FORESE da Rabatta
Figlio di Ughettuccio di Bentivegna, nacque nella seconda metà del sec. XIII a Rabatta (presso Borgo San Lorenzo, Firenze) o nella stessa Firenze.
La famiglia di F., già signora di Rabatta, si inurbò a Firenze alla fine del sec. XIII ed ebbe in seguito case in via de' Calderai e una cappella nella chiesa dell'Annunziata.
A causa del silenzio delle fonti ci è in gran parte ignota la biografia giovanile di F.: sappiamo solo che fu presto avviato agli studi del diritto. che divenne giudice e che risiedette nel sestiere di Porta Duomo. Scarsi sono anche i documenti a noi noti relativi al suo ingresso nella vita pubblica cittadina: i più antichi, che risalgono ai primi anni del Trecento, lo mostrano infatti già attivo come giudice in cause pubbliche e private di un certo rilievo. Così, ad esempio, veniamo infonnati che nel febbraio del 1310 fu nominato, insieme con altri due "buonomini" e "amici comuni" dei convenuti, arbitro nella controversia tra Stoldo, Baldo e Berto, figli del defunto Alberto Squarciasacchi, circa le quote dei debiti e dei crediti di una compagnia commerciale, della quale i tre fratelli erano stati soci; e che, sempre come giudice, fu presente in vari Consigli del Comune di Firenze all'incirca a partire dallo stesso periodo: nel gennaio e nell'aprile del 1309, nell'aprile del 1310, nell'aprile del 1313, nel febbraio del 1314. Il 15 febbr. 1315 viene ricordato in un documento pergamenaceo riguardante il monastero cistercense di S. Salvatore a Settimo: in esso egli appare tra i giurisperiti richiesti di fornire un parere sulla questione se il monastero fosse tenuto a pagare al Comune le gabelle delle porte e dei mulini.
A partire dal 1321 F. partecipò attivamente alla vita politica di Firenze, rivestendo le cariche più importanti del Comune: fu gonfaloniere di Giustizia dal 15 ottobre al 15 dicembre di quell'anno, fu priore dal 15 dic. 1323 al 15 febbr. 1324 e dal 15 apr. al 15 giugno 1324. Il 12 ag. 1329 a Montopoli - come sindaco del Comune di Firenze, insieme con Simone della Tosa, Donato dell'Antella e Taldo Valori - partecipò all'accordo di pace che concluse il periodo di conflitti tra Firenze e Pisa iniziato con la guerra contro Castruccio. Nel marzo del 1330 fu tra i "Dodici buonomini". Nell'aprile del 1331 fu nominato gonfaloniere di Compagnia, carica che ricoprì anche nell'aprile del 1331 mentre nel giugno del 1334 fu di nuovo dei Dodici. Fu ancora tra i Priori dal 15 aprile al 15 giugno 1335, tra i Sedici nel dicembre del 1336 e di nuovo tra i Dodici nel marzo del 1338. Nel 1339 fu presente, insieme con Marco Marchi, a un accordo fra i Tarlati - che avevano ceduto tre anni prima Arezzo ai Fiorentini - e gli Aretini relativo al pagamento di alcune gabelle. Nello stesso anno fu ancora una volta gonfaloniere di Giustizia dal 15 agosto al 15 ottobre. In questa veste, il 17 agosto, avrebbe ricevuto dal vescovo di Novara Giovanni Visconti e dal fratello di questo, Luchino, la comunicazione ufficiale della morte di Azzo Visconti signore di Milano. Nello stesso anno, il 18 dicembre, fu testimone, come giurisperito, alla stipulazione di un'altra convenzione fra Firenze e Pisa; sempre come giurisperito, il 21 sett. 1341, fu testimone del lodo pronunziato dal signore di Ferrara Obizzo d'Este per risolvere definitivamente le pratiche fra Mastino Della Scala e il Comune di Firenze per la cessione di Lucca.
Nel 1343 fu presente, ancora una volta come giurisperito, alla "riforma" della città e contado di Firenze compiuta dal duca d'Atene Gualtieri di Brienne il 1° agosto: quando, cioè, il duca fu costretto dalla sollevazione iniziata il 26 luglio a cedere a una balia di quattordici cittadini il governo della città. In seguito, sempre in quello stesso anno, F. fu inviato, il 12 settembre, come ambasciatore a San Migiato, insieme con Francesco Brunelleschi, Tommaso Corsini, Giorgio di Barone e ser Marco di ser Bono da Ugnano, e, fra il 10 e il 15 novembre, fu uno dei sindaci che in San Miniato conclusero per il Comune di Firenze la pace con i sindaci dei Pisani e dei Lucchesi. L'ultima carica di rilievo da lui ricoperta fu il gonfalonierato di Compagnia, che rivestì nel giugno 1347.
Ignoriamo la data esatta della morte di F., che deve con ogni probabilità esser posta nello stesso anno 1348 in cui pare sia stato rogato il suo testamento a Firenze.
F. fu considerato dai suoi contemporanei uomo di grande cultura giuridica. In effetti, la sua preparazione e le sue capacità in questo campo sono sufficientemente testimoniate sia dalla frequenza con cui egli ricevette l'incarico di partecipare come giurisperito alla stipulazione di importanti trattati o alla promulgazione di atti pubblici di rilievo, sia dalla frequenza con cui gli si richiesero pareri legali. Inoltre, egli fu senza dubbio una delle personalità più in vista della vita pubblica fiorentina della prima metà del Trecento. Tuttavia la memoria che di lui si serbò nei secoli successivi non fu dovuta tanto alla sua opera di giurista o al rilievo della sua attività politica, quanto piuttosto e soprattutto alla circostanza di essere stato scelto dal Boccaccio quale protagonista di una novella del Decameron, la quinta della sesta giornata.
Come avverte l'autore, in questa giornata "si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno" (Decameron, a cura di V. Branca, Torino 1984, p. 711) - Nella quinta novella si racconta come F. e Giotto, ritornando a cavallo a Firenze dalle "lor possessioni" nel Mugello, venissero sorpresi da un temporale e avessero trovato riparo nella casa di un contadino di loro conoscenza. Poiché non accennava a spiovere i due viaggiatori, che volevano essere a Firenze prima di notte, si fecero prestare un paio di mantellacci e di vecchi cappelli e, così coperti, ripresero la strada sotto la pioggia. Tornato il sereno, cominciarono a conversare tra loro. F., accorgendosi dello stato miserevole in cui si trovava il suo compagno - e senza tener conto del proprio -, lo prese in giro chiedendogli: "Giotto, a che ora, venendo di qua alla 'ncontro di noi un forestiero che mai veduto non t'avesse, credi tu che egli credesse che tu fossi il migliore dipintore del mondo, come tu se'?". Pronto, l'altro ribatté: "Messere, credo che egli il crederebbe allora che, guardando voi, egli crederebbe che voi sapeste l'abicì".
L'episodio, che a detta di molti commentatori sarebbe realmente accaduto, manca però di riferimenti storici precisi, e potrebbe ritenersi una semplice applicazione di quel topos che fa attribuire motti arguti a personaggi famosi. La replica di Giotto, riferita nella novella, trae origine dalla circostanza che F., persona di grande cultura, era notoriamente bruttissimo e d'aspetto ordinario. Riferisce infatti, a tal proposito, il Boccaccio che, "essendo di persona piccolo e isformato, con viso piatto e ricagnato che a qualunche de' Baronci più trasformato l'ebbe sarebbe stato sozzo, fu di tanto sentimento nelle leggi, che da molti valenti uomini uno armario di ragione civile fu reputato" (ibid., pp. 736 s.).
La fama di giurista insigne, consegnata alla memoria storica delle generazionì successive anche grazie alla novella del Boccaccio, fece sì che F. venisse considerato degno di essere immortalato con un ritratto ideale, a rappresentare tutti gli "uomini illustri nella legge" nel ciclo dei personaggi famosi affrescato nelle volte della Real Galleria del granduca (ora Galleria Palatina) di palazzo Pitti a Firenze.
F. ebbe almeno quattro figli: Giovanni, Niccolò, Michele, Consiglio. Mentre quest'ultimo continuò la professione del padre, gli altri investirono i capitali accumulati da F. impiegandoli in attività commerciali soprattutto connesse con l'arte della lana, dando così inizio a una linea di condotta che sarebbe stata caratteristica della famiglia per tutto il secolo successivo. Non mancarono tuttavia tra i loro discendenti personalità che scelsero la carriera politica e che giunsero a rivestire la carica di priore.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Capitoli, 25, cc. 11r, 29r, 38r, 55r, 56v; Carte Strozziane, s. 3, XIV.II, c. 121; Diplomatico Adespote, Coperte di libri, 26 febbr. 1309/10; Diplomatico, Cestello, 15 febbr. 1314/15; Diplomatico, Volterra, 1° ag. 1343; Manoscritti, 268 (2), cc. 19v- 20r; Priorista Mariani, III, cc. 532v-533v; Firenze, Bibl. nazionale, ms. Magliabechiano, IX, 66, cc. 482 s.; XXV, 591, cc. 8, 381; XXVI, 132, c. 144; Manoscritti Passerini, 8, 191; Ibid., Bibl. Marucelliana, ms. Marucelliano A 161; Ibid., Bibl. Riccardiana, ms. Riccardiano 2023, cc. 480 s.; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXX, I, pp. 123, 131, 160, 179, 188; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 1, Firenze 1647, pp. 284, 365, 432 s., 484; G. Lami, Deliciae eruditorum..., XI, Florentiae 1741, p. 437; I Capitoli del Comune di Firenze, a cura di C. Guasti - A. Gherardi, II, Firenze 1893, pp. 209, 285; Consigli della Repubblica fiorentina, a cura di B. Barbadoro, Bologna 1921-1930, pp. 427, 429 s., 440, 486, 618, 651; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, p. 73; E. Gamurrini, Istotia genealogica delle famiglie nobili toscane, V, Firenze 1685, pp. 347-358; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 179; G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, VIII, Firenze 1759, p. 34; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 639 s.