CETEGO, Flavio Rufio Petronio Nicomaco
Appartenente ad una delle più illustri casate della Roma imperiale, legata da vincoli di parentela con quella degli Anicii, era figlio del senatore Petronio Probino. La prima notizia sicura su di lui risale al 504, quando fu nominato console da Teodorico.
La nomina deve collocarsi nel quadro delle complesse vicende del così detto scisma laurenziano che travagliò la Chiesa romana nei primi anni del VI secolo. L'aristocrazia senatoria e il clero romano si trovarono allora divisi tra i sostenitori di papa Simmaco e quelli di Lorenzo, mentre Teodorico cercava di giungere a una mediazione tra i due partiti, sostenuto da un gruppo di senatori più moderati. Il contrasto aveva anche un contenuto politico, in quanto i sostenitori di Lorenzo propugnavano un più accentuato legame con Bisanzio, mentre i simmachiani difendevano l'autonomia del regno dall'imperatore. Uno dei principali esponenti del partito laurenziano era il padre del C., Petronio Probino. Teodorico, che aveva bisogno del sostegno dell'aristocrazia romana e che voleva conservare inalterati i suoi rapporti con l'Impero, tentò tra il 503 e il 504 di sanare il contrasto tra le due parti, assegnando le principali cariche romane a esponenti delle opposte fazioni: perciò nel 503 nominò quaestorpalatii il capo dei simmachiani, Fausto, e l'anno successivo scelse il C. come console.
Sin dall'inizio del secolo, dunque, il C. appare schierato nel partito più fedele a Bisanzio. E nella capitale dell'Impero egli dovette, probabilmente, negli anni successivi, se è possibile identificarlo con quel nobile romano di nome Petronio che Severo d'Antiochia dichiara di aver conosciuto a Bisanzio in un anno imprecisato tra il 503 e il 511. Severo narra, infatti, di aver discusso a lungo della natura di Cristo con due nobili romani, Renato Marzio e Petronio, allora in visita a Bisanzio. Nel 511-512 il C., come ricorda Ennodio, era membro del Senato romano. Nel 521, poi, venne nominato da Teodorico magister officiorum (Sundwall): tale nomina deve, con ogni probabilità, mettersi in relazione con il tentativo del sovrano goto di attenuare i contrasti con l'Impero, contrasti che peraltro si apriranno in modo violento negli anni immediatamente successivi.
Dopo questa data mancano per lungo tempo notizie sul C., di modo che non si è in grado di stabilire la posizione da lui assunta durante la crisi apertasi tra regno goto e Bisanzio alla fine del governo di Teodorico e durante i suoi successori, né la sua azione nel primo periodo della guerra gota. Sappiamo soltanto che nell'autunno del 545 egli divenne princeps (o caput) Senatus.Roma, che Belisario aveva conquistato sin dal 536, si trovava assediata dall'esercito di Totila e difesa da truppe bizantine al Comando di Bessa. Quest'ultimo, incapace di sviluppare un'efficace azione militare, tanto meno era in grado di far fronte alla grave carestia che si andava abbattendo sulla cittadinanza e si preoccupava soprattutto di arricchirsi a spese delle più abbienti famiglie romane. L'opposizione senatoria al suo governo dovette trovare nel C. uno dei principali esponenti, se nel 546 egli, accusato dalle autorità militari bizantine di alto tradimento, fu costretto ad abbandonare di nascosto la città per evitare la condanna e a rifugiarsi a Centumcellae (Civitavecchia). È evidente, peraltro, che la sua opposizione a Bessa non implicò il suo passaggio al partito goto: quando, infatti, il Totila, nel dicembre del 546, occupò Roma, il C., insieme con altri nobili romani, lasciò l'Italia e si trasferì a Bisanzio. Probabilmente con lui partì Cassiodoro, da tempo amico del C. al quale dedicò l'opera nota come Anecdoton Holderi.
Accolto con grande onore da Giustiniano, il C. divenne uno dei principali esponenti degli esuli latini e sin dall'inizio si adoperò per convincere l'imperatore a impegnarsi in modo decisivo nella guerra contro i Goti. La sua azione si fece ancora più pressante in seguito ai provvedimenti espropriativi adottati dal Totila nei confronti dei senatori che avevano lasciato l'Italia e al tentativo del re goto di accattivarsi il sostegno dell'aristocrazia rimasta nella penisola. L'adesione di Giustiniano alla linea politica proposta dal C. e dagli altri esuli era, peraltro, condizionata alla definizione - o quanto meno all'attenuazione - delle divergenze politico-religiose tra l'imperatore medesimo e il partito romano che faceva capo al papa Vigilio, anch'egli a Bisanzio dal 547. Di qui la lunga opera svolta dal C. e da altri senatori per attenuare l'intransigenza del pontefice e indurlo a un accordo con Giustiniano. In particolare essi cercarono di ottenere da Vigilio una definitiva scomunica dei tre capitoli. Giustiniano ne chiedeva l'esplicita condanna per consentire il ritorno nella Chiesa delle correnti monofisite che trovavano a corte autorevoli sostegni.
Il 15 ag. 550 il C. fu tra i testimoni dell'atto - che si voleva mantenere segreto - con il quale il pontefice dichiarava di impegnarsi decisamente per ottenere dal concilio la condanna dei tre capitoli. Tale decisione, peraltro, non pose fine al contrasto tra Vigilio e Giustiniano, poiché il partito romano più intransigente continuò ad opporsi alla condanna e indusse il pontefice a ritornare sulla sua decisione e a difendere con maggior determinazione la propria indipendenza dall'imperatore. Invano il C. e gli altri senatori esuli si adoperarono in questi mesi per convincere Vigilio e i suoi familiari più intransigenti. Ma se la sua azione, in questa prima fase, non ottenne i risultati sperati, riuscì, comunque, ad evitare una completa rottura tra il papa e l'imperatore. Così, nell'agosto del 551, quando Giustiniano decise di arrestare il pontefice e questi abbandonò la sua residenza e cercò rifugio, nella chiesa di S. Pietro in Hormisda, fu il C., insieme con altri esuli latini, a intervenire per scongiurare un più deciso aggravarsi del dissidio: ottenne allora precise garanzie dall'imperatore sulla libertà personale del papa e riuscì a convincere Vigilio ad accettarle e a rientrare nel palazzo. E ancora il C. si recò a Calcedonia, dove Vigilio era fuggito nella notte del 23 dic. 551, stanco dei controlli e delle pressioni su di lui esercitati dalle autorità imperiali. Apertosi, poi, nel maggio 553 il V concilio ecumenico, il C., insieme con altri latini, cercò di convincere il pontefice a parteciparvi. Dopo lunghe difficoltà la sua azione venne coronata da successo: il 23 febbr. 554 Vigilio condannava solennemente i tre capitoli. Il C. ed altri esuli, tra cui Cassiodoro, furono tra i principali ispiratori della Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii, con la quale Giustiniano, oltre a stabilire il nuovo ordinamento dell'Italia, reintegrava nei loro diritti, e nei loro beni tutti i proprietari che avevano dovuto subire l'esproprio da parte dei Goti.
Al pari degli altri esuli latini il C. rientrò in Italia al termine della conquista bizantina. È probabile, tuttavia, che non si stabilisse a Roma, ma preferisse ritirarsi nelle sue proprietà, così come fece, ad esempio, Cassiodoro. Secondo l'Usener, comunque, non è da escludere che il C. ricoprisse una qualche carica nell'amministrazione bizantina d'Italia. L'ultima notizia che abbiamo su di lui si trova in una lettera di papa Pelagio I del 558 circa, dalla quale risulta che il C. si trovava in Sicilia.
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