CEVOLI, Florida (al secolo, Lucrezia Elena)
Undicesima di quattordici figli, nacque a Pisa l'11 nov. 1685 dal conte Curzio, figlio di Domenico, e da Laura della Seta. Ebbe un'educazione rigidamente cattolica: ogni sera la famiglia si riuniva per recitare in comune le preghiere. Dopo la prima istruzione che le fu impartita in casa, a dodici anni venne inviata nel collegio pisano di S. Martino, ove già si trovavano altre due sue sorelle, Maddalena e Teresa, poi suore anch'esse. La C. vi rimase per cinque anni, durante i quali rifiutò ogni privilegio e iniziò la pratica della penitenza, sottoponendosi a digiuni, privazioni, veglie di preghiera: "usava con bel modo un'altra mortificazione non piccola, andando in cerca di tutti gli animaletti i più fastidiosi, che poteva trovare, e se li poneva indosso per suo tormento" (Beatif. et canon. ..., Summarium, Romae 1906, pp. 59 s.), "avida, ed insaziabile de' patimenti". Uscita dal collegio nel 1702 esperta nella pittura e nel ricamo e ottima conoscitrice della lingua francese, tornò in famiglia, ma mostrò subito una incoercibile vocazione religiosa. Visse alcuni mesi scontando con l'umiltà e la mortificazione della carne lo sfarzo e il lusso della società in cui era stata presentata a Pisa. Dopo alcune resistenze della famiglia, che desiderava maritarla per rafforzare i suoi legami con la nobiltà pisana e che in un secondo tempo tentò almeno di farle scegliere un convento della città natale, la C. optò per il monastero delle suore francescane di Città di Castello, che era allora in gran fama per la presenza, di Veronica Giuliani. Questa dapprima si mostrò contraria ad accoglierla a causa della sua origine nobile, poi cedette - si disse - per ispirazione divina.
La C., dopo una visita di prammatica ai granduchi Cosimo e Violante de' Medici e un pellegrinaggio alla casa di Loreto, il 4 giugno 1703 fu accolta nel convento di clausura tifernate: l'8 giugno vestì l'abito e mutò il nome in quello di suor Florida. La badessa era allora Gertrude Albizzini, mentre maestra delle novizie era Veronica Giuliani, che dal 1697 portava le stimmate e proprio il 3 giugno 1703 era stata liberata dall'isolamento cui l'avevano costretta le autorità ecclesiastiche, sospettose per i fenomeni mistici di cui si era resa protagonista. Tra Veronica e la C. sorse subito una particolare amicizia sulla base della comune sete di mortificazione e di penitenza.
Il periodo di noviziato trascorse in un tirocinio ascetico: le due suore di notte, mentre le altre monache dormivano, si recavano in una cappella in fondo all'orto del convento e procedevano all'"esercizio della flagellazione di Gesù, come lo chiamava Suor Veronica. E le due Suore ritornavano in cella coperte di sangue, ma con l'animo ricolmo di gioia celeste" (Capozzi, p. 95). Ma non sembra che la C. sentisse per la Giuliani un reale affetto, anzi: una volta, quando questa comandò alle novizie di metterle un piede sul volto, la C. lo abbatté con forza "sulla bocca della santa fino a farla rimanere schiacciata e gonfia per parecchi giorni" (ibid., p. 97); inoltre rimproverava aspramente alla Giuliani la pretesa di farsi baciare tutte le sere le piaghe dalle novizie.
Dal momento del suo ingresso in convento la C. cominciò a soffrire di una tosse persistente, di cui la causa rimase sconosciuta; sempre tormentata da scrupoli, fece il voto di non scendere mai in parlatorio (ne fu sciolta dal confessore) e di rimanere sempre unita a Dio, ma fu assillata da tremende tentazioni diaboliche (secondo una testimonianza "per trent'anni fu tentata dal demonio contro la virtù della Castità, ed essa ne riportò vittoria": Nova positio super virtutibus..., p. 291).
Il 10 giugno 1705 fece la professione, ma chiese ed ottenne di rimanere nel noviziato per rimanere in intimità con la Giuliani. Nel 1705 le morirono entrambi i genitori ed essa, avendo conosciuto in una visione che stavano in purgatorio, si offrì di espiare al loro posto: per otto anni subì dolori lancinanti, gonfiori, febbri altissime, depressioni. In questo periodo sopportò anche le angherie del suo confessore, il padre Cappelletti, il quale, animato dallo zelo di collaborare con la volontà di mortificazione della C., le impose spesso di baciare lungamente i piedi delle novizie e "le ingiunse di lambire con la lingua i suoi sputi che erano per terra" (Positio super virtutibus..., p. 410); una volta ordinò a una suora di legarla per il collo e di trascinarla in mezzo alle compagne.
Eletta la Giuliani badessa (6 ag. 1716), la C. venne nominata vicaria con l'incarico da parte del S. Uffizio di sorvegliarla e di mantenere i rapporti con l'esterno, a quella vietati. In pratica fin d'allora fu lei a reggere il monastero, resistendo nel 1717 all'invito di Cosimo III de' Medici che le offrì di essere fondatrice e badessa del convento di Montughi presso Firenze. Nel giugno 1727, colta la Giuliani da apoplessia, la C. l'assistette nei giorni di agonia e, nella convinzione di farle provare la gioia di soffrire come Cristo in croce, non le concedeva neppure di calmare il tormento della sete.
Dopo la morte della Giuliani, la C. venne eletta badessa e lo rimase con qualche breve interruzione fino alla morte, imponendo nel convento la più stretta osservanza della regola.
Introdusse l'usanza che le suore defunte fossero sepolte dalle consorelle; sviluppò gli esercizi delle Via Crucis sanguinose, introdotte da Veronica Giuliani: le suore, vestite di cilici, flagellandosi ad ogni stazione, dovevano portare sulle spalle legni pesantissimi. Ripristinò la regola della povertà assoluta, vietando la proprietà personale di qualsiasi oggetto. Introdusse l'uso delle novene e della frequente comunione, anche in questo in contrasto con i sostenitori della "regolata devozione" che prendeva piede tra i cattolici più illuminati. Essa stessa, come penitenza, portava al collo e alla vita una croce e una cintura di ferro con punte acute; metteva nei sandali dei sassi appuntiti, ceci e piselli secchi; mangiava sale, e cibi conditi con cenere senzabere, per soffrire la sete; dormiva sulla nuda terra; più d'una volta con un coltello s'incise sul petto una croce e il nome di Maria e con un ferro rovente s'impresse il nome di Gesù; "talora si metteva i carboni accesi in bocca per refrigerarsi dell'immenso ardore che nutriva in petto" (Nova positio super virtutibus…, p. 100). L'eucarestia provocava spesso in lei fenomeni estatici di proporzioni drammatiche: violenta tachicardia, deliqui, pianti, splendore e calore nel volto.
Qualche anno dopo la morte della Giuliani, la C. ricevette le stimmate nel giorno dell'Annunciazione; ma, non volendo - per umiltà - che i segni della grazia divina fossero evidenti, essa pregò che venissero sostituite da piaghe profonde sparse in tutto il corpo; così avvenne e poté comunicare che i segni della Passione le erano stati impressi anche nel cuore. La fama della sua santità allora si diffuse ampiamente: il convento fu meta di pellegrinaggi ed essa operò guarigioni, moltiplicazioni di provviste, divinazioni; fu consultata da nobili, potenti, cardinali e vescovi.
Trascorse gli ultimi anni della vita completamente cieca e piagata da un erpete per cui rifiutò le opportune cure mediche. Morì nel convento di Città Castello il 12 giugno 1767 e i funerali videro il concorso di una folla enorme. Il suo corpo venne sezionato e il cuore, prelevato insieme con l'aorta, fu esaminato da un chirurgo che vi trovò segni che vennero interpretati come quelli descritti in vita dalla stessa Cevoli.
Nel 1827 il vescovo di Città di Castello, G. Muzi, iniziò l'inchiesta canonica sulle virtù e i miracoli. Il 1º giugno 1838 venne introdotta la causa di beatificazione e il 19 giugno 1910 Pio X proclamò le virtù eroiche della Cevoli.
Fonti e Bibl.: Un elenco degli scritti della C. (appunti di diario, lettere, composizioni in versi, ecc., tutti ined. e conservati dalle cappuccine di Città di Castello) è in Anacleta Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, XIII (1897), pp. 135-144; Tifern. Beatificationis et Canoniz. Servae Dei Sor. F. C., monialis professae in monasterio Capuccinarum Tiferni,Positio super introductione causae, Romae 1837; Positio super non cultu, ibid. 1839; Positio super fama in genere, ibid. 1847; Positio super validitate processuum, ibid. 1887; Positio super virtutibus, ibid. 1906; Nova positio super virtutibus, ibid. 1907; Novissima positio super virtutibus, ibid. 1909; F. Gemelli, Compendio della vita,delle virtù,doni,e prodigi della ven. serva di Dio suor F.C..., Roma 1838; G. Sainati, Vita della ven. serva di Dio suor F.C., di Pisa,cappuccina in Città di Castello, Monza 1873; M. D. Capozzi, Suor F. dei conti Cevoli: la confidente di s. Veronica Giuliani, Milano 1936; O. Fiorucci, Ven. suor F. C., contessa pisana,cappuccina tifernate(1703-1767), Città di Castello 1964; La contessa venerabile suor F. C., cappuccina di s. Veronica,nel 2º centenario della morte(1767-1967), Città di Castello 1967; Felice da Mareto, Le cappuccine nel mondo(1538-1969).Cenni stor. e bibliografia, Parma 1970, pp. 268-270; Bibl. sanctorum, III, coll.1164 s.