FIUME (A. T., 24-25-26)
Città e porto della Venezia Giulia, situato a 45° 20′ 22″ di latitudine N. e a 14° 25′ 20″ di long. E. Greenwich (2° longitudine E. da Roma), dove la grande via navigabile dell'Adriatico, penetrante profondamente fra la penisola appenninica e la Balcania, forma il golfo del Quarnaro, sua estremità di NE., e si avvicina ai passi delle Alpi che conducono al Danubio. L'immediato retroterra di Fiume è essenzialmente costituito dalla regione chiusa fra il Quarnaro a mezzodì, i Monti Caldiera a ponente, il gruppo del Nevoso a settentrione e la Gran Capella a oriente; la città giace nel centro di questa regione, alla convergenza di tre vie naturali: quella che viene da NO., cioè da Trieste, e comunicando con il valico di Postumia passa fra il Nevoso e i Caldiera; quella che viene da SE., lungo la costa morlacca; e la via di SO., cioè la riviera orientale dell'Istria. Lungo queste direzioni i movimenti sono facili, mentre sono difficili quelli diretti obliquamente alla direzione delle pieghe orogeniche. Lo sviluppo del centro urbano fu favorito dalla Fiumara (o Eneo), una breve ma abbondante corrente d'origine carsica.
La città si spiega lungo il mare, alla destra della Fiumara. La città vecchia chiusa fra mura fino al '700, ha conservato attraverso i secoli le dimensioni e la pianta quadrata della Tarsatica (v.) romana e con le sue viuzze strette e caratteristiche, con le case alte addossantisi le une alle altre mantiene l'aspetto della città medievale, per quanto i suoi edifici siano tutti di epoca posteriore. Notevoli fra questi la massiccia torre barocca della città, il duomo, chiesa già romanica ma completamente rifatta, con bel campanile, e soprattutto la chiesa di S. Vito (1638-1742), imitazione di S. Maria della Salute a Venezia.
Nel sec. XVIII la città esce dalla cinta murata e si sviluppa, quasi secondo le linee. d'un piano regolatore moderno, dapprima sul terreno alluvionale alla foce della Fiumara, poi sulla spiaggia davanti alla città antica e sugl'interramenti artificiali, mentre nella seconda metà del sec. XIX si allarga e si estende sulle alture che le stanno alle spalle e fa sorgere un sobborgo di là dalla Fiumara, su territorio politicamente croato, dando origine alla cittadina che prende più tardi il nome di Sušak. La città nuova si presenta ricca di costruzioni signorili, con edifici pubblici nel gusto predominante a Vienna e a Budapest alla fine dell'Ottocento, contrade larghe e regolari che dànno l'immagine d'una città moderna e ricca, con il carattere preminente di città portuaria e industriale.
La situazione prebellica aveva fatto di Fiume un importantissimo centro industriale, dove fiorivano specialmente le industrie che elaborano le materie prime importate per via di mare (pilatura del riso, raffineria degli olî minerali, tostatura del caffè) e quelle che si riconnettono direttamente al movimento marittimo (cantieri e affini); a esse si aggiungevano la manifattura tabacchi e il silurificio Whitehead. Il dopoguerra, con l'erezione di molteplici barriere doganali e con la fondazione di stabilimenti nazionali nei singoli stati, ha modificato dannosamente la situazione, e l'indipendenza statale di Fiume è stata esiziale a parecchie industrie.
Il numero degli abitanti, che nel 1776 ammontava a 5132, aumenta fino al 1869 a 17.884, per arrivare nel 1900 a 38.057, nel 1910 a 48.792 e a 53.000 nel censimento del 1931. Tale rapido aumento (dal 1869 al 1910 esso è del 178,5%) è l'indice di un'immigrazione fortissima, che non può essere spiegata con il semplice fenomeno dell'urbanesimo: è la forza d'attrazione del mare sulle popolazioni del retroterra, ciò che spiega il numero relativamente alto di stranieri dimoranti a Fiume. L'elemento autoctono italiano seppe però sempre mantenersi predominante per il più elevato livello della cultura, e per le immigrazioni dalla Penisola, specialmente dalle Marche e dal Friuli. Il dialetto che si parla a Fiume appartiene alla famiglia veneta. La superficie della zona urbana è di 5,70 kmq., l'area del territorio del comune era di 20,56 kmq. nell'anteguerra ed è ora di 17,68 kmq. Tale superficie sale da 0 m. (livello del mare), per il centro urbano, a m. 380 (frazione di Drenova). Fiume, per il fatto di essere situata al mare e al piede di una cerchia di monti, ha una notevole umidità atmosferica, con piogge che superano i 1700 mm. all'anno, concentrate nei mesi autunnali e primaverili. I venti predominanti sono quelli del N. (tramontana), NE. (bora) e SE. (scirocco). La temperatura in generale è mite, con minimi che non superano i −5° e massimi inferiori ai 33°, con una media di 5° sopra zero nel mese di gennaio.
Fiume è capoluogo della provincia del Carnaro, sede di vescovado e d'una sezione della Corte d'appello di Trieste, con giurisdizione sulle provincie dell'Istria e di Zara; ed è ricca d'istituti scolastici: liceo-ginnasio, liceo scientifico, istituto tecnico e nautico, scuola commerciale, scuola industriale e scuola d'avviamento professionale. Il museo, che possiede importanti raccolte d'interesse locale, è in via di sistemazione.
Il porto e il suo traffico. - Per parecchi secoli il porto di Fiume fu Fiumara, alla cui foce venne costruito un molo dalla parte d'oriente, mentre a occidente spinte dalla corrente marina si depositavano le alluvioni; ma le navi più grandi dovevano gettare l'ancora davanti alla spiaggia. Nel 1841 furono iniziati i lavori per la costruzione d'una diga (l'odierna diga Cagni) parallela alla riva, che, prolungata in varie riprese, trasforma oggi la rada in un porto sicuro e capace.
Il porto occupa tutta la riva davanti alla città. Il complesso portuario è diviso nei seguenti bacini: bacino interno, bacino Duca degli Abruzzi, bacino Thaon de Revel, bacino Rizzo (tutti difesi dalla diga Cagni), porto del petrolio, bacino del silurificio e bacino dei cantieri navali. L'area dello specchio d'acqua è di 52,1 ettari, l'area dei moli di 5,1 ettari e quella delle rive, magazzini e impianti ferroviarî è di 17,5 ettari. I fondali del porto superano i 7 metri; le banchine hanno uno sviluppo di circa 6000 m.; vi si possono accostare 50 piroscafi di qualsiasi pescaggio. I magazzini, affidati all'Azienda dei magazzini generali istituita con decr. legge 29 settembre 1927, numero 2716, sono situati lungo le rive, sui moli e sul territorio della stazione, occupando un'area di 179.994 mq., con una capacità di deposito di 5731 vagoni. Il bacino Thaon de Revel, e insieme alcuni magazzini, è stato con gli accordi di Roma del 27 gennaio 1924 concesso in affitto per 50 anni alla Iugoslavia senza nessun carattere di extra-territorialità.
Nel 1889, risultando insufficiente il porto principale, s'iniziò la costruzione d'un nuovo bacino, appoggiandolo al cosiddetto Delta, terreno di riporto artificiale tra la Fiumara e il suo canale destinato a deposito di legname (mq. 105.000). Questo bacino, ultimato nel 1894, prese il nome di Porto fiumano del legname, e più tardi di Porto Baross, dal nome del ministro ungherese G. Baross (v.) che ne era stato l'ideatore. Dopo lo sfasciamento dell'Austria-Ungheria, a questo bacino fu dato il nome di Porto Nazario Sauro e attualmente, assegnato alla Iugoslavia, si chiama Porto di Susak. Esso abbraccia una superficie d'acqua di ha. 6,5, dispone di m. 1260 di banchine ed è difeso da una diga della lunghezza di 420 m. Le sue acque hanno una profondità, presso le rive, di m. 6,5-7,5 e sono in comunicazione con quelle del porto principale di Fiume mediante un canale largo 18 metri, le cui rive sono congiunte insieme da un ponte girevole.
Attualmente sono in corso importanti lavori per l'ampliamento del nuovo piazzale destinato ai legnami, a occidente del porto principale. La bora, pure avendo a Fiume una violenza alle volte notevole, non impedisce le normali operazioni di carico e scarico delle navi; contro lo scirocco il porto è difeso dalle isole che chiudono il golfo e dalle dighe artificiali.
La foce della Fiumara costituì fin dalla più remota antichità un centro commerciale attivissimo. Fino al sec. XVIII però, per la mancanza di strade che attraversassero il Carso Liburnico, Fiume non si trovava in relazioni con il suo retroterra orientale, dividendo con Trieste il movimento commerciale delle provincie austriache, a cui aggiungeva soltanto l'esportazione del legname del litorale croato. La possibilità di comunicare con il retroterra fu data a Fiume solo quando, superate secondo le esigenze del traffico moderno notevoli difficoltà tecniche, furono aperte le strade dirette trasversalmente alla barriera montuosa del Nevoso e della Grande Capella. Queste strade misero il porto in agevole comunicazione con la vasta regione transalpina di cui esso costituisce lo sbocco al mare. Nel 1728 il governo fece costruire la Via Carolina, che da Pichetto (Hreljin) si stacca dalla strada romana di Segna e per i passi di Berdo (Brdo), 913 m., sopra Slobino, e di Porta Liburnica (Vrata), 790 m., va a Karlovac. Quasi un secolo più tardi (1803), questa volta per iniziativa di L. Adamich, patrizio fiumano, venne aperta la Ludoviciana, che supera il passo di Rauno Podolla (Ravno Podolje), 929 m., sopra Jelenie e va pure a Karlovac. Queste due vie che conducono alle valli della Culpa (a Karlovac) e della Sava (Zagabria, Sisak) ebbero grande importanza per lo sviluppo commerciale di Fiume, sino alla costruzione delle ferrovie. Non però la ferrovia meridionale (Südbahn), destinata a congiungere Vienna con Trieste (1857) poteva favorire Fiume. Questa invece trasse grandi vantaggi dalla ferrovia che dal 1873 la fa comunicare con Budapest e che per superare l'ostacolo dei monti non si discosta gran fatto dalla Via Carolina e raggiunge la valle superiore della Dobra e poi quella della Mreznica per arrivare a Karlovac. Così Fiume ebbe assai migliorate le condizioni per esercitare la sua funzione di porto per un ampio retroterra, di cui parte essenziale era il territorio compreso fra Graz, Kosice, TimiŞoara, Belgrado e Sarajevo, ma che arrivava fino alla Boemia.
Questi provvedimenti ebbero immediata ripercussione sul commercio della città: l'esportazione dell'Ungheria, non appena questa fu liberata dal giogo turco, prese subito la via di Fiume e già nel 1771 essa figura nel movimento del porto con 156.763 fiorini di fronte ai 69.495 fiorini della merce di origine austriaca. Nel suo movimento ascensionale il porto di Fiume fu favorito dalla politica tariffaria del governo di Budapest, che vi fece affluire tutte le merci destinate all'esportazione. Fra il 1890 e il 1900 si costituirono importanti società di navigazione, fra le quali l'Adria e l'Atlantica, che d'accordo con le società triestine si divisero le vie degli oceani; in breve il porto di Fiume raggiunse tale grado di floridezza da occupare (1912) il decimo posto nel traffico marittimo dei porti europei. Al forte sviluppo del commercio doveva anche accompagnarsi quello delle industrie su materie prime per la maggior parte importate. Esse ebbero impulso particolare dal governo ungherese dopo il 1891, per riparare al disagio prodottosi in seguito all'abolizione del porto franco che durava dal 1719.
Alla vigilia della guerra mondiale il commercio e l'industria di Fiume erano intensi. Il commercio, in massima parte di transito, quale risulta da una delle ultime statistiche prebelliche (1911), era veramente grande, in relazione con le sempre migliori condizioni del retroterra: il legname dei boschi della Croazia e il grano dell'Ungheria e anche il carbone e il bestiame, costituivano le merci più importanti. Il traffico, comprese innumerevoli altre merci che si dirigevano a Fiume e da Fiume partivano, raggiunse nel 1911 la cifra complessiva di 32.298.406 quintali di merci, dei quali 18.185.514 importati e 14.162.892 esportati, non compreso il bestiame. Se poi distinguiamo tra commercio marittimo e commercio terrestre, l'importazione dai paesi d'oltremare ammontò a 7.797.160 quintali, mentre l'esportazione diretta verso i medesimi paesi superava di 800.000 q. l'importazione. Il commercio terrestre d'importazione fatto con l'Ungheria, l'Austria, la Bosnia e la Serbia, e anche con la Germania, la Svizzera e l'Italia, raggiunse nel 1911 i 10.388.345 q., con un'eccedenza di 4.850.175 q. sull'esportazione verso i medesimi paesi. Il traffico più intenso avvenne naturalmente con i paesi del retroterra di Fiume.
La guerra mondiale diede un colpo mortale a questo commercio. Il vasto retroterra che prima apparteneva a un unico stato, era impoverito, mentre le nuove barriere doganali e politiche lo interrompevano. Il confine dello stato fiumano, riconosciuto indipendente dal trattato di Rapallo (1920), passava a brevissima distanza dalle ultime case della città ed escludeva dal territorio dello stesso le sorgenti della Fiumara, mentre a NO. troncava le comunicazioni che congiungono la città alla Venezia Giulia. Anche dopo l'annessione all'Italia (1924) queste condizioni permangono e Fiume, circuita dal territorio iugoslavo, è congiunta all'Italia solo per mezzo di una sottile striscia rivierasca, nella quale corrono la strada carrozzabile e la linea ferroviaria diretta a S. Pietro del Carso. Susak è ora separata da Fiume dal confine politico e Porto Baross è divenuto il porto che contrasta l'ascesa di Fiume. Le due parti del porto di Fiume, divenute rivali si contendono e si dividono il commercio con il medesimo retroterra, tanto che, se si sommano i numeri esprimenti il movimento totale dei due porti (nel 1929, 17.416.000 q. per Fiume, 15.204.000 per Susak), si ottengono cifre (32.620.000 q., nel 1929) che si avvicinano al movimento commerciale di Fiume anteguerra. Pur tuttavia, dopo l'annessione, il traffico di Fiume è andato riprendendo, ma la crisi mondiale sopravvenuta ha prodotto un nuovo periodo di depressione, invano combattuto dai provvedimenti anche coraggiosi, come la costituzione della zona franca (r. decr. legge 17 marzo 1930, n. 139), che ha posto Fiume e la riviera liburnica fuori dei confini doganali del regno.
Storia. - Il nome di Fiume appare in documenti del sec. XIII. Dell'epoca romana non abbiamo notizie che di Tarsatica (v.), la quale comprendeva la rocca sul colle di Tersatto e il centro abitato in riva al mare al di qua della Fiumara, che ne costituiva il porto. Quando le relazioni commerciali divennero sicure, la città alta discese a poco a poco alla marina, aumentando sempre più l'importanza di questa stazione, che ben presto raggiunse una certa floridezza per il concorrervi delle grandi strade militari e per il necessario traghetto del fiume. Il gigantesco vallo costruito dai Romani a difesa delle porte orientali d'Italia, separò il porto dalla sua rocca e gli permise di svilupparsi pacificamente e di resistere alle invasioni violente degli Slavi, la cui marea è fermata dall'opposizione dei Franchi che impediscono il formarsi di unità politiche slave al di qua della Fiumara. Il nome di Tarsatica sparisce, mentre Fiume (che nelle carte medievali si chiama Terra Fluminis Sancti Viti, donde il volgare tedesco Sankt Veit am Pflaum) al riparo del fiume e del vallo, si sviluppa in silenzio, diventando, per gli scambî con la costa anconetana, la piccola rivale di Venezia, che già nel 1291 dichiara nemici i Fiumani. Allo smembrarsi dell'Impero carolingio, Fiume viene a trovarsi insieme con Castua, Apriano e Moschiena sotto la potestà dei vescovi di Pola; dai vescovi l'ebbero in feudo i signori di Duino. Col tempo il vincolo feudale andò a poco a poco rilassandosi, tanto che i Duinati poterono cedere in pegno la terra a Bartolomeo dei Frangipani, i cui figli la restituirono nel 1365 dopo circa trent'anni, e porsi sotto la protezione dei duchi d'Austria (1366). Secondo il testamento di Ugone VI, estintasi la famiglia dei Duinati nel 1399, tutti i loro beni passarono ai conti di Walsee. In mezzo a queste vicende Fiume veniva organizzandosi a libero comune quasi indipendente, ricco di privilegi e di franchige, e per la floridezza del suo commercio andava acquistando sempre maggiore importanza. Non la lingua soltanto, ma anche le vesti, gli usi, le feste davano a Fiume carattere di città italiana. Nel 1466 la terra di Fiume passava alla casa d'Asburgo, la quale le riconosceva tutti i privilegi goduti sino allora. Scoppiato il conflitto fra Massimiliano I e Venezia, anche Fiume fu occupata dall'ammiraglio Contarini. I Fiumani, che si erano arresi senza opporre resistenza, si rivolsero subito al senato veneto domandando la conferma di "tutti li Statuti et Privilegi". Venezia acconsentiva, ma già il 1 giugno 1509, formatasi contro di lei la lega di Cambrai, ne ordinava l'evacuazione. Continuando la guerra, Fiume fu presa e saccheggiata dall'ammiraglio Angelo Trevisan il 2 ottobre, ma a pace conclusa rimase nelle mani di Massimiliano.
Dalla guerra Fiume era uscita gravemente danneggiata; nell'epoca successiva sofferse specialmente per la stasi del suo commercio. Solo lentamente poté risollevarsi e riaversi dalla terribile crisi, tanto più che questo suo sviluppo fu nuovamente arrestato dalle piraterie degli Uscocchi di Segna e conseguenti blocchi del Quarnaro da parte di Venezia (1570-1617). Così appena nel sec. XVII Fiume acquistò un lungo periodo di pace, durante il quale poté rinvigorire i proprî commerci e avviarsi risolutamente sulla via del progresso, aiutato dalle nuove idee economiche adottate dal governo. Carlo VI basa la nuova politica commerciale dell'Austria sul commercio marittimo, favorendo Trieste e Fiume; le dichiara porti franchi nel 1717 e inizia la prima strada attraverso il Carso Liburnico, in modo da avviare a Fiume l'esportazione ungherese (v. sopra).
Durante il governo degli Asburgo s'era andato formando un certo nesso fra Fiume e la Carniola, ma questo nesso doveva essere molto debole, perché i cittadini stessi difendevano le mura e le conservavano a proprie spese, senza alcun concorso della provincia; anzi dal 1570 in poi la città si rifiutò di pagare l'imposta militare agli stati provinciali, dichiarando "che Fiume non è sotto la provincia". E a questo principio rimase fedele, seguendo l'esempio di Trieste, cosicché gli stati della Carniola finirono col rinunciare a ogni tentativo d'imporsi a questa città. Tale propensione all'isolamento politico è dovuta principalmente alla differenza di lingua e di costumi fra Carniolini e Fiumani; questi ultimi vedevano la possibilità di libero sviluppo solo in una piena autonomia. Nel sec. XVII Fiume godeva quindi d'una vera e propria indipendenza provinciale. La prova decisiva di quest'autonomia provinciale, che appare già nello statuto, ci viene dall'uso costante della prestazione separata dell'omaggio al nuovo signore. Nel 1593, anzi, il consiglio decise di prestare il giuramento all'arciduca Massimiliano per il minorenne Federico, "purché S. A. conservi le immunità del comune".
La posizione speciale di Fiume spiega la fortunata resistenza che il suo consiglio seppe opporre a tutti i mutamenti di diritto pubblico, tentati coi tempi nuovi. Maria Teresa istituì la provincia commerciale (1748), alla quale nel 1752 fu unita anche Fiume. La provincia dipendeva dall'Intendenza commerciale di Trieste. Questa innovazione non fu accolta favorevolmente dai Fiumani, perché veniva a intaccare la posizione privilegiata della loro città e ne arrestava lo sviluppo commerciale, favorendo a dismisura Trieste. I Fiumani protestarono e la nuova provincia non durò oltre il 1776.
L'anno 1776 rappresenta per Fiume un rivolgimento completo della sua posizione di diritto pubblico. Fino a quell'epoca la città non aveva mai appartenuto alla Croazia, né all'Ungheria, ma con l'apertura della nuova strada Carolina era divenuta effettivamente il porto dell'Ungheria. Maria Teresa proclamava il 14 febbraio 1776 l'annessione di Fiume all'Ungheria, ma per il tramite della Croazia. Fiume si rallegrò, nel suo ben inteso interesse commerciale, dell'annessione all'Ungheria, ma protestò contro l'unione alla Croazia, chiese che l'antica sua autonomia provinciale fosse rispettata e che la città fosse annessa direttamente alla sacra corona ungarica con gli stessi diritti delle altre parti annesse. Il diploma di Maria Teresa (26 aprile 1779) che fissava definitivamente la nuova appartenenza statale della città adottò la proposta dei Fiumani, ne sancì la speciale autonomia ed escluse ogni nesso con la Croazia. Il commercio e l'industria presero subito uno sviluppo rigoglioso. La città liberata dal pericolo di sopraffazione da parte di Trieste poté avviarsi a notevole prosperità economica. Ma breve fu la fortuna: le guerre francesi, poi il dominio napoleonico, durato dal 1809 al 1813, e infine il periodo provvisorio, in cui Fiume appartenne nuovamente all'Austria, rovinarono la sua nascente prosperità. Nel 1822 le richieste della città furono ascoltate e Fiume ritornava alla corona ungarica. Negli anni seguenti la vita economica a Fiume è in continuo sviluppo, sennonché di nuovo l'arrestano ben presto gli avvenimenti del 1848.
Scoppiato il conflitto fra l'Ungheria e il suo re, la Croazia ne approfittò e occupò a mano armata la città (30 agosto 1848) creandovi via facti il dominio croato con un gesto che recentemente si è tentato di ripetere. L'estensione del dominio croato su Fiume non rappresentava solo una violenta manomissione dei diritti politici, ma più ancora una sopraffazione nazionale. L'italianità autoctona di Fiume veniva conculcata dai nuovi padroni che non lasciarono intentato alcun mezzo per croatizzare la città. Ma Fiume non si lasciò sfuggire nessuna occasione per affermare il suo buon diritto e proclamare il suo desiderio: l'unione diretta con l'Ungheria che aveva saputo "rispettare la nostra lingua e le nostre antiche istituzioni".
Però l'esito della guerra italiana nel 1859 mutò essenzialmente la situazione; cominciò il periodo di transizione, in cui si tentarono forme costituzionali. Il consiglio comunale eletto nel 1861 deliberò di non tralasciare alcun mezzo per ridare a Fiume la sua autonomia e per ottenerne, sciolto il vincolo con la Croazia, la riannessione all'Ungheria; e allorché nel marzo 1861 fu invitato a mandare quattro deputati alla dieta croata il consiglio si rifiutò di ottemperare all'invito per evitare ogni apparenza di riconoscimento dei fatti compiuti. Siccome esso rimase anche in seguito fermo in questo proposito, il governo tentò di far eleggere i deputati direttamente dalla cittadinanza. 870 furono i votanti, ma su 870 schede di votazione stava scritta la eloquente parola "nessuno". Il parlamento ungarico incoraggiato dall'atteggiamento dei Fiumani insisté per la reincorporazione di Fiume.
Molte erano le questioni aperte fra l'Ungheria e la Croazia e tutte furono definite con l'accordo che diventò legge nel 1868 (art. XXX), ma rimase insoluto il problema della situazione speciale di Fiume come "corpo separato" annesso alla corona ungarica, e le trattative furono ricominciate con la cooperazione della città. I Fiumani sostennero il loro diritto di definire la questione unicamente con l'Ungheria, rifiutando di riconoscere qualsiasi ingerenza ai delegati della dieta croata, i quali per non essere sopraffatti finirono con l'accettare una soluzione che metteva Fiume alle dirette dipendenze dell'Ungheria, senza alcun nesso con la Croazia purché la soluzione fosse considerata provvisoria. L'accordo provvisorio fu attivato nel 1870 e cessò con la proclamazione dell'annessione di Fiume all'Italia.
Per un ventennio gli Ungheresi curarono lo sviluppo economico della città e si professarono tutori dell'italianità del comune, ma appena cominciarono ad affluire a Fiume in un certo numero i Magiari, il governo cambiò tattica e volle imporre la sua volontà e il suo dominio. I Fiumani difesero il loro diritto e, perduta ogni fiducia negli Ungheresi, cominciarono a volgere gli occhi all'Italia, mentre per la naturale concomitanza del programma di redenzione nazionale delle due nazioni, i Fiumani ribelli sono detti seguaci del "partito dell'indipendenza italo-ungherese". La nuova generazione non si fece illusioni sulla "cavalleria" dei dominatori e guidata dall'associazione "Giovine Fiume", fondata nel 1905, preparò gli animi ai nuovi eventi; e nel 1915, quando la guerra mondiale mise di fronte l'Impero austro-ungarico e l'Italia, numerosi giovani Fiumani si arruolarono nell'esercito italiano.
Nella notte del 28 ottobre 1918 il governo ungherese abbandonava la città a sé stessa e le autorità militari croate ne approfittavano per occuparla militarmente; ma il comune e i cittadini si rifiutarono di riconoscere il nuovo fatto compiuto; si costituì allora il Consiglio nazionale che, presieduto da Antonio Grossich, fece proclamare al popolo l'annessione all'Italia (30 ottobre): il problema di Fiume s'imponeva all'attenzione del mondo.
La questione di Fiume. - L'Italia che prima di entrare in guerra aveva voluto vedersi assicurata l'adesione dell'Intesa a un minimo di richieste aveva incluso nei suoi postulati anche l'annessione di Fiume, ma di fronte all'opposizione della Russia vi aveva rinunziato e il Patto di Londra (26 aprile 1915) fissava la futura frontiera orientale dal Monte Nevoso al mare, a pochi metri da Fiume, e per giunta assegnava esplicitamente il porto di Fiume alla Croazia, anziché all'Ungheria. Nelle trattative di Parigi il governo italiano chiese l'applicazione del Patto di Londra con una modificazione, dal Monte Nevoso alla costa, in modo da includere Fiume nel territorio italiano (7 febbraio 1919), mentre la Iugoslavia (18 febbraio) chiedeva per sé gran parte dei territorî che dal Patto stesso erano assegnati all'Italia (Fiume, l'Istria, Trieste, la Dalmazia tutta). Wilson, a nome degli Stati Uniti, dichiarò di non riconoscere il Patto di Londra e propose una soluzione per la quale l'Italia rinunziasse alla Dalmazia e a Fiume (che sarebbe diventata città libera) e si accontentasse di un confine che, passando per il Monte Maggiore e l'Arsa, spezzava l'Istria in due parti (14 aprile). Francia e Inghilterra dichiaravano di rispettare il Patto di Londra - ben sapendo che data l'opposizione di Wilson esso era divenuto inapplicabile - e negavano l'annessione di Fiume. In questi frangenti l'Italia dichiarò di contentarsi dell'applicazione del Patto (19 aprile), ma invano. Il 23 aprile Wilson lanciava al mondo un messaggio con cui si opponeva alle aspirazioni italiane. Al messaggio rispose con fermezza il governo italiano. Il Consiglio nazionale di Fiume, nel desiderio di appoggiare con maggior forza quelle richieste, deliberava di rimettere i poteri statali al rappresentante del governo italiano perché li assumesse in nome del re, ma il generale F. S. Grazioli, che aveva veste di comandante in nome dell'Intesa, rimise il voto al governo e le cose rimasero come prima. Il 7 maggio si riprendevano a Parigi i negoziati senza che si potesse raggiungere una soluzione accettabile. Fra i varî progetti presi in esame meritano di essere ricordati: a) quello Miller-Macchi di Cellere che faceva di Fiume una città libera, ponendone il porto sotto la garanzia della Lega delle Nazioni, escludeva dal territorio italiano il tratto della ferrovia Fiume-Postumia, unendolo alla Iugoslavia, alla quale assegnava, salvo Zara e Sebenico, la costa dalmata; b) quello TardieuCrespi (28 maggio) che faceva di Fiume con la parte orientale dell'Istria e con l'isola di Veglia uno stato indipendente affidato alla Lega delle Nazioni; il porto doveva essere dichiarato libero e dopo 15 anni doveva esser fatto un plebiscito per zone; tutta la Dalmazia - meno Zara e Sebenico - veniva data alla Iugoslavia; c) quello House che includeva nello stato cuscinetto Cherso, Postumia e Longatico e portava il confine italo-iugoslavo al vallone di Fianona. Ma nessuno di questi progetti ebbe seguito, perché non accontentavano nessuno, mentre Fiume, guidata sempre dal suo Consiglio nazionale presieduto da Antonio Grossich, dichiarava che non avrebbe accettato nessuna soluzione che non sanzionasse l'annessione all'Italia.
Dimessosi il ministero Orlando (18 giugno) succedeva al governo Nitti che affidò le trattative a Tittoni. Questi presentò a Parigi, ma inutilmente, un progetto nel quale lo stato libero di Fiume comprendeva il territorio d'Idria e il Nevoso sino allo scoglio di S. Marco, e la costa liburnica sino al Monte Maggiore. Nel frattempo le vicende fiumane precipitavano.
Nel corpo di occupazione interalleato i Francesi avevano sempre mostrato apertamente la loro ostilità alle aspirazioni italiane dei Fiumani: ne seguirono varî incidenti e la sera del 6 luglio un conflitto gravissimo con parecchi morti, specialmente fra gli Annamiti. La conferenza di Parigi deliberò l'invio a Fiume di una commissione d'inchiesta, che per quanto presieduta da un italiano - il gen. M. di Robilant - era composta in maggioranza di avversarî della causa italiana: su proposta della commissione la conferenza deliberò lo scioglimento del Consiglio nazionale e della Legione Volontarî Fiumani, la riduzione del contingente italiano e la sua sostituzione: infine lo scioglimento della base navale francese e l'ordine pubblico affidato alla polizia inglese o americana. L'Italia faceva partire, ad onta delle proteste dei Fiumani, i granatieri (24 agosto) e disponeva l'allontanamento delle navi da guerra. La notizia delle deliberazioni di Parigi aveva reso urgente l'attuazione d'un progetto che si stava preparando: l'occupazione della città da parte di Gabriele D'Annunzio e dei suoi legionarî, che partiti da Ronchi entrarono in Fiume il 12 settembre (v. ronchi, marcia di). Il generale italiano gli consegnò il comando, il Consiglio nazionale gli affidò i pieni poteri e le truppe degli alleati si allontanarono alla chetichella. Tittoni approfittò del fatto nuovo per ottenere delle concessioni a Parigi, ma non appoggiato da Nitti non riuscì a nulla, mentre D'Annunzio, valorizzando la resistenza della città infiammava gli animi di quanti in Italia sentivano le ingiustizie della Conferenza.
Il 10 novembre Wilson presentava il suo ultimo progetto che, fissato il confine all'Arsa, creava lo stato indipendente di Fiume senza contatti diretti tra esso e l'Italia, sotto l'assoluto controllo della Lega delle Nazioni con un plebiscito unico dopo cinque anni. Data questa ostilità irriducibile, nulla si poteva concludere, mentre il governo di Nitti tentava di regolarizzare la posizione di Fiume offrendo alla città - in cambio dell'uscita dei legionari - di far occupare Fiume soltanto da truppe regolari esclusivamente italiane, impegnandosi a mantenere nelle sue mani la linea d'armistizio e a non accettare nessuna soluzione della questione di Fiume che non significasse l'annessione della città all'Italia. D'Annunzio, non ritenendo di potersi fidare, deliberò di respingere il patto (18 dicembre). Nel frattempo a Tittoni era succeduto Scialoia, al quale gli alleati presentarono (9 dicembre) un memoriale a firma Clemenceau-Polz-Crowe, che appoggiavano il progetto di Wilson, accordando in più all'Italia la rappresentanza diplomatica di Zara. Il governo italiano (6 gennaio 1920) chiedeva l'applicazione del Patto di Londra, ma si dichiarava disposto ad accettare un compromesso che fissasse in Istria il confine del Patto di Londra e creasse uno stato di Fiume veramente indipendente e contiguo al regno. Clemenceau e Lloyd George (9 gennaio) accettavano di spostare un po' verso oriente il confine previsto dal progetto Wilson, ma includevano sempre nello stato di Fiume tutta la ferrovia Fiume-San Pietro, il Monte Maggiore e Cherso. L'Italia (10 gennaio) respingeva il progetto, specialmente per ragioni militari e per la mancata continuità tra la città di Fiume e l'Italia. Ulteriori trattative dirette portarono a un progetto, concordato tra Nitti e Lloyd George (13 gennaio), il quale abbandonava lo stato cuscinetto e faceva arrivare il confine fino alla città di Fiume, che era posta sotto la sovranità italiana. Il progetto fu respinto dalla delegazione iugoslava e da Wilson; poi subentrò un periodo di stasi nelle trattative, finché furono iniziati contatti diretti fra il governo italiano e quello iugoslavo, prima a Pallanza da Scialoia (11 maggio), che in nome di Nitti chiese l'annessione di Fiume, la revisione della linea di Wilson e l'indipendenza di Zara, e poi a Spa (luglio) e a Rapallo (novembre) da Sforza in nome di Giolitti. Nel fratternpo, a Fiume le condizioni di vita diventavano sempre più difficili, il blocco più stretto, i rifornimenti più scarsi; d'altro canto D'Annunzio, persuaso che la soluzione immediata della questione fiumana sarebbe stata la creazione per quanto transitoria di uno stato indipendente, volle prevenire le imposizioni previste e creare egli stesso lo stato libero, conservando alla città il porto e assicurandone l'italianità, in modo che giunto il momento favorevole, potesse essere annessa all'Italia, e immaginò la Reggenza italiana del Carnaro, proclamata solennemente l'8 settembre, assumendo anche i poteri civili che gli venivano rimessi dal Consiglio nazionale. Intanto le trattative dei governi continuavano arrivando alla conclusione del trattato di Rapallo (12 novembre 1920), per il quale Fiume veniva costituita in stato libero e indipendente con l'impegno reciproco da parte dei contraenti di rispettarne in perpetuo la libertà e l'indipendenza. Tanto D'Annunzio quanto il consiglio comunale di Fiume dichiararono di non riconoscere il patto, che invece veniva rapidamente approvato dal parlamento. Il 28 novembre il generale E. Caviglia ordinava al comando di Fiume di sgomberare immediatamente le isole di Veglia e di Arbe, che poco tempo prima erano state occupate dai legionarî. Il comando rifiutò di farlo, iniziando così la resistenza. Il blocco più severo fu proclamato ufficialmente e all'intimazione di sciogliere e allontanare da Fiume le forze armate non costituite da cittadini fiumani e di consegnare le navi da guerra passate a Fiume, la Reggenza proclamava il 21 dicembre lo stato di guerra e la dolorosa tragedia incominciò la sera della vigilia di Natale. Per evitare infine la minacciata distruzione della città con un bombardamento sistematico, D'Annunzio rassegnò le dimissioni, rimettendo nelle mani della città i pieni poteri civili e militari e conservando soltanto il comando dei legionarî. Il consiglio comunale, riassunti i poteri di consiglio nazionale, fu costretto ad approvare la resa con la conseguente uscita dei legionarî e delle navi dalla città (31 dicembre) e creò un nuovo governo provvisorio, riaffidandone la presidenza ad Antonio Grossich.
Il trattato di Rapallo (v.) all'art. 4 stabiliva che lo stato di Fiume era costituito: a) dal corpus separatum quale è attualmente delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume; b) da un tratto di territorio già istriano che comprendeva la linea ferroviaria sino a raggiungere la baia di Preluca, in modo da unire Fiume all'Italia. Non appena fu noto il testo del trattato sorsero vivaci polemiche tra Fiumani e Croati per l'interpretazione da darsi a quell'articolo, in quanto il confine orientale del corpus separatum era in contestazione fin dalla regolazione del corso della Fiumara, avvenuta nel 1854, reclamando gli uni e gli altri per sé il Delta a cui era congiunto il molo esterno del Porto Baross, che però si estendeva a occidente del vecchio corso della Fiumara. L'energico atteggiamento assunto dalla città di Fiume (dichiarazioni concordi di tutti i partiti, occupazione del Porto Baross da parte di gruppi di arditi, dimostrazioni violente) aveva reso difficile l'applicazione delle clausole segrete del trattato, contenute nella cosiddetta lettera di Sforza che assegnava effettivamente al regno dei Serbo-Croati-Sloveni il porto Baross, compresa la sua banchina settentrionale posta davanti alle case della città. La commissione per la delimitazione dei confini dello stato di Fiume, ultimati gli altri lavori, non osava affrontare la soluzione del problema di Porto Baross. Si tentò allora di superare la questione studiando una convenzione da stipulare tra l'Italia, il regno dei Serbo-Croati-Sloveni e Fiume per l'esercizio e l'amministrazione in comune del porto di Fiume, ivi compreso il bacino Baross (soluzione Quartieri, aprile-maggio 1920), ma la mancanza di un governo fiumano rese impossibile la conclusione delle trattative.
A Fiume intanto il governo provvisorio aveva indetto le elezioni per una assemblea costituente e la città, sia per la stanchezza subentrata dopo tante lotte, sia per il desiderio di uniformare il proprio atteggiamento a quello dell'Italia ufficiale, nelle elezioni diede la maggioranza al partito autonomista capitanato da Riccardo Zanella che da lungo tempo proclamava i vantaggi della cittȧ libera (24 aprile 1921). Prima che i risultati fossero pubblicati, le urne furono incendiate da cittadini esasperati, e tre giorni dopo il municipio fu occupato dal Fascio fiumano guidato da Francesco Giunta, finché non fu data l'assicurazione che almeno temporaneamente non si sarebbe insediata la Costituente. Il governo si era dimesso e aveva affidato i suoi poteri al podestà avv. Bellasich quale commissario straordinario; ma poiché la lotta delle fazioni rendeva impossibile la ripresa della vita normale, il governo italiano tentò la composizione d' un governo transitorio costituito da tutti i partiti. Essendo il tentativo andato fallito per l'intransigenza di Zanella, il governo italiano nominò alto commissario il capitano di vascello Antonio Foschini, che doveva restare in carica finché fosse stata possibile la costituzione d'un governo locale (13 giugno). Riusciti vani tutti i tentativi di accordi, il generale Amantea, succeduto al Foschini, convocò (5 ottobre) l'Assemblea costituente, seguendo così le istruzioni del governo italiano che riteneva necessario l'esperimento d'un governo zanelliano. L'Assemblea infatti diede vita a un governo presieduto da Zanella, il quale tentò di organizzare lo stato indipendente a spese dell'Italia, ma contro di essa, istituendo una guardia di stato composta tutta di elementi anti-italiani. Una serie di luttuosi incidenti fece allora precipitare la situazione, e gli elementi più radicali (fascisti, ex-legionarî e repubblicani), guidati da un consiglio militare, organizzarono un colpo rivoluzionario che costrinse alla resa Zanella e i suoi (3 marzo 1922). Si costituì un comitato di difesa nazionale che offerse i poteri a Giovanni Giuriati, il quale, non avendo ottenuto l'assenso del governo italiano, non accettò. Mentre si stavano studiando altre soluzioni che potessero ottenere l'assenso dell'Italia ufficiale il consiglio militare (composto di ex-legionarî) dichiarò decaduto il comitato di difesa e affidò i poteri all'Assemblea costituente ridotta alla sola minoranza aderente ai partiti annessionisti (21 marzo), mentre la maggioranza si era rifugiata quasi al completo in Iugoslavia. Essendosi il governo italiano dichiarato contrario all'elezione d'un nuovo governo, gli oneri dell'amministrazione rimasero ad Attilio Depoli, vicepresidente dell'Assemblea per conto della minoranza. Nel frattempo le relazioni fra l'Italia e la Iugoslavia avevano impedito lo sgombero anche di altri territorî e avevano dato origine a nuove trattative che portarono alla convenzione di Santa Margherita (firmata a Roma il 23 ottobre); sennonché all'atto di applicarle la commissione italiana, dopo avere sgomberato Sušak, si rifiutò di consegnare il Delta e Porto Baross, in attesa che fosse assicurata la vita dello stato fiumano. Le trattative, lunghe e laboriose, restarono senza risultato: lo stato indipendente di Fiume, specialmente se privato di Porto Baross, non poteva vivere; d'altro canto l'appartenenza di questo non poteva essere decisa per la contraddizione fra il trattato e la lettera segreta. Di fronte all'impossibilità di arrivare a risultati concreti, i lavori delle commissioni furono sospesi e nuove trattative furono avviate: Fiume doveva essere unita all'Italia e doveva considerare la perdita di Porto Baross come il premio pagato per la realizzazione del suo ideale di annessione.
Mussolini, appena andato al potere, aveva prospettato tale soluzione a Ninčić, ma invano (la Iugoslavia sperava ancora nello stato indipendente a lei devoto, contando sulla stanchezza e sul malcontento dei Fiumani); dopo dieci mesi di vane trattative però, accettando le dimissioni del Depoli, Mussolini mandava a Fiume il generale Giardino ad assumere il governo della città e a provvedere che le sue sorti migliorassero rapidamente (17 settembre). L'opera di Giardino fu instancabile e ammirevole, fu creata un'annessione di fatto che indusse finalmente la Iugoslavia a cedere; così si venne al Patto di Roma (27 gennaio 1924), che riconosce la piena e intera sovranità dell'Italia su Fiume con lievi rettifiche di confine, mentre assegna definitivamente alla Iugoslavia il Delta e Porto Baross, in conformità agli impegni di Sforza: la questione di Fiume era chiusa.
V. tavv. CV-CVIII.
Bibl.: Oltre agli scritti pubblicati da Fiume, Rivista semestrale di studî fiumani (Fiume 1923 segg.), v. per la parte descrittiva: G. Depoli, Guida di Fiume e dei suoi monti, Fiume 1913, e il volume II della Guida delle Tre Venezie del Touring Club Ital. (2ª ed., Milano 1925). Per la parte generale, v.: G. Dainelli, Fiume e la Dalmazia, Torino 1925; G. Depoli, La provincia del Carnaro, Fiume 1928. Per la parte economica: G. Depoli, Caratteristiche economiche della provincia del Carnaro nell'anno 1925, Fiume 1926; id., L'economia della provincia del Carnaro negli anni 1926-28, Fiume 1929.
Per la storia della città anteriormente alla guerra, v.: Bibliografia storica fiumana pubblicata da A. Depoli, in Fiume, 1924-1927; A. Fest, Fiume zur Zeit der Uskokenwirren, Fiume 1891; G. Klober, Memorie per la storia della liburnica città di Fiume, I-III, Fiume 1896-98; A. Fest, Fiume nel secolo XV, Fiume 1913; E. Busich, Fiume e l'Italia, Milano 1915; S. Gigante, Fiume nel secolo XVI, Fiume 1918; A. Depoli, Il diritto storico ed etnico di Fiume di fronte alla Croazia, Fiume 1919; B. Benussi, Il Feudo al Quarnaro della chiesa episcopale polense, Venezia 1922; A. Depoli, Fiume durante le guerre venete di Massimiliano I, Fiume 1923; G. Depoli, I punti oscuri della storia di Tarsatica e dell'origine di Fiume, Fiume 1925; S. Gigante, Fiume negli ultimi cinquanta anni, Fiume 1928; id., Storia del comune di Fiume, Firenze 1928.
Per le vicende di Fiume durante e dopo la guerra mondiale, oltre alla citata Bibliografia di A. Depoli, e ai due ultimi volumi citati di S. Gigante, v. Adriaticus, La question adriatique, Parigi 1920; A. Depoli, La questione di Porto Baross, Fiume 1921; id., Il confine orientale di Fiume e la questione del Delta della Fiumara, Fiume 1921; E. Susmel, La città di passione, Milano 1921. G. Federzoni, Il trattato di Rapallo, Bologna 1921; G. Nardi, La posizione giuridica internazionale di Fiume dall'armistizio al patto di Abbazia, in Rivista di diritto internazionale, 1921-1922; S. Stojanovich, La question de l'Adriatique et le principe des Nationalités, Grenoble 1922; A. Giannini, Il compromesso Miller per la questione adriatica, in Nuove provincie, 1922; id., Il compromesso Tardieu per la questione adriatica, in Aperusen, 1922; id., La questione di Porto Baross e gli accordi di Santa Margherita al parlamento italiano, Roma 1923; R. S. Baker, W. Wilson and the world settlement, Londra 1923; Anonimo, Ce qui se passa réellement à Paris en 1918-19, Parigi 1923; G. Benedetti, La pace di Fiume, Bologna 1924; Tchiritch, La question de Fiume, Parigi 1924; R. Frasseto, I disertori di Ronchi, Milano 1926; E. Morpurgo, Esame giuridico della controversia adriatica, Padova 1926; V. Adami, Storia documentata dei confini del Regno d'Italia, IV (confine italo-iugoslavo), Roma 1931.