flessibilita
flessibilità s. f. – In economia è la capacità di un sistema economico di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente circostante. Il concetto di f. viene evocato continuamente, anche se in modo indefinito, nel mercato del lavoro e viene erroneamente associato esclusivamente alla sola facilità di licenziamento e assunzione delle imprese. Più in generale la f. del lavoro esprime invece una sorta di indicatore dell’intensità e della velocità con cui le variabili fondamentali proprie di questo mercato reagiscono al verificarsi di particolari eventi. La letteratura economica ha definito una serie di componenti che contribuiscono a rendere un mercato del lavoro flessibile. Nella definizione dell’OCSE (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che include le economie dei 30 paesi più industrializzati) sono inclusi cinque aspetti: f. esterna, f. numerica interna, f. funzionale, f. salariale e f. di esternalizzazione. Tutte e cinque le componenti della f. sono utili a ottenere un mercato del lavoro flessibile e tra loro possono esserci rapporti di complementarietà o sostituibilità. Più in dettaglio, la f. esterna riguarda la capacità da parte dell’impresa di aumentare o ridurre il numero di lavoratori al suo interno. È tanto più elevata quanto minori sono i costi di assunzione e licenziamento e quanto meno rigida è la legislazione di protezione del lavoro; la f. numerica interna misura invece l’abilità dell’impresa di variare l’input lavoro (le ore di lavoro per unità di tempo) senza licenziare o assumere lavoratori, per es. ricorrendo al lavoro straordinario: è rilevante soprattutto laddove ci siano variazioni stagionali o inattese nella produzione. La f. funzionale misura la capacità dell’impresa di riorganizzare i propri lavoratori su diverse mansioni, differenti luoghi e tipi di lavoro; mentre la f. salariale si riferisce, nei termini più tradizionali, alla misura in cui i salari, e specificamente quelli reali, sono reattivi rispetto a variazioni di domanda e offerta di lavoro. Consiste quindi nella capacità dei datori di lavoro di alterare la retribuzione pagata ai propri lavoratori quando le condizioni del mercato lo richiedano e in relazione all’andamento della produttività; essa è generalmente limitata dove la contrattazione salariale è fortemente centralizzata, mentre può essere favorita dalla contrattazione. La f. di esternalizzazione, infine, consiste nell’utilizzo, da parte delle imprese, di lavoratori esterni all’impresa instaurando rapporti di tipo commerciale anziché lavorativo; non è molto diffusa in Italia e prende le forme, per es., del telelavoro oppure del lavoro a distanza. Le misure di liberalizzazione attuate in Italia a partire dagli anni Novanta del 20° sec. (v. Biagi, legge) hanno introdotto tipologie contrattuali nuove, con l’effetto di un aumento della f. numerica esterna attraverso la riduzione dei vincoli fronteggiati dall’impresa relativi ai propri lavoratori e la limitazione in alcuni casi della tutela del posto di lavoro, ma anche, in senso generale, offrendo all’impresa la possibilità di disporre del lavoratore per mansioni diverse, per periodi di tempo determinati, secondo orari particolari, in differenti luoghi.
Flessibilità nell’accesso al lavoro. – Deve essere valutata avuto riguardo agli strumenti contrattuali nei quali può essere dedotta una prestazione di lavoro svolta in modo prevalentemente personale, sia essa autonoma o subordinata. Nell'accezione sicuramente più diffusa il concetto sta a indicare il livello di disponibilità di tutti quei contratti di lavoro diversi dal modello sociale di riferimento del contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. In altri termini, il livello di flessibilità nell’accesso al lavoro dipende dalla minore o maggiore disponibilità che l’ordinamento lascia all’autonomia privata, e cioè al singolo datore di lavoro e lavoratore, nella stipulazione di contratti di lavoro diversi da quello socialmente prevalente. Nel nostro ordinamento questo tipo di flessibilità, in principio preclusa, ha registrato un incremento a partire dagli anni Ottanta del Novecento per la necessità di individuare modelli di contemperamento degli interessi del lavoro e del capitale in linea con il contesto socioeconomico nazionale e internazionale. Con la l. 56/1987 è stata affidata alla contrattazione collettiva la facoltà d'individuare ulteriori ipotesi di apposizione del termine al contratto di lavoro. Nel periodo successivo, i passaggi più significativi di questa evoluzione normativa sono stati quelli scanditi dalla l. 196/1997, che per la prima volta ha introdotto nel nostro ordinamento il lavoro interinale; dal d. lgs. 61/2000, che ha reso più flessibile l’utilizzo del contratto di lavoro a tempo parziale; dal d. lgs. 368/2001, che ha sostanzialmente ampliato le ipotesi di utilizzabilità del lavoro a termine; dal d. lgs. 276/2003, che ha ridefinito l’intera materia del mercato del lavoro apportando modifiche alla disciplina del lavoro autonomo e dell’apprendistato e introducendo, tra l’altro, la regolamentazione del lavoro in somministrazione, del lavoro ripartito, del lavoro accessorio, del lavoro intermittente. Per alcuni osservatori l’incremento della flessibilità nell’accesso al lavoro è da mettere in relazione alla rigidità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, in particolare, alla rigidità dell’apparato sanzionatorio ivi previsto contro i licenziamenti illegittimi. Nella riforma del lavoro varata dal governo Monti e definitivamente approvata dal Parlamento con la l. 28 giugno 2012, n. 92, la flessibilità nell’accesso al lavoro viene ridimensionata a fronte di una maggiore flessibilità in uscita dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Flessibilità nel rapporto di lavoro. – Attiene alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato e, in particolare, ai suoi aspetti più salienti quali le mansioni, l’orario, il peso e i criteri di quantificazione della retribuzione variabile legata alla produttività. Questo tipo di flessibilità è principalmente demandata alla contrattazione collettiva nazionale e aziendale. Da ultimo, l’art. 8 del d. l. 138/2011, convertito nella l. 188/2011, ha affidato alla contrattazione collettiva di prossimità, sia essa territoriale o aziendale, la facoltà d'intervenire nella regolamentazione del rapporto di lavoro anche in deroga alla legge.
Flessibilità in uscita. – È riferita al tipo di protezione che l’ordinamento offre al lavoratore contro il licenziamento. Ogni licenziamento deve essere legittimato da una giusta causa o da un giustificato motivo, ma solo per chi lavora alle dipendenze di datori di lavoro di medie e grandi dimensioni opera il più rigido regime sanzionatorio della reintegrazione nel posto di lavoro. La riforma del lavoro del Governo Monti interviene proprio su questo regime sanzionatorio con alcuni adattamenti che tendono a incrementare la flessibilità in uscita dalle medie e grandi imprese.