fondazioni bancarie
Persone giuridiche private senza fini di lucro; introdotte nell’ordinamento italiano per la prima volta con la l. 218/1990, la cosiddetta legge delega Amato-Carli. In Italia all’inizio degli anni 1990 è infatti emersa la necessità di trasformare l’intero sistema bancario, ancora prevalentemente sotto il controllo pubblico, per privatizzarlo e renderlo aperto a investitori terzi, sia italiani sia stranieri. Lo scopo di fondo della legge delega fu quello di separare in due diverse entità le funzioni di diritto pubblico e quelle imprenditoriali, cioè di scorporare le f. dalle banche ex pubbliche che, sotto il controllo delle f., avrebbero dovuto collocare in tutto o in parte le proprie azioni sul mercato. La legge configura sostanzialmente le f. b. come holding pubbliche che gestiscono il pacchetto di controllo della banca partecipata ma che non possono esercitare l’attività bancaria; i dividendi eventualmente percepiti sono intesi come reddito strumentale a un’attività istituzionale che deve perseguire fini di interesse pubblico o di utilità sociale. Questa distinzione apparentemente chiara è stata nella realtà di difficile applicazione, tanto che sono stati necessari diversi interventi legislativi per ottenere un quadro più stabile dell’assetto istituzionale che ne sarebbe derivato.
All’inizio, le f. b. furono pensate quasi esclusivamente come depositarie dei patrimoni delle banche da privatizzare. A esse fu, dunque, assegnata la proprietà delle azioni in cui era stato ripartito il patrimonio dalle banche con l’obbligo di mantenerne la maggioranza fino al 1994, anno dell’entrata in vigore della l. 474 che lo eliminava. Successivamente, con la cosiddetta legge Ciampi (l. 461/1998) e il relativo decreto applicativo 153/1999, alle f. fu imposto un obbligo contrario: quello di rinunciare al controllo delle relative banche. Inoltre, il decreto affermava che le f. dovessero operare nel mondo non profit, pur potendo conservare una certa vocazione economica (ma sempre nell’ambito degli scopi non lucrativi). Il decreto, nel testo vigente, individua i settori ammessi, nell’ambito dei quali le f., ogni 3 anni, ne scelgono non più di 5 rilevanti. Il d. legisl.153/1999 attribuisce inoltre alle f. la natura giuridica di enti privati senza fini di lucro e la piena autonomia statutaria e di gestione: di conseguenza, a partire dal 1999, esse hanno dovuto adottare nuovi statuti e hanno assunto la piena autonomia statutaria e di gestione.
Il ruolo delle f. di origine bancaria e la loro identità di soggetti privati non profit, protagonisti del terzo settore, sono stati, peraltro, pienamente e definitivamente chiariti dalla Corte costituzionale nel settembre 2003, con una fondamentale sentenza (la n. 300) che le ha confermate come persone giuridiche private dotate di piena autonomia e le ha collocate a pieno titolo tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali. Al 2011 l’attività decisionale delle f. b. ruota intorno a un organo fondamentale, l’organo d’indirizzo (chiamato consiglio generale, comitato d’indirizzo o commissione centrale di beneficenza). In esso sono concentrati i poteri principali, come l’approvazione e la modifica dello statuto, la nomina e la revoca dei componenti degli altri organi (tra cui i consiglieri d’amministrazione delle banche partecipate), l’approvazione del bilancio e le scelte strategiche. La sua composizione è caratterizzata da una prevalenza di membri espressi dagli enti del territorio in cui sorge la fondazione. In sostanza, istituzioni come Comuni e Province giocano un ruolo essenziale nella struttura gestionale delle f. e dunque nell’amministrazione del relativo patrimonio.
Le f. di origine b. sono state attori importanti nel processo di ristrutturazione e aggregazione avvenuto a partire dal 2000, che ha coinvolto molte banche italiane. Tuttora esse hanno un ruolo fondamentale nell’assetto e nel governo societario delle principali banche, anche se, pur nominando una parte dei membri degli organi di gestione, non hanno alcun ruolo operativo nelle banche di cui sono azioniste. Sono infatti investitori istituzionali, che dall’investimento dei loro patrimoni debbono trarre gli utili necessari per svolgere l’attività filantropica, la quale si concretizza in circa un miliardo e mezzo di donazioni all’anno, rivolta a vari settori di interesse collettivo, i principali dei quali sono: arte, attività e beni culturali, ricerca, educazione, istruzione e formazione, volontariato, beneficenza, sviluppo locale, assistenza sociale, salute pubblica, protezione e qualità ambientale, sport e ricreazione. In questi settori le f. intervengono sia direttamente sia tramite progetti realizzati da soggetti terzi, privati e pubblici, purché non profit, non potendo fare donazioni a soggetti profit o a singoli cittadini.