FORMALISMO GIURIDICO
. Il vocabolario giuridico, almeno nelle principali lingue europee, ha tratto il termine "forma" ed equivalenti dal latino forma, impiegato dalla giurisprudenza romana tanto in senso concreto, per indicare l'aspetto esteriore di una cosa (in contrapposto a materia, massa, corpus o substantia rei), quanto in senso astratto, con significato di modello (come nelle espressioni in cui sta per formula), regola (nelle espressioni forma iuris, constitutionis), ordinamento (forma iurisdictionis, provinciae), oppure per denotare il complesso degli elementi strutturali specifici di un negozio o di un istituto (ad es. forma mandati, locationis, possessionis). Questi ed altri impieghi simili sono stati conservati nella giurisprudenza medievale e moderna. Da essi, con ulteriore astrazione, è stata creata nel secolo scorso l'espressione formalismo giuridico, variamente tecnicizzata, ma che talvolta risente anche dei significati generici del sostantivo. Secondo i contesti in cui è impiegata se ne possono distinguere cinque usi principali:
1. - In una prima e fondamentale accezione tecnica, di uso comune, l'espressione formalismo giuridico indica il rilievo attribuito, in un ordinamento, a particolari "forme" rese necessarie affinché certi comportamenti umani vi producano effetti giuridici. Il fenomeno è stato studiato soprattutto pel diritto privato romano, ma ha riscontro in molti altri ordinamenti e non si limita al diritto privato.
Poiché in ogni comportamento umano, assunto come rilevante pel diritto, si può distinguere un aspetto esteriore (il modo in cui il comportamento socialmente si obbiettivizza) e un aspetto sostanziale (l'effetto cui mira), taluni affermano che nella realtà qualunque atto avrebbe una forma, anche se non prescritta. Di f. in senso tecnico si parla però solo nell'ipotesi in cui un ordinamento richieda tassativamente che il comportamento (consista in un'attività o in una dichiarazione di volontà) si realizzi in un modo determinato, rimanendo irrilevante ogni manifestazione che non vi si adegui: è in questo senso che nelle elaborazioni scientifiche del diritto privato si distinguono (con espressioni che sono state rese correnti dalla Pandettistica tedesca del 19° secolo): negozî giuridici formali (detti anche solenni, con espressione tratta da fonti romane che chiamavano sollemnia e sollemnitas le formalità mediante le quali dovevano essere compiuti certi atti) e non formali, nei quali la forma è libera.
L'esperienza giuridica delle diverse epoche e dei diversi popoli ha dato soluzioni molteplici ai problemi delle forme solenni. Senza farne un assioma e con larga approssimazione si può dire che di solito sono gli ordinamenti primitivi ad essere più impregnati di un rigido f., spesso connesso a elementi religiosi, talvolta addirittura magici, nel senso che la puntuale osservanza del rituale avrebbe conferito all'atto virtù creative d'ordine trascendentale.
Frequentemente però i rituali derivano dalla canonizzazione di comportamenti reali, cioe corrispondono ad attività d'uso, svolte dapprima effettivamente per determinati fini e poi tipicizzate, stilizzate, irrigidite in rappresentazioni più o meno simboliche. Queste comportano il compimento di cerimonie e di gesti, ora concreti ora vagamente imitativi, singoli o concatenati, unilaterali o bilaterali, sovente con l'intervento di sacerdoti, di magistrati, di testimoni, e sono per lo più accompagnate dalla pronuncia di parole, che tendono a fissarsi in formule, nelle quali nulla può essere cambiato. Tali rappresentazioni, talvolta variamente combinate, continuano spesso ad essere impiegate tradizionalmente anche quando si è persa la comprensione del significato concreto che avevano in origine; il che, fra l'altro, stimola appunto in certi casi la credenza in un loro valore quasi sovrannaturale o comunque in un loro "potere creativo" imprescindibile.
Di regola, nel loro sorgere, i negozî formali sono anche rigidamente tipici, nel senso che, per ogni effetto cui si mira, è preordinata una forma specifica ad esso direttamente corrispondente, di cui la volontà dei singoli non può modificare la struttura e la funzione. Essa costituisce quindi mezzo esclusivo per la realizzazione di quel fine; e, posta in essere, diviene indicativa, in modo univoco, dell'effetto che si intendeva produrre.
Tuttavia la riduzione da funzione concreta a rituale porta talvolta, in prosieguo di tempo, ad una rottura del nesso specifico fra una forma determinata e il suo fine originario. Allora essa si può trovare impiegata, anche inconsciamente, per il raggiungimento di scopi nuovi e diversi, dando luogo a situazioni simili a quelle che i moderni qualificano negozî indiretti, nelle quali certi atti, da forma esclusiva di un determinato negozio, tendono a porsi come forma negoziale generica, con cui possono essere perseguiti scopi che non sono più quelli immediatamente connessi alla loro funzione primitiva; essi divengono quindi operativi in virtù della sola forma e diconsi allora negozî astratti.
Uno dei caratteri salienti del f. primitivo è che gli effetti giuridici dell'atto si producono automaticamente: realizzata la forma, non solo non è necessario accertare che gli effetti corrispondano a ciò che si è voluto, ma pure questa ricerca è sovente preclusa (cosiddetto f. "interno"). Altre volte invece, e ciò avviene soprattutto in fasi più evolute, questa indagine è ammessa in misura più o meno ampia. Ciò segna il passaggio ad un f. che vien detto "esterno", in cui la forma rimane il mezzo necessario dell'espressione della volontà, ma la funzione dell'atto formale tende a ridursi a mera documentazione, sicché esso, ove non risponda all'intenzione, nei limiti della divergenza è nullo. Talvolta questa prevalenza della volontà sulla forma finisce per portare alla dissoluzione del formalismo.
Quanto alla funzione del f., prescindendo dalle credenze religiose o magiche di cui può essere primitivamente circondato, essa è variamente interpretata dagli studiosi, alcuni attribuendogli soprattutto il compito di richiamare l'attenzione sull'importanza dell'atto al fine di una cauta e seria determinazione di chi debba porlo in essere, altri mettendone in evidenza il significato sociale o il valore di certezza, altri ancora considerandolo come un mezzo per facilitare l'eventuale indagine del giudice, altri ponendo in rilievo essenzialmente i fini di pubblicità che sovente ad esso si accompagnano o pei quali molte forme appaiono addirittura preordinate. Certo è che il f. si connette solitamente, in una determinata società, agli atti che vi hanno maggior rilievo sociale ed economico.
In genere negli ordinamenti moderni, almeno per quanto riguarda i rapporti di diritto privato, la libertà di forma è divenuta la regola, la prescrizione tassativa l'eccezione, salvo che l'impiego di determinate modalità non sia stabilito convenzionalmente dalle parti stesse (cosiddetto f. volontario). Quando la forma è determinata, essa si concreta ormai per lo più nella confezione di una scrittura, privata o pubblica, imposta a pena di nullità del negozio. Ad un più rigido f. continuano invece ad essere ispirati il diritto processuale, il diritto amministrativo e il diritto costituzionale, nei quali la forma degli atti ha un valore dominante, tanto da assoggettare a sè, in misura sempre più assorbente, anche i procedimenti di produzione normativa e di posizione dell'ordinamento.
2. - In un'accezione più ampia, in parte connessa con la precedente, l'espressione "formalismo giuridico" è talvolta impiegata ad indicare un carattere che sarebbe proprio di ogni concreta manifestazione del diritto e che ne costituirebbe un elemento imprescindibile, cioè l'insieme dei mezzi tecnici di cui il diritto avrebbe necessità per porsi e realizzarsi, addirittura per essere.
Si citano a tale proposito le determinazioni d'ordine temporale o "termini" (di cui ogni ordinamento è pieno e senza dei quali, è stato detto da A. Ravà, "il diritto non sarebbe diritto"), la prescrizione, la decadenza, la regolamentazione delle prove, le finzioni, le presunzioni, i mezzi di pubblicità e di certificazione, le verità e le certezze legali, ecc., oltre ben s'intende tutta la disciplina degli atti e l'esigenza, spesso affermata, di un formalismo "minimo", che sarebbe insito in ogni atto della vita giuridica.
Muovendo da queste considerazioni, spesso si contrappone il diritto formale, inteso come il complesso delle regole di organizzazione (e fra queste in primo piano le norme procedurali), al diritto materiale o sostanziale, inteso come il complesso delle regole di condotta, riguardanti l'esistenza o le modalità dei rapporti, e che i giuristi di lingua francese chiamano "le fond du droit". Tali idee sono anche, in parte, alla base della contrapposizione del Gény fra "dato" e "costruito", fra elemento materiale ed elemento formale del diritto, considerati da lui come oggetto di due distinti processi conoscitivi, la scienza e la tecnica.
3. - L'espressione formalismo giuridico si trova poi spesso impiegata, con implicazioni d'ordine filosofico e numerose sfumature ed oscillazioni, ad indicare ora talune concezioni del diritto, ora alcuni indirizzi della scienza e della filosofia giuridica, in contrapposto alle concezioni e agli indirizzi contenutistici, sociologici e storici. Nel primo caso essa denota un carattere della concezione, nel secondo della scienza o della filosofia giuridica, in quanto seguano appunto una concezione formalista; ma pure talvolta vuol caratterizzare la scienza giuridica in sé stessa, in quanto ritenuta scienza formale.
Le concezioni formaliste del diritto si ricollegano, in modo remoto, alla distinzione aristotelico-scolastica tra forma e materia. In questo senso già nel 16° e 17° sec. si diceva da alcuni ius est forma civitatis. Ma è soprattutto alla speculazione kantiana che si deve il dilagare dell'applicazione del concetto di forma al diritto, prima in sede filosofica, poi anche scientifica. Muovendo dalla distinzione fra materia e forma della conoscenza, Kant infatti sostenne che l'idea del diritto fosse determinabile soltanto a priori, formalmente, risolvendosi nell'esistenza esterna della libertà, quale forma della relazione tra gli arbitrî degli individui.
Queste posizioni, che è impossibile seguire qui nei particolari, ebbero un imponente sviluppo soprattutto nelle correnti neo-kantiane, che dalla fine del 19° sec., in Germania specialmente con H. Cohen e R. Stammler e in Italia con I. Petrone e G. Del Vecchio, elevarono in sede filosofica il problema dell'apriori giuridico a problema fondamentale e pregiudiziale della scienza del diritto. La ricerca dell'universale logico come momento formale, immutabile, necessario, distinto da ogni elemento empirico o deontologico, divenne così, pur attraverso molteplici soluzioni, uno degli aspetti principali delle correnti di pensiero che si opposero dapprima alle soluzioni contenutistiche del giusnaturalismo e a quelle empiriche del positivismo e della sociologia e poi, come controreazione, al fenomenologismo e al teleologismo giuridico. Solo la ricerca autonoma della forma logica, elemento universale che inerirebbe ai singoli dati, potrebbe permettere, fuor d'ogni empirismo, una risposta alla domanda "quid ius?". Con il che il problema della concezione formalista veniva ad essere spostato dal piano gnoseologico a quello ontologico.
La penetrazione di tali concezioni filosofiche nella scienza del diritto portò questa, in alcuni indirizzi aspiranti a dignità universale, a costruire discusse teorie generali, il più possibile distaccate dai contenuti concreti delle esperienze storiche e perciò anche qualificate dai loro autori teorie o dottrine "pure" del diritto, e ad identificare la forma logica del diritto ora con il concetto di rapporto giuridico, inteso come svolgimento astratto della categoria della relazione e variamente interpretato, ora con la norma, che sola renderebbe giuridici i fatti, gli atti e gli stessi rapporti, in quanto da essa subsunti. Relazionismo e soprattutto normativismo vengono in tal modo a costituire le vie principali nelle quali è sfociata la speculazione filosofica delle correnti neo-kantiane, per altro rafforzate, in un mutuo scambio, da notevoli correnti della speculazione giuridica, dette anch'esse normative e formaliste.
Anticipate nella prima metà del secolo scorso dalla cosiddetta "scuola analitica" inglese di J. Austin, queste dottrine giuridiche prendono sviluppo nella seconda metà del 19° sec. in Germania con A. Thon, P. Laband e G. Jellinek e fra di noi con V. E. Orlando, trovando fertile terreno dapprima soprattutto negli studî di diritto pubblico e poi in ogni campo, con larghissimo seguito. Esse si articolano nelle varie concezioni imperativiste, statualiste e "positiviste" del diritto, aventi come tratti comuni il porre ad oggetto della scienza giuridica solo le norme, assunte come espressione e prodotto di una volontà terrena superordinata, e il prendere a criterio della giuridicità il comando, la sanzione o la qualificazione da esse derivanti. Canone d'indagine diviene il cosiddetto "metodo giuridico" (o "tecnico-giuridico", che si fa consistere nella depurazione dell'indagine, affinché sia "scientifica", da tutti gli elementi ritenuti estranei, e cioè gli elementi etici, psicologici, economici, etnologici, sociologici, politici, ideologici, in una parola storici o come anche suol dirsi "metagiuridici", e da ogni considerazione moralistica, finalistica, utilitaria, ecc., ossia valorativa. Questi elementi e queste considerazioni, si dice, possono formare oggetto di altre ricerche, ma debbono rimanere fuori dal cerchio della scienza giuridica, la quale, per svolgere un'indagine che possa dirsi scientifica, dovrebbe rivolgersi esclusivamente all'interpretazione e sistematizzazione del diritto nella sua positività, al diritto come evento storico, cioè inteso nella sua esistenza di fatto, quale risulta dal complesso delle norme effettivamente vigenti, individuate per lo più nelle norme poste o riconosciute dallo stato (il cosiddetto diritto "costituito"). Il problema del valore del diritto si riduce così a quello della sua validità e il problema della giustizia, anche in sede speculativa, ad una concezione spesso meramente legale.
4. - Come ulteriore specificazione del significato ora descritto, oggi si tende, in modo più particolare, a chiamare formalismo giuridico (o normativismo) la teoria della cosiddetta "scuola di Vienna", che si svolge da una confluenza, portata alle estreme conseguenze, delle correnti neo-kantiane con quelle giuridiche ora accennate e che ha in H. Kelsen il suo maggiore esponente. Da un cinquantennio essa ha trovato molti seguaci ed elaboratori, ovunque, e anche in Italia, dove ha esercitato larga influenza e ricevuto notevoli apporti, ma pure incontrato forti opposizioni. Il formalismo kelseniano, sottoposto a continue revisioni dal suo stesso autore, muove da una netta distinzione fra la sfera dell'essere (la realtà empirica di cui si occupano le scienze naturali, fondate sul principio di causalità) e la sfera del dover essere, di cui si occupano le scienze normative, fra cui egli colloca la scienza del diritto, intesa come scienza dello spirito. Per il Kelsen infatti la norma giuridica (da non confondersi con l'atto storico mediante il quale è stabilita) è semplicemente un giudizio ipotetico, cioè una struttura logico-formale, che esprime il rapporto specifico, da lui detto "imputazione" di un fatto condizionante con una conseguenza condizionata. La validità delle norme, distinta dalla loro efficacia, non dipende dal loro contenuto, ma dalla loro riducibilità, direttamente o attraverso una catena di altre norme gerarchicizzate, ad una "norma fondamentale", la quale funge da presupposto e costituisce l'unità nella pluralità di tutte le norme che per essa appunto formano un ordinamento. La visione del positivismo giuridico tradizionale, e cioè che le norme siano un prodotto della realtà empirica, viene rovesciata dal positivismo kelseniano, in quanto sarebbero processi di produzione del diritto gli eventi della realtà empirica elevati a tale funzione da una norma giuridica.
La dottrina pura del diritto, dice il Kelsen, vuol essere una teoria del diritto positivo in generale, non di un particolare ordinamento; ha fini unicamente conoscitivi, cioè mira a porsi come scienza oggettiva del diritto; svolge la sua analisi secondo i principî della "purezza metodologica" e perciò va distinta da una parte dalla filosofia della giustizia e dall'altra dalla sociologia o conoscenza della realtà sociale. Essa descrive il suo oggetto con proposizioni di dover essere e si concreta nell'esame dei concetti fondamentali di norma, sanzione, illecito, dovere giuridico, persona giuridica, ordinamento, stato, riducendo il concetto di giustizia, considerato dal punto di vista giuridico, a mera verificazione della conformità di un fatto ad una norma, che funziona da schema qualificativo. L'essere del diritto viene quindi ridotto a pura forma normativa.
Fra i filosofi del diritto che maggiormente si sono occupati, fra noi, dei problemi del formalismo giuridico vanno ricordati A. E. Cammarata e N. Bobbio. Il primo, riaffermato il carattere naturalistico della scienza del diritto e distinto fra esperienza (scienza) e riflessione sull'esperienza (filosofia), ha denunciato il carattere ibrido e ambiguo delle teorie generali e rivendicato alla filosofia del diritto, intesa come critica gnoseologica della giurisprudenza, il compito della costruzione formale del sistema giuridico, sostenendo la validità puramente trascendentale, e cioè speculativa, del punto di vista proprio del formalismo giuridico. Il secondo invece, cui si deve una più lucida reimpostazione di molti problemi del kelsenismo, ha riaffermato il carattere scientifico della teoria generale, quale ricerca formale, distinguendo però fra teoria dei singoli ordinamenti positivi e teoria generale dell'ordinamento giuridico; separando il problema della validità formale del diritto dalla concezione legalistica della giustizia o formalismo etico, secondo cui è giusto ciò che è imposto dalla legge; sostenendo che in ogni caso non si tratta di una ricerca apriori, ma dipendente dall'esperienza e quindi basata su concetti empirici e per ciò stesso negando la possibilità di ridurre la scienza giuridica a scienza (in se stessa) formale, nel senso in cui son dette formali la logica e la matematica.
Da più parti sono poi attualmente in opera tentativi per dare nuove fondamenta in sede gnoseologica ed epistemologica al carattere logico-formale dell'indagine giuridica o quanto meno per conferirle un maggior rigore scientifico, mediante l'impiego di quei procedimenti di vario tipo che sogliono essere ricompresi nella dizione generica di neopositivismo logico (analisi del linguaggio, logica simbolica, metodo assiomatico ecc.).
Non può tuttavia esser taciuto, di fronte a tutte le tendenze di ridurre la scienza giuridica alla sola considerazione degli aspetti formali del diritto, l'ammonimento del Capograssi: "se la scienza potesse staccarsi da questa vita, se si staccasse da essa come talvolta è accaduto, resterebbe senza basi e non sarebbe più se stessa, perché si ridurrebbe o a una pura e penosa descrittiva di fatti giuridici... oppure ad una pura e vuota attività di costruzione degli elementi logici che risultano dalle norme (si ridurrebbe veramente a una logica astratta e formale alla quale sfuggirebbe la norma stessa nella profonda e caratteristica connessione con l'esperienza). Nell'uno e nell'altro caso la scienza del diritto non sarebbe più conoscenza del diritto ma costruzione di alcuni schemi vuoti - di fatti o di norme - che non avrebbero alcuna rassomiglianza con la vita né potrebbero inserirsi nel lavoro della vita".
5. - Infine l'espressione formalismo giuridico ricorre talvolta negli scritti di giuristi e non giuristi, in un significato generico ma peggiorativo, come denuncia dell'attaccamento, piuttosto frequente in ogni campo del diritto (legislazione, giurisdizione, amministrazione, giurisprudenza, avvocatura, notariato, commercio giuridico), ad una considerazione del tutto estrinseca e sovente puntigliosa di norme e di rapporti, basata per lo più su una rigida interpretazione letterale delle prime, che impedisce ogni valutazione dello spirito della legge rispetto al concreto delle situazioni, o, ancor peggio, condotta su una loro visione puramente concettuale e astratta. L'espressione viene usata in varie sfumature, che si precisano e si colorano in riferimento a ciò cui ci si oppone. Di tale formalismo è stato detto efficacemente (S. Satta) che esso "comincia dove il diritto finisce".
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