Flat tax per gli stranieri
La legge di bilancio per il 2017 (l. 11.12.2016, n. 232) ha introdotto una serie di agevolazioni fiscali e finanziarie volte ad attrarre investimenti esteri nel territorio nazionale. Con questo fine, in particolare, è stata disciplinata, all’art. 1, co. da 152 a 154 e da 157 a 159, un’imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero, subito indicata col termine Flat tax. Nella sostanza, il legislatore ha inciso sulla disciplina del testo unico delle imposte sui redditi – t.u.i.r., di cui al d.P.R. 22.12.1986, n. 917, coniando il nuovo art. 24 bis, finalizzato a consentire alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia di optare, a specifiche condizioni, per l’applicazione di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero. Di tale istituto verranno qui indicate le specifiche caratteristiche, prendendo in considerazione le problematiche evocate dal più generale riferimento al modello di tassazione piatta.
L’art. 1 della l. 11.12.2016, n. 232, legge di bilancio per il 2017, ha introdotto, ai co. da 148 a 159, una serie di agevolazioni fiscali e finanziarie volte ad attrarre investimenti esteri nel territorio nazionale. Con questo fine, in particolare, è stata disciplinata, nei commi che vanno dal 152 al 154 e dal 157 al 159, un’imposta sostitutiva forfettaria sui redditi prodotti all’estero, subito denominata col termine Flat tax. Invero il legislatore ha inciso, in tal modo, sulla disciplina del testo unico delle imposte sui redditi – t.u.i.r., di cui al d.P.R. 22.12.1986, n. 917, in particolare introducendo, col co. 152, l’art. 24 bis, onde consentire alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia di optare, a specifiche condizioni, per l’applicazione di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero.
Per la precisione la norma ha come destinatari le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2, co. 2, t.u.i.r., ma che in Italia non siano state già residenti in almeno nove dei dieci periodi d’imposta che precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione. Sicché l’imposta sostitutiva colpisce i redditi prodotti all’estero individuati ai sensi dell’art. 165, co. 2, t.u.i.r, mediante rinvio ai criteri di cui all’art. 23 del medesimo testo unico. Giova rammentare che, mancando una convenzione contro le doppie imposizioni, il reddito si considera prodotto all’estero sulla base di criteri reciproci rispetto a quelli previsti dal menzionato art. 23 t.u.i.r., il quale identifica i redditi prodotti nel territorio dello Stato tenendo conto delle diverse tipologie.
Per converso l’imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (art. 67, co. 1, lett. c, t.u.i.r.) nei primi cinque periodi d’imposta di validità dell’opzione. Per cui tali plusvalenze rimangono soggette al regime ordinario di imposizione di cui all’art. 68, co. 3, t.u.i.r., e concorrono a formare il reddito, al netto delle relative minusvalenze, nella misura prevista dalla legge.
Il nuovo art. 24 bis t.u.i.r., al co. 2, fissa inoltre la misura dell’imposta sostitutiva, calcolandola in via forfettaria, a prescindere cioè dall’importo dei redditi percepiti: da qui l’uso del termine Flat tax per descriverne l’essenza. L’imposta è fissata nella misura di centomila euro per ciascun periodo d’imposta in cui l’opzione stessa è valida, e tale importo è ridotto a venticinquemila euro per ciascuno dei familiari a cui il soggetto passivo può chiedere di estenderne l’applicazione.
L’imposta deve essere versata in un’unica soluzione entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi e non è deducibile da nessun’altra imposta o contributo.
Il regime generale dell’imposta sostitutiva deve essere messo a fuoco nei suoi specifici passaggi, onde comprenderne, da un lato, le modalità applicative e, dall’altro, gli effetti.
È così innanzitutto opportuno sottolineare che il co. 157 dell’art. 1 della citata legge di bilancio ha demandato a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate le modalità applicative per l’esercizio, la modifica o la revoca dell’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero.
Come chiarito in tale provvedimento [1], l’opzione per il regime di imposta sostitutiva si perfeziona con la presentazione della dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui i soggetti destinatari hanno trasferito in Italia la loro residenza, ai sensi dell’art. 2, co. 2, t.u.i.r., ovvero con la presentazione della dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta a quello successivo.
Appare importante sottolineare che ai fini dell’accesso al regime fiscale il contribuente può presentare una specifica istanza di interpello probatorio, ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. b), l. 27.7.2000, n. 212 (cd. Statuto del contribuente).
In tal caso trovano applicazione le disposizioni del titolo I del d.lgs. 24.9.2015, n. 156.
Poiché, tra le forme ivi disciplinate, l’interpello probatorio riguarda la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge, vi è che nell’istanza di interpello il contribuente deve tra l’altro indicare, oltre ovviamente ai dati anagrafici e allo status di non residente in Italia per il tempo previsto, anche gli ambiti territoriali di ultima residenza fiscale e i territori esteri per i quali intende esercitare la facoltà di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva. Soprattutto deve indicare gli elementi necessari per il riscontro delle condizioni per l’accesso al regime dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, compilando un’apposita check list [2] e presentando la documentazione a supporto.
L’opzione deve essere esercitata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui viene trasferita la residenza in Italia ed è efficace a decorrere da tale periodo d’imposta.
Deve essere poi indicata anche la giurisdizione o le giurisdizioni dell’ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione.
L’Agenzia delle entrate trasmette difatti le informazioni, attraverso gli idonei strumenti di cooperazione amministrativa, alle autorità fiscali delle giurisdizioni indicate come luogo di ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione.
L’opzione, in base all’art. 24 bis, co. 4, t.u.i.r., è revocabile e in ogni caso cessa di produrre i suoi effetti decorsi quindici anni dal primo periodo d’imposta per la quale essa è valida.
Gli effetti dell’opzione cessano inoltre nell’ipotesi di omesso o parziale versamento, in tutto o in parte, dell’imposta sostitutiva, nella misura e nei termini previsti dalla legge, fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d’imposta precedenti.
Gli interessati devono versare l’imposta sostitutiva, nella misura di centomila euro, in un’unica soluzione, per ciascun periodo di imposta di efficacia del regime, entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.
E analogamente, qualora ricorrano le condizioni, per ciascun familiare al quale si estende il regime deve essere versata anche l’imposta sostitutiva nella misura di venticinquemila euro, in unica soluzione, per ciascun periodo di imposta di efficacia del regime medesimo, entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.
Il pagamento segue le modalità di cui agli art. 17 e ss. del d.lgs. 9.7.1997, n. 241, salva l’indicazione del codice tributo da indicare in fase di versamento, che è demandato a distinta risoluzione ministeriale unitamente alle istruzioni per la compilazione del modello F24.
Ben vero l’art. 24 bis, co. 5, consente al contribuente di scegliere, per sé o per i propri familiari, sia in sede di esercizio dell’opzione che con successiva modifica della stessa, di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sostitutiva con riferimento ai redditi prodotti in uno o più Stati o territori esteri. Soltanto in tal caso, per i redditi prodotti nei suddetti Stati o territori esteri espressamente indicati, si applica il regime ordinario e compete, quindi, il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.
Ai fini dell’individuazione dello Stato o territorio estero in cui sono prodotti i redditi, vengono in considerazione i criteri di cui al già menzionato art. 23 t.u.i.r.
Il beneficiario dell’opzione può chiedere che essa venga estesa, nel corso di tutto il periodo di validità, a uno o più familiari individuati dall’art. 433 c.c., vale a dire ai soggetti obbligati a prestare gli alimenti: tali sono il coniuge, i figli anche adottivi e i genitori (o, in loro rispettiva mancanza, i discendenti o gli ascendenti prossimi), gli adottanti, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle germani o unilaterali. Per usufruire dell’imposta sostitutiva i suddetti familiari debbono ovviamente trovarsi nelle medesime condizioni poste dall’art. 24 bis, co. 1, e dunque devono avere a loro volta trasferito la propria residenza fiscale in Italia ma non essere stati residenti fiscalmente nello Stato per un periodo almeno pari a nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione. Anche in tale ipotesi il soggetto, che esercita l’opzione, deve indicare la giurisdizione o le giurisdizioni in cui i familiari (a cui si estende il regime) avevano l’ultima residenza prima dell’esercizio di validità dell’opzione medesima. L’estensione può, infatti, essere revocata in relazione a uno o più di detti familiari. E del resto la revoca dall’opzione e la decadenza dal regime del soggetto che esercita l’opzione si estendono anche ai familiari. Tuttavia deve anche ritenersi che la decadenza dal regime di uno o più dei suddetti familiari, per omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva loro riferita, non comporta la decadenza dal regime per le persone fisiche che hanno esercitato l’opzione in prima persona.
È importante evidenziare che il co. 153 della legge di bilancio 2017 reca alcune disposizioni di dettaglio, applicative del nuovo regime.
In particolare, i soggetti che esercitano l’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi esteri per i periodi d’imposta di validità dell’opzione ivi prevista non sono tenuti agli obblighi di dichiarazione di attività e investimenti esteri di cui all’art. 4 d.l. 28.6.1990, n. 167, conv. con mod. dalla l. 4.8.1990, n. 227, e sono esenti dall’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio, rispettivamente previste dall’art. 19, co. 13 e 18, d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. con mod. dalla l. 22.12.2011, n. 214.
Analoghe agevolazioni si applicano ai familiari cui è estesa l’opzione.
Il co.154 chiarisce poi che gli effetti dell’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero non sono cumulabili con altre tipologie di incentivi, come quelli per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero (art. 44 d.l. 31.5.2010, n. 78, conv. con mod. dalla l. 30.7.2010, n. 122), né con le agevolazioni per il rientro dei lavoratori qualificati (art. 16 d.lgs. 14.9.2015, n. 147).
Infine è da dire che la disciplina dell’imposta forfettaria è stata opportunamente coordinata col regime delle successioni aperte all’estero e delle donazioni. Al co. 158 il legislatore ha previsto che, per le successioni aperte e le donazioni effettuate nei periodi d’imposta di validità dell’opzione di cui all’art. 24 bis t.u.i.r., l’imposta sulle successioni e donazioni sia dovuta limitatamente ai beni e diritti esistenti nello Stato al momento della successione o della donazione. Il nuovo regime (co. 159) si applica ai redditi relativi all’anno d’imposta 2017, e dunque a partire dagli adempimenti dichiarativi per l’anno successivo.
Gli effetti del regime di imposizione sostitutiva dei redditi prodotti all’estero cessano decorsi quindici anni dal primo periodo d’imposta di validità dell’opzione.
Il contribuente che ha esercitato l’opzione, o il familiare a cui la stessa è stata estesa, possono revocare l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa a uno dei periodi d’imposta successivi a quello in cui è stata esercitata. In tal caso, qualora per tale periodo di imposta non sia tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, il soggetto interessato deve effettuare un’apposita comunicazione alla Direzione centrale accertamento entro la data di scadenza della presentazione della dichiarazione.
Il contribuente che ha esteso l’opzione ai familiari può revocare la detta estensione, e in tal caso il familiare deve indicare a sua volta tale revoca nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di efficacia della stessa. La decadenza dal regime è prevista in due casi:
a) per l’omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva entro la data prevista per il pagamento del saldo delle imposte sui redditi, con effetto dal periodo d’imposta rispetto al quale doveva essere eseguito il versamento;
b) per il trasferimento della residenza fiscale in altro Stato o territorio, con effetto dal periodo d’imposta in cui perde la residenza in Italia ai fini fiscali.
La revoca dell’opzione e la decadenza dal regime precludono l’esercizio di una nuova opzione. Da notare che la cessazione degli effetti, la revoca dell’opzione e la decadenza dal regime del soggetto che esercita l’opzione comportano la cessazione degli effetti dell’opzione anche rispetto ai familiari a cui il regime risulti esteso. Tuttavia non precludono – come accennato – a ciascuno dei familiari di esercitare un’opzione autonoma con efficacia per i periodi d’imposta residui, fino a un totale di quindici periodi d’imposta, computando anche le annualità in cui tali soggetti hanno goduto del regime come familiari. In tal caso, ciascun familiare che esercita un’opzione autonoma può estenderne gli effetti ai suoi familiari, ma questi ultimi non possono godere del regime per più di quindici periodi d’imposta complessivi, computando le annualità in cui hanno già fruito del regime per effetto dell’estensione dell’opzione di altro soggetto.
I familiari a loro volta decadono dal regime ancora nei medesimi due casi sopra ricordati: omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva dagli stessi dovuta e trasferimento della residenza fiscale in altro Stato o territorio.
Il nuovo regime d’imposta sostitutiva presenta alcune criticità direttamente correlate alla sua specifica essenza. Appare quindi opportuno svolgere in proposito alcune brevi considerazioni, essendo il tema chiaramente inciso dai profili più direttamente coinvolgenti la problematica di riferimento, relativa al generale modello di Flat tax.
Rilievo preliminare è che si è dinanzi a un’imposta forfettaria, da cui è derivato l’impiego del nomen Flat tax per stranieri. La comunanza di lessico, e in ogni caso la natura appunto forfettaria dell’imposta, hanno immediatamente portato a compulsare il dibattito che negli ultimi anni sta, a livello di sistema, caratterizzando la Flat tax in sé e per sé considerata, quale imposta ad aliquota piatta destinata ad alleviare, secondo alcuni, il prelievo generale su lavoratori e produttori in un contesto di equità di tipo orizzontale. Può in verità osservarsi come all’atto pratico sia indubitabile la vantaggiosità del regime fiscale introdotto dalla legge di bilancio del 2017, in vista del perseguimento degli obiettivi di incentivazione degli stranieri facoltosi a trasferire la residenza fiscale nel territorio dello Stato. In particolare il regime agevolato permette di pagare centomila euro di imposte all’anno, oltre a venticinquemila euro per ogni familiare che vuole avvalersi della stessa opportunità, e per avere diritto a questa imposta forfettaria è necessario semplicemente aver trascorso fuori dal territorio dello Stato, con assunzione correlata di residenza estera, nove degli ultimi dieci anni. In altri termini, l’agevolazione non può essere utilizzata da persone che spostano la residenza fuori dall’Italia per poi riacquisirla al solo fine di goderne. Ma per il resto, nelle condizioni previste dalla legge, il regime fiscale è di indubbio vantaggio perché appunto forfettario (a prescindere dal reddito). Esso mantiene poi una durata massima considerevole: quindici anni. Per cui, facendo riferimento unicamente ai redditi prodotti all’estero, il sistema si presenta di indubbio vantaggio per tutti gli imprenditori stranieri che concretizzano il loro reddito fuori dall’Italia ma che avrebbero convenienza a trasferire la residenza in Italia in cambio di un’imposizione fiscale ridotta (per fare un esempio, la nuova imprenditoria cinese). E non è senza significato che l’idea di attirare facoltosi cittadini stranieri sia tornata a diffondersi in diversi Paesi europei dopo il referendum del Regno Unito, meglio conosciuto come referendum su Brexit. Nello specifico la ratio dell’intervento normativo è quindi da ricercare nella comune previsione che, una volta maturata l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, è possibile che molti imprenditori finiscano per lasciare quel paese per trasferirsi nell’Europa continentale. Sennonché deve anche sottolinearsi che il termine Flat tax per descrivere la nuova imposta non appare appropriato, giacché, in senso stretto, la Flat tax indica un’imposizione sul reddito formata da una sola aliquota indipendente dall’ammontare del reddito stesso. Si tratta quindi di un meccanismo di imposizione su base complessiva. Ciò nonostante è ovvio che la strutturazione del tributo non è dissimile, almeno da un punto di vista filosofico generale, e questo comporta la necessità di misurarne il peso specifico in rapporto a canoni costituzionali avvinti al criterio di progressività dell’imposizione, come forma mediatoria tra l’interesse fiscale e il principio di capacità contributiva (art. 53, co. 2, Cost.). Tale angolo prospettico, a fronte dell’ordinario regime di imposizione fiscale progressiva implicato dall’ordinamento costituzionale, porta a sottolineare che la nuova imposta per stranieri si presenta concettualmente come imposta capitaria, vale a dire come imposta a somma fissa, stabilita in misura eguale per tutti i contribuenti. Difatti l’imposta capitaria ha la sua peculiarità in ciò: che il contribuente (o il beneficiario) non può influire sull’ammontare del trasferimento di ricchezza modificando il proprio comportamento economicamente (e fiscalmente) rilevante. Giustappunto per tale caratteristica, l’imposta capitaria è ordinariamente definibile come non distorsiva. Viceversa la Flat tax (letteralmente, tassa piatta, o forfettaria) implica un sistema fiscale sì proporzionale ma non progressivo, se non accompagnato da deduzioni o detrazioni. Ed è un fatto che l’idea di introdurre in Italia un sistema fiscale simile, improntato al concetto appena esposto, è da qualche tempo al centro di accesi dibattiti, in sede politica e anche in sede economicofinanziaria [3]. Per cui è prevedibile che di un tale dibattito verrà a risentire anche la nuova imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, per lo meno nei limiti della necessità di saggiarne la tenuta sul versante della compatibilità costituzionale. Occorre tuttavia anche osservare che il dibattito sulla Flat tax è in generale associato a due profili, tra loro non necessariamente interferenti: l’uno è di carattere economico, e attiene all’idoneità del regime fiscale sul piano allocativo; l’altro è di carattere giuridico, e attiene alla compatibilità costituzionale.
Dal primo punto di vista il modello fiscale di Flat tax impone un’aliquota unica e valida per tutti i soggetti, e secondo i sostenitori di questo modello un’aliquota bassa e unica per tutti comporterebbe una maggiore equità fiscale [4], oltre che, all’atto pratico, un maggiore livello complessivo di gettito per lo Stato, così come si dice avvenuto nei Paesi dell’Europa dell’Est dopo il crollo dell’ex Unione sovietica. Sulla validità di simile assunto possono tuttavia nutrirsi dubbi. In realtà la difesa del sistema di Flat tax, affidata ai risultati di crescita ottenuti nei Paesi dell’Europa dell’Est, appare fuorviante poiché non tiene conto della provenienza di quei Paesi giustappunto da un sistema depresso, quale era quello dell’ex Unione sovietica. Né tiene conto del fatto che, subito dopo la momentanea crescita economica, alcuni di quei Paesi (Repubblica Ceca e Slovacchia, per esempio) hanno abbandonato il modello forfetario introducendo altre aliquote fiscali. Se dunque non è così pacifico che in generale un sistema di Flat tax implichi una maggiore equità fiscale e un necessariamente maggiore livello di crescita economica e di gettito, resta però il fatto che l’opzione, introdotta in Italia con la legge di bilancio del 2017, prevedendo il pagamento di un’imposta forfettaria (centomila euro) per ciascun periodo d’imposta per il quale essa venga esercitata, persegue il distinto fine, questo sì economicamente rilevante, di attrarre e incentivare il trasferimento della residenza nel nostro Paese delle persone con alto patrimonio. Sicché economicamente si giustifica per ragioni in parte (quando non del tutto) diverse da quelle emergenti dalla normativa fiscale nazionale. E da questo punto di vista è utile puntualizzare che le valutazioni di merito, in ordine alla fiscalità, presuppongono uno sguardo d’insieme realistico ma anche attento ai sistemi economici nel loro complesso, essendo quella della tassazione, in macroeconomia, solo una delle componenti che influiscono sul bilancio dello Stato.
Maggiormente occorre indugiare invece sulla questione giuridica, la quale si presenta connessa al principio di progressività previsto dall’art. 53, co. 2, Cost. La questione può essere in tal caso declinata in modo conforme a quel che accade per l’ipotizzato sistema di Flat tax complessivamente inteso. E difatti le perplessità attengono ai profili di compatibilità dei modelli di Flat tax con l’ordinamento costituzionale, dal momento che l’art. 53 Cost. prevede esplicitamente, come detto, che il sistema tributario sia uniformato a criteri di progressività della tassazione nel rispetto della capacità contributiva [5].
Nel contempo viene spesso evocato, per i sistemi di Flat tax, l’ulteriore problema della perdita di alcune delle caratteristiche delle imposte sui redditi, essendo le dette imposte – in particolare l’IRPEF – normalmente incentrate sul criterio della cd. “personalità”.È utile ricordare che un’imposta si definisce personale quando consente di tener conto delle caratteristiche appunto personali di coloro che ne sono soggetti, attraverso particolari deduzioni e detrazioni d’imposta (per carichi di famiglia, per spese mediche, scolastiche e via dicendo): strumenti, codesti, che non solo hanno determinato la personalizzazione dell’imposta secondo le caratteristiche di ogni contribuente, ma sono nel corso degli anni diventate anche una sorta di agevolazione per vari comparti economici, finendo col costituire una leva di stimolo verso l’acquisto di alcuni beni o servizi: si pensi, ad es., alle agevolazione sulle ristrutturazioni sulla casa per il settore edile o al cd. bonus mobili per il settore dell’artigianato, e così via.
Ora, per chiarire simile aspetto del problema occorre mettere di evidenza che l’obiezione secondo la quale ogni modello di Flat tax, vale a dire ogni modello fiscale incentrato su un’imposta ad aliquota proporzionale, andrebbe ritenuto di per sé in contrasto con l’art. 53, co. 2, Cost. e col principio di progressività, non ha fondamento.
Si basa infatti su un’errata ricostruzione del significato stesso dell’art. 53. In termini generali è indubbio che la progressività costituisce un semplice meccanismo di riparto del carico fiscale, con ovvia finalità di produzione di risultati redistributivi tra i cittadini. Ed è anzi utile sottolineare che per le imprese una qualche tipologia di Flat tax già esiste nell’ordinamento nazionale, per quanto con molte differenze rispetto ai regimi originari: ne costituiscono un esempio le imposte sul reddito delle società, l’IRES e l’IRI, incentrate su un’aliquota fissa degli utili.
La sostanza del principio di progressività è allora conchiusa nel fatto di postulare un depauperamento patrimoniale più che proporzionale dei soggetti dotati di maggior ricchezza, a fronte di un depauperamento meno che proporzionale di coloro che sono dotati di ricchezza minore. Sicché in questa prospettiva è chiaro che esiste una correlazione tra principio di progressività (art. 53, co. 2, Cost.), principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2, Cost.) e principio di capacità contributiva (art. 53, co. 1, Cost.), perché la progressività si manifesta come uno degli strumenti che in tal senso concorrono alla realizzazione del disegno costituzionale destinato a eliminare gli ostacoli impedienti lo sviluppo della personalità umana [6]. Esprimendo l’opzione costituzionale verso un criterio redistributivo del reddito, funzionale al progetto di società evocato dall’art. 3 Cost., la progressività rappresenta anche una forma di applicazione del criterio di capacità contributiva espresso dall’art. 53, co.1, Cost.
Tuttavia, l’accostamento tra i concetti non deve essere equivocato sul versante tecnico, dal momento che esso vale a fornire indicazioni di ordine solo quantitativo a proposito della configurazione del sistema dei singoli tributi. La Costituzione, da questo punto di vista, non richiede necessariamente imposte ad aliquote progressive, ma solo che il sistema sia ispirato a “criteri” di progressività, in quanto la suddetta progressività costituisce un principio programmatico, teso a indicare la linea di costruzione del sistema tributario nel suo complesso.
Consegue che la progressività non serve a fornire un parametro univoco per il sindacato di legittimità della disciplina dei singoli tributi. E dunque non rappresenta una regola precettiva in funzione di condizionamento delle specifiche scelte del legislatore ordinario. Essa enuncia un semplice obiettivo generale di sistema, una sorta di punto cardinale tramite il quale semplicemente orientare l’azione legislativa, senza vincoli rigorosi nella disciplina delle singole scelte [7]. Stando così le cose non sembra ci siano ragioni per escludere dal novero delle opzioni normative quella di un’imposta sostitutiva sui redditi degli stranieri prodotti all’estero, secondo il tipo disciplinato dal legislatore del 2016. Così come non sembra ci siano ragioni per escludere in linea generale dal novero delle medesime opzioni normative quelle rispondenti a un più generale modello di Flat tax, volta che anche codesto può infine inserirsi nell’insieme degli obiettivi programmatici di progressività [8], sicuramente realizzabili anche e semplicemente mediante appositi sistemi di esenzioni, detrazioni o deduzioni fiscali.
[1] Si tratta segnatamente del provvedimento direttoriale in data 8.3.2017.
[2] In effetti allegata al provvedimento direttoriale richiamato supra.
[3] Cfr. sul tema soprattutto Stevanato, D., Dalla crisi dell’Irpef alla Flat tax. Prospettive per una riforma dell’imposta sul reddito, Bologna, 2016, sul rilievo che a fronte dei principi di universalità e progressione fiscale, nel sistema tributario nazionale si sia nel tempo verificato l’opposto, essendosi l’IRPEF progressiva palesata come imposta di tipo frammentario e selettivo, con progressività ormai confinata ai soli redditi di lavoro. Sarebbe da ciò giustificata la rinuncia ai meccanismi cedolari di tassazione e il superamento del dogma delle aliquote graduate, a favore di una ragionevole progressività per deduzioni, ottenuta grazie a imposte appunto ad aliquota piatta con esenzione dei redditi di sussistenza.
[4] Per le medesime ragioni sinteticamente indicate nella nt. che precede.
[5] «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
[6] Cfr. sul tema, in luogo di molti, Boria, P., sub art. 53, in Bifulco, R.Celotto, A.Olivetti, M.,a cura di, La Costituzione italiana, Principi fondamentali. Diritti e doveri dei cittadini, Torino, 2007, 1059 e ss.
[7] E v, infatti Russo, P., Manuale di diritto tributario, Milano, 2003, I, 60 e ss.
[8] Per approfondimenti cfr. Stevanato, D., La giustificazione sociale dell’imposta, Bologna, 2014, passim, secondo cui un qualsivoglia tasso, ancorché minimo di progressività, rispetta l’art. 53, che in realtà pone il solo limite della “non regressività” del sistema. E in prospettiva critico-evolutiva v. già Tremonti, G., La crisi dell’imposizione personale progressiva e gli strumenti giuridici utilizzati e utilizzabili, in Riv. dir. fin. sc. fin. 1984, I, 89 e ss.