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FORTUNA

di Gioacchino Mancini - Enciclopedia Italiana (1932)
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FORTUNA

Gioacchino Mancini

Era presso i Romani la dea del destino, ma specialmente della prosperità e della felicità. Corrispondeva perciò alla divinità greca Tyche. Come divinità che dirige gli umani eventi e che governa il mondo, era rappresentata con in mano il timone della vita e con la sfera, simbolo della mutabilità e dell'incostanza delle cose mondane. Principio di ogni cosa divina e umana, era la fonte della ricchezza e del benessere, la causa dell'indigenza e delle calamità. Gli eventi che dovevano necessariamente accadere erano retti dal fato, mentre le vicende umane, spesso contro ogni aspettativa e contro il volere degli uomini, erano guidate dal caso (Fors) e dalla Fortuna.

Si attribuisce l'introduzione del culto di questa dea ad Anco Marzio e più specialmente a Servio Tullio che, essendo con il suo favore potuto salire al trono, avrebbe consacrato ad essa in Roma più templi e sacelli, considerandola sotto nomi e forme diverse, ma tutte derivanti da quella che, sotto la qualifica di Fortuna Primigenia, rappresentava la natura nel suo complesso, quasi che ogni cosa divina e umana provenisse da lei, determinando a ciascuno il suo destino fin dalla nascita. Questo più antico sacello Servio Tullio dedicò alla volubile dea come Fors Fortuna, cioè come dea del caso, sulla riva destra del Tevere, al primo miglio della via Portuense. L'anniversario della fondazione di quel sacello si celebrava il 24 giugno. Di un altro tempio della dea, anch'esso dedicato da Servio Tullio, che celebrava la sua dedicazione nello stesso giorno, si ha menzione nei calendarî romani. Chi esercitava umili professioni vi concorreva a invocare propizia la dea; dopo il sacrificio gl'intervenuti passavano il resto del giorno in lieti conviti. A Fors F. si rivolgevano in quel giorno in modo speciale gli agricoltori e gli ortolani. Un tempio avrebbe dedicato a Fors F. Spurio Carvilio, dopo la sua felice campagna contro i Sanniti e gli Etruschi nel 293 a. C., presso quello a lei dedicato da Servio Tullio nel Trastevere. Un altro tempio alla stessa dea fu dedicato da Tiberio nel 17 d. C. nei giardini Cesariani (Trastevere), dopo che Germanico ebbe recuperate le insegne perdute da Varo. Si è da alcuni ritenuto che siasi trattato soltanto di una ricostruzione e nuova dedicazione del tempio dal primo miglio della via Portuense.

Dall'aprile a tutto giugno si succedevano in Roma ben quattro feste dedicate alla F.; nelle prime due (5 aprile, 25 maggio) essa era venerata sotto il nome di primigenia o publica, quale dea cioè di tutto il popolo romano quirite. Il tempio della F. publica si ergeva sul Quirinale presso la porta Collina e in esso si celebrava la festa del 5 aprile. Come principio di ogni cosa umana, al risvegliarsi della natura nell'aprile la F. era onorata quale nume che, rappresentando la fecondità della terra, presiedeva alla produzione in genere. L'altro tempio della F. primigenia, che Ovidio (Fasti, V, 729) dice dedicato il 25 maggio, potrebbe essere quello che il console Sempronio Sofo promise nella seconda guerra punica, prima della battaglia di Crotone contro Annibale, e che fu dedicato dieci anni dopo. Le altre due feste cadevano nel mese di giugno e in esse la dea era invocata per averla sempre propizia. Quella dell'11 giugno, giorno dei Matralia, si celebrava in un tempio della F. virilis nel Foro Boario, ove, insieme col simulacro della dea, si conservava una statua di Servio Tullio. Si considerava la F. virile quale dea apportatriee di felicità agli uomini; era però venerata anche dalle donne, perché, in grazia della dea, potessero esercitare le loro attrattive sull'altro sesso.

La tradizione ammette che il tempio della F. muliebris fosse stato eretto nel 487 a. C. sulla via Latina, nel luogo ove le matrone romane, condotte da Veturia e da Cornelia, madre e moglie del ribelle Coriolano, avevano persuaso questo a non portar guerra alla patria. La dedicazione di questo tempio diede origine a una disputa fra le matrone e il Senato. Questo, non volendo che s'iniziasse un nuovo culto a opera delle matrone, decretò che l'area del nuovo tempio fosse acquistata col pubblico denaro e che il culto vi fosse praticato a spese dello stato; il sacrificio però doveva essere celebrato da una matrona. Le donne tuttavia fecero una statua della dea, che collocarono nella cella accanto a quella fatta porre dal Senato. Il giorno della dedicazione, alle none di luglio, quel simulacro prodigiosamente parlò. I pontefici stabilirono che potessero prestare servizio in quel culto soltanto le spose novelle.

La F. fu inoltre venerata dai Romani sotto molte altre forme. Sotto il titolo di F. huiusce diei ebbe culto in Roma come la F. del momento, quella che vale per tutti i giorni, simile alla Fors F.: sembra che un tempio in suo onore sorgesse nel Campo Marzio. Nella base capitolina si ha la menzione di un vicus Fortunae huiusce diei nella X regione (Palatino), prossimo forse a un altro tempio di questa dea. Uno dei due templi fu quello promesso da Catulo, collega di Mario, nel 102 a. C., prima della battaglia che pose fine alla guerra contro i Cimbri. Alle calende di agosto ricorreva la dedicazione del tempio della F. equestris, votato da Fulvio Flacco nel 180 a. C., durante la guerra celtiberica; sorgeva presso il Circo Flaminio e il teatro di Pompeo. Al ritorno di Augusto dalle provincie, in un momento grave per Roma, nel 19 a. C., fu dedicata un'ara alla F. redux. Quel giorno fu annoverato fra i feriali, e la festa prese il nome di Augustalia. Altri epiteti dati dai Romani alla multiforme dea furono: F. blanda, F. dubia, F. brevis, di breve durata, e stata, costante, F. bona e mala, F. averrunca, che allontana le sciagure, F. comes, che accompagna nel viaggio; F. respiciens, che attentamente osserva, F. privata, in contrapposto alla publica, F. patricia, F. plebea, F. liberum, che protegge i figli, F. virginalis, che protegge le nubili, F. barbata, che facendo crescere felicemente i fanciulli li aiutava a divenire adulti, F. obsequens, F. memor, F. salutaris, F. stabilis, F. manens, ecc.

Celebre fu il culto della F. a Praeneste e ad Antium. Nel grande tempio della F. primigenia praenestina la dea era raffigurata in atto di tenere in grembo Giove e Giunone bambini e di dare loro il latte, quale regolatrice del cielo e della terra. Se ne celebrava la festa l'11 aprile, e si protraeva al giorno successivo. In ciascuno dei due giorni s'immolava un vitello per mano dei duumviri municipali; la dea vaticinatrice a mezzo delle sortes prenestine, tavolette lignee con scritte in antichi caratteri, era consultata dalla folla dei fedeli. Quando Praeneste fu ridotta da Silla a colonia, le sortes decaddero, finché nei primi tempi dell'Impero la città tornò municipio. Da allora l'oracolo prenestino riprese a essere frequentato e consultato, fino ai tempi di Costanzo e di Teodosio. Importante e famoso fu il culto della F. in Antium, dove la dea si venerava sdoppiata in due divinità sorelle dette Fortunae antiates o antiatinae. Anch'esse davano oracoli per mezzo delle sortes antiates. Nei dipinti degl'ingressi di alcune case pompeiane F. è unita a Mercurio; questi è rappresentato nel pilastro di destra, e la dea in quella di sinistra. Anche in molte iscrizioni dedicatorie le due divinitȧ si trovano unite. In altre F. è unita a Marte, a Spes, a Nemesis e alla Victoria. Nei lararî domestici era sovente unita ai Penati.

Gli attributi di Fortuna, oltre al timone e al globo, sono la ruota, la cornucopia, il modius, la prua di nave e talvolta anche il caduceo.

Bibl.: Preller-Jordan, Römische Mythologie, 3ª ed., Berlino 1881-83, II, p. 179 segg.; R. Peter, in Roscher, Lexicon d. griech. u. röm. Mythologie, I, col. 1500 segg.; Hild, in Daremberg e saglio, Dictionn. des antiquités gr. et rom., II, col. 1268 lsegg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 206 segg.; J. B. Carter, Epitheta deorum, Lipsia 1904, p. 38 seg.; W. Otto, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, VII, 1, p. 11 segg.; G. Gatti, in Bull. archeol. comun., 1904, p. 320.

Vedi anche
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