DEPERO, Fortunato
Figlio di Lorenzo e di Virginia Turri, nacque a Fondo (Trento) il 30 marzo 1892. Trasferitosi a Rovereto con la famiglia, frequentò la scuola reale elisabettina di indirizzo tecnico e artistico. Temperamento indipendente, che mal tollerava ogni imposizione didattica, nel 1908 abbandonò la scuola per tentare l'esame di ammissione all'accademia di belle arti di Vienna, ma con esito negativo. Si recò quindi a Torino dove fu garzone decoratore presso l'Esposizione internazionale del 1910, e dove incontrò lo scultore L. Canonica. Tornato a Rovereto, lavorò per un anno come garzone presso il marmista G. Sacanagatta.
Le prime prove grafiche e scultoree (Natura che si addormenta, 1908, Accademia degli Agiati, Rovereto; Dante e Beatrice, 1912, coll. priv., Rovereto; cfr. Passamani, 1981, p. 314, ill. 343) mostrano l'influenza della cultura simbolista e accademica italiana (in particolare di L. Bistolfi). Una vena espressionistica emerge, invece, nel suo libro Spezzature. Impressioni-Segni-Ritmi (Rovereto 1913) che l'artista illustrò con disegni affini allo spirito visionario di F. Rops e A. Martini.
I disegni sono caratterizzati da un'accentuata tendenza all'allegoria, all'onirismo, al grottesco, inteso, quest'ultimo, come espressione di stati psichici rappresentati con impietosa e allucinata intenzionalità simbolica. Nel testo che li accompagna il D. rivela la conoscenza dell'opera di Nietzsche, da cui trae spunti ideali, soprattutto là dove pone l'accento sull'aspetto catartico ed eccezionale dell'esperienza artistica: "Sono parole, segni, ritmi, sensazioni, che affermano una radicale redenzione. Sono rinnovazione e distruzione ... verso lo smascheramento di brutture del nostro spirito ..." (p. 7; cit. Passamani, 1981, p. 20).
Al 1913 risalgono un viaggio a Firenze, con T. Garbari, e il primo viaggio a Roma (dicembre); qui si avvicinò ai futuristi con i quali aveva in comune premesse ideologiche e stilistiche. Durante il soggiorno romano partecipò all'Esposizione libera futurista internazionale presso la galleria Sprovieri (aprile-maggio 1914) alla prima declamazione del poema di F Cangiullo Piedigrotta e ai "funerali del filosofo passatista" (B. Croce). Dopo un breve ritorno a Rovereto, tra maggio e agosto, allo scoppio della guerra riuscì a tornare in Italia, stabilendosi a Roma. Se in un primo momento fu attratto dal "dinamismo plastico" di U. Boccioni, i cui influssi si colgono in alcuni disegni (Persona in movimento, 1914, coll. privata, Milano; in Passamani, 1970, n. 18; Scomposizione di testa, 1913, Museo Depero, Rovereto), in un secondo tempo si avvicinò a G. Balla, col quale condivideva il gusto per la linea decorativa di ascendenza secessionista, e una vulcanica capacità inventiva unita ad esemplare abilità tecnica.
Opere di questo periodo, di tendenza sintetico-astratta, costruite per giustapposizione di ampi piani cromatici in ritmi curvilinei e spezzati, mostrano il forte influsso che il più anziano futurista esercitò sul giovane trentino, imponendo rigore costruttivo e formale al suo estro: Arabesco colorato (1914-1915, coll. Stravinskij?, ill. in Passamani, 1981, n. 58), Danza di chiofissi (1914-15, ubicazione ignota, ill. ibid., n. 61). Tuttavia, l'accesa istintualità inventiva che caratterizzò il D., non gli permise di giungere al rigore scientifico, nella ricerca sul colore, che fu proprio di Balla, attenendosi egli piuttosto a una forma di astrazione che, non abbandonando la figurazione, si limitava ad un marcato sintetismo geometrizzante.
L'11 marzo 1915 il D. firmò insieme con Balla il manifesto Ricostruzione futurista dell'universo (già abbozzato dall'artista trentino in un manoscritto della fine del 1914, Complessità plastica - Gioco libero futurista - L'essere vivente artificiale): i due artisti vi proponevano la realizzazione di "complessi plastici dinamici" (sintesi di pittura, scultura, musica e architettura), del "giocattolo futurista", del "paesaggio artificiale" e dell'"animale metallico" (Futurismo e futurismi, 1986, pp. 558, 560).
La volontà di ricreare l'universo, sostituendo l'oggetto artistico alla realtà, costituiva la novità del manifesto. Veniva, infatti, abbandonata l'esigenza di intervento nel reale, che aveva caratterizzato i proclami del movimento futurista fino a quella data, per un'arte che sostituisse la vita "in perfetta coerenza estetica" (Fossati, 1977, p. 63). I "complessi plastici" del D., costruiti con i più svariati materiali (fil di ferro, cartone, stoffe, vetri, ecc.), differivano da quelli di Balla per un geometrismo meno regolare, dominato da forme circolari ed ellittiche. In queste "sculture viventi" (che si muovevano ed emettevano suoni, azionate da complicati meccanismi), come anche in opere figurative dello stesso periodo, in cartone e legni colorati, (La toga e il tarlo, 1914, Trento, Museo provinciale d'arte; Pinocchio, il gatto e la volpe, 1915-16, ubicazione ignota, ill. in Passamani, 1981, n. 90), l'artista mostrava quella propensione all'animazione degli oggetti che lo avrebbe presto condotto a interessarsi al teatro delle marionette.
Il 15 apr. 1915 prese parte, assieme agli altri futuristi, alla manifestazione interventista in piazza Venezia a Roma.
In questo stesso periodo il D. forgiò un "linguaggio poetico di comprensione universale, per il quale non sono necessari traduttori", L'onomalingua, composta di suoni onomatopeici che dovevano evocare l'essenza degli oggetti rappresentati e, contemporaneamente, le sensazioni da essi provocate neIl'osservatore (pubbl. in Depero futurista, 1927, poi in Passamani, 1981, p. 61 ill. 67). Estraneo a finalità narrative, il rapporto tra la grafica e, la parola, nelle tavole del D., si estrinseca va in uno scatto inventivo ludico, quasi spettacolo fonetico-visivo, per molti versi affine al verbalismo astratto di Balla. All'inventiva poetica e grafica onomalinguistica si collegano i molti esempi di "arte postale", caratterizzata da strutture geometriche ortogonali disposte in obliquo, che, a partire dal 1915, il D. utilizzò sistematicamente a scopo auto-pubblicitario, e il "libro imbullonato" (Depero futurista, Milano 1927), realizzato in collaborazione con F. Azari, più oggetto-macchina che testo di consultazione, che estendeva all'editoria l'estetica meccanomorfa futurista.
In occasione della prima mostra personale a Roma, nel 1916, il D. espose, tra l'altro, i bozzetti per i costumi del balletto Mimismagia (mai realizzato), concepiti in modo tale che potessero trasformarsi sulla scena, e, pertanto, complicati da accorgimenti meccanici che limitavano i movimenti dei ballerini ridotti a mero elemento motore. Agli intenti di Mimismagia era prossima la pièce teatrale Colori (1916; pubbl. in Passamani, 1970, p. 73), azione per "quattro individualità astratte" (Bianco, Grigio, Rosso, Nero), che muovendosi emettevano suoni corrispondenti alla loro natura cromatica. Verso la fine del 1916, S. Diagilev gli commissionò costumi e scene per il balletto Le chant du rossignol, tratto da una fiaba di H. C. Andersen, su musiche di I. Stravinskij. Ma il progetto, al quale il D. lavorò alacremente per alcuni mesi realizzando bozzetti per scene e costumi, fu accantonato dall'impresario russo nel febbraio dell'anno successivo, e probabilmente contribuì a questa decisione il carattere eccessivamente rigido e complesso dei costumi che rischiava di impacciare i movimenti dei ballerini. Per Diagilev nello stesso periodo il D. preparò costumi e scene per Ilgiardino zoologico di F. Cangiullo e lavorò alla realizzazione dei costumi per Parade ideati da P. Picasso. Quest'ultima collaborazione, tuttavia, è assai discussa (I). Cooper, Picasso. Teatro, Milano 1987, p. 24, non nomina affatto il D., ma cfr. Passamani, 1970, p. 61 note 15, 16, e 1981, pp.96 s., 289 s. nota 16).
Nella "flora plastica" per Le chant du rossignol il D. realizzò quel paesaggio artificiale "astratto, a coni, piramidi, poliedri" teorizzato nel manifesto Ricostruzione futurista dell'universo del 1915, mentre i problemi incontrati nella fabbricazione dei costumi lo indussero ad abbandonare l'aspirazione a conciliare corpo umano e sintesi cromatico-plastica dei movimenti, conducendolo sulla strada del "teatro plastico".
Nel periodo in cui lavorava per Diagilev il D. conobbe G. Clavel, poeta ed egittologo svizzero, col quale si recò a Capri nel 1917. Ilsoggiorno caprese segnò per l'artista un deciso ritorno alla figurazione, riproposta nei modi del cubismo sintetico.
D'altra parte, gli studi di Clavel sull'arte antica e il contatto con l'ambiente popolare dell'isola lo attrassero verso un mondo primitivo di forme semplificate, accrescendo la sua tematica di motivi mitologici e arcaici. L'aspetto decorativo dell'arte del D., particolarmente accentuato da questo momento in poi, è personale reinterpretazione dei misteriosi geroglifici che egli dovette conoscere nell'intensa estate caprese a fianco di Clavel. Inoltre, con il lavoro per Le chant du rossignol, si era avvicinato al mondo fantastico delle fiabe di Andersen, dalle quali trasse motivi e spunti: sul protagonista di una fiaba del narratore danese (L'ombra), in cui un filosofo del Nord perde la sua ombra in un paese del Sud, per ritrovarla poi incarnata, sembrano coniati alcuni ritratti di Clavel, in cui l'ombra è presenza ossessiva e viva, e tale rimarrà anche in opere successive dell'artista. Durante quell'estate il D. fu in un certo senso l'ombra di Clavel. È interessante al proposito la testimonianza di G. Sprovieri, il quale narra come un giorno l'artista "infilò sotto la giacca un cuscino costruendosi una gobba come quella di Clavel. "Per simmetria" spiegò questi, e a lungo passeggiarono insieme" (cit. in Passamani, 1970, p. LXII, n. 7).
Gli oggetti animati e gli animali antropomorfi che popolano le fiabe di Andersen sembrano avergli ispirato anche i collages per Ilgiardino zoologico di Cangiullo (L'orso bruno, 1917, Roma, coll. priv., in Passamani, 1981, p. 108, ill. n. 125; La vacca e il coniglio, 1917, ibid., coll. priv., ibid., p. 109, ill. n. 127), esposti in una personale a Capri nello stesso anno. Opere significative di questo periodo, oltre alle illustrazioni per il racconto di Clavel Un istituto per suicidi (Lux, Roma 1918), sono Portatrice e rematore (tarsia in panno, 1917, Roma, coll. privata; Passamani, 1981, p. 111, ill. n. 130); Ritratto di Gilbert Clavel (1918, Milano, Gall. civica d'arte moderna); Clavel nella funicolare (1918, Roma, coll. priv.; Passamani, 1981, p. 120, ill. n. 144).
Tornato a Roma alla fine del 1917, il D. si mantenne in contatto con Clavel, col quale allestì i Balli plastici, che andarono in scena nell'aprile del 1918 al teatro dei Piccoli (palazzo Odescalchi), rappresentati dalla compagnia marionettistica Gorno dell'Acqua, su musiche di. A. Casella, G. H. Tyrwhitt-Wilson (Lord Berners), G. F. Malipiero, Chemenow (che Passamani, 1981, p. 294 n. 58 ritiene debba identificarsi con B. Bartok).
Il teatro plastico fu il "primo organico tentativo ... della rivoluzione e ricostruzione plastica del mondo" (Depero, in Passamani, 1970, p. 149): i Balli plastici, in cui agivano solo marionette-automi, costruite con semplici solidi geometrici, erano rivoluzionari in quanto all'attore veniva sostituito l'"essere vivente artificiale", e le scene, eliminate le direttrici prospettiche tradizionali, erano concepite come quadri mobili in "prospettiva multipla". Il teatro del D. si fondava su una sfrenata comicità con marcati toni grotteschi: personaggi tra i più svariati (selvaggi, animali, oggetti, diavoli) erano impegnati in azioni movimentatissime in cui la sorpresa e l'assurdo costituivano gli elementi essenziali. Con questo spirito, affatto diverso da quello che ispirò E. Prampolini, V. Paladini, e I. Pannaggi i quali, nel Manifesto dell'arte meccanica futurista (1922; pubbl. in Noi, s. 2, I [1923], pp. 1 s.; anche in Crispolti, 1980, pp. 151 s.), auspicavano la meccanizzazione dell'uorno, il D. mise in scena nel 1924 al teatro Trianon di Milano, con la Compagnia del Nuovo Teatro futurista diretta da R. De Angelis, il balletto Anihccam del 3000 (musica di F. Casavola), in cui due locomotive, dotate di sentimenti umani, si disputano un capostazione di cui sono innamorate, provocando una situazione di grottesca comicità. Lo spettacolo segnò il ritorno all'utilizzazione dell'attore, sebbene mascherato da costumi meccanomorfi. I temi elaborati nei Balli plastici costituiscono il soggetto di dipinti e arazzi in cui l'artista esibiva un acceso cromatismo e forme piatte e stilizzate: Imiei balli plastici (1918, Milano, coll. priv.; Passamani, 1981, p. 122, ill. n. 147), Automi (1918, Milano, Amministrazione provinciale), Corteo della gran bambola (1920, Rovereto, Museo Depero).
Al rientro a Rovereto, nel 1918, l'artista fondò la "Casa d'arte Depero", dove potè concentrare molteplici attività.
Vi venivano fabbricati arazzi e cuscini in panno, mobili e giocattoli; vi si realizzavano campagne pubblicitarie (pubblicità Campari, 1927: Passamani, 1981, p. 180, ill. nn. 223 s.; Mandorlato Vido, 1924: ibid., p. 182, ill. n. 238; pubblicità Verzocchi, 1924: ibid., pp. 142, 302, n. 63, ill. n. 173), allestimenti per locali pubblici e abitazioni private (Cabaret del Diavolo, 1922, a Roma nell'hotel Elite et des étrangers; sala da ballo e bar dell'hotel Bristol a Merano, 1924; interni di villa Notari a Monza, 1924) e vi si progettavano architetture pubblicitarie (padiglione della Venezia Tridentina alla Fiera campionaria di Milano nel 1923-24. padiglione del libro per gli editori Treves-Bestetti-Tuminelli, alla III Mostra intern. di arti decorative di Monza nel 1927: "architettura tipografica" fondata sull'identificazione della forma dell'edificio espositivo con quella dell'oggetto esposto). In questi svariati prodotti il D. rielaborava in ritmi decorativi, motivi favolistici e arcaici della produzione precedente, condividendo in tal modo il gusto déco al cui trionfo partecipò con successo nella Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925.
Muovendosi tra soluzioni scenografiche metafisiche e intenzioni futuriste, il D. creò in questi anni i suoi dipinti migliori, in cui andava solidificando e stilizzando i dati reali come giocattoli immersi in un'atmosfera fiabesca senza tempo: Ioe mia moglie (1919, Milano, coll. priv.; in Passamani, 1981, p. 145, ill. n. 177), La casa del mago (1919-20, Torino, coll. priv.; ibid., p. 139, ill. n. 168), Lettrice e ricamatrice automatiche (1920, Roma, coll. priv.; ibid., p. 144, ill. n. 176), Città meccanizzata dalle ombre (1920, Milano, coll. priv.; ibid., p. 199, ill. n. 255). Forse ritenendo di aver tradito con tali opere il credo boccioniano, di cui sempre fu convinto assertore, tra gli anni '20 e '30 tornò al "dinamismo plastico", al quale affianco temi agresti cari alla cultura del "Novecento" sviluppati in composizioni pittoriche di solidi geometrici e meccanomorfi: Megafoni di bestemmie (1924, Roma, Gall. naz. d'arte moderna), Discussione del 3000 (1926, Rovereto, Museo Depero), Aratura-Paesaggio al tornio (1926, Torino, Museo civico d'arte moderna), Solidità di cavalieri (1930, Rovereto, Museo Depero), Nitrito in velocità (1932, Firenze, Gall. civica d'arte moderna). Il D. si dedicò anche alle illustrazioni per riviste e alla pubblicità; collaborò ad Emporium e a La Rivista, nel 1927, attività che teorizzò nel Manifesto dell'arte pubblicitaria futurista del 1932 (Crispolti, 1986, p. 466).
Nel 1928 il D. partì per gli Stati Uniti, dove rimase fino al 1930, risiedendo per lo più a New York, lavorando come allestitore, illustratore e scenografo: copertine per Vogue (1929) e Vanity Fair; trasformazione degli interni dei ristoranti Zucca ed Enrico and Paglieri a New York; costumi per il balletto American sketches e scene per The new Babel (1929-30); queste ultime presentano notevoli somiglianze con le scenografie di F. Lang di Metropolis. Il balletto che il D. voleva mettere in scena al Roxy Theater di New York insieme a L. Massine non fu mai realizzato; alcuni bozzetti per le scene sono conservate nel Museo Depero di Rovereto. A New York aprì una casa d'arte futurista ("Futurist House").
Durante il soggiorno statunitense l'immagine della metropoli entrò a far parte del mondo fantastico dell'artista. Nella città, giungla artificiale osservata non più con l'occhio entusiasta dei futuristi, ma secondo l'ossessiva deformazione prospettica espressionista, l'immagine dell'uomo, costretto a una vita quasi primitiva per le leggi feroci che impone, è modellata su quella di legnosi idoli arcaici: Famiglia negra in Elevated (1929), Cantiere sonoro (1929-30), Mulatto newyorkese (1944), Capogiro (1946), Composizione orientale (1949-50), tutti nel Museo Depero a Rovereto.
Tra il 1941 e il 1942 il D. fu impegnato, nell'ambito dei lavori per l'E42, nell'esecuzione di un mosaico raffigurante Le professioni e le arti sulla parete esterna del palazzo delle Scienze (E42. ..., 1987).
Dopo un secondo soggiorno negli Stati Uniti (1948-49), durante il quale abbandonò definitivamente ogni entusiasmo per la scena urbana, preferendole il paesaggio delle campagne e la cultura dei cowboys e dei pellirosse, il D. tornò a Rovereto. Qui dedicò gli ultimi anni della sua vita a pubblicizzare la propria immagine con mostre e con la fondazione del Museo Depero. Nel 1956 portò a termine la decorazione della sala consiliare del palazzo della Provincia di Trento.
Morì a Rovereto il 29 nov. 1960.
Opere del D., oltre che nel Museo Depero di Rovereto e in molte collezioni private, sono conservate presso il Museo d'arte provinciale di Trento, la Galleria civica d'arte moderna di Milano, la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, la Galleria civica d'arte moderna di Firenze, il Museo civico d'arte moderna di Torino. Tra gli scritti del D. si segnalano in particolare: Spezzature. Impressioni - Segni - Ritmi, Rovereto 1913; F. Depero-G. Balla, Ricostruzione futurista dell'universo, Milano 1915; Depero futurista (Libro imbullonato), Milano 1927; Numero unico futurista Campari 1931, Milano 1931; F. D. nelle opere e nella vita, Trento 1940; Dizionario volante Depero, nn. 1 e 2, Rovereto s.d. [1958]. Per un elenco completo degli scritti del D., v. Passamani, 1981, pp. 377 s.; a questo si aggiungano i testi teatrali: Suicidi e omicidi acrobatici, 1917; Avventura elettrica, 1917; Ladro automatico, 1917, Sicuro, 1917; Appunti per il teatro magico, 1921-22 c. (cfr. Passamani, D. e la scena..., 1970, pp. 74-93).
Fonti e Bibl.: Una bibliografia completa sino al 1980 si trova in Passamani, 1981, pp. 377-394, monografia fondamentale per la conoscenza dell'artista, alla quale ci siamo attenuti anche per la biografia e la cronologia delle opere; vi sono riprodotte le opere in coll. priv. di cui si parla in questa voce. Ma cfr. anche: G. Giani, F. D., Trento 1950; R. Carrieri, Pittura scultura d'avanguardia 1890-1950 in Italia, Milano 1950, ad Indicem; G. Giani, F. D. pittore, Milano 1951; R. Maroni, F. D. pittore, Trento 1953; M. Drudi Gambillo-T. Fiori, Archivi del futurismo, I, Roma 1958, ad Indicem; II, ibid. 1962, pp. 343-352, 420, 434; F. Cangiullo, Serate futuriste, Milano 1961, pp. 137-143; C. Piovan, F. D., in Studi trentini di scienze storiche, XLII (1963), pp. 406-411; R. Carrieri, F. D. (catal.), Roma 1963; G. Ballo, La linea dell'arte italiana dal simbolismo alle opere moltiplicate, Roma 1964, ad Indicem; A. Pica, F. D. (catal.), Roma 1965; R. Jullian, Le futurisme et la peinture italienne, Paris 1966, pp. 113 s.; M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del 900, Milano 1966, ad Ind.;A. Pica, F. D. (catal.), Milano 1966; M. Calvesi, in L'arte moderna, V, Milano 1967, ad Indicem; L. Scrivo, Sintesi del futurismo. Storia e documenti, Roma 1968, pp. 124-127; E. Crispolti, Il mito della macchina e altri temi del futurismo, Trapani 1969, ad Indicem; L. Lambertini, Il disagio della civiltà, in Nac. Notiz. arte contemp., n. 12, 10 apr. 1969, p. 7; M. Monteverdi, Avanguardia a teatro dal 1915 al 1955 nell'opera scenografica di Baldessari, D., Prampolini (catal.), Milano 1969, pp. 12-19; L. Lambertini, F. D., opere 1911-1930, Torino 1969;B. Passamani, F. D., Torino 1969; M. Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma 1969, pp. 269-276; B. Passamani, D. e la scena da "Colori" alla scena mobile 1916-1930, Torino 1970; Id., F. D. (catal.), Bassano del Grappa 1970 (con interessanti testimonianze sull'artista di C. Belli, G. Sprovieri, F. 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