flagellanti
Nome degli appartenenti a movimenti religiosi o confraternite che praticavano la flagellazione come pena o mezzo di mortificazione e penitenza. La flagellazione, prevista a questo scopo da regole monastiche e attuata da asceti, inculcata come tale da s. Pier Damiani e da s. Domenico Loricato, si diffuse tra i laici anche per l’idea che fosse mezzo espiatorio per allontanare e far cessare malanni; diede così origine, insieme con il riaccendersi di aspettative apocalittiche, a movimenti religiosi di una certa importanza. L’uso della flagellazione rimase in confraternite che praticavano anche la carità (per es., la Compagnia dei disciplinati del Ss. Salvatore, nel Laterano) e si ebbero anche nuovi movimenti collettivi di f., alcuni rimasti nell’ambito dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica (come quello del beato Venturino da Bergamo, 1334), altri invece in cui a elementi gioachimiti si univano altre credenze, per es. che la flagellazione procurasse la remissione dei peccati come un secondo battesimo e anche fuori dei sacramenti della Chiesa. Una ripresa si ebbe alla fine del sec. 14°, con i Bianchi e, fuori d’Italia (Aragona, Turingia e Bassa Sassonia), al principio del 15° sec. Compagnie di battuti o battenti, i cui membri vestiti di sacco si flagellano pubblicamente e reciprocamente durante le processioni della Settimana santa, sopravvivono in alcune regioni (specie Calabria e Sicilia).