FOGGINI
Famiglia fiorentina di scultori e architetti attivi a Firenze fra il XVII e il XVIII secolo. Capostipite fu IacopoMaria, zio e maestro di Giovan Battista, ricordato dalle fonti come scultore e architetto. Nato probabilmente nel secondo decennio del sec. XVII, intraprese la sua formazione presso la scuola di A. Novelli e studiò a Roma (Baldimicci [1681-1728], 1974, pp. 69, 86; Lankheit, 1962, p. 47, 226; Bellesi, 1992, p. 42). Eseguì inizialmente sculture in marmo per passare in seguito a lavorare come intagliatore in legno, arte nella quale mostrò grande abilità, sia nella realizzazione di figure a tutto tondo - soprattutto crocifissi - sia nelle opere decorative, senza tralasciare l'architettura. L'unica opera in marmo conosciuta è il Monumento funebre di Heinrich von Stahremberg, morto nel 1650, nella chiesa fiorentina di S. Stefano al Ponte (Chini, 1984, p. 110). Ricevette numerose commissioni dalla famiglia granducale come documentano i conti della Guardaroba medicea, dove sono registrati numerosi pagamenti per prestazioni relative all'esecuzione di carrozze (Bellesi, 1992, p. 42). Egli era infatti essenzialmente un "intagliatore di figure in legno eccellentissimo" tanto da condurre una vera e propria scuola presso la quale "si tratteneva bene spesso" il suo discepolo e biografo Francesco Saverio Baldinucci ([1725-1730], 1975, p. 17). Iacopo Maria deteneva anche incarichi prestigiosi a livello cittadino. Negli anni tra il 1652 ed il 1656 rivestì la carica di sindaco nella Compagnia di S. Giuseppe o dei Legnaioli, di cui era già membro e che aveva un oratorio "nel popolo di S. Maria Maggiore in sul canto de' Camasecchi rincontro al Centauro" (Barsanti, 1976, p. 34) - Fu anche socio dell'Accademia Geometrica dell'abate Della Vecchia, nella quale venivano discussi problemì geometrici, architettonici e matematici in generale (Muraro, 1960, p. 86). La sua produzione lignea fu molto apprezzata dalla committenza privata: lo stesso Baldinucci afferma di avergli commissionato nel 1654 un Ecce Homo per la propria cappella domestica, "grande quanto il naturale, scolpito con gran diligenza e freschezza insieme, in legno tiglio" (nelle notizie di A. Novelli: [1681-1728], 1974, p. 86).
La statua, dipinta da B. Franceschini detto il Volterrano, acquisì subito una certa fama e venne contesa da varie chiese per essere esposta alla devozione dei fedeli in vari periodi dell'anno; ora si trova nella chiesa di S. Marco alla quale fu donata nel 1776 da un religioso domenicano (De Luca Savelli, 1990, p. 287).
Un'altra opera giovanile è forse identificabile con un Crocifisso in legno policromo della chiesa di S. Maria Maggiore a Firenze, avvicinabile al Cristo di S. Marco per la presenza di elementi ancora cinquecenteschi riconducibili all'insegnamento di A. Novelli (Bellesi, 1992, p. 42). Dal 1668 al 1671 è documentato nella chiesa dei Ss. Michele e Gaetano a Firenze. Nel 1669 ricevette pagamenti per i bellissimi sportelli in noce per le due cappelle Bonsi, dove sono raffigurate le ruote di mulino, simbolo dei Bonsi, sotto i cappelli cardinalizi e vescovili: si tratta di opere di grande qualità, in cui insieme al gusto per il movimentato disegno barocco trapelano ancora elementi decorativi manieristi (Chini, 1984, p. 110). Iacopo Maria eseguì anche tre sportelli in noce a doppio battente per la balaustra marmorea della crociera della stessa chiesa, altro lavoro mirabile per il quale fu pagato tra il 1668 ed il 1669, e in cui l'artista appare aggiornato sugli sviluppi della decorazione barocca; e nel giugno del 1671 è documentato per fogliami "adattati ai gradi dell'altare maggiore" della chiesa, forse fatti in occasione della canonizzazione di S. Gaetano (ibid., pp. 168 s.). Il 24 settembre dello stesso anno riscuoteva, a nome del nipote Giovanni Battista, allora minorenne, 20 scudi dai padri teatini per due bassorilievi in terra imbiancata eseguiti da quest'ultimo (Monaci, 1977, p. 10; Chini, 1984., p. 212). Come ricordano le fonti, in questi anni in cui esordiva il giovane nipote, Iacopo Maria eseguì il disegno per lo stemma scolpito da Giovan Battista per palazzo Pecori (Baldinucci [1681-1728], 1974, p. 399; Serie degli uomini..., 1775, p. 68). Sarà di nuovo al suo fianco il 5 febbr. 1677 per partecipare, insieme con Agnolo Tortoli, alla misurazione del marmo "che ha da servire per parte del bassorilievo di marmo per la cappella di S. Andrea Corsini", commissionato appunto a Giovan Battista, e ne sottoscriverà pochi giorni dopo il contratto, questa volta insieme con il fratello Agnolo (Lankheit, 1957, p. 57). Eseguì un Crocifisso per l'altar maggiore della chiesa di S. Pietro d'Alcantara a Montelupo Fiorentino (Visonà, 1976, p. 57), ed un altro per l'abate Baldacchini (Baldinucci [1681-1728], 1974, p. 86).
Iacopo Maria ebbe una morte "esemplarissima" nel 1684 (1683 ab Incarnatione) e fu sepolto nella chiesa del Carmine il 28 genn. 1684 (Bellesi, 1992, p. 49), lasciando di fatto la propria eredità artistica al nipote Giovanni Battista.
Forse membro della stessa famiglia, benché le fonti non ne facciano menzione, fu anche Stefano di Giovanni Battista, intagliatore documentato a Firenze negli anni Quaranta del sec. XVII. Di questo artista si hanno pochissime notizie, in gran parte emerse dagli studi compiuti sulla chiesa dei Ss. Michele e Gaetano a Firenze. Vi eseguì opere di carattere prevalentemente artigianale, tra cui "una nicchia di noce con il suo ornamento" posta sull'ingresso laterale, per la quale fu pagato in data 1° dic. 1642; gli vengono dubitativamente riferite anche due bussole per gli ingressi minori della facciata saldate in data 3 genn. 1642, ed i confessionali della navata (Chini, 1984, p. 144). Nel 1643 eseguì lavori per la cappella Franceschi, nella stessa chiesa, consistenti in due porte in noce sulle pareti laterali, una croce e il monte di un crocifisso fatto da C. Cappelli e due sportelli in noce per la balaustra, con "sobri motivi vegetali e volute"; due analoghi sportelli furono eseguiti per la cappella Ardinghelli, contemporaneamente alle comici per due tele e per una "Tavola grande" (ibid., pp. 144, 152, 294, 322 s., 325 s.). Il 29 ag. del 1648 incassò 5 scudi per un telaio e tela per la cappella Tornaquinci (ibid., p. 328). Fece anche gli sportelli lignei della cappella Corsini al Carmine (Lankheit, 1957, p. 59).
Vincenzo e Giulio, nati probabilmente agli inizi del sec. XVIII, furono entrambi figli di Giovan Battista, presso il quale ricevettero la loro formazione artistica, e furono il primo architetto ed il secondo scultore, come informano le brevi biografie del Gaburri (Id., 1962, p. 226). La loro produzione è accompagnata da notizie assai scarse e laconiche e si inserisce all'interno di un contesto storico di transizione che vide l'estinzione della famiglia regnante dei Medici e l'avvento dei Lorena nel 1737. Eseguirono opere in collaborazione tra cui la statua equestre dell'Infante don Carlos di Spagna, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese e designato alla successione su Parma, Piacenza e la Toscana, fusa probabilmente nel 1732, quando don Carlos, dopo essere sbarcato nel porto di Livorno, fece il suo ingresso trionfale in Firenze: per la statuetta fu utilizzato il modello già impiegato dal padre per le statue di CarloII e di Giuseppe I, con la sostituzione della testa (Montagu - Lankheit, 1974, p. 78).
Vincenzo era il primogenito e, sebbene apprendesse il disegno da T. Redi, fu avviato alla scultura sotto la guida del padre Giovan Battista, al quale succedette nella carica di scultore di corte fino alla morte, assolvendo all'obbligo di tenere una scuola nella casa di Borgo Pinti, dove tra l'altro era nato (Roani Villani, 1986, pp. 62 s.). Derivò molte delle sue opere da disegni e prototipi del padre il cui influsso emerge anche nella figura del Tempo realizzata da Vincenzo per un orologio nel 1725 (Montagu - Lankheit, 1974, p. 78). Insieme con altri artisti della seconda generazione del barocco fiorentino, quali G.B. Piamontini (figlio di Giuseppe), V. Barbieri, G. Masoni e G. Casini, prese parte alla realizzazione di un piccolo gruppo di terracotte bronzate, su commissione dell'elettrice palatina Anna Maria Luisa de' Medici, che li richiese per decorare il conservatorio della Quiete, dove la principessa, a partire dal 1724, soleva ritirarsi in preghiera per alcuni periodi (Casciu, 1986, pp. 89-91). Il gruppo comprendeva sei pezzi e fu completato nel settembre del 1729 con il S.Alessio del Masoni; Vincenzo eseguì La morte di s. Francesco Saverio conclusa entro il mese di maggio del 1728 (ibid., pp. 90, 99).
Nel 1729 Vincenzo partecipò all'esposizione di opere d'arte che si tenne nel chiostro della Ss. Annunziata, presentando, tra l'altro, opere del padre; in quella stessa occasione Giulio prese parte alla manifestazione come "festaiolo professore" (Borroni Salvadori, 1974, p. 27). Nel 1732 realizzò, per conto del re di Portogallo, un'enorme statua marmorea raffigurante S.Taddeo (Montagu - Lankheit, 1974, p. 78), per la chiesa di Mafra, fatta costruire dallo stesso re: è questa l'unica opera ricordata dal Gaburri, oltre alla statua dell'Astronomia per il Monumento funebre del Galilei in S. Croce (Lankheit, 1962, p. 226). Fu uno dei dodici maestri dell'Accademia fiorentina del nudo ed ebbe inoltre una bottega propria, frequentata anche da allievi.
Nel 1740 prese parte alla decorazione plastica dell'arco della porta S. Gallo a Firenze, realizzato su progetto dell'architetto lorenese J.-N. Jadot per l'ingresso in città del nuovo granduca Francesco Stefano di Lorena, di cui Vincenzo scolpì la statua equestre posta a coronamento dell'attico (Roani Villani, 1986, pp. 53 ss.).
Spetta a Vincenzo l'esecuzione di un gruppo marmoreo, conservato al Victoria and Albert Museum e proveniente dalla collezione Fitzwilliam a Wentwort Woodhouse (dove rimase fino al 1985), raffigurante Sansorte che uccide i Filistei, con più di un richiamo - secondo il gusto dell'epoca - a sculture di stesso soggetto di Michelangelo e Giambologna; il marmo, firmato e datato 1749, fu ripreso probabilmente da un'idea di Giovan Battista che ne aveva realizzato un modello, ed è forse identificabile con il gruppo ricordato in una lettera del 23 genn. 1750 indirizzata dal marchese di Rockingam a suo figlio (Montagu - Lonkheit, 1974, p. 80; Pratesi, 1993, p. 82; Williamson, 1991). Oltre agli evidenti richiami ai due grandi scultori cinquecenteschi l'opera rinvia anche alla scultura antica ed in particolare al Laocoonte ed ai Lottatori della tribuna degli Uffizi, un gruppo, quest'ultimo, che era stato copiato anche da Giovan Battista.
Non si conosce con esattezza la data di morte di Vincenzo che fu attivo fino al 1755.
Nel 1733 Giulio si era recato a Bologna per studiare la torre dell'Osservatorio, così da poterer costruire una simile a Pisa; tre anni dopo, avendone realizzato il modello che riscosse notevole successo, ne fu avviata la fabbrica: sempre a Giulio si deve il progetto della Tomba di Galilei nella chiesa di S. Croce a Firenze (Lankheit, 1962, p. 226).
L'erezione del monumento funebre era stata voluta da V. Viviani, che ne aveva imposto la realizzazione ai propri eredi con testamento del 1689: l'esecuzione dell'opera doveva essere originariamente compiuta su progetto di Giovan Battista con la direzione dell'architetto G.B. Nelli; tuttavia, alla morte del Viviani, avvenuta il 22 sett. 1703, seguirono numerosi eventi che non consentirono l'adempimento delle sue volontà testamentarie, intralciate dall'avvicendarsi infruttuoso degli eredi e da limitazioni di censura stabilite dagli "operai" della chiesa di S. Croce (Büttner, 1976, pp. 109 s.). Dopo due processi si ebbe finalmente la costruzione della tomba nel 1737; il progetto fu curato da Giulio, che riprese una precedente idea del padre ma su scala minore - anche a causa di difficoltà economiche sopraggiunte - e vi parteciparono il fratello Vincenzo e G. Ticciati, autori rispettivamente della Allegoria dell'Astronomia e di quella della Geometria. Il busto di Galilei era invece stato realizzato precedentemente da Giovan Battista. La struttura, che mostra punti di contatto con la Tomba di Urbano VIII fatta dal Bernini in S. Pietro, appare tuttavia nel suo complesso priva di vitalità (Cresti, 1990).
A Giulio risale anche il progetto della villa chiamata la "Tana", costruita per i baroni Ricasoli nel 1740; fu successore di G. Ticciati nella carica di provveditore dell'Accademia del disegno e morì a Firenze il 15 apr. 1741 (Lankheit, 1962, p. 226). Giulio e Vincenzo ebbero sepoltura nella tomba di famiglia presso la chiesa di S. Maria del Carmine, per la quale Vincenzo aveva in precedenza scolpito il busto del padre (Meloni Trkulja, 1992, p. 200).
La produzione da parte di Giulio e Vincenzo di modelli eseguiti dal padre viene confermata da molte indicazioni offerte dall'Inventario de' modelli posseduti alla fine del sec. XVIII dalla Manifattura Ginori, che produsse numerose copie in porcellana di sculture di piccolo formato tratte da originali che il conte Carlo Ginori, fondatore della fabbrica di Doccia, aveva rilevato dagli studi di Foggini e Soldani (M. Gregori, Cultura e genio di Carlo Ginori, in Antichità viva, IV [1965], 2, p. 19; Lankheit, 1982). Uno di questi esempi può essere identificato con una terracotta raffigurante Gesù Bambino che dorme sulla croce, ora nella collezione Chigi-Saracini di Siena (Gentilini - Sisi, 1989).
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno... (1681-1728), a cura di P. Barocchi, V, Firenze 1974, ad Indicem (per Iacopo Maria); F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-1730 circa), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 17, 373 (per Iacopo Maria); Serie degli uomini i più illustri nella pittura, scultura e architettura..., XII, Firenze 1775, pp. 63, 68 (per Iacopo Maria); K. Lankheit, Die Corszni-Kapelle in der Carmine-Kirche zu Florenz und ihre Reliefi, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, VIII (1957-59), 1, pp. 57 s. (per Iacopo Maria); p. 59 (per Stefano); M. Muraro, Cosimo de' Noferi ignoto fiorentino, in Rivista d'arte, XXXV (1960), p. 86 (per Iacopo Maria); K. Lankheit, Florentinische Barochplastik. Die Künst am Hof der letzen Medici. 1670-1743, München 1962, ad Indicem; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d'arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XVIII (1974), pp. 27, 33, 35, 146 e passim (per Giulio e Vincenzo); J. Montagu - K. Lankheit, in Gli ultimi Medici. Il tardo barocco a Firenze 1670-1743 (catal.), Firenze 1974, pp. 78-80 (per Giulio e Vincenzo); A. Barsanti, Nuove fonti per Cecco Bravo pittore fiorentino, in Granducato, II (1976), p. 34 (per Giulio e Vincenzo); F. Bütmer, Die Altesten für Galileo Galilei in Florenz, in Künst des Barock in der Toskana. Studien zur Kunst unter letzen Medici, München 1976, ad Indicem; M. Visonà, La Via Crucis del convento di S. Metro d'Alcantara presso la villa l'Ambrogiana a Montelupo Fiorentino, ibid., p. 57; L. Monaci, Disegni di G. B. Foggini... (catal.), Firenze 1977, p. 10 (per Iacopo Maria); B. Riederer Grohs, Florentinische Feste des Spätbarock. Ein Beitrag zur Kunst am Hof der letzen Medici 1670-1743, Frankfurt 1978, pp. 241, 245, 256; K. Lankheit, Die Modellsammlung der Porzellanmanufaktur Doccia, München 1982, ad Indicem (per Giulio e Vincenzo); E. Chini, La chiesa e il convento dei Ss. Michele e Gaetano a Firenze, Firenze 1984, ad Indicem (per Iacopo Maria e Stefano); S. Casciu, Due episodi del Settecento nel mecenatismo di Anna Maria Luisa de' Medici, in Paragone, XXXVII (1986), 435, pp. 89-91 (per Vincenzo); R. Roani Villani, La decorazione plastica dell'arco di porta S. Gallo a Firenze, ibidem, 437, pp. 53-55, 60 e passim; G. Gentilini - C. Sisi, Collez. Chigi Saracini. La scultura. Bozzetti in terracotta, piccoli marmi e altre sculture dal XIV al XX sec., Siena 1989, p. 253 (per Giufio e Vincenzo); C. Cresti, L'architettura del Seicento a Firenze, Roma 1990, p. 294 (per Giulio); M. De Luca Savelli, in La chiesa e il convento di S. Marco a Firenze, II, Firenze 1990, p. 287 (per Iacopo Maria); G. Leoncini, Cappella Franceschi ai Ss. Michele e Gaetano, in Cappelle barocche a Firenze, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1990, p. 24 (per Stefano); P. Williamson, Acquisitions of sculpture of the Victoria and Albert Museum, 1986-1991, in The Burlington Magazine, CXXXIII (1991), 2, p. 880 (per Vincenzo); S. Meloni Trkulja, Opere nel convento dal XVI al XIX sec., in La chiesa di S. Maria del Carmine a Firenze, a cura di L. Berti, Firenze 1992, p. 200; S. Bellesi, Nuove acquisizioni alla scultura fiorentina dalla fine del Cinquecento al Seicento, in Antichità viva, XXXI (1992), 5-6, pp. 42 s., 49 (per Iacopo Maria); Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, Torino 1993, pp. 45 s., 81 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, pp. 139 s.