SCHIZZI, Folchino
– Nacque a Cremona, presumibilmente nel penultimo decennio del XIII secolo, da Pasino di Alberto e da Margherita.
Il padre, membro del collegio dei giureconsulti cremonesi, fu impegnato come giudice a Firenze e a Genova. Nel 1298 fece parte del Consiglio maggiore cittadino, e morì entro il 29 agosto 1299, quando la vedova disponeva un inventario di beni ereditati dai figli da un parente, Corrado Schizzi. Fratelli di Folchino erano Albertino e Rizzardino; sorelle Giacomina e Filippina.
Sia Folchino sia Albertino intrapresero la carriera di giuristi; non ne sopravvivono trattati, ma fonti erudite (F. Arisi, Cremona literata, 1702, pp. 159, 167) attribuiscono al primo un De successionibus ab intestato, un De inventarii confectione e un De privilegiis dotalibus, al secondo un De exceptionibus dilatoriis et declaratoriis iudicii, un De executionibus ultimarum voluntatum e un De privilegiis dotalibus (ascritto pure a Folchino, il che fa dubitare della notizia). I due fratelli sono documentati nel Consiglio maggiore, l’uno nel 1323, l’altro nel 1342. Non è noto il nome della moglie di Folchino, ma quello di due figli, Giacomo e Pasino.
Folchino fu legato alla dinastia viscontea almeno dal 1329, quando, il 30 dicembre, Giovanni Visconti ottenne dal papa un canonicato nel duomo di Cremona per Pasino, figlio del fratello Rizzardino (Jean XXII..., a cura di G. Mollat, 1904-1947, n. 47917), che risulta canonico ancora nel 1345 (Robolotti, Pergamene, s.n., 22 ottobre 1345). Nel 1332 Folchino fu podestà di Novara; si trattava di un incarico delicato, in quanto la città era appena stata strappata dal vescovo Giovanni Visconti alla signoria dei Tornielli. Parecchi anni dopo, il 17 giugno 1340, Giovanni e Luchino Visconti lo inviarono presso i Gonzaga per contrarre un’alleanza difensiva contro gli Scaligeri (Repertorio diplomatico visconteo, a cura della Società storica lombarda, I, 1911, n. 227).
Folchino risulta però vicario del solo Giovanni; in questa veste presenziò il 28 ottobre 1339 alla promessa di fedeltà del suo signore a Benedetto XII, atto che pose fine a due decenni di ostilità con la sede apostolica (tra il 7 e il 16 maggio 1341 il pontefice cassò i processi degli anni Venti contro Giovanni e Luchino e concesse loro il vicariato imperiale), e fu tra i testi della ratifica degli accordi, avvenuta a Milano il 6 agosto 1341.
La vicenda coinvolse indirettamente il fratello, Albertino Schizzi. Ogni città già ribelle era tenuta infatti a fondare in cattedrale una cappella espiatoria dedicata a San Benedetto: a Cremona il Consiglio maggiore delegò Albertino alla sua edificazione e dotazione, in relazione alla quale sono forse gli stemmi affrescati di Luchino e Giovanni, datati 1343 (Andenna, 2007, pp. 151 s., 168; Bellingeri, 2007, p. 422).
Oltre al vicariato in temporalibus, Folchino assunse per Giovanni, vescovo e conte di Novara e condomino di Milano, la funzione di procuratore per i suoi beni privati; la nomina, rogata dal cancelliere Arasmolo da Pirovano nel giugno 1341 è posteriore ad atti in cui egli agiva già come tale: a questo titolo, dal 16 gennaio 1341, locò possedimenti di Giovanni e Luchino (limitatamente alla porzione del primo), siti nella pianura ad est di Milano (Le pergamene Belgioioso..., a cura di P. Margaroli, I, 1997, nn. 154-156).
Dopo l’elezione arcivescovile di Giovanni tale funzione passò al giurista parmense Guglielmo Arimondi, mentre Folchino si occupò delle entrate connesse all’esercizio della signoria: nel 1342-44 di esse (incamerate dal tesoriere Giovannolo Mondella) redasse delle rationes, che confluirono nella contabilità signorile (Archivio di Stato di Milano, Notarile, Negroni Lanzarotto, 1345-46, c. 15rv; cfr. Mainoni, 1993, p. 17). Per quanto riguarda i beni privati di Giovanni egli compì solo alcuni pagamenti, ad esempio per legati dovuti da Giovanni in quanto erede di Ottorino di Uberto Visconti (cc. 2v, 6rv, 44v), e il 15 febbraio 1348 fu teste in una permuta con la chiesa di S. Maria Beltrade (Archivio di Stato di Milano, Pergamene per Fondi, cart. 453). Egli disponeva di una «camera deputata Folchino de Schiziis» situata «in curia domini archiepiscopi» (Archivio di Stato di Milano, Notarile, Negroni Lanzarotto, cc. 18v-19r) e di alcuni familiari, tra i quali Guglielmo, detto Pelaguzius de Besana, e Pesino de Laude (ibid., cc. 6v, 19r).
Sotto la signoria unica di Giovanni, Folchino mantenne la duplice fisionomia di amministratore e di collaboratore nell’ambito politico-diplomatico.
Il 17 novembre 1351 locò la gabella del sale a Novara per conto del dominus (Repertorio diplomatico Visconteo, n. 479); inoltre presenziò e probabilmente collaborò a una serie di atti dell’una e dell’altra natura: il 19 settembre 1349 alla donazione dei beni con cui dotare la nuova certosa di Garegnano (Palestra, 1976, pp. 78-85); il 25 settembre, assieme al cremonese Raimondino degli Arcidiaconi, all’arbitrato pronunciato da Giovanni tra i Monferrini e i Savoia (Benvenuto, Historia, 1733, coll. 498-506); il 16 ottobre 1350 ai patti con i Pepoli per la cessione di Bologna (La politica finanziaria dei Visconti, a cura di C. Santoro, 1976, n. 77); l’8 febbraio 1351 alla concessione in feudo al medico Maineto de Mayneriis di un hospitium fuori porta Ticinese (ibid., n. 83); il 5 marzo 1353 al “testamento” (una serie di legati) di Giovanni (Milano, Archivio dell’Ospedale Maggiore, Diplomi, n. 424bis). La prosecuzione dell’attività diplomatica sembra attestata da un passaggio a Melegnano nel 1350 assieme ad Arasmolo da Pirovano, secondo un atto in cui sono citati in transito anche i Pepoli e altri signori di Romagna (Malatesta III da Rimini e Francesco II Ordelaffi), forse nel contesto della suddetta cessione di Bologna, o comunque in quello della politica viscontea in Romagna (Archivio di Stato di Milano, Notarile, Negroni Lanzarotto, 1352, c. 4rv).
Come forma di remunerazione (non rara tra gli officiali viscontei, ugualmente alle locazioni terriere), nel 1345-46 ottenne la podesteria della Valsolda che fruttava annualmente 100 lire di terzoli, ma non sembra che egli sia mai salito in valle (ibid., 1345-46, cc. 18v-19r).
Non è noto se dopo la morte di Giovanni, avvenuta nel 1354, abbia continuato l’attività al servizio dei nipoti, già associati al governo dallo zio. Dubbi permangono anche sulla sua residenza milanese: il documento del 25 settembre 1349 definisce lui e l’Arcidiaconi, «vicarii in temporalibus» di Giovanni, «cum eo domino archiepiscopo commorantes» (Benvenuto, Historia, 1733, col. 506); tuttavia nell’atto del 19 settembre 1349 egli risulta dimorare in porta Orientale, in parrocchia di S. Maria alla Passarella e in quello dell’8 febbraio 1351 in porta Romana, in parrocchia di S. Michele al Muro rotto. Nell’ultimo atto è qualificato anche nobilis vir e miles. L’ascesa sociale di un ‘consigliere dotto’ è evidente nell’incisione di tali titoli nell’iscrizione sul sepolcro («Hoc sepulcrum est nobilis et egregii militis ac iuris periti domini Folchini de Schiciis qui obiit anno MCCCLVII die X iulii et heredum eius») e nella qualità di questo.
Folchino morì il 10 luglio 1357 (la grazia di scegliersi il confessore in articulo mortis, richiesta da Giovanni e Luchino a Clemente VI anche per il cremonese Carlo Dettori, cancelliere signorile, è del 14 settembre 1346) e fu sepolto in un’arca scolpita da Bonino da Campione con le figure della Madonna con bambino tra quattro santi e le quattro virtù cardinali.
Gli offerenti inginocchiati sono probabilmente Folchino e il figlio Giacomo, giacché l’obituario della cattedrale ricorda da parte sua disposizioni per la celebrazione degli annuali proprio e del figlio. Lo stesso obituario informa che Folchino dotò l’altare di S. Caterina, poi cappella gentilizia degli Schizzi. Dal 1796 l’arca sepolcrale è attestata nella stessa cappella; fonti precedenti (F. Arisi, Cremona liberata, cit., p. 159) la vogliono nel chiostro di S. Domenico, ma, data la fondazione della cappella, si tratta forse di una confusione con l’arca di un Pasino Schizzi morto nel 1294, sita in S. Domenico (Tiraboschi, 1817, pp. 150-152; Vairani, 1796, p. 44). Dalla fine del XIX secolo essa si trova nel portico antistante la facciata del duomo.
Giacomo ebbe tre figli, Folchino, Luchino e Giovanni (quest’ultimo è attestato a Milano a fine secolo come giudice dei malefizi e vicario del podestà). Probabilmente non il figlio di Folchino, Pasino (come in Tiraboschi, 1817, pp. 156-160), ma l’omonimo nipote già citato, risultava nel 1368 vicario del vescovo di Novara Oldrado Maineri. Questo Pasino, canonico cremonese e giurista (legum professor), dal 1379 era vicario del concittadino Niccolò Zanasio, vescovo di Brescia (1379-83: Pagnoni, 2013-14, pp. 160, 164, 169, 266). Già nel 1382 risultava di nuovo vicario a Novara, mentre al canonicato cremonese se ne aggiunse uno a Brescia e la prepositura di Borgo San Donnino.
Che si tratti del figlio o del nipote di Folchino, più generazioni Schizzi sono accomunate da un’elevata formazione giuridica e da carriere di ‘consiglieri dotti’, in ambito civile ed ecclesiastico: tra di esse quella di Folchino fu però l’unica a raggiungere alti livelli, politico-diplomatici e amministrativi, grazie alla continuità di servizio con il più fortunato membro della dinastia viscontea.
Fonti e Bibl.: Cremona, Biblioteca Statale, F. Robolotti, Pergamene, s.n. (22 ottobre 1345); Archivio di Stato di Cremona, Comune, Archivio Segreto, Diplomatico, nn. 325, 351bis; Archivio di Stato di Milano, Diplomatico, Pergamene per Fondi, cart. 333 (8 maggio 1382), 453 (15 febbraio 1348); Fondo di religione, cart. 2466 (19 settembre 1349); Notarile, Appendice notai, cart. 37, f. Negroni Lanzarotto; Milano, Archivio dell’Ospedale Maggiore, Diplomi, n. 424bis; F. Arisi, Cremona literata, Parmae 1702, pp. 159, 167; F. Ughelli, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, coll. 216 s.; Benvenuto di San Giorgio, Historia Montisferrati, a cura di L. Muratori, in RIS, XXIII, Mediolani 1733, coll. 498-506; T.A. Vairani, Inscriptiones Cremonenses universae, Cremonae 1796, nn. 53, 241; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di G. Mollat, I-XVI, Paris 1904-1947, n. 47920; Repertorio diplomatico visconteo. Documenti dal 1263 al 1402, a cura della Società storica lombarda, I, Milano 1911, nn. 227, 444, 479; I registri dell’Ufficio di provvisione e dell’Ufficio dei sindaci sotto la dominazione Viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929, pp. 53, 58, 84 s.; La politica finanziaria dei Visconti. Documenti, I (settembre 1329-agosto 1385), a cura di C. Santoro, Milano 1976, nn. 60, 77, 83, pp. 39 s., 54-56, 59-61; Le pergamene Belgioioso della Biblioteca Trivulziana di Milano, a cura di P. Margaroli, I, Milano 1997, nn. 154-156.
G.C. Tiraboschi, La famiglia Schizzi di Cremona, Parma 1817, pp. 147-167; F. Novati, L’obituario della cattedrale di Cremona, in Archivio storico lombardo, VIII (1881), pp. 246 s.; G. Biscaro, Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa (Giovanni e Luchino - Clemente VI), in Archivio storico lombardo, s. 6, LIV (1927), pp. 201-236 (in partic. p. 234); F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955, pp. 295 s.; C. Santoro, Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), Milano 1968, pp. 117, 119, 330; A. Palestra, La certosa di Garegnano, in Ricerche storiche sulla chiesa ambrosiana, VI, Milano 1976, pp. 78-85; P. Mainoni, Un bilancio di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano, in L’età dei Visconti, a cura di M.L. Chiappa Mauri - L. De Angelis Cappabianca - P. Mainoni, Milano 1993, pp. 3-21 (in partic. p. 17); G. Andenna, Le istituzioni ecclesiastiche dall’età longobarda alla fine del XIV secolo, in Storia di Cremona. Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo), a cura di G. Andenna - G. Chittolini, Cremona-Azzano San Paolo 2007, pp. 2-169 (in partic. pp. 151 s., 168); L. Bellingeri, La scultura, ibid., pp. 416-435 (in partic. pp. 421-424); M. Gentile, Dal comune cittadino allo stato regionale: la vicenda politica (1311-1402), ibid., pp. 260-301 (in partic. p. 280); F. Pagnoni, L’episcopato di Brescia nel tardo medioevo. Sistema documentario, articolazione istituzionale, vicende politiche e patrimoniali, tesi di dottorato, Università degli studi di Milano 2013-14, pp. 160, 164, 169, 266.