forma
Concetto che di solito si contrappone direttamente a quello di materia (➔) o di contenuto (➔) e il cui uso filosofico trova origine nella speculazione greca.
Il termine f., che per gli atomisti indicava la figura o estensione dell’atomo (σχῆμα), acquista particolare significato con Platone per il quale la f. (εἶδος, ἰδέα) è l’essere vero, l’essenza delle cose, realtà che trascende i fenomeni sensibili. Il concetto di f. si approfondisce con Aristotele: attraverso la critica del dualismo platonico, egli cala nella realtà sensibile le platoniche f. separate, che, divenute immanenti al molteplice empirico, lo riducono a unità e lo rendono intelligibile. La f., che è la sostanza secondo ragione (οὐσία κατὰ τὸν λόγον), principio d’intelligibilità, diviene così anche il principio dal quale sgorgano tutte le proprietà di ogni singolo essere. Solo la stretta unità di f. e materia costituisce per Aristotele la realtà concreta, sinolo, che riceve il suo essere in atto dalla prima e la sua determinazione spazio-temporale dalla seconda; in tal modo la distinzione tra materia e f. si congiunge con altri due binomi fondamentali della metafisica aristotelica: potenza e atto, causa materiale e causa formale; quest’ultima può essere intesa come principio intrinseco, entelechia, che si unisce alla materia per ridurne in atto la potenzialità; oppure come principio estrinseco, quale esemplare archetipo di tutta la realtà. Questo secondo aspetto più spiccatamente platonico della f. (o causa formale) è quello che domina nella patristica e nella scolastica svoltasi sotto l’influenza del pensiero platonico-agostiniano: le f., principi eterni della realtà, che Platone aveva immaginato nell’iperuranio, e Plotino nel νοῦς, sono dai teologi cristiani unificate nel Verbo come pensieri divini, paradigmi secondo i quali si è svolta l’opera di creazione. E parallelamente l’anima non è concepita come f. della materia corporea (Aristotele), ma come principio immortale a questa dualisticamente contrapposto (Platone).
Nella filosofia medievale il concetto di f. assunse rilievo con il ritorno dell’aristotelismo: se tutta la cultura scolastica, dalla seconda metà del 13° sec., accettava le fondamentali strutture della metafisica aristotelica, e tra queste il concetto di f., diverse ne furono le correzioni (in senso platonico-agostiniano) soprattutto per la dottrina dell’anima umana, delle sostanze separate, della potenzialità della materia; è la scuola francescana, più legata all’agostinismo, a essere la più cauta nell’accoglimento dell’aristotelismo. Vaste le conseguenze dell’accoglimento della dottrina aristotelica della f. nella speculazione teologica, che venne modificando e definendo, attraverso la terminologia aristotelica, più tradizionali dottrine e formulazioni dogmatiche. La posizione di Tommaso d’Aquino è di particolare rilievo per una ripresa del concetto aristotelico di f. nella maniera più coerente per quanto potevano permettere le implicazioni teologico-religiose. Egli concepisce l’anima come f. del corpo, che costituisce con questo un tutto inscindibile (la resurrezione dei corpi viene così a completare lo stato temporaneamente incompleto in cui l’anima vive dopo la morte dell’individuo). Correggendo secondo preoccupazioni teologiche l’aristotelismo, Tommaso accentua la divisione tra f. spirituale, che può avere un’esistenza indipendente dalla materia (pur restando sostanza incompleta come l’anima umana dopo la morte), e f. materiale, che esiste solo in ragione del sinolo.
Nella filosofia moderna è stata ampiamente criticata – a partire dal Rinascimento soprattutto dai fisici – la dottrina aristotelica delle f. sostanziali; concepite come realtà immutabili, sostanze inalterabili al di là delle qualità, esse costituiscono un principio inspiegabile e ingombrante per la nuova fisica sperimentale che, interpretando i processi di mutamento come un diverso aggregarsi di parti materiali e risolvendo le qualità in percezioni del soggetto, finisce con il negare la sostanza che era il presupposto fondamento delle qualità oggettivamente concepite. Resta invece operante l’idea di f. come principio intelligibile unificatore del molteplice empirico. In Leibniz il concetto di f. o entelechia, principio individuale e irripetibile, è il fondamento della teoria delle monadi. Un ulteriore sviluppo subisce l’idea di f. con Kant: liberata dal presupposto oggettivistico e naturalistico per cui essa costituiva un principio sussistente nella realtà extracoscienziale, la f. è l’attività con la quale il soggetto, sintetizzando la materia, o contenuto, della conoscenza, l’organizza in un oggetto, dà a essa universalità e necessità. Così la f. si chiarisce come l’attività pensante. Per Hegel la f. è il carattere proprio del pensiero in quanto tale e cioè in quanto si distingue dal sentimento, dall’intuizione e dalla rappresentazione, che sono i modi con cui il contenuto umano della coscienza, prodotto dal pensiero, dapprima si manifesta. È questo il senso con cui Croce e Gentile hanno parlato di «forme dello spirito».