Forlì
La prima menzione dantesca di F., in senso cronologico, ricorre in VE I XIV 2-3, dove viene definito muliebre il volgare dei Romagnoli e soprattutto dei Forlivesi, e la città di F. è intesa come " il centro linguistico-geografico della Romagna " (Marigo): quorum [dei Forlivesi] civitas, licei novissima sit, meditullium tamen esse videtur totius provinciae; quale esempio della " molle cadenza " dei Forlivesi D. constata che essi deuscì affirmando locuntur, et oclo meo et corada mea proferunt blandientes. Del resto l'esperienza della parlata forlivese fu forse coeva della composizione del trattato linguistico. Per le considerazioni linguistiche, v. ROMAGNA.
Le uniche testimonianze sulla presenza di D. in F. risalgono al Biondo (Hist. dec. II IX), che vide lettere scritte da Pellegrino Calvi, cancelliere di Scarpetta Ordelaffi, in cui era menzionato D. come dettatore di esse.
Già il Troya nel secolo scorso aveva interpretato tale passo nel senso che D. sarebbe stato a F. nel 1308 come segretario di Scarpetta. Ma verso fine secolo il Barbi riprese in esame la questione e giunse a precisare, attraverso una serie di significative corrispondenze fra la testimonianza del Biondo e alcune circostanze storicamente accertate, che le lettere del Calvi non si riferivano al 1308, bensì al 1303, ed esattamente al febbraio-marzo di quest'anno, quando appunto D. avrebbe preso parte in F. ai preparativi di guerra di Scarpetta, " capitaneus partis Alborum extrinsecorum civitatis Florentiae " (così è per solito ricordato il tiranno forlivese nei documenti del tempo), contro i Neri, chiedendo fra l'altro aiuto (per ambasciata o più probabilmente solo per lettera) al signore di Verona Bartolomeo della Scala. D., insomma, si sarebbe trovato a F. solo di passaggio, senza cioè stabile dimora e impiego; sulla precarietà della sua permanenza nella città avrebbe in definitiva influito la disfatta subita dall'Ordelaffi e dai Bianchi in Mugello sempre nella primavera del 1303 ad opera di Fulcieri de' Calboli.
Di una successiva andata di D. a F. si ha traccia sempre in Biondo, ma neppure questa può riferirsi al 1308, bensì alla seconda metà del 1310; sarebbe cioè da collegarsi alla progettata discesa in Italia di Enrico VII: proprio in attesa di tale evento D. da F., anche in nome della Parte bianca di Firenze, avrebbe scritto una lettera a Cangrande della Scala per deplorare la cecità dei Fiorentini di fronte alla venuta dell'imperatore. Il Biondo doveva aver visto anche questa lettera, lasciata scritta dal Calvi, e certo l'aveva ritenuta degna di fede. Sull'importanza e la serietà di questa testimonianza del B. hanno gettato nuova luce le ricerche di A. Campana, del quale vedi infatti, in questa Enciclopedia, le voci Biondo Flavio e Calvi, Pellegrino.
Al suo primo incontro con F., questa città appariva a D. come meditullium della Romagna, la regione che dal 1278 costituiva una ‛ provincia ' dello stato della Chiesa, con una sua spiccata fisionomia politico-amministrativa. E poteva ben apparire a D. centro di tutta la Romagna anche perché, già negli ultimi decenni del Duecento, la città rappresentava in Romagna il più sicuro rifugio degli esuli ‛ ghibellini ' e poi ‛ guelfi moderati ', da Bologna a Ravenna a Rimini, da Firenze e dalla Tuscia fino a Ferrara. A tale funzione di centro di raccolta e di organizzazione delle forze ostili al temporalismo papale e al ‛ guelfismo intransigente ' F. riuscì a far fronte pressoché ininterrottamente per alcuni decenni, nonostante le gravissime devastazioni (incendi e distruzioni sono ripetutamente testimoniati dalle fonti del tempo) subite in seguito alle lotte di fazione e soprattutto alle operazioni militari condotte contro la città dalle truppe papali attorno agli anni 1282-1283 e anche successivamente. Ma ciò dovette richiedere, tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, una quasi totale ricostruzione della città; il che ci permetterebbe di spiegare come F. potesse apparire a D. novissima: più ovviamente sul piano edilizio che non su quello demografico e umano, data la costanza degl'insediamenti dei vari gruppi di extrinseci, i quali, occupando i quartieri della città lasciati liberi dagli esuli forlivesi, erano venuti a costituire un loro commune nell'ambito del comune cittadino che li aveva ospitati. Ma è più probabile che novissima significhi, come ha proposto il Bigongiari in base a riscontri biblici, " situata ai margini, alla periferia " della regione.
Anche D. dunque fu tra questi esuli a F., e pure a lui, come agli esuli toscani che scendevano lungo la valle del Montone, di rifugio in rifugio, attraverso i domini dei conti Guidi, in cerca di aiuto e protezione nella città, F. doveva apparire lambita dalle acque del fiume Montone che si chiama Acquacheta suso, avante / che si divalli giù nel basso letto, / e a Forlì di quel nome è vacante (If XVI 97-99).
Mentre questa menzione di F., la prima della Commedia, può anche derivare da una personale esperienza visiva del poeta, tutti i restanti accenni a figure e ad avvenimenti forlivesi si direbbero mutuati dalla viva voce dei superstiti delle tragiche vicende della F. tardocomunale del terz'ultimo e penultimo decennio del Duecento; vicende dominate dal conte Guido da Montefeltro, che D. ci presenta nella veste di consigliere di frodi.
Il primo incontro con Forlivesi D. lo fa nel quarto vallone di Malebolge, dove fra gl'indovini gli è indicato Guido Bonatti (If XX 118). Una figura più di leggenda che di storia: ma a noi basta qui sapere - e le fonti del tempo ce ne accertano - che il Bonatti fu astrologo al servizio di Guido da Montefeltro in F., proprio nel momento cruciale del confronto fra le forze comunali romagnole e le truppe papali-angioine-francesi, guidate dal rettore di Romagna Giovanni d'Appia alla riconquista della nostra città ribelle. Con Guido Bonatti si è così introdotti al fatto saliente della storia forlivese e romagnola nel tardo Duecento, ricordato da D. in If XXVIl 43-44 La terra che fé già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio.
Infatti già dall'estate 1281 F. era stata assediata da soverchianti forze papali. Tenace e prolungata fu la resistenza dei Forlivesi ai ripetuti assalti dell'Appia (la lunga prova dantesca), finché un improvviso e massiccio attacco della cavalleria papale-francese non offrì l'occasione ai Forlivesi, abilmente guidati dal Montefeltro, di reagire e di sterminare le truppe avversarie penetrate entro le mura della città. Il 10 maggio 1282 a migliaia si contarono nelle vie di F. le vittime, in gran parte cavalieri francesi, del sanguinoso mucchio.
Tale fatto d'armi nella Commedia assume quasi valore emblematico della particolare esperienza politica maturata da D. durante la sua permanenza in Romagna: che si può compendiare nella tenace volontà delle forze anticuriali, riunite attorno a Guido da Montefeltro, in nome delle autonomie comunali, di porre un argine al dilagare anche in Romagna del temporalismo papale. Un fatto, insomma, che aveva il significato di un'esemplare mortificazione delle aspirazioni mondane della Chiesa ad allargare e consolidare il proprio stato e insieme il potere politico dei papi. E quasi a sottolineare che F., nonostante la resa alle milizie della Chiesa nel 1283, era rimasta sostanzialmente fedele alla sua vocazione antipapale fino al tempo della venuta del poeta nella nostra città, D. aggiungeva subito che F. sotto le branche verdi si ritrova (If XXVII 45).
Insomma gli Ordelaffi, cui si riferisce tale simbolo araldico, e in particolare Scarpetta che ne riassumeva la volontà di dominio su F. agl'inizi del Trecento, avevano raccolto, e ora continuavano coerentemente, la tradizione ‛ ghibellina ' di Guido da Montefeltro e dei Forlivesi delle generazioni passate, vissute nel travaglio delle lotte comunali.
Dopo questi versi in cui la forza evocativa del poeta raggiunge forse il momento di maggiore intensità e concentrazione, gli accenni successivi di D. al mondo forlivese - e si tratta ormai solo di riferimenti a personaggi - ci appaiono relativamente episodici, quasi pallidi riecheggiamenti in cui si è stemperata e rifratta una realtà ben più viva e sanguigna, quale appunto fu la vita tumultuosa della F. tardocomunale.
Mentre nell'Inferno l'immaginazione di D. sembra tesa a rappresentarci una F. ferreamente e sanguinosamente coerente alla sua missione antipapale, da Guido da Montefeltro, capitano del popolo (ma in effetti già tiranno) della città, agli Ordelaffi, ormai signori perpetui di F.; nel Purgatorio invece il mondo cittadino forlivese è rievocato nel vivo delle sue contraddizioni interne e inadeguatezze: contrasti di gruppi familiari e d'individui, e, all'interno di ciascuna famiglia, incapacità delle nuove generazioni di adeguarsi alle vecchie e di raccoglierne l'eredità di cortesia, di ospitalità, di fedeltà insomma al codice cavalleresco; e quindi loro inarrestabile tralignare e inaridirsi.
A tale rappresentazione offrono materia anche le vicende della famiglia forlivese dei Calboli: di tradizioni ‛ guelfe ' e irriducibile rivale degli Ordelaffi, D. vede rifrangersi nelle sue vicende dinastiche il dramma del guelfismo fiorentino, diviso fra Bianchi e Neri, moderati e intransigenti. Ed ecco D. contrapporre nella seconda cornice della montagna del Purgatorio a Ranieri de' Calboli, anima d'invidioso, ma anche e meglio ricordato come 'l pregio e l'onore / de la casa da Calboli, ove nullo / fatto s'è reda poi del suo valore (XIV 88-90), la figura di sanguinario del nipote Fulcieri de' Calboli (XIV 58-64), colui che nel 1303, come podestà di Firenze, condusse una feroce repressione contro i Bianchi. Due generazioni di discendenti da una stessa famiglia, eppure due diversi, anzi contrastanti modi di concepire e condurre la lotta politica: Ranieri leale oppositore di Guido da Montefeltro prima, degli Ordelaffi poi; Fulcieri invece spietato persecutore dei suoi avversari politici: i guelfi moderati. Se potevano ancora apparire sotto buona luce le azioni di Guido da Montefeltro - e non solo certo in occasione del sanguinoso mucchio - non altrettanto certamente si poteva dire delle opere di Fulcieri, ottenebrate dal cinismo, dalla ferocia e dall'intolleranza della sua passione politica.
Sia il buon Lizio (Pg XIV 97), signore di Valbona (Appennino forlivese, nel territorio di Galeata), sia i conti di Castrocaro (che di figliar tai conti più s'impiglia, XIV 117), tutti piccoli feudatari del contado forlivese, si erano tenacemente opposti alla politica promossa da F. per opera di Guido da Montefeltro; eppure D. ne dà opposto giudizio dettato non da ragioni politiche, ma dallo stile di vita di essi, dalla loro aderenza o meno a certe essenziali regole del ‛ buon tempo antico '.
Infine, fuori del dramma politico di F., in una luce d'indulgente ironia, ci appare nella cornice dei golosi un discendente della famiglia forlivese degli Argogliosi: un personaggio, pare, non impegnato politicamente, nonostante potesse vantare una non trascurabile carriera podestarile e l'appartenenza a una famiglia che aveva nobili parentele e potenti aderenze, ma che nella rivalità Calboli-Ordelaffi non riuscì quasi mai a emergere e a qualificarsi sulla scena politica forlivese: messer Marchese, ch'ebbe spazio / già di bere a Forlì con men secchezza, / e sì fu tal, che non si sentì sazio (Pg XXIV 31-33).
Nonostante la frequenza dei riferimenti a F. e ai Forlivesi nelle opere dantesche, è innegabile che la fortuna di D. nella città abbia avuto, relativamente agli altri centri romagnoli, uno sviluppo fin troppo modesto e inadeguato. Basti solo pensare che dal Trecento, quando il culto di D. si tramandò soprattutto alla corte degli Ordelaffi, tra i letterati che la frequentavano o avevano rapporti con essa - come sembra riecheggiato nella corrispondenza poetica fra Cecco di Meleto Rossi e il Boccaccio, e anche da Biondo Flavio - si deve giungere fino al sec. XVIII per incontrare, dopo un lungo silenzio di più di tre secoli, nuove testimonianze della fortuna di D. in F., testimonianze peraltro non di prim'ordine, né pienamente significative. Chi per primo nel sec. XVIII rinverdì in F. il culto del poeta fu il gesuita Pompeo Venturi; nell'età romantica sono da ricordare Melchior Missirini e Pietro Venturi; nel secolo presente è degna di nota l'opera bibliografica di Giuliano Mambelli. Indicativo della scarsa fortuna goduta da D. in F. sembra anche il fatto che, nonostante la precoce fioritura dell'arte tipografica in F., non vi sia mai stata stampata un'edizione delle opere dantesche.
Nella biblioteca comunale di F. (Atti, s. 5, vol. 393) si conserva un frammento pergamenaceo, utilizzato come sovracopertura, di un codice della Commedia, datato al sec. XV e contenente una parte dei canti XX, XXI e XXII dell'Inferno e I e II del Purgatorio (cfr. E. Bottini Massa, Un frammento di codice della " Divina Commedia " nuovamente trovato a Forlì, in " La Romagna " XVI [1923] 201-205.) Un altro frammento è stato rinvenuto, più di recente - ma oggi risulta smarrito nell'Archivio notarile di F. (v. 640, n. XVII, Atti dal 1560 al 1561): si tratta anche qui di una pergamena ripiegata di rinforzo, contenente parte dei canti VIII, IX e XI dell'Inferno, e attribuita al tardo Trecento (cfr. C. Grigioni, Un frammento di un secondo codice forlivese della Divina Commedia, in " Il Trebbo " 1942, 25-28). Nella biblioteca comunale di F. si conservano infine 3 incunaboli e 256 altre edizioni a stampa delle opere di Dante.
Bibl. - P. D. Pasolini, I tiranni di Romagna e i papi nel Medio Evo, Imola 1888; M. Barbi, Sulla dimora di D. in F., in " Bull. " VIII (1892) 21-28 (ristampato in Problemi, 189-195); T. Casini, D. e la Romagna, in " Giorn. d. " I (1894) 303-313; F. Torraca, Nuova rassegna, Livorno 1895, 395-406; ID., Studi danteschi, Napoli 1912, 110-121; C. Ricci, Figure e fantasmi, Milano 1931, 103-134; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi in Bologna, in " Giorn. stor. " XXXII (1914) 22-24; ID., Personaggi danteschi, in " Giorn. d. " XXVI (1923) 11-14; A. Grilli, Elogi e discorsi, Bologna 1936, 125-182; D. Bigongiari, Essays on D. and Medieval Culture, Firenze 1964, 42; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., ibid 1964; Catalogo delle edizioni dantesche e delle illustrazioni inedite della D.C. conservate nella Biblioteca Comunale di F., Forlì 1965.