FOLGORE da San Gimignano (Iacobo di Michele)
Uomo d'armi e poeta, figlio di un Michele che risulta già morto nel 1305, nacque a San Gimignano (presso Siena), forse tra il 1265 e il 1275, da famiglia di cui ignoriamo, per il silenzio delle fonti, le condizioni economiche e lo stato sociale.
F., nome con cui egli fu conosciuto dai suoi contemporanei, con cui appare sempre indicato nei documenti coevi e con cui è ancora universalmente e unicamente noto alla storia e alla critica letteraria, è in realtà un onorifico e deve intendersi come fulgore, splendore. Il nome di battesimo di F., lacobo, ci è stato conservato soltanto da un atto del 25 luglio 1367 relativo agli eredi del figlio Stefano che vi sono appunto indicati come "heredes Stefani quondam Domini Jacobi vocati Folgori de sancto Geminiano".
F. si impegnò per la parte guelfa, soprattutto negli anni di predominio in Toscana di Uguccione della Faggiola (1313-1317). La sua morte deve essere collocata tra il 1317 e il 1332. Pochissimo altro si sa di lui.
Dai Libri della Biccherna risulta che il 25 genn. 1295 il Comune di Siena pagò alcuni uomini d'arme per accompagnare il conte Orsello alla Curia papale. Tra questi viene ricordato "Folgore Michaelis", F. appunto. Nell'Archivio comunale di San Gimignano si hanno tracce di un altro pagamento a F., ora definito "Folgore olirn Michaelis", come milite sotto il comando di Nello Savore, inviato nel 1305 in missione a Pistoia assediata. Un altro pagamento intestato a "Folgore" per il presidio del palazzo comunale di San Gimignano è registrato in occasione delle elezioni dei Nove del 1306. Ancora, nel 1332, in un documento del Comune di San Gimignano, si parla di "heredes Domini Folgoris". Da esso si deduce che nel 1332 F. era già morto.
Il titolo di dominus o messere, da cui nelle fonti a partire da questa data appare costantemente accompagnato il nome di F., attesta che egli fu ordinato cavaliere. Da documenti successivi alla morte di F. apprendiamo che un Niccolò sposò anteriormente al 1332, una figlia di F., della quale non ci è stato conservato il nome; è ricordato anche un figlio di lui, Stefano.
Il bellissimo, onorifico soprannome di Folgore, testimoniato a Siena fin dal 1295, indica che in tale data F. doveva aver già conseguito notorietà letteraria; si ritiene mercè quella corona di Sonetti per il cavaliere, che dunque dovrebbe essere anteriore a tale anno. F. poteva essere allora tra i venti e i trent'anni.
L'opera, una collana che il codice Ricc. 2795dichiara di diciassette sonetti, conservandone però solo cinque, si ricollega alla poesia moraleggiante toscana di derivazione francese, legata all'allegorismo e alla precettistica della cortesia cavalleresca. Il Roman de la rose e, in Italia, il Tesoretto, l'Intelligenza e soprattutto i sonetti del Fiore ne sono i precedenti o concomitanti più conosciuti. L'opera prende occasione dall'armamento di un ignoto cavaliere e presenta, dopo un sonetto introduttivo, alcune donne-allegorie: Prodezza, Umiltà, Discrezione, Allegrezza (altre dovevano seguire nella parte perduta) che compiono la cerimonia della vestizione cavalleresca e rivolgono al donzello esortazioni di rito. La fonte francese diretta è stata individuata nell'Ordene de chevalerie che va impropriamente sotto il nome di Hue de Tabarie. Qualche tratto più socialmente realistico ("e pon sue terre e sue castell'a pegno/per ben fornirsi di ciò ch'è mistieri"; I, vv. 3-4), una esibita inclinazione a soffermarsi sulla qualità preziosa di abiti, cibi, eleganze aristocratiche e una peculiare leggerezza di tocco anche nelle costruzioni allegoriche sembrano anticipare il più maturo scrittore.
F., i cui incarichi militari retribuiti dal Comune, benché importanti, erano assolti in posizione subalterna, da semplice milite deve aver esercitato attività professionale di cortigiania - da poeta addetto, come testimoniano le sue varie operette - a "corti" o feste o "brigate", che Comuni e privati istituivano in occasione dei festeggiamenti e di eventi prosperi della vita cittadina ("brigate bandite") o individuale e che talvolta facoltosi individui o gruppi intrattenevano più o meno a lungo, sostenendo le spese di raffinate e spensierate attività mondane. Tale pratica è registrata dalle cronache a Firenze, a Siena e in Toscana, e con tratti differenti nell'Italia del Nord, e ha profondamente inciso nella cultura due-trecentesca.
L'itinerario poetico di F., dai sonetti "per l'armamento del cavaliere" alle raccolte successive, riflette l'ideale cortesia professata da tali "corti" di giovani o di ricchi e coltivati cittadini, munifici e gaudenti, e spesso mecenati di poeti cortigiani, mentre matura da un'autopromozione moralistica, appoggiata all'elaborazione ideologica del vassallaggio feudale elaborata nei romanzi allegorici francesi, a una più schietta espressione della larghezza e liberalità delle borghesie cittadine, dell'edonismo e dell'idealizzazione della vita quotidiana urbana negli anni più prosperi della civiltà comunale. Il fenomeno s'intreccia con la tradizione della letteratura comica senese e toscana, e fa da sfondo alla contaminazione che questa presenta tra tradizioni giullaresche, pratiche parodistiche destinate a maggior futuro, e più risentiti filoni di poesia politica municipale.
Di quel mondo, di quella vita, di quella cortesia cantano la bellezza soprattutto le due collane dette Sonetti dei mesi e Sonetti della settimana, press'a poco coeve, e appartenenti alla maturità di K; quel mondo rimpiangerà il più tardo sonetto morale "Cortesia, cortesia, cortesia chiamo". Le due collane elaborano il modello provenzale del plazer, elencazione di cose piacevoli tratte dalla natura o dalle attività umane e sociali, battaglie e guerre incluse. Ad esso affianca il tema speculare dell'enueg, che allinea invece esperienze e circostanze noiose e spiacevoli. L'uno e l'altro genere sono diffusamente praticati nella poesia volgare italiana, tanto dai giocosi quanto dai tragici.
F. congiunge, innovando, il modello del plazer con la tradizione assai antica, letteraria e figurativa, dei "vanti" dei mesi e dei giorni della settimana e altre analoghe. Gli andamenti seriali ed elencatori, accentuatamente paratattici del plazer, che F. gradisce e sviluppa con felice tocco stilistico, ne risultano organizzati in forma chiusa con esiti di durata insolita nella letteratura dell'epoca, specialmente nelle contrade del comico, del realistico e del giocoso, dove il sonetto sembra essere la misura più lunga del respiro poetico.
Le due collane, pur nominando persone e fatti, risultano difficilmente databili. Egualmente difficile risulta l'accertamento circa l'eventuale ordine di composizione.
Il dedicatario principale dei Sonetti del mese, Nicolò di Nisi (o meglio Nigi, da Dionigi) identificato con un "Nicolaus filius Bindini Nigii" dei Tolomei di Siena, potrebbe essere quel "Nicolaus Bandini" che nella Storia di San Gimignano del Pecori compare tra i commissari della pace tra San Gimignano e Volterra del 1309 (Navone). Degli altri membri della "brigata nobile e cortese" nominati nel sonetto di dedica, "Tingoccio e Min di Tingo ed Ancaiano, Bartolo e Mugàvero e Fainotto", alcuni sono stati dubitativamente identificati con personaggi citati in documenti tra il 1323 e il 1330.
Nei Sonetti della settimana figura come ancora donzello (scudiero, non ancora cavaliere) il dedicatario della collana, "Carlo di misser Guerra Caviccioli", fiorentino, vincitore della guerra contro Volterra nel 1308. Di lui si dice che "spende più che 'l marchese lombardo", e si dà per vivo quest'ultimo, che si potrebbe identificare - ma l'indizio è assai tenue - con Azzo VIII d'Este, morto nel gennaio 1308. Tali identificazioni hanno, nei due casi, puro valore orientativo, sebbene abbiano consentito fosse avanzata l'ipotesi della priorità dei Sonetti per la settimana.
La collana della settimana - otto sonetti - varia a seconda dei giorni i piaceri che vengono augurati a Carlo Caviccioli, "donzello/saggio, cortese e ben ammaestrato ... /leggero più che lonza o liopardo". Al lunedì appartiene "sua donna servire" e far ciò che amor comanda; al martedì il combattimento; al mercoledì il banchetto; al giovedì il torneo; al venerdì la caccia; al sabato l'uccellagione coi falconi; alla domenica, tra molti piaceri, il passeggio: "cercar Firenze per ogni contrada, /per piazze, per giardini e per verzieri; /e gente molta per ciascuna strada, /e tutti quanti il veggian volentieri".
Variata con anche maggior naturalezza è la serie dei piaceri cantati nei Sonetti dei mesi (quattordici) - raffinata elaborazione che, nel convertire in diletto particolarissimo ogni caratteristica stagionale, disegna con straordinaria felicità d'immaginazione e di stile un ideale di vita ricca e raffinata con tonalità favolose pur nella descrizione realistica, minuziosa, delle attività, degli arredi, delle vivande, degli abiti, dei cavalli, delle imbarcazioni, delle belle immagini della natura di gusto miniaturistico.
La lode della prodigalità che si legge un po' ovunque nei sonetti è spesso affiancata dal vituperio dell'avarizia: "e beffe far de' tristi cattivelli, /de' miseri dolenti sciagurati /avari: non vogliate usar con elli"; delle mogli econome "e sempre aver la tavola fornita, /e non voler la moglie per castaldo"; delle prediche penitenziali: "lasciate predicar i preti pazzi, /che hanno assai bugie e poco vero". La collana prevede un'elegante dedica alla brigata nobile e cortese e un sonetto di congedo, la cui terzina finale nomina il poeta e la sua fedeltà: "Folgore vostro da San Giminiano /vi manda, dice e fa quest'ambasciata: /che voi n'andaste con suo cor in mano".
Si è ritenuto che la brigata nobile e cortese (cortese equivale qui a liberale o spendereccia, ad onta dell'offinione espressa da Dante nel Convivio) della collana fosse la cosiddetta "brigata spendereccia" senese di cui si parla nel XXIX dell'Inferno (vv. 120-131), soffermandosi Dante pellegrino a evocare con Capocchio la stravagante vanità dei senesi (così lo stesso codice Magliab. VII, 1066). L'identificazione fu cassata dal Navone con il ritrovamento, nel cod. Barberiniano lat. 3953 del XIV e ultimo sonetto (congedo), assente in tutti gli altri testimoni, che nomina Nicolò di Nisi: altra persona, e posteriore, rispetto al Nicolò dei Salimbeni o dei Buonsignori nominato da Dante. Tale identificazione induceva pertanto ad anticipare i tempi della vita e dell'attività di F. di oltre un cinquantennio.
Alla folgoriana corona dei mesi qualche codice affianca una parodia del giullare aretino Cenne della Chitarra che oppone a ogni plazer folgoriano uno speculare enueg, elenco delle noie che si possono assegnare a ogni mese.
A un periodo, che può avere per termini estremi poco prima del 1313 e poco dopo il 1317, appartengono quattro sonetti politici di F., legati alle sconfitte dei guelfi toscani ad opera di Uguccione della Faggiola e al temporaneo strapotere ghibellino e pisano in Toscana: "Più lichisati siete ch'ermellini" è uno scherno dei Pisani di cui F. deride l'effeminata fiacchezza militare, evidentemente prima della riscossa pisana e dei sacco di Lucca (1314); "Eo non ti lodo, Dio, e non t'adoro" allude al periodo successivo alla sconfitta guelfa di Montecatini (1315) col duro predominio di Uguccione della Faggiola; "Così faceste voi o guerra o pace" lamenta le discordie e l'avvilimento dei guelfi, e "Guelfi, per fare scudo de le reni" ironizza con vigore sulla debolezza del re Roberto d'Angiò nella pace del 1316-1317.
Per qualche somiglianza (vituperio dei Pisani e del trionfo ghibellino di Uguecione), i sonetti politici del F. sono stati rivendicati, ma senza seguito nella critica, al lucchese Pietro de' Faitinelli (Gerunzi). Essi testimoniano un'energica passione politica, e una ragguardevole qualità della scrittura.
Il Barb. lat. 3953 attribuisce al F. quattro sonetti morali di impossibile datazione: "Cortesia, cortesia, cortesia chiamo"; "Amico caro, non fiorisce ogni erba"; "Quando la voglia segnoreggia tanto"; "Fior di virtù si è gentil coraggio". Di questi, "Amico caro" e "Quando la voglia" sono ntenuti dubbi in quanto attribuiti a F. unicamente da questo codice, d'altronde autorevolissimo, e invece adespoti in tutti gli altri manoscritti che li riportano. Lo schema metrico dei due sonetti non è quello abituale di Folgore. "Fior di virtù", infine, tende ad essere escluso con decisione dal corpus folgoriano, giacché attribuito da altri codici di volta in volta a Dante, a Cino, a Simone Forestani.
Di F. non si hanno notizie successive al 1317. Si può ancora ricordare che in anni recenti è stata avanzata l'ipotesi che sia da attribuire a F. il Fiore.
La maggior parte dei testi poetici di F. (ventinove sonetti, compresi quelli di dubbia attribuzione) ci è stata conservata dal codice vaticano Barb. lat. 3953, già appartenuto a Nicolò de' Rossi, di mano veneta del sec. XIV. Uno dei problemi centrali della critica testuale, che pone la raccolta da esso conservata, è quello di attenuarne, col soccorso di altri testimoni o per eventuali congetture, la patina veneta e quindi non toscana. Questo codice affianca alla collana dei mesi, opera di F., la corrispondente collana di Cenne in una versione incompleta. Le due raccolte appaiono affiancate anche nel cod. vaticano Chig. I, IV, 131 (già 580), un tardo zibaldone (sec. XVII) che deriva da un codice del 1394. 1 sonetti di F. - manca il XIV della serie dei mesi - vi si leggono alle cc. 259-271.
Al Chigiano si apparentano, per la comune caduta del sonetto XIV, conclusivo della serie dei mesi, due codici fiorentini quattrocenteschi, il Magliab. VII, 1066 (della Bibl. naz. di Firenze) e il Ricc. 1158 (della Bibl. Riccardiana di Firenze), scoperto da Olindo Bacci (1897) e apparentato al precedente da numerose comuni lezioni erronee. Nel 1956 A.E. Quaglio ha scoperto nella Biblioteca del seminario di Fermo, in un codice di opere di Boccaccio del sec. XV, emiliano, dodici dei sonetti dei mesi, in un testo molto rimaneggiato, ma utile (Contini) per discriminare fra varianti indifferenti tra il Barberiniano da un lato e gli altri tre testimoni dall'altro.
I Sonetti per il cavaliere sono contenuti solo in un foglio staccato, n. 67 incluso nel Ricc. 2795, codice miscellaneo con materiali del XIII e XIV sec., il quale con la didascalia "Questi sono xvij. sonetti che fece il folgore da sangimignano", fa pensare che la collana sia mutilata di 12 sonetti. sempre che i dodici mancanti non siano i Sonetti dei mesi. Il sonetto "Più lichisati siete ch'ermellini" è dato da un solo cod., il Ricc. 1103. Il cod. Parm. 1081 (della Bibl. Palatina di Parma) dà, adespoto, il sonetto "Amico caro" e il Chig. L, VIII, 305, fa altrettanto con "Quando la voglia".
Tra le edizioni delle opere del F. si ricordano qui: Le rime di F. da S. G. e di Cenne da la Chitarra di Arezzo, a cura di G. Navone, Bologna 1880; G. Lega, Il codice Barberiniano, XL V, 47 (ora 3953), Bologna 1905 (ed. diplomatica del più ampio codice delle rime di F.); F. da S. G., I sonetti, a cura di F. Neri, Città di Castello 1914 (Poi Torino 1925); Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A.E. Massera, Bari 1920, pp. 157-163 (poi rived. e aggiorn. da L. Russo, Bari 1940); Rimatoti comico-realistici dei primi due secoli, a cura di M. Vitale, Torino 1956; A.E. Quaglio, Per il testo della Fiammetta, in Studi di filologia italiana, XV (1957), p. 7; G. Contini, Poeti del Duecento, Milano-Napoli 1960, II, pp. 403-419; F. da S. G., Sonetti, a cura di G. Caravaggi, Torino 1965.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Libri della Biccherna, ad a. 1295; Archivio di Stato di Firenze, Corte di San Gimignano, n. 239, Consigli, stanziamenti e riformazioni, c. 16a (28 nov. 1305), n. 242, c. 30a (18 ag. 1306); Archivio del Comune di San Gimignano, cod. A 60 (miscell. del sec. XVIII), ad a. 1367; O. Bacci, Un nuovo testo dei "Sonetti dei mesi", in Misc. stor. della Valdelsa, V (1897), 2, pp. 123-127; M. Barbi, Studi sul canzoniere di Dante..., Firenze 1915, pp. 463-500; P. Rossi, F. da S. G., in Rassegna d'arte senese, XIV, (1921), 2, pp. 64-68; N. Sapegno, Il Trecento Milano 1934, pp. 75-100; E. Li Gotti, Cecco e F.: in Id., Saggi, Firenze 1941, pp. 21-35; L. Santucci, F. da S. G., Firenze 1943; L. Russo, Studi sul Due e Trecento. Ritratti e disegni storici, Bari 1951; M. Marti, Il "sogno" di F. e la realtà di Cenne, in Id., Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 355-393 (rec. di C. Segre in Giorn. stor. della lett. ital., CXXXVII [1960], pp. 105 ss.); G. Caravaggi, F. da S. G., Milano 1960; G. Contini, Poeti del Duecento, II, Milano-Napoli 1960, pp. 403-419; Il gioco della vita bella. F. da S. G., a cura di M. Picone, San Gimignano 1988. Sulla "brigata spendereccia e F. Fiamini, F. da S. G. e la brigata spendereccia (1893), in Spigolature di erudizione e di critica, Pisa 1895, pp. 19-26; F. Neri, in I Sonetti..., cit.; C. Cappuccio, F. da S. G. e Cenne da la Chitarra, Siracusa 1924. Per l'attribuzione a Pietro de' Faitinelli: E. Gerunzi, Pietro de' Faytinelli detto Mugnone e il moto di Uguccione della Faggiuola in Toscana, Bologna 1884; vedi pure le recensioni di S. Morpurgo, in Riv. critica della lett. ital., II (1885), p. 23; e di L. Del Prete, in Il Propugnatore, XVIII (1885), pp. 136-148. Quanto all'attribuzione a F. del Fiore: R. Fasani, La lezione del "Fiore", Milano 1967, ma cfr. Id., Ancora sul "Fiore" e la poesia del Pucci, in Studi e probl. di crit. test., VI (1973), pp. 22-68; e Id., Il "Fiore" e la poesia del Pucci, in Deutsches Dante-Jharbuch, XLIX-L (1974-1975), pp. 82-141.