fortezza
Il termine ricorre spesso nelle opere di D., con riferimento alla virtù della f. e ai connotati morali che la distinguono. Esamineremo di seguito la nozione di f. nell'opera di D. e nel contesto storico. E una nozione che deriva dal valore cristiano del termine.
La f. nell'ambito delle classificazioni delle disposizioni morali. - Sul piano filosofico D. riconduce la f. alle enumerazioni classiche delle virtù del platonismo e dell'aristotelismo. Per quanto concerne le quattro virtù della prudenza, giustizia, f. e temperanza enumerate nella Repubblica di Platone (IV 429c), due allusioni si possono trovare in Pg XXIX 130 quattro facean festa, e XXXI 104 quattro belle, mentre un'esplicita enumerazione è in Cv IV XXII 11. Tuttavia D. sembra preferire l'enumerazione aristotelica (Eth. nic. II 7) delle undici virtù da lui ripresa e commentata in Cv IV XVII. Per quanto ci riguarda noteremo soprattutto i §§ 4-5. Il primo si riferisce alla f. la quale è arme e freno a moderare l'audacia e la timiditate nostra, ne le cose che sono corr[u]zione de la nostra vita (per cui cfr. If XXXIV 21), a cui va ricondotto il secondo sulla magnanimità e il senso dell'onore: La quinta si è Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de' grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d'onore, la quale è moderatrice e ordina noi a li onori di questo mondo. Sul piano teologico, per via teologica (Cv IV XXI 11-12) la f. deriva dalla carità (v.), come dono dello Spirito Santo (Is. 11, 2).
La f. nella vita. - La f. è presentata da D. soprattutto come una virtù del giovane nobile, unita alla temperanza: In giovinezza, temperata e forte (Cv IV XXVI 1). La ragione ricorre al freno della temperanza per dominare le passioni del concupiscibile, e allo sprone della f. o della magnanimità per dominare l'irascibile: lo sprone usa quando fugge, per lui tornare a lo loco onde fuggire vuole, e questo sprone si chiama fortezza, o vero magnanimitate, la quale vertute mostra lo loco dove è da fermarsi e da pugnare (Cv IV XXVI 7). Il nesso tra f. e nobile giovinezza pare a D. di grande importanza. Egli vi insiste in Cv IV IX 16, XXVI 9 e 15 non meno che sull'elemento fisico del coraggio che il nobile deve dimostrare, sì com'è ordinata al fine de la cavalleria franchezza d'animo e fortezza di corpo (Cv I V 4; in IV XIX 5 bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine sono le corporali bontadi che rilucono nella nobiltà, e in Rime XLVII 3 è tra le virtù che conciliano l'amore). Un cavaliere che possegga la virtù della f., oltre che battersi, saprà anche perdonare come lo buon Marzucco forte di Pg VI 18. Egli dovrà acquistarsela con uno sforzo personale (pon giù il seme del piangere, Pg XXXI 46) e con il frequentare uomini coraggiosi (la buona compagnia che l'uom francheggia, If XXVIII 116); in Cv II II 5 D. vuol rigettare da sé il dubbio di manco di fortezza.
In Cv I IV 13 fortezza del mio comento indica a un tempo l'elevatezza e la " difficoltà ", " asperità " della prosa del Convivio connessa con la sua gravezza e autoritade.
La f. nel contesto storico. - Nella storia delle idee morali la f. è stata presentata in due maniere assai differenti. In clima pagano e umanista la f. è essenzialmente il sentimento della dignità personale che non capitola né davanti a nemici né davanti a ostacoli, e che cerca di assumere un ruolo importante nella società. Essa è la virtù caratteristica dell'uomo forte.
In clima cristiano la f., pur non scomparendo, diventa una virtù secondaria, sul piano dell'attuazione pratica. Il cristiano attende la propria giustificazione e santificazione dalla grazia di Dio; egli non può riceverla che umiliandosi, riconoscendosi peccatore, accettando con gratitudine una grazia che sgorga a lui dalla miseria. La f. del cristiano è dunque essenzialmente quella di Dio. La grazia divina permette al martire di testimoniare la fede, di mostrarsi coraggioso nelle sofferenze. Se il cristiano può valersi di beni e di diritti, fare grandi cose, aver un sentimento di magnanimità, ciò avviene per la fiducia che egli ripone in Dio. D'altro canto nella predicazione cristiana questo aspetto positivo della f. è stato in pratica poco sviluppato per timore di esaltare l'orgoglio umano.
Tra due tendenze così opposte per principio, non mancano tentativi di conciliazione. Sul piano intellettuale la scolastica del XIII secolo cerca d'inglobare la magnanimità aristotelica nella sintesi cristiana. Sul piano della morale laica, si tenterà di utilizzare il senso dell'onore, l'attrattiva delle armi, il coraggio considerato come un valore di primo piano, conferendo loro un fine religioso. Il cavaliere cristiano combatte gl'infedeli nelle crociate, difende i deboli, fa regnare la pace di Dio e, più generalmente, mette a disposizione della Chiesa la sua f. morale e fisica.
Come abbiamo visto, D. non s'è posto il problema teologico, ma giustappone soltanto f. soprannaturale e f. naturale. Egli considerò invece la virtù della f. come un tratto tipico del giovane ben nato che rigetta ogni viltà e compromesso. A ispirarlo in modo specialissimo fu l'antico insegnamento di Aristotele sulla f. e la magnanimità.
Bibl. - G. Garuti-G. Masi, articolo " Fortezza " in Enciclopedia Filosofica, II, Firenze 1967, 1482-1483; E.T. Green, Prolegomena to Ethics, 3 voll., Oxford 1889; R.A. Gauthier, La f., in Iniziazione teologica, trad. ital. Brescia 1955, 785-823; I. Pieper, Sulla f., trad. ital. ibid 1955; G. Gusdorf, La vertu de force, Parigi 1961.