FORESTA
(XV, p. 666)
Funzioni delle foreste. − Alla luce dei più recenti progressi di un'ecologia globale possiamo riconoscere quattro aspetti fondamentali della funzionalità delle foreste.
La funzione economica, individuata fin dai tempi remoti, ha spesso portato a una vastissima distruzione delle f., specialmente nelle regioni di più antica civiltà, come quella mediterranea. Questa funzione non è cessata: "Non ci sono ancora sostituti per il legno", è stato detto al Seminario del Materia science club a Great Malvern (1970), anzi la richiesta di materiale legnoso per le industrie è aumentata anche se gli usi si sono notevolmente modificati. La produzione italiana unitaria è però la più bassa fra quelle dei paesi della CEE, al punto che determina il ''terzo grande deficit'' della nostra bilancia commerciale; si pongono dunque seri problemi di rivalorizzazione delle foreste.
Ormai tradizionale è il riconoscimento della funzione protettrice della f. nei confronti di un ordinato assetto delle acque e del suolo. La sua importanza indiretta, anche di ordine economico, è tale che non si è esitato a chiamarla funzione ''idrogeoeconomica''. È diventato addirittura un luogo comune semplicistico e retorico proclamare la necessità di difendere i boschi per tutelare le pendici dei monti dalle frane, frequenti soprattutto nel nostro sistema montano appenninico. Questa funzione fondamentale diviene praticamente efficiente solo se inserita nel discorso totale della funzionalità della foresta.
La funzione ricreativo-sociale è di più recente riconoscimento e risponde a esigenze di pubblica utilità che si stanno evidenziando anche nel nostro paese. Le richieste del turismo di massa diventano così forti, per giusti motivi di ''ricreazione'' (nel senso più completo e attuale del termine), da costituire, com'è ben noto, una grave minaccia per la già tanto menomata efficienza del nostro patrimonio forestale. Si deve riconoscere che, fino a oggi, non è stata attuata una coraggiosa politica per orientare e razionalizzare questo irresistibile movimento di cui è prevedibile un rapido aumento nei prossimi anni con l'accrescersi della disponibilità di tempo libero. Non serve assumere solo posizioni difensive, dichiarando che il turismo è un fenomeno che deve rimanere fuori dalle f.; si tratta di sterili propositi che verranno travolti dalle crescenti, e legittime, esigenze umane. È necessario invece un discorso di pianificazione globale e costruttivo nel quadro totale della funzionalità delle foreste.
La funzione ecologica s'impone oggi perentoriamente, con vivida chiarezza, a seguito dei progressi delle conoscenze sulla funzionalità della biosfera e, in particolare, degli ecosistemi. Se si pensa al ruolo essenziale delle piante verdi per la vitalità dell'ambiente e al fatto che la f. costituisce, in gran parte del mondo, l'espressione culminante della vita vegetale, risulta chiaro che ogni processo di distruzione o di degradazione del manto forestale avvia processi rovinosi a carico dei valori essenziali dell'ambiente. Non è ingiustificato affermare che la funzione ecologica della f. è un fattore atto a promuovere la qualità della vita. L'alta complessità dell'ecosistema f. è ricchezza quantitativa e qualitativa di esseri viventi, è funzionalità esaltatrice dei processi energetici che attraversano un territorio come flussi regolatori e ordinatori. In un certo senso si potrebbe dire che la funzione ecologica, sintesi di interessi naturali e umani, tende a costituire, più che un quarto uso della f., l'armonizzato convergere della sua totale funzionalità.
Il patrimonio forestale mondiale. − Benché l'importanza economica ed ecologica delle f. sia sempre più ampiamente riconosciuta, i dati statistici disponibili sullo stato odierno del patrimonio forestale mondiale sono incerti e controversi. Secondo una valutazione della FAO, la superficie occupata da f. era pari, nel 1988, a 40,5 milioni di km2, un'area all'incirca tripla di quella coltivata. Le f. chiuse, dove il fogliame ostacola il passaggio della luce e impedisce sostanzialmente la crescita dell'erba, ricoprono nel mondo circa 27 milioni di km2. I boschi aperti si estendono per altri 13 milioni di km2, includendo la savana boscosa africana e il cerrado brasiliano. Aggiungendo le zone a vegetazione arbustiva e le f. che ricrescono in campi temporaneamente abbandonati, si arriva a un totale di terre a vegetazione arborea di oltre il 40% della superficie terrestre.
Ma questa estensione tende a ridursi progressivamente, a un ritmo che si va facendo sempre più celere. In confronto all'epoca preindustriale la Terra ha perduto un quinto delle sue foreste. In passato le perdite hanno riguardato prevalentemente le regioni temperate dell'Europa e del Nordamerica. La deforestazione ha invece risparmiato, fino a poco tempo addietro, le grandi f. pluviali tropicali, che sono rimaste a lungo inaccessibili e scarsamente popolate. Attualmente la pressione sulle f. delle zone temperate è sostanzialmente diminuita, e il patrimonio forestale della maggior parte dei paesi europei è abbastanza stabile; in alcuni è addirittura in aumento. Viceversa tende ad aumentare il ritmo di distruzione delle f. tropicali, situate in paesi in via di sviluppo. È stato calcolato che le f. tropicali subiscono ogni anno una riduzione di 110.000 km2 per effetto del disboscamento vero e proprio, mentre un'area più o meno pari a quella distrutta subirebbe danni di vario genere.
La causa principale della distruzione delle f. tropicali è la conversione delle f. in terre da coltivare. Specialmente nei paesi caratterizzati da elevati tassi di crescita demografica (India, Indonesia, Kenya, Brasile, ecc.) la quantità di terra disponibile per le colture di sussistenza tende a ridursi: le popolazioni rurali cercano quindi di procurarsi nuove terre da coltivare sottraendole alle f. vergini. Anche l'espansione dell'allevamento del bestiame ha comportato la conversione in pascolo di milioni di ettari di f., soprattutto in America latina. Emblematico è il caso dell'Amazzonia, dove la distruzione delle f. continua, nonostante che alla fine degli anni Settanta siano venuti meno alcuni degli incentivi che avevano portato all'aumento dei pascoli e alla colonizzazione delle terre forestali. I risultati di questa politica si sono rivelati fallimentari, in rapporto agli enormi danni ecologici. A questo proposito si può osservare che è generalmente diffusa la tendenza dei governi di paesi in via di sviluppo a sopravvalutare i benefici ricavati dalla deforestazione e a trascurarne i costi ambientali (erosione del suolo, dissesto idrogeologico, insabbiamento dei corpi idrici e degli invasi artificiali, diminuzione delle precipitazioni, riduzione delle risorse idriche − e in definitiva di quelle alimentari −, ecc.).
Anche la raccolta di legna da ardere è diventata un importante agente distruttore, soprattutto nelle f. africane aride, dove la densità della popolazione è elevata e il tasso naturale di crescita della vegetazione è molto basso, e attorno alle grandi città dell'Africa e dell'Asia, dove la concentrazione della domanda viene a gravare maggiormente sulle riserve di alberi disponibili. I più recenti dati telerilevati da satellite mostrano che in meno di un decennio il patrimonio forestale presente lungo una fascia di 100 km attorno alle maggiori città è sceso del 15% e anche più; attorno a Delhi le perdite sono addirittura del 60%. All'origine della distruzione delle f. tropicali è anche la domanda dei consumatori dei paesi a clima temperato. La grande richiesta, da parte dei paesi industrializzati, di legno duro tropicale, ha spinto diversi governi del Terzo Mondo a sacrificare le proprie f. in vista di un incremento del commercio con l'estero. Infine, un non trascurabile fattore di degradazione delle risorse forestali che finora ha dispiegato i suoi effetti soprattutto sulle f. dei paesi sviluppati della fascia temperata boreale, è l'inquinamento da precipitazioni acide causato dall'immissione nell'atmosfera di fumi di combustione contenenti sostanze tossiche.
La riduzione del patrimonio forestale mondiale potrebbe essere, in teoria, controbilanciata da programmi di rimboschimento su larga scala. In effetti il patrimonio forestale della maggior parte dei paesi europei manifesta la tendenza a un accrescimento, per effetto della conversione in boschi di terre già destinate all'agricoltura. In Italia la contrazione delle colture agricole ha messo a disposizione per un eventuale recupero produttivo una superficie che, secondo alcune stime, ammonterebbe a 2,5 milioni di ettari. Invece i paesi in via di sviluppo per tradizione hanno sempre sottovalutato la forestazione, perché nei bilanci nazionali s'ignorano spesso i benefici ecologici e sociali della foresta. Analogamente, gli organismi internazionali di finanziamento hanno sempre evitato gli interventi sulla forestazione, preferendo piani che offrano benefici immediati, certi e facilmente quantificabili. Il lancio di un Piano d'azione per le f. tropicali promosso nel 1985 congiuntamente dalla FAO, dalle Nazioni Unite, dalla Banca Mondiale e dal World Resources Institute sembra tuttavia promettere di riportare il problema della forestazione al suo giusto posto tra le priorità dello sviluppo. Gli sforzi per arrestare la deforestazione della fascia tropicale sono urgenti e necessari perché la perdita della f. comporta enormi costi sociali ed economici. Secondo il World Resources Institute le vite di più di un miliardo di uomini − un quinto della popolazione mondiale − sono già periodicamente messe in pericolo da inondazioni e da forme varie di dissesto idrogeologico, dalla mancanza di legna da ardere e da produzioni agricole ridotte, fenomeni provocati direttamente o indirettamente dalla degradazione degli ecosistemi forestali.
Ma vi sono conseguenze della deforestazione che trascendono l'ambito locale e regionale e che sono suscettibili di ripercuotersi su tutta l'umanità. La deforestazione può assumere il ruolo di fattore di cambiamento del clima a scala planetaria. È noto che quando gli alberi vengono abbattuti o bruciati si determina un rilascio accelerato di carbonio nell'atmosfera. Questo aumenta l'''effetto serra'', che potrebbe avere la temibile conseguenza d'innalzare la temperatura media del globo di 2 °C intorno alla metà del prossimo secolo, e di 5 °C nel 2100. Alcuni scienziati si sono spinti fino ad affermare che la combustione di biomassa forestale ha immesso nell'atmosfera nel corso degli ultimi dieci anni un quantitativo di anidride carbonica superiore a quello prodotto dai combustibili fossili. Per quanto discutibili possano essere questi dati, che altri mettono in dubbio (così come controversa è la questione se gli incendi stagionali delle f. possano essere ritenuti o meno corresponsabili dell'assottigliamento dello strato d'ozono atmosferico sull'Antartide), non vi è dubbio sul fatto che la combustione delle f. si traduce in un doppio danno per il clima mondiale, in quanto gli alberi notoriamente riducono l'anidride carbonica dell'atmosfera, trasformandola in ossigeno e legno. Senza le f. tropicali il globo avrà maggiori difficoltà a riciclare l'anidride carbonica generata dall'uomo.
L'altro motivo che consiglia di salvaguardare il più possibile l'integrità delle f. tropicali è la loro elevata ''diversità'', cioè la presenza in spazi circoscritti di un'enorme varietà di specie viventi: così per es. un solo ettaro di giungla malese può contare più di 800 specie di piante legnose, più o meno quante ce ne sono in tutto il Nordamerica. La protezione di questi ecosistemi, nei quali specie vegetali e animali vivono in complessi rapporti d'interdipendenza, è invocata dai conservazionisti non tanto per motivazioni sentimentali quanto in ragione dell'opportunità di mantenere intatte queste associazioni viventi, i cui materiali genetici potrebbero in futuro rivelarsi preziosi per gli agronomi, o le cui proprietà mediche sono ancora in gran parte da scoprire. In questo senso si sta diffondendo la pratica della remissione del debito estero ad alcuni paesi in via di sviluppo, in cambio del loro impegno a salvaguardare il patrimonio naturale.
La prima iniziativa del genere è stata presa nel 1987 da un'organizzazione conservazionista internazionale che si è assunta, a costo ridotto, il debito estero della Bolivia e lo ha abbonato, in cambio della promessa, da parte del governo boliviano, di finanziare ed espandere una riserva naturale nazionale. Successivamente altri accordi di questo tipo sono stati perfezionati con Costa Rica, Ecuador, Madagascar e Filippine, per lo più ad opera di organizzazioni volontarie, ma anche per iniziativa dei governi olandese e svedese.
In conclusione, è prevedibile che l'umanità continuerà ad abusare del patrimonio forestale mondiale anche in futuro, se non altro per il progressivo aumento della pressione demografica. Finché dureranno, le f. tropicali continueranno a fornire terra, combustibile e ricoveri alle popolazioni che vivono al loro interno o ai loro margini. Altre popolazioni, meno bisognose, si adopereranno per promuovere un uso più razionale degli spazi forestali e per preservarli il più a lungo possibile. Il destino di questa così importante risorsa dell'umanità dipenderà dal delicato equilibrio dinamico che si stabilirà tra queste due tendenze contrastanti.
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