Flesh and the Devil
(USA 1926, La carne e il diavolo, bianco e nero, 111m a 22 fps); regia: Clarence Brown; produzione: MGM; soggetto: dal romanzo Es war di Herman Sudermann; sceneggiatura: Benjamin F. Glazer, Hanns Kräly; fotografia: William Daniels; montaggio: Lloyd Nosler; scenografia: Cedric Gibbons, Fredric Hope; costumi: André-ani.
Nella Germania di fine Ottocento, Felicitas, bellezza fatale, s'innamora del giovane tenente Leo von Harden, a sua volta folgorato dalla passione per lei. Ma Felicitas è sposata, e convince l'amato a sfidare a duello il marito; Leo uccide il rivale ed è costretto a fuggire, nella speranza che Felicitas sappia aspettare il suo ritorno. Lei però, per quanto innamorata, non accetta la solitudine e si fa consolare da Ulrich, compagno d'armi e miglior amico di Leo. Si sposano ‒ Ulrich è all'oscuro del passato di Felicitas, del suo legame con von Harden; quindi Leo ritorna, prende atto della nuova situazione, ma la passione divampa di nuovo e s'arriva alle soglie d'un altro duello. Questa volta però gli antichi amici si guardano negli occhi, e rinunciano a battersi. L'amicizia virile trionfa sull'amore mentre Felicitas, ormai sola, si lascia morire tra i ghiacci.
Il più celebre dei film muti di Greta Garbo, l'unico che ancora appartenga a una memoria cinematografica diffusa, è perlomeno all'apparenza la storia di un'amicizia tra due uomini, carica di tutta l'ambiguità che il cinema americano prima del codice Hays sapeva ancora permettersi. Così stabilisce la pesante cornice della vicenda (da un ponderoso romanzo di serie B del tedesco Herman Sudermann); ma il cuore e la sostanza di Flesh and the Devil stanno tutte nel personaggio d'una Garbo ventunenne e alla sua terza apparizione nel cinema americano (dopo The Torrent ‒ Il torrente, Monta Bell 1926 e dopo The Temptress ‒ La tentatrice, 1926, che lo sfortunato pigmalione Mauritz Stiller, ricusato dalla MGM, deve cedere a Fred Niblo).
Il film segna il primo incontro tra Garbo e Clarence Brown, forse non in assoluto il miglior regista a dirigerla (ci sono Cukor e Lubitsch), ma certo quello che più contribuisce a creare intorno all'attrice svedese quell'aura di dissipazione amorosa e languida solitudine che resterà cifra irripetibile della sua 'persona' cinematografica e reale (dopo Flesh and the Devil, gireranno insieme altri sei film, fino al 1937 di Conquest ‒ Maria Walewska). Così, dopo una prima parte di gioiose schermaglie virili, nelle quali John Gilbert traccia un personaggio più energico e canagliesco e Lars Hanson mostra un carattere più saggio e devoto, è come se il centro dell'attenzione e l'asse della storia venissero piegati a forza. Garbo scende da un treno (lo stesso Brown le offrirà identica entrata in scena in Anna Karenina, 1935): per il tenente von Harden è un'epifania, per lei il segno che il suo destino è arrivato. Si ritrovano nell'inquadratura sinuosa e animata di un ballo, si riconoscono oltre una cortina di schiene danzanti; il loro ballo è già quasi un bacio, e in un'unica, ardita sequenza ci troviamo nell'oscurità di un giardino notturno, nell'intimità di un primo piano rischiarato solo da un fiammifero acceso, quindi dalla brace di una sigaretta che passa da una bocca all'altra. È l'apoteosi romantica e sensuale, è la fluida continuità d'una seduzione reciproca come il cinema americano non aveva mai mostrato prima, meravigliosamente fotografata da William Daniels.
Flesh and the Devil, melodramma d'amore e perdizione sullo sfondo d'una Mitteleuropa stilizzata secondo canone hollywoodiano, è soprattutto questo: un trionfo fotogenico sulla cattiva letteratura. Per questo il viso di Garbo ("questo viso non disegnato ma scolpito in una materia liscia e friabile, cioè perfetto ed effimero a un tempo… occhi di triste vegetale, viso di totem", nelle parole famose di Roland Barthes) ne diventa il senso e la ragion d'essere. Tra i ripetuti abbracci virili che scandiscono i vari momenti di passaggio, ribadiscono la sacralità dell'amicizia e cercano invano di arginare la catena di catastrofi innescata da Felicitas, Garbo procede sorretta da una forza allucinata di cui solo lei sembra conoscere direzione ed esito. Quando John Gilbert torna, lo sprofondare nel desiderio è solo un labbro morso in un viso di mortale pallore, su fondo nero. Come una versione premoderna e passiva (ma è passività capace d'ogni audacia) della Lulu di Pabst e Louise Brooks (Die Büchse der Pandora), anche Felicitas si consegna alla consunzione erotica, sfiora la violenza, affronta il degrado, cerca le cerimonie dell'umiliazione (rincorrere, implorare nella neve l'amante che le sfugge, e che forse potrà commuoversi allo spettacolo delle sue scarpe fradice di bambina). Poi muore, forse per espiazione (in un finale giudicato da molti commentatori sommario e misogino), forse perché esclusa dal gioco dei desideri che ha infine ricongiunto la coppia maschile: quella che in fondo, nonostante l'ormai prossimo statuto divistico di Greta Garbo, nei credits di Flesh and the Devil ha ancora i nomi sopra il titolo.
Resta, di questo film antico dalla luministica preziosa (ovvero, uno dei tanti film d'epoca muta di cui solo la perfezione delle copie può far cogliere il senso), soprattutto la mirabile sequenza blasfema: Garbo, non potendo avere alcun altro contatto con Gilbert, si inginocchia accanto a lui ai piedi dell'altare e gira tra le mani la coppa del vino eucaristico, fino a poter posare le labbra nel punto esatto in cui l'amante ha posato le sue. I surrealisti esultarono, il pubblico d'epoca s'eccitò all'idea molto ben veicolata dagli studios che Garbo e Gilbert avessero un vero love affair, e ancora oggi la scena non ha perso la sua equivoca suggestione.
Interpreti e personaggi: Greta Garbo (Felicitas), John Gilbert (tenente Leo von Harden), Lars Hanson (Ulrich von Heltz), Marc MacDermott (conte von Rhaden), Barbara Kent (Herta Prochvitz), George Fawcett (pastore Brenckenburg), William Orlamond (zio Kutowski), Eugenie Besserer (madre di Leo), Marcelle Corday (Minna).
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