FONTI ENERGETICHE FOSSILI.
- Incidenza sul binomio energia-sviluppo. Le fonti fossili nelle sfide del prossimo futuro. Bibliografia.
L’energia è vita. Senza, vi è solo miseria. La quantità di beni e servizi a disposizione dell’uomo – la sua capacità di crescere e di produrre ricchezza – è strettamente legata alla disponibilità e all’impiego dell’energia. Se confrontiamo la qualità della vita di chi, nei Paesi ricchi, ne dispone pienamente e di chi, in quelli poveri, ne è privo, ci rendiamo visivamente conto delle disuguaglianze che attraversano il mondo moderno e di cosa significasse vivere nell’era preistorica. Ridurre queste disuguaglianze è l’imperativo cui dare risposta. Come farlo e con quali tecnologie energetiche è l’oggetto del contendere. L’energia teoricamente disponibile è infinita; quella effettivamente accessibile lo è molto meno. Dipende dalla capacità delle società umane di governarla e di approntare il capitale necessario a imbrigliarla in modo economicamente efficiente. Come? Trasformando le risorse naturali definite fonti primarie di energia – fossili (v. carbone, petrolio, gas naturale), rinnovabili (idraulica, solare, eolico, biomasse, maree, acque calde da sistemi idrotermali, v. rinnovabili, energie), uranio (v. nucleare, energia) – in forme secondarie (chimica, termica, meccanica, elettrica), idonee a soddisfare i bisogni finali nelle qualità, quantità, tempo, luogo in cui si esprimono (Mainguy 1967, Chardonnet 1973). A consentire il passaggio dell’energia da teorica a effettiva sono i ‘convertitori’. La storia dell’umanità è segnata dal loro lento progredire: da quelli biologici, come si hanno in natura (uomo, piante, animali), a quelli artificiali, frutto dell’intelligenza dell’uomo (macchina a vapore, mulino a vento, motore a scoppio ecc.). Un’evoluzione che ha accompagnato il passaggio dalle condizioni primitive dell’uomo a quelle della moderna civiltà. Storia economica e storia energetica evidenziano che la diffusione delle grandi innovazioni ha sempre richiesto ed è stata resa possibile da nuovi modi di impiego di fonti di energia note magari da lungo tempo, derivandone, ogni volta, un punto di discontinuità verso l’alto delle traiettorie di sviluppo. «D’altro canto – ha scritto Nicholas Georgescu-Roegen – non ci può essere grande progresso tecnologico se l’innovazione corrispondente non è seguita da una grande espansione nel campo mineralogico» (Georgescu-Roegen 1976; trad. it. 1982, p. 47). È il corso delle innovazioni che ha guidato i processi di sostituzione delle fonti, portando in ogni fase storica (fig. 1) al dominio di una fonte sulle altre: in ragione del nesso che la legava ai nuovi paradigmi tecnologici, mentre poco o nulla vi influivano l’abbondanza o la convenienza relativa. Questo nesso, secondo Joseph Schumpeter (1883-1950), individua due onde lunghe o cicli di Nikolaj Kondrat′ev della moderna economia capitalistica: quella imperniata su carbone-acciaio, tra il 1842 e il 1897, e quella incentrata su petrolio ed elettricità-chimica-motorizzazione dal primo Novecento alla Seconda guerra mondiale. Il dominio delle fonti fossili avrebbe indotto mutamenti che costituiscono altrettante condizioni della moderna relazione energia-sviluppo.
Incidenza sul binomio energia-sviluppo. – Il primo mutamento dovuto alle f. e. f. è il superamento delle rigidità localizzative e discontinuità produttive cui erano costrette le attività economiche dalla prossimità dei corsi d’acqua o dalla mutabilità dei venti. Rigidità che con il passaggio al carbone presero ad allentarsi, in misura però molto parziale, date le sue difficoltà di movimentazione. Il carbone lo si consumava soprattutto dove si produceva, a vantaggio delle nazioni che ne disponevano – lungo l’asse dall’area londinese al triangolo continentale della Ruhr, Lorena, Saar – rendendo così relativamente più povere le regioni che ne erano prive. Il petrolio ha spezzato queste rigidità: per l’abbondanza e la dispersione geografica della sua offerta e per la facilità a veicolarlo verso ogni Paese. Con il suo avvento, lo sviluppo delle nazioni si è disgiunto dalla proprietà ravvicinata dell’energia di cui si alimenta. Per contro, è aumentata la dipendenza da Paesi esteri. Con il petrolio l’energia ha cessato di essere un fatto eminentemente economico per divenire motivo e arena di scontro politico (Masseron 1990; Yergin 1991; Clò 2000). La sicurezza dei suoi approvvigionamenti è così tema prioritario nell’agenda dei governi.
Un secondo mutamento connesso al divenire delle fonti, è l’aumento della scala dimensionale delle loro produzioni: la capacità di concentrare grandi quantità di energia in spazi ristretti. La sempre più elevata densità di potenza – energia prodotta per unità di spazio – ha favorito le grandi dimensioni produttive, così da poter sfruttare, beneficiandone, economie di scala che hanno stimolato altre innovazioni (elettricità, chimica, trasporti), portando all’affermazione del modello di crescita, tuttora dominante, fondato sull’espansione dei consumi. Il terzo mutamento legato al succedersi delle fonti è dato dalla progressiva riduzione dei costi reali dell’energia: una formidabile leva all’aumento della ricchezza mondiale. Non tanto per il peso dell’energia nel valore della produzione, quanto per la sua pervasività nella produzione di beni e servizi. Di questi mutamenti è necessario tener conto, guardando al futuro, in relazione a due questioni che hanno assunto una forte valenza nelle opinioni pubbliche, nei governi, negli organismi internazionali. La prima, ciclicamente ricorrente a ogni aumento dei prezzi, riguarda la finitezza fisica dei combustibili fossili e il paventato rischio che si manifestino situazioni di loro scarsità, assoluta o relativa, tali da costituire un vincolo alla crescita potenziale o da indurre uno stato stazionario, come profetizzarono, erroneamente, Thomas Robert Malthus (1766-1834) e Stanley Jevons (1835-1882). La seconda questione attiene all’urgente necessità di ridurre l’impiego delle fonti fossili per contrastare le esternalità ambientali indotte dalla loro combustione, specie riguardo le emissioni di anidride carbonica (CO2), ritenute la principale causa del surriscaldamento globale della Terra (v. cambiamenti climatici). Di qui, la decisione di 180 Paesi, tra cui quelli dell’Unione Europea, di sottoscrivere nel 1997 il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005, per ridurre le emissioni clima-alteranti in linea con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2 °C (The economics and politics of climate change, 2009; Energia, sviluppo, ambiente, 2014). La risposta all’una e all’altra questione è stata, in sostanza, quella di avviare una transizione energetica che modifichi radicalmente i sistemi indirizzandoli verso modelli low-carbon: imperniati su una drastica riduzione dell’intensità energetica (energia/output) e una sostituzione delle risorse fossili con nuove risorse rinnovabili (v. tecnologie per la transizione energetica). La fattibilità di una simile transizione poggia, da un lato, sul verificarsi di specifiche condizioni (investimenti, sviluppi tecnologici, modifica dello stock di capitale ecc.), e, dall’altro, sulla sua capacità di fronteggiare le esigenze che emergono dai futuri scenari energetici.
Le fonti fossili nelle sfide del prossimo futuro. – Il dato strutturale da cui partire è la fame di energia del mondo. Secondo gli scenari elaborati dall’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), condivisi da altri centri previsivi, entro il 2040 (fig. 2) la domanda mondiale di energia potrebbe aumentare di oltre un terzo – quanto, a rendere l’idea, il consumo attuale di America Settentrionale ed Europa insieme – dietro la pressione di un raddoppio del reddito reale, dell’aumento di circa un terzo della popolazione, del quasi raddoppio della flotta di veicoli (IEA 2014). Come provvedervi, con quali tecnologie energetiche, è la questione da cui dipendono gli equilibri economici, geopolitici,ambientali mondiali. È previsto che l’intero aumento della domanda provenga dai Paesi emergenti; con uno slittamento verso Oriente del baricentro della domanda e un capovolgimento della sua distribuzione tra Paesi sviluppati e non. Per soddisfare la fame di energia bisognerà fare massimamente ricorso alle fonti fossili. L’apporto di tali fonti, secondo l’AIE, dovrebbe rimanere dominante, riducendosi solo di 7 punti al 74%, con un contributo alla domanda totale sostanzialmente equivalente tra carbone, petrolio, metano, intorno al 25%. Per la prima volta nella storia dell’energia nessuna fonte sarà dominante sulle altre. L’assieme delle rinnovabili vi contribuirà per meno di un quinto e quelle nuove solo per un ventesimo. L’idea che esse possano divenire in tempi rapidi un’alternativa alle fonti fossili resta, allo stato delle cose, del tutto irrealistica.
L’interrogativo si sposta allora sulla capacità fisica delle fonti fossili di contribuire al soddisfacimento della domanda nelle quantità necessarie. Se è innegabile la loro finitezza fisica, lo è altrettanto il fatto che lo stock delle loro riserve provate (estraibili ai prezzi e tecnologia attuali) è andato nel tempo crescendo, nonostante l’esponenziale aumento delle quantità estratte. Dal 1980 al 2013 il loro complessivo ammontare è aumentato da 581 a 654 Gtep (tab. 2), nonostante nel periodo siano stati estratti 274 Gtep (al lordo di queste sono state, quindi, scoperte riserve per 347 Gtep). La conclusione è che non è la natura, ma l’azione dell’uomo a porre dei vincoli all’accessibilità delle fonti fossili, specie petrolio e metano. L’ossessione sull’approssimarsi del picco di produzione (peak-oil) del petrolio, livello oltre il quale è destinata a declinare, teorizzato dal geologo Marion King Hubbert nel 1956, è stata smentita dai fatti. Il rapporto riserve/produzione di petrolio, indice approssimativo della sua scarsità fisica e del suo orizzonte temporale di sfruttamento, è aumentato da 29 a 53 anni. A consentirlo hanno concorso il positivo ciclo degli investimenti nel 21° sec.; l’allargamento dei confini della ricerca a nuove aree – africane, sudamericane, caspiche – e nuovi temi minerari (alte profondità e offshore); i progressi delle tecniche, che non hanno comunque impedito rendimenti decrescenti e aumenti dei costi.
Che un giorno il petrolio o il metano finiranno è fuor di dubbio. Che quel giorno sia molto là da venire lo è altrettanto, specie alla luce delle straordinarie prospettive dischiuse negli Stati Uniti dall’estrazione di idrocarburi da formazioni di scisti (shale gas e tight oil) grazie al combinarsi delle tecniche (pur note da lungo tempo) della fratturazione idraulica (hydrofracking), della perforazione orizzontale (horizontal drilling), della sismica informatica (v. idrocarburi non convenzionali). I risultati sono stati straordinari. Dopo anni di un declino che appariva irreversibile, la produzione statunitense di idrocarburi è aumentata di un terzo, divenendo prima al mondo, davanti a quella di Russia e Arabia Saudita. L’ampia consistenza e distribuzione geografica delle risorse non convenzionali di idrocarburi, pur incerte nel loro potenziale, prefigura grandi opportunità di un loro sviluppo.
Se inserissimo anche queste nel computo delle riserve, il loro orizzonte di sfruttamento andrebbe ben oltre il mezzo secolo sopra indicato, fino a raddoppiarlo. Se non è la finitezza delle risorse fossili a limitarne l’uso, altri fattori motivano il perdurare del loro dominio. Due in particolare. In primo luogo, le nuove rinnovabili non soddisfano nessuna delle condizioni che connotano i moderni sistemi energetici – assenza di vincoli localizzativi, grandi scale dimensionali, bassi costi di produzione – giacché esse sono disponibili là dove lo consentono le condizioni climatiche o metereologiche (sole o vento), mentre le scale produttive non possono che essere minimali e i costi di produzione ancora ampiamente superiori a quelli delle fonti fossili. In secondo luogo, i vincoli posti dallo stock di capitale e l’illusione di poterlo modificare radicalmente e rapidamente. Le interrelazioni energia-economia si sono nel tempo consolidate anche in relazione al crescere delle due grandezze. Le strutture di produzione, trasformazione, distribuzione dell’energia così come del suo impiego, sono di una dimensione enormemente più elevata di quella del passato e quindi più resistenti a ogni loro drastica trasformazione. La loro costante di tempo è quasi un ordine di grandezza maggiore di quella dei sistemi precedenti la Seconda guerra mondiale. I cicli storici di sostituzione delle fonti mostrano che la penetrazione di una nuova fonte richiede un tempo nell’ordine di mezzo secolo per raggiungere una quota grosso modo di un quinto dei complessivi consumi (Anderer, McDonald, Nakicenoviv 1981). Così è stato, a suo tempo, per il carbone, per il petrolio, per il metano. Le nuove rinnovabili richiederanno tempi non dissimili. Nessuno sviluppo tecnologico, per quanto futuristico, potrà mai restituire loro il predominio che ebbero in economie silvo-pastorali, dalle cui stringenti limitazioni ci ha liberato il passaggio alle risorse fossili. È stato il loro sviluppo a permettere il progresso delle economie moderne cui legittimamente aspira l’altra metà del mondo che non ne dispone. Delle risorse fossili rimarremo, volenti o meno, ancora a lungo ‘ostaggi’. Guardando al domani con l’esperienza di ieri non vi è motivo per ritenere che le nuove catastrofiche profezie sui cambiamenti climatici abbiano miglior fortuna di quelle passate sui limiti dello sviluppo (D.H. Meadows, D.L. Meadows, Randers et al., 1972) e che non vi siano potenzialità, strumenti, modi per fronteggiarle. La sfida è provvedere al superamento di questi limiti con uno straordinario impegno di ricerca e sviluppo in grado di imbrigliare in modo economicamente sostenibile nuove fonti inesauribili. A salvare il mondo dai catastrofismi sarà – ieri come oggi – la tecnologia nelle sue imprevedibili traiettorie. Una prospettiva, comunque, che non libera il mondo dalla necessità di operare sin d’ora per costruire il ‘dopo fossili’: evitando di «trovarci con le miniere esaurite e con i depositi di sostanze inquinanti pieni» (Cipolla 1962; trad. it. 1966, p. 66). Come ha scritto Vaclav Smil, «la nostra civiltà è solo una fase di passaggio: diversamente da quelle da cui è stata preceduta, essendo interamente basata sullo sfruttamento di combustibili fossili, non potrà infatti protrarsi per migliaia di anni, poiché le scorte di energia fossile sono limitate e, anche se usate nel modo più efficiente, comunque destinate a esaurirsi tra mezzo millennio o poco più. In realtà, la fine della nostra civiltà potrebbe verificarsi ben prima dell’esaurimento fisico delle scorte di carbone e di idrocarburi: il costo crescente, i crescenti rischi ambientali legati all’uso dei combustibili fossili obbligheranno i nostri discendenti a ritornare a sfruttare l’energia solare o a sviluppare nuove fonti di energia» (1994; trad. it. 2000, p. 223). Ed è questa la prospettiva storica verso cui muovere in tempi comunque molto lontani.
Bibliografia: C.M. Cipolla, The economic history of world population, Harmondsworth 1962 (trad. it. Uomini, tecniche, economie, Milano 1966); Y. Mainguy, L’économie de l’énergie, Paris 1967; D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers et al., The limits to growth. A report for the club of Romes project on the predicament of mankind, New York 1972 (trad. it. Milano 1972); J. Chardonnet, Les sources d’energie, Paris 1973; N. Georgescu-Roegen, Energy and economic myths. Institutional and analytical economic essays, New York 1976 (trad. it. Torino 1982); J. Anderer, A. McDonald, N. Nakicenoviv, Energy in a finite world. Paths to a sustainable future, Cambridge (Mass.) 1981; J. Masseron, Petroleum economics, Paris 19904; D. Yergin, The prize. The epic quest for oil, money and power, New York 1991 (trad. it. Milano 1991); V. Smil, Energy in world history, Boulder (Col.) 1994 (trad. it. Storia dell’energia, Bologna 2000); A. Clò, Economia e politica del petrolio, Bologna 2000; Natural gas and geopolitics. From 1970 to 2040, ed. D.G. Victor, A.M. Jaffe, M.H. Hayes, Cambridge-New York 2006; A. Clò, Il rebus energetico. Tra politica, economia e ambiente, Bologna 2008; The economics and politics of climate change, ed. D. Helm, C. Hepburn, Oxford-New York 2009; D. Helm, The carbon crunch. How we’re getting climate change wrong – and how to fix it, New Haven (Conn.) 2012; International energy agency (IEA), World energy outlook, Paris 2014; P. Vestrucci, L’Italia e l’energia. 150 anni di postvisioni energetiche, Milano 2013; Energia, sviluppo, ambiente, a cura di E. Pedrocchi, G. Alimonti, Bologna 2014.