i più noti rimatori veneziani. L'anonimo autore, che scrive non prima del 1370, immagina infatti che Dante Alighieri enumeri i poeti veneziani del suo tempo annoverando fra questi appunto i due Foscarini. Del F., collocato dopo Giovanni Quirini, si ricorda che più volte aveva rinunciato a essere doge: "Il primo è Gian Quirin, che mi fu amico / in vita, e altro, che appo lui si pone, / Gian Foscareno: e nota quel ch'io dico, / che spregiato ha più volte la tiara / di che s'ornò costui Gian Gradenico". Di Bernardo, al contrario, l'anonimo fa una semplice menzione ricordandolo quale membro dello "stuolo" dei poeti veneziani, senza illustrarne particolari caratteristiche. Non si conserva nulla della loro produzione letteraria.
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