FIUME (lat. flumen; fr. fleuve, rivière; sp. río; ted. Fluss, Strom; ingl. river)
I fiumi sono masse d'acqua perenni che per l'impulso della gravità si raccolgono e scorrono nelle parti depresse del suolo e terminano generalmente nel mare; più di rado terminano invece in un lago privo di deflusso verso l'oceano.
Il fiume scorre in un letto o alveo, nel quale si distinguono il fondo e le sponde, o ripe, normali. Queste possono essere dovute a escavazione o ad alluvione del fiume stesso. Esse contengono le acque ordinarie e sono superate dalle piene che invadono l'alveo maggiore o zona d'inondazione del fiume, che a sua volta può avere limiti ben definiti dalle pareti rocciose di una valle oppure non averne. Nei piccoli fiumi la profondità dell'alveo è di pochi metri, nei grandi fiumi raggiunge il centinaio.
Il volume d'acqua che passa per una determinata sezione trasversale dell'alveo nell'unità di tempo, o, come si dice, la portata, in un fiume è sempre considerevole. Quando è allo stato di acque basse, o di magra, la portata non è inferiore ai 3 o 4 metri cubi; dallo stato di magra il fiume passa lentamente a quello di piena, cioè d'acque abbondanti. Il fiume oscilla tra questi stati estremi, tra i quali gl'idraulici distinguono stadî intermedî che sono: stato ordinario, intumescenza, morbida o turgidezza.
In ogni fiume si distinguono la sorgente, il corso e la foce. Si suole chiamare sorgente il luogo dove il fiume principia, sia esso realmente una polla che scaturisce dalla roccia, sia invece un lago, una palude, un ruscello uscente da un ghiacciaio o l'estremo punto più alto di un torrentello (ramo sorgentifero) ordinariamente asciutto. Il corso può presentare varî caratteri, secondo la natura del territorio che attraversa; degli apparati di foce è detto altrove (v. delta). Se un fiume si estingue per evaporazione o per infiltrazione in terreno permeabile, non si parla di foce, ma di termine.
Dei fiumi si occupa la potamologia o idrografia fluviale, quella parte della geografia che ha per oggetto i fiumi sotto tutti gli aspetti fisici e anche sotto quello della vita organica. Essa sorse da tempo antico come arte di governare le acque correnti e trarne profitto per scopi essenzialmente economici (idraulica) ma le sue varie parti non sono ancora completamente sviluppate.
Sotto l'attuale clima, i fiumi costituiscono l'energia esogena più importante nel plasmare e spianare la superficie del globo. Ciò è rivelato anche dalla curva ipsografica della crosta terrestre, la cui parte subaerea imita la forma del profilo normale di un corso d'acqua. Continuamente i fiumi non solo cambiano la forma del solco nel quale scorrono, costringendo i loro affluenti ad adattarvisi, ma regolano anche l'opera del disfacimento meteorico, del dilavamento pluviale e dei franamenti. Tale attività dipende dalla forza viva, proporzionale alla massa d'acqua e al quadrato della velocità; essi trasportano, erodono e accumulano su un'area vastissima delle terre emerse, la quale corrisponde a quella in cui le piogge cadono in quantità sufficienti a formare correnti perenni. I materiali rocciosi sono apportati ai fiumi dalle acque dilavanti, dalle frane, dagli sfaldamenti e dal vento; la corrente ne stacca anche dall'alveo e, frammisti all'acqua, li trasporta tutti o allo stato di soluzione o come sostanze sospese o rotolandoli sul fondo. Le piene compiono questa funzione di trasporto dei materiali rocciosi e i grandi fiumi ne apportano al mare milioni di tonnellate. L'energia in eccesso della corrente opera l'erosione dell'alveo (v. erosione); essi dunque agiscono sul loro letto, essenzialmente lungo linee, in profondità, invece le acque dilavanti operano essenzialmente in superficie.
Spartiacque, bacino idrografico e sistema fluviale. Il moto della corrente. - Se i corsi d'acqua che emungono e attraversano un'area determinata della Terra si riuniscono in un'unica corrente, formano un'insieme che è detto sistema fluviale. Il fiume considerato come principale sino alle sue origini, rispetto agli altri che sono i suoi affluenti, non è però sempre il più grande, né il più abbondante: spesse volte sulla scelta influì la denominazione invalsa nell'uso. Il territorio che il sistema attraversa ne è il bacino d'alimento o bacino idrografico che si denomina dal fiume principale.
I bacini idrografici sono separati l'uno dall'altro dagli spartiacque o displuvî, che sono quei tratti di suolo dai quali le acque defluiscono in opposte direzioni, sicché in ciascun bacino si raccolgono le precipitazioni cadute al di qua dello spartiacque. Lo spartiacque separa due direzioni superficiali di smaltimento delle precipitazioni: quelle che cadono di là da esso non contano nulla per il bacino idrografico considerato, purché dal di fuori non vi provengano tributi di acque sotterranee. Per queste ragioni, il bacino idrografico di un fiume, è anche, il più delle volte, l'area d'impluvio del sistema fluviale.
Gli spartiacque non sono sempre sulle creste dei monti (spartiaque di vetta) né sempre nelle montagne più alte: esempio classico l'Himālaya, che non funge da spartiacque principale: questo si trova a N. della catena. Per questa ragione, i bacini idrografici frequentemente non corrispondôno ai bacini plastici, più d'uno dei quali poi è talora compreso in un solo bacino idrografico. Tali fatti dipendono sia dai fenomeni di cattura o, più in generale, dalla storia dell'idrografia, sia dalla complessità dei movimenti orogenetici avvenuti in alcune regioni. Se le più alte vette possono non funzionare da spartiacque, questo d'altro canto può trovarsi sul fondo di un solco vallivo. Tale è il caso degli spartiacque di valle rappresentati dai passi di Resia (fra Adige e Inn) del Brennero e di Dobbiaco. Molti altri spartiacque, superficie più o meno larghe, si trovano non nelle montagne, ma nelle pianure e sono importanti, come quelli dell'Europa orientale.
Gli spartiacque non sono fissi, causa l'erosione regressiva (vedi erosione), per la quale ciascun fiume tende a spostare le sue origini verso monte. Ora essendo l'erosione regressiva più efficace in rocce più tenere o per opera d'una corrente più abbondante e più veloce, questa finirà per aprire una breccia entro al bacino idrografico contiguo e compiere ciò che si dice una cattura: il ramo invasore invertirà la pendenza di una delle valli di questo bacino e ne trarrà seco la corrente allungando così il proprio corso a spese di un altro fiume. Sotto questo aspetto, lo spartiacque è la frontiera attuale della lotta fra corsi d'acqua vicini. In tali casi, è facile che fra il tronco di fiume catturato e quello che continua a defluire nella vecchia direzione rimanga un tratto di valle morta, cioè asciutta o paludosa, che funga da spartiacque. Se poi, come nelle regioni piane, le condizioni di livello tra i due corsi d'acqua opposti lo consentono, può formarsi e mantenersi a lungo un braccio fluviale, che metta in comunicazione i due sistemi idrografici. Bracci così fatti si dicono biforcazioni, tra le quali è celebre il Casiquiare, fra Orinoco e Río Negro (affluente dell'Amazzoni); di questo gran fiume poi, nel Matto Grosso esiste una comunicazione con il Paraná per mezzo dei rami sorgentiferi del Guaporé e del Mamoré dall'una parte e del Paraguay dall'altra. Anche nel corso inferiore due sistemi fluviali possono comunicare fra loro, com'è il caso del Reno con la Mosa e del Gange con il Brahmaputra. Sono indeterminati gli spartiacque anche là dove un territorio con idrografia normale confina con un altro nel quale, causa l'esistenza di rocce fessurate o porose, lo smaltimento è sotterraneo o, causa la siccità climatica, vi manca del tutto.
Lo spartiacque che limita un intero sistema fluviale si dice principale, benché questa parola possa aver senso più largo, come quando la si applica a quello che separa i fiumi defluenti a mari diversi. Ogni affluente e subaffluente poi ha un proprio bacino idrografico (di secondo, terzo... ordine), ciascuno limitato da uno spartiacque proprio (di secondo, terzo... ordine). Da ogni punto dello spartiacque il suolo pende verso il bacino idrografico generale: tutte le linee di pendenza s'incontrano in un'altra, più profonda, lungo la quale il fiume principale scorre verso la foce comune: è questa la legge fondamentale che regola l'azione delle acque correnti. Perciò, in generale, da monte a valle, la quantità d'acqua va aumentando, per il tributo apportato dagli affluenti, raramente diminuisce (talvolta sino al completo esaurimento), per effetto dell'infiltrazione nel terreno permeabile o dell'evaporazione in una regione arida: del primo caso valgano d'esempio i corsi d'acqua dell'alta pianura friulana, del secondo quelli delle steppe e dei deserti.
I fiumi della Terra presentano aspetti differenti, secondo il territorio che attraversano, l'ampiezza, la profondità e il colore della corrente, la sua velocità, la presenza di cascate o di rapide, il carattere della vegetazione che accompagna le rive, gli animali che vi vivono. Ad esempio, nell'Europa occidentale, causa la varietà della sua articolazione, i sistemi fluviali, in confronto di quelli dell'Europa orientale, sono quasi tutti brevi e piccoli. E traendo origine da montagne per scendere a regioni piane, presentano una grande varietà di aspetti. Quelli dell'Europa orientale invece attraversano un uniforme bassopiano; ma, benché grandi, cedono al confronto con quelli africani, che ampî e maestosi si devolvono sui gradini dell'immenso tavolato. E il Congo non può avere confronto adeguato se non con l'enorme corrente delle Amazzoni che fu soprannominata "Mar Dolce".
Il movimento dell'intera massa d'acqua è il fatto caratteristico del fenomeno della fluvialità, per cui si compie la circolazione dell'acqua tra l'oceano e le terre emerse. Conseguenza del movimento entro l'alveo, che è pendente verso la foce, è la velocità dell'acqua. Ma l'attrito con le sponde e il fondo, la resistenza dell'aria e l'azione del vento sulla superficie libera, la perdita di forza viva nel trasporto dei corpi solidi, la coesione fra le particelle liquide, gli urti e i moti discordanti dovuti alle ineguaglianze dell'alveo, sono tutte resistenze che rendono differente la velocità nei diversi punti di una stessa sezione trasversale. La velocità è massima subito sotto la superficie libera della sezione, diminuisce verso le pareti e il fondo. La vena della massima velocità, che si chiama filo o filone, si trova verso la superficie e in un alveo diritto nella parte di mezzo della corrente; essa segue la maggiore profondità dell'alveo. Questa profondità è la linea seguita dalle navi, è il thalweg dei tedeschi, nel senso esatto di questa parola, di cui si fece non sempre uso proprio in altre lingue. Se il fiume è tortuoso, e le maggiori profondità non si trovano nella parte di mezzo, il filone corre più o meno spostato dalla linea mediana. E spesse volte passa da una sponda all'altra. Perciò la lunghezza del filone è maggiore di quella delle rive. La sua velocità varia, ma entro limiti relativamente ristretti: nelle curve che il filone descrive verso le sponde concave è maggiore che nei tratti rettilinei. Raramente nelle grandi correnti supera i 3 metri. La velocità cresce se aumenta la profonditȧ o se si restringe la sezione trasversale. Oltre a questi movimenti nel senso della lunghezza, ve n'ha anche di trasversali, per i quali un corpo galleggiante si vede trasportato dalla riva verso il mezzo della corrente. A questo movimento ne corrisponde un altro, in senso inverso, sul fondo del fiume.
Le particelle liquide non procedono rettilinee, ma secondo lunghe spirali inclinate verso il filone. La quale inclinazione della superficie libera della corrente si può osservare quando le acque si abbassano o quando si mantengono allo stesso livello. Se il fiume cresce, il filone scorre a un livello superiore a quello delle acque laterali e per conseguenza le particelle in moto spirale andranno dal filone verso le sponde. Sulla superficie della corrente si osservano anche altri movimenti, che sono vorticosi, ascendenti o discendenti, e si rendono evidenti in imbuti o in rialzamenti subitanei della superficie libera. Tutte le particelle fluenti del resto si muovono, non a strati, come ammettevano i vecchi autori, ma a spirali, animate da agitazione vorticosa. Dai moti vorticosi ascendenti dipende il trasporto del limo in sospensione. E quanto importante sia l'azione dei vortici nell'erosione del fondo, specie se questo è alquanto inclinato, è stato messo in luce da osservazioni recenti. I sistemi fluviali sulla carta geografica presentano figure planimetriche generali differenti, che dipendono dal modo come sono disposti il corso principale e gli affluenti, gli uni rispetto agli altri. In questa differente disposizione si cercano relazioni numeriche, tendenti a tradurre in cifre la forma di ciascun bacino idrografico, per gli opportuni confronti. I quali rimangono finora subordinati all'esistenza di dati sufficientemente esatti che non si possono avere per tutti i fiumi. Basterà accennare alle più semplici di tali relazioni metriche.
Il decorso generale dei fiumi è sempre curvo, non regolarmente. Le curve possono svolgersi più o meno intorno alla retta congiungente la sorgente con la foce, senza allontanarsene gran fatto; altre volte invece il fiume descrive ampi giri con i quali si allontana di molto dalla direzione rettilinea sopra indicata. Siccome da un differente sviluppo del corso dipendono la quantità d'acqua, gli effetti dell'erosione, la navigabilità e parecchie altre condizioni, così si cercano dati comparativi tra i fiumi, dando allo sviluppo del corso un'espressione numerica. La determinazione del rapporto fra la lunghezza reale del corso e la distanza rettilinea fra sorgente e foce, cioè s = l:d (o il valore reciproco), non si può dire abbia dato risultati soddisfacenti. Lo sviluppo del corso è in stretta relazione con la forma e con l'area del bacino idrografico. I due rapporti tra la lunghezza del corso e la detta area e tra la distanza rettilinea dalla sorgente alla foce e l'area stessa sono espressione del modo come avviene lo smaltimento delle acque. Il quale dipende dalle differenti condizioni orografiche: lo scarico di precipitazioni relativamente grandi non potrà avvenire nello stesso modo in una valle stretta e in una vallata molto larga. In un sistema idrografico le acque sono ripartite molto inegualmente e la rete a maglie irregolari che esse descrivono è ora più ora meno fitta. Siccome ciò sta in relazione con molte condizioni geografiche d'un paese, s'è cercato di esprimere numericamente anche la densità d del reticolato fluviale con il rapporto tra la lunghezza complessiva l di tutti i corsi d'acqua e l'area del bacino idrografico ch'essi percorrono, cioè d = l: a. La quale relazione interessa anche la geografia delle comunicazioni, se i fiumi, o parti di essi, sono navigabili.
Il regime dei fiumi. - La stretta dipendenza tra fiumi e precipitazioni atmosferiche si vede già nella coincidenza, più sopra accennata, della diffusione geografica dei fiumi con la distribuzione delle piogge. E là dove queste sono abbondanti, i fiumi sono in numero molto maggiore che non nei paesi soggetti a piogge scarse. L'osservazione comune insegna che le piene e le magre corrispondono rispettivamente a periodi di piogge abbondanti e di siccità.
Delle precipitazioni atmosferiche una parte alimenta i fiumi direttamente, un'altra indirettamente, perché prima va a formare acque sotterranee e sorgenti, laghi, paludi, oppure cade sotto forma di nevi che poi si sciolgono o che ritornano allo stato liquido dopo essersi trasformate nel ghiaccio dei ghiacciai. Le precipitazioni dirette che per i torrenti scendono ai fiumi, dànno origine alle piene; invece dalle sorgenti nella roccia in posto e dalle acque freatiche dei terreni mobili e porosi principalmente dipende la perennità. Perché, quantunque la portata delle acque sotterranee sia soggetta a variare con le precipitazioni, le variazioni non sono così immediate come quelle dei piccoli torrenti che alimentano i fiumi; perciò esse sostengono a lungo le portate nei periodi senza piogge.
Queste le condizioni più generali. Ma il regime d'un fiume, cioè la legge delle sue variazioni di portata nelle varie epoche dell'anno, risulta da molteplici fattori, che dipendono dalla posizione geografica del bacino, dalla sua struttura geologica, dalla sua conformazione e da varie condizioni particolari delle sue parti. Che esso scorra in montagna o in pianura, che si trovi in una regione povera o ricca di piogge, e, per conseguenza, sia isolato o faccia parte d'una rete fluviale più o meno fitta, sono condizioni che gli conferiscono importanti caratteri.
La conformazione del suolo può accelerare o ritardare gli afflussi. Nei territorî ristretti e molto inclinati le acque si raccolgono rapidamente sul fondo della valle e formano una pur rapida corrente, in quelli piani le acque possono anche stagnare e non servire all'alimentazione dei fiumi. E perciò nelle regioni piane e ampie il deflusso delle correnti è del tutto diverso da quello d'una regione in cui alla valle sovrastino ripide montagne.
Anche le condizioni geologiche, particolarmente il diverso comportamento idrologico delle rocce, influiscono sul regime dei fiumi. Altro è il regime d'un bacino le cui rocce sono porose e fessurate e assorbono in grado maggiore o minore le piogge, altro quello d'un bacino che consta di rocce impermeabili. In un bacino costituito da rocce permeabili, se le piogge infiltrantisi in esso risorgono alla superficie, le piene sono tranquille, lunghe, non molto elevate e lentamente decrescenti. Sono invece impetuose, brevi e alte nei bacini impermeabili. Nei calcari fessurati si costituiscono fiumi sotterranei e i corsi d'acqua superficiali spariscono nelle grotte (Carso): se ritornano alla superficie, sono ricchi d'acqua e spesse volte navigabili.
Dalla posizione geografica, dalle forme del terreno e dal regime dei venti dipendono la distribuzione delle precipitazioni nelle varie parti del bacino e nelle varie epoche dell'anno, la forma (pioggia, neve) e l'intensità (piogge lente e lunghe, acquazzoni) con cui cadono, la maggiore o minore intensità dell'evaporazione, l'esistenza o no di ghiacciai, le condizioni termiche le quali influiscono sulla fusione delle nevi e sull'agghiacciamento: questi e altri fattori determinano il regime d'un fiume, il quale perciò in molti casi risulta piuttosto complesso.
I laghi esistenti in un bacino idrografico, specialmente se opportunamente situati, rendono regolare il regime dell'emissario: esempî classici il Ticino e l'Adda, dalla cui regolarità trassero grandi vantaggi la navigazione e l'irrigazione nella pianura milanese. Anche i boschi esercitano un'innegabile influenza sul regime dei fiumi. Sui terreni pendenti, il fitto bosco con i suoi rami e le sue foglie impedisce la troppo forte azione diretta della pioggia contro il suolo e anche con il soffice tappeto di muschi e di arbusti del sottobosco ritarda l'afflusso delle precipitazioni al fondo delle valli e perciò ne rende lo smaltimento più lento, le piene meno alte e meno improvvise. Fra le altezze idrometriche e le condizioni climatiche generali si rileva chiaramente la dipendenza dal differente regime dei fiumi di territorî climaticamente diversi. In base alla prevalenza di una o più forme d'alimentazione, il Woeikof e, dopo di lui, altri autori, tentarono di classificare i fiumi del globo partendo dai fatti climatologici essenziali. Ma in realtà i maggiori fiumi presentano una tale complicazione di condizioni riguardo all'alimentazione, che non è possibile farli entrare in categorie fondate sopra un'unica condizione climatica. La quantità d'acqua è sempre di varie provenienze e dipende da condizioni tanto più complesse quanto più varia e grande è la regione che il fiume attraversa.
Nelle regioni piane della Siberia e dell'America subartica, soggette a clima continentale, durante l'inverno i fiumi gelano e il loro intero bacino d'alimento è a lungo coperto di neve. Quando questa, al sopravvenire del caldo, rapidamente si scioglie, si dànno piene enormi che scemano verso l'estate. Altri fiumi pure gelano d'inverno, ma l'acqua che vi scorre durante la stagione calda proviene dalle nevi e dalle acque d'ablazione dei ghiacciai situati nelle loro alte regioni sorgentifere: tale è il caso dei fiumi della Transcaspia. Altri fiumi ancora, pure provenienti da alti monti, non ricevono tributo di ghiacciai, ma devono alle sole nevi la parte maggiore delle loro acque (Eufrate, Tigri). Vi sono poi fiumi di pianura, la cui alimentazione è in parte dovuta alle piogge e che devono principalmente allo sgelo delle nevi le loro piene primaverili (fiumi dell'Europa orientale, alto Mississippi e Missouri); all'inverno, cadendo le precipitazioni sotto forma di neve, corrispondono anche le magre. I fiumi poi che provengono da alte montagne e le attraversano (fiumi alpini) hanno piene estive, perché in questa stagione cadono le maggiori quantità di piogge, le quali si sommano con le acque provenienti dalla fusione delle nevi che, causa l'altitudine, continua durante l'estate. Nell'Europa occidentale, in cui dominano inverni miti, le piogge sono ripartite in tutte le stagioni e formano il principale alimento dei fiumi, le variazioni delle altezze idrometriche sono relativamente piccole. N'è tipo la Senna, dal quale fiume non differiscono molto quelli dell'Europa centrale, pure costanti; ma colà essendo il mantello nevoso considerevole, ne derivano differenze di livello di circa 5 metri. Se invece le piogge non cadono in tutte le stagioni, la differenza tra le piene e le magre è tanto più notevole quanto più le piogge (e la stessa fusione delle nevi) sono limitate a un determinato periodo dell'anno. Nel Friuli, essendo l'inverno la stagione più secca, le magre estreme e gli asciuttori di quei fiumi-torrenti sono prevalentemente invernali. Invece le fiumare della Basilicata e della Calabria sono asciutte d'estate e le loro piene sono iemali. Già a quelle latitudini esse rappresentano i fiumi delle regioni subtropicali, i quali, per la maggior parte, sono periodici, in stretto rapporto con le piogge. Sono assolutamente occasionali quelli dei deserti, lungo i tropici, causa la siccità del clima. Nei territori fra i due tropici, dove vi è un periodo di piogge che coincidono o con il passaggio del sole allo Zenit (piogge zenitali) o con l'avvicendarsi dei monsoni, i fiumi d'inverno sono in magra, d'estate in piena (Nilo, Yang-tze kiang, fiumi dell'India). Il Congo e l'Amazzoni che defluiscono circa lungo l'equatore, hanno le loro piene nel periodo delle piogge equinoziali, ma, specialmente il secondo, sostengono alquanto le loro più grosse portate per effetto degli affluenti di destra e di sinistra che entrano in piena alternativamente, in causa delle piogge zenitali. Ma dei varî fiumi non basta soltanto conoscere l'epoca dell'anno in cui si gonfiano e la causa delle piene o in quale altro periodo dell'anno siano in magra. Di ciascuno occorre determinare quantitativamente gli stati della massa d'acqua. Sino dai tempi più remoti, se ne sentì il bisogno, specialmente dove la vita d'una società era strettamente legata all'esistenza del fiume, come nelle oasi fluviali del continente antico. Questa necessità si fa più impellente per i moderni popoli civili, che dalle forze naturali cercano di trarre ogni miglior profitto.
Le variazioni del volume dell'acqua fluente avendo la loro espressione diretta nelle differenti altezze raggiunte sulle sponde, ne venne l'uso degl'idrometri, che sono aste opportunamente graduate e fissate lungo la riva, in modo che le intersechi la superficie della corrente. Ha grande importanza la fissazione del livello zero dell'idrometro, che si pone dove è discesa la corrente nella minima magra conosciuta o, come nell'Emilia e nel Veneto, in alto, al segnale di guardia degli argini. Le osservazioni si fanno ogni giorno e a ore determinate. Molto più di rado, si fa uso dell'idrometrografo, il quale consiste in un galleggiante che trasmette le proprie escursioni a un apparecchio registratore dotato d'un movimento d'orologeria. Questo apparecchio dà una curva continua che rappresenta fedelmente per ogni istante il livello d'acqua e le sue variazioni. La media altezza idrometrica corrispondente a un determinato tempo è data dal quoziente della divisione dell'area compresa fra le ordinate rappresentanti le altezze idrometriche per l'intervallo di tempo che le separa. Ma nella grande maggioranza dei casi le altezze dell'acqua si conoscono soltanto per mezzo degl'idrometri. Perciò la media idrometrica di un'annata si ottiene di solito dalla media di tutte le osservazioni fatte giornalmente durante l'annata stessa. Si calcolano medie per periodi più lunghi, per ricavare l'andamento medio annuo durante il periodo considerato. Quanto più lunga è la serie, tanto meglio nella media vengono eliminate le condizioni eccezionali. Considerando più serie di osservazioni, si nota che il periodo annuo può andare soggetto a cambiamenti, per modo che il confronto tra le variazioni di livello nei varî profili d'uno stesso fiume e quello tra un fiume e l'altro, deve essere sempre fatto per il medesimo tempo.
L'idrologo deve poi prendere in considerazione anche le estreme altezze (massime e minime), siano le assolute, siano le medie più alte e più basse, per ricavarne importanti indici, relativi a determinati periodi di tempo. Anche la frequenza del presentarsi di determinate condizioni di livello del fiume e la loro durata devono essere accertate in base ai dati idrometrici. Le osservazioni dei livelli raggiunti dal pelo d'acqua, continuate per molti anni, su un gran numero di fiumi, dimostrano come essi presentino variazioni che dipendono strettamente da quelle delle precipitazioni atmosferiche; più in generale, dal clima. Raggruppando le osservazioni per quinquennî, il Brückner credette di riscontrare in parecchi fiumi una corrispondenza con i suoi periodi climatici di circa 35 anni.
Ma se dalle altezze del pelo d'acqua matematicamente elaborate, si ricavano importanti conclusioni sul regime del fiume, che possono anche essere rese più evidenti con i metodi consueti di rappresentazione statistica per mezzo di diagrammi, tutto quanto può dare questo studio non basta: occorre conoscere le portate. La determinazione del loro valore per mezzo dell'esperienza e del calcolo, è uno dei più importanti compiti degl'idraulici.
Se l'acqua defluita attraverso una determinata sezione, in un determinato tempo, si potesse raccogliere in una cavità di volume noto, si avrebbe la portata dividendo questo volume per il tempo stesso. Ma questo metodo diretto non è applicabile alle correnti più grosse. Allora è necessario ricorrere a metodi indiretti. Uno di questi è la costruzione di uno stramazzo perpendicolare alla direzione della corrente, ma anche questo non si può applicare ai grossi fiumi. In tal caso, che è il più generale, si parte dalla considerazione che la portata lungo una sezione trasversale di forma e area note si potrà conoscere se sarà nota la velocità dell'acqua espressa in metri, perché allora il volume dell'acqua fluente in un minuto secondo sarà misurato, in metri cubi, dal prodotto dell'area della sezione espressa in metri quadrati, per la velocità. Ma, come si è accennato più sopra, la velocità non è la medesima in tutti i punti della sezione. Anche all'esperienza volgare è noto questo fatto, il quale può essere precisato nei suoi particolari per mezzo del molinello idrometrico che permette di misurare la velocità in tutto un profilo trasversale. Se si scandaglia questo profilo, in modo da conoscere esattamente la forma del perimetro bagnato, si divide la sezione in un certo numero di verticali e poi se ne ritrae un disegno esattamente proporzionato e si segnano le velocità che si è avuto cura di misurare con il molinello idrometrico a diverse altezze delle verticali medesime, si possono costruire le curve isotachie, ciascuna delle quali, come dice la parola, unisce tutti i punti nei quali l'acqua si muove con uguale velocità. Il filone apparisce segnato da una curva chiusa appena sotto la superficie, le altre curve sono aperte verso la superficie libera e grossolanamente ripetono la forma del fondo (perimetro bagnato della sezione). Nei diversi fiumi e nei diversi tronchi di uno stesso fiume e, per una stessa sezione, nei diversi stati del medesimo, l'andamento delle isotachie è differente. Dai risultati ottenuti per una verticale, si può ricavare un valore medio della velocità relativa ad essa e così per le altre; e siccome sono note le aree parziali della sezione comprese fra le verticali, si avrà per ciascuna area la portata parziale corrispondente: la somma di tutte le portate parziali darà la portata dell'intera sezione. In qualunque sezione trasversale, la portata del fiume varia continuamente in dipendenza di tutti quei fattori che ne determinano il regime. Si chiama portata integrale il volume d'acqua che passa per una data sezione trasversale in un anno: il medio deflusso annuale per minuto secondo, calcolato in base alla portata integrale d'un periodo di parecchi anni, si dice modulo del fiume. Da cui si ricava il grado o coefficiente di perennità, che è il rapporto tra la portata minima (nella massima magra annuale) e il modulo stesso. Il coefficente di perennità del Po è 0,20, quello del Tevere 0,60. Se le misure di portata, che sono assai dispendiose, si possono fare ogni giorno, si è poi in grado di applicarvi i metodi statistici di rappresentazione grafica. Così, disponendo i dati di portata in ordine crescente o decrescente, si ottiene la curva di durata o curva di regime, che è caratteristica per il fiume.
Si mettono poi in relazione graficamente o analiticamente le altezze idrometriche d'una determinata località con le portate corrispondenti e si costruisce la relativa scala di deflusso, la quale permette d'inferire la portata in un certo momento dall'altezza idrometrica. Il rapporto fra l'acqua fluente e quella caduta nel bacino idrografico non è costante. L'attività alla vegetazione, la temperatura, la natura del suolo vi influiscono. Illustri idraulici, cercarono di stabilire una legge generale fra la portata e l'altezza di pioggia corrispondente, ma senza risultato. È invece possibile, studiando l'andamento d'un medesimo fiume, trovare le relative formule empiriche.
Le piene e le inondazioni. - Le piene avvengono, come si è visto, in periodi determinati dal clima. Questi periodi, nei quali il fiume si mantiene a una portata superiore alla media annua, si dicono appunto periodi di piena. In ogni piena si distingue la fase di crescenza verso un'altezza massima (la colma). Se la colma si mantiene per un certo tempo, questo è conosciuto con il nome di stanca. Dopo il quale più o meno lentamente le acque ridiscendono allo stato medio e alla magra. La piena non può essere contenuta nell'alveo minore che è sufficiente nelle condizioni ordinarie: essa invade l'alveo maggiore, o piano d'inondazione, non sempre nettamente limitato verso l'esterno. Nei fiumi regolati dall'uomo che li ha costretti fra argini artificiali, le piene ordinarie, che sono un fenomeno normale in determinati periodi dell'anno, di solito non arrecano danni; quelle di alcuni fiumi anzi producono inestimabili vantaggi, come le piene del Nilo in Egitto che per la loro regolarità avevano destato l'attenzione degli antichi dotti e che soltanto nel sec. XVII dell'era nostra dovevano essere esattamente spiegate con le piogge periodiche nella zona torrida. Codeste sono piene tranquille. E per questo carattere trovano riscontro in fiumi di assai diversa natura, come in quelli nei quali l'alimentazione avviene per mezzo di acque di provenienza sotterranea e che hanno perciò piene regolari e lentamente decrescenti. Vi sono poi anche piene non periodiche, cagionate da fenomeni eccezionali, come improvvisi e considerevoli innalzamenti di temperatura che producono il rapido scioglimento di nevi abbondantemente cadute o lunghi e intensi acquazzoni e nubifragi: codeste piene sono rovinose, come nella Venezia furono quelle del settembre 1882 (rotta dell'Adige a Legnago). Queste sono piene vere e proprie, che non devono essere confuse con i rigurgiti dei quali sarà fatto cenno più avanti. Tuttavia si dànno casi nei quali la piena d'un fiume produce il rigonfiamento delle acque degli affluenti e dei subaffluenti, che possono straripare e portare un'inondazione, come avvenne del Tibisco e del Maros nel 1879, causa di rigurgito dovuto alla straordinaria piena del Danubio che aveva inadeguato smaltimento attraverso la stretta del Banato.
Il mezzo più comune di difesa contro le piene sono gli arginamenti, terrapieni eretti lungo le due rive del fiume, e fatti tanto alti e tanto robusti quanto occorre perché contengano le massime piene prevedibili, allo scopo di evitare che queste si riversino sui coltivati e gli abitati. A queste costose opere si collegano anche difese indirette, ma assai efficaci, per diminuire la rapida affluenza e l'altezza delle piene: nelle parti superiori del bacino idrografico si disciplinano le acque costruendo serre trasversali negli alvei dei torrenti e rimboschendo i monti; nelle parti medie e inferiori si fanno - se ritenuti opportuni - bacini di sedimento ove si depongono utili torbide del fiume, in modo che le acque ritornino al fiume nel periodo di decrescenza delle piene, oppure si aprono diversivi o scaricatori, cioè canali che possano ricevere parte delle maggiori piene, alleviandone il corso ordinario.
Per la difesa delle arginature è anche di grande importanza conoscere anticipatamente in una determinata località il sopraggiungere d'una piena, ciò che si dice previsione delle piene. A questo scopo servono le stazioni d'osservazione che lungo il corso del fiume hanno incarico di rilevarne le altezze idrometriche e di comunicarle telegraficamente a stazioni a valle, lontane quanto basti perché la piena nel percorrere la distanza debba impiegare un tempo sufficiente a prendere eventuali disposizioni di difesa. Nota l'altezza idrometrica d'una località a monte, con formule empiriche relative a un determinato fiume e fondate su molte osservazioni di piene precedenti, si può prevedere l'altezza che la piena avrà quando arriverà a una località a valle. Così per l'Adige, essendo annunziata da Trento l'altezza d'una piena ordinaria, si può prevedere quale aumento si avrà sull'idrometro di Boara Polesine moltiplicando l'altezza idrometrica attuale di Boara per il coefficiente o,50.
Erosione, trasporto, accumulamento. - Come s'è già osservato, la corrente non soltanto trasporta, ma erode il fondo e le sponde, impiegandovi l'energia eccedente quella necessaria al trasporto dei materiali. Perché ciò avvenga, è necessaria una velocità relativamente forte, la quale dipende dalla pendenza del tronco d'alveo e dalla massa d'acqua fluente. I maggiori effetti si hanno normalmente nella parte superiore dei corsi d'acqua. Se invece la forza della corrente non basta neppure al trasporto di tutto il materiale, questo è deposto in banchi lungo il tronco stesso. Stato intermedio fra questi due si dà quando la corrente è appena capace di trasportare, senza far deposizioni né erosioni. La velocità essendo distribuita lungo il profilo trasversale nel modo che si è visto, verso il mezzo l'alveo è più profondo e i depositi avvengono sui lati della corrente. Dalla diversa velocità dipende anche il movimento a onda delle materie trasportate che si elevano dal fondo, spinte innanzi, per poi ricadervi ed essere di nuovo rialzate dai moti obliqui dell'acqua, e così di seguito. E i movimenti irregolari della corrente, secondo il modo con cui investono le materie tenui, ora le spingono in alto e ne impediscono la discesa sul fondo, ora invece le portano in basso. Il trasporto dei frammenti rocciosi avviene per rotolamento sul fondo, onde essi prendono la forma rotonda caratteristica dei ciottoli fluviali; sono rotolati singolarmente, oppure, come avviene nei fiumi di montagna, per intere masse. Nel quale secondo caso, una vera corrente di materiali si trascina sul fondo. In questo movimento, i ciottoli si logorano; le dimensioni dei materiali si fanno minori, mano mano che dal corso superiore si passa all'inferiore, per effetto della cernita che ne deriva dalla diminuzione del potere di trasporto. Reciprocamente, i ciottoli logorano le rocce del fondo (v. erosione). In ciò ha importanza l'agitazione vorticosa, molto attiva nelle correnti rapide. I vortici hanno invece scarsa importanza nella formazione dei depositi. L'accumulazione avviene sotto forma di banchi triangolari per lo più allungati nel senso del fiume, che si dicono ghiareti, renai, golene; emergono nelle magre e si formano per effetto di ostacoli anche minimi che si presentino lungo le sponde o nel mezzo dell'alveo (isolotti) e la loro superficie ha di solito dolci inclinazioni dalla parte donde proviene la corrente, più forti a valle; cambiano dimensioni e anche posizione, inquantoché la corrente toglie materiali a monte e ne ridà a valle. Così i depositi si spostano a seconda della corrente, e ciò principalmente per opera delle piene: quelli del Danubio presso Vienna in sette anni percorsero 700-1000 metri. Su qualche ostacolo degli alvei se ne formano anche di fissi. Quando la corrente è regolare, essi si seguono alternatamente sulle due sponde e per conseguenza spostano il filone dalla linea mediana, e se esso va contro la riva opposta, su questa, dirimpetto a ogni deposito, si forma una concavità con le profondità maggiori e il maggior potere di trasporto. Fra due banchi vicini e opposti il fondo è rialzato, così che l'alveo risulta diviso in una serie di tronchi più depressi separati da "dossi", dove la corrente è meno profonda, perché ivi non scava, ed eventualmente depone. Confusamente disposti sono i banchi nei fiumi accumulatori, il cui filone è, per conseguenza, diviso in rami, separati da depositi più o meno emergenti: questi fiumi non hanno sufficiente potere di trasporto. Tali sono i fiumi-torrenti del Friuli, che perdono acque per infiltrazione, e i fiumi delle steppe, che le perdono per evaporazione. Fiumi (e tronchi fluviali) nei quali l'erosione prevale, scavano il letto in profondità e sui lati: l'erosione laterale ha per effetto lo spostamento del fiume e l'allungamento del corso; dalla prima consegue l'abbassamento del pelo d'acqua e con questo anche una diminuzione di pendenza, la quale si avvera anche per l'allungamento del corso. L'abbassamento del pelo d'acqua in un tronco a valle porta seco l'aumento dell'attività erosiva a monte (erosione regressiva, v. erosione), la quale invece si fa lenta, o addirittura cessa, se meno progredisce o cessa l'approfondimento dell'aveo a valle. Quando la corrente non può erodere in profondità, erode sui lati. L'erosione laterale è perciò la conseguenza della presenza d'una soglia resistentissima o del raggiunto equilibrio della corrente rispetto al livello di base. Per queste ragioni, l'accorciamento naturale o artificiale d'un corso d'acqua (per esempio, il taglio d'un meandro) porta seco un aumento di pendenza e la corrente scava il proprio letto.
Oltre a rotolare ciottoli sul fondo, i fiumi trasportano sostanze allo stato di soluzione e lino in sospensione, che fa torbide le acque e abbonda se la velocità è forte. Il limo sospeso è trasportato a lungo, causa la tenuità delle sue particelle e non si depone del tutto se non quando l'acqua entra in stato stagnante. Raccogliendo un po' d'acqua di piena in un recipiente di vetro, si vede il limo lentamente precipitare; invece le sostanze sciolte non si potrebbero separare dall'acqua stessa se non facendola evaporare. La quantità delle sostanze trasportate in sospensione è maggiore verso l'alveo che verso la profondità media e la superficie. Essa varia assai secondo gli stati del fiume. Nelle annate molto piovose è in proporzione maggiore che in quelle più asciutte. Nel Danubio, alla foce di Sulina, durante 30 anni, la torbidezza minima assoluta fu di gr. 2 per metro cubo, la massima di 2153 grammi. È caratteristico di tutti i fiumi che hanno piene molto notevoli e magre relativamente piccole il forte grado di torbidezza: per es. dei fiumi dell'Asia meridionale (l'Indo in piena, kg. 4,5 per metro cubo).
La limosità dei fiumi non dipende soltanto dalla piovosítà e, conseguentemente, dall'andamento annuo delle altezze idrometriche, ma anche dalla natura del rispettivo bacino idrografico. Il fiume è scarsamente limoso se nel bacino idrografico prevalgono rocce resistenti al disfacimento, sono invece ricchi di fango i fiumi alimentati dalle acque di fusione dei ghiacciai o che attraversano terreni facilmente erodibili. Per questa e altre ragioni, la limosità varia anche nei diversi tronchi d'uno stesso fiume.
Composizione chimica delle acque, temperatura, agghiacciamento. - Come le acque sotterranee e le sorgenti, anche l'acqua dei fiumi contiene una certa quantità di sostanze allo stato di soluzione. Questa quantità varia molto meno che quella delle sostanze sospese ed è minore durante le piene che non nelle magre, specialmente in quei fiumi nei quali le sorgenti hanno parte importante nell'alimentare la corrente; dalle acque delle piene torrenziali il fiume riceve assai più scarsa quantità di sostanze sciolte. L'elevamento della temperatura dell'acqua aumenta la quantità di sostanze sciolte, mentre in tal caso essa è meno in grado di tenere le sostanze in sospensione. Vien da sé che la composizione delle sostanze sciolte varia con la natura del bacino idrografico. Il contenuto di sali raramente supera il 0,02506 e sono di solito carbonati, solfati, cloruri. È notevole il fatto che il carbonato di calcio si trova sciolto quasi in tutti i fiumi. In tutti vi è anche il cloruro di sodio, in quantità di solito assai piccole: esso proviene in massima parte dalle acque piovane che ne contengono. Le sostanze organiche sono abbondanti specialmente nei fiumi che ricevono tributi da regioni coperte di selve e da paludi torbose: la loro acqua è colorata in bruno. Pure a sostanze organiche si devono le acque nere delle regioni equatoriali. Acque chiare hanno i fiumi alimentati da sorgenti che escono dalla roccia e le gradazioni vanno dall'azzurro al verde; in certi fiumi anche le torbide hanno colori caratteristici (rossastro se trasportano laterite, giallo se löss).
Dall'origine delle acque dipende anche la temperatura. Questa varia in primo luogo con il soleggiamento. Se la corrente è poco profonda, il fondo ne viene riscaldato e a sua volta riscalda l'acqua. Un simile influsso hanno le sostanze sospese. Lungo una sezione trasversale si osserva sempre la medesima temperatura, causa i movimenti delle particelle, per i quali tutta la massa d'acqua è continuamente rimescolata. L'escursione termica diurna raggiunge valori considerevoli soltanto in acque poco profonde; nei grandi fiumi la si nota appena e raramente supera un grado. L'escursione annua della temperatura invece è grande in molti fiumi: essa dipende dalle condizioni climatiche e varia secondo il grado del soleggiamento. Rispetto alla temperatura dell'aria, si notano differenze che dipendono principalmente dalla provenienza delle acque. Tutto l'anno, e specialmente nella buona stagione, più caldi dell'aria sono i fiumi di pianura specialmente se derivano da sorgenti.
D'inverno, nelle regioni fredde, i fiumi gelano. Perché in un'acqua corrente si formi il ghiaccio, è necessario che essa si raffreddi sotto zero. Nell'acqua corrente il ghiaccio si presenta in parecchie fomie. Solo nei grandi freddi possono formarsi ghiacci superficiali. Prima si forma invece il ghiaccio di fondo, del quale dà esempio anche qualche fiume dell'Italia settentrionale (v. adige). L'agghiacciamento dei fiumi, che avviene con la formazione del ghiaccio lungo le sponde e del ghiaccio di fondo che i moti ascendenti portano a galla, ed è fenomeno ordinario nelle regioni settentrionali dell'Europa, dell'Asia e dell'America Settentrionale, dipende dalle condizioni climatiche. Il Reno a Colonia è gelato in media per 21 giorni, il Volga a Kazan, per 147, la Lena presso Kirensk per 203. Con il disgelo si accompagnano quasi sempre gravi inondazioni.
Oltre al ghiaccio di fondo, che i fiumi frigidi trasportano prima che lo specchio d'acqua si chiuda e quando la lastra, sciogliendosi, si spezza, altre volte o in altri fiumi sulla superficie della corrente vanno a seconda gli ammassi d'erbe, come il sedd del Nilo, gl'isolotti d'alberi galleggianti (sawyers del Mississippi) e i tronchi d'alberi divelti dalle correnti e ammassati in zattere naturali. Queste materie, arrestandosi, possono produrre impedimenti alla corrente, essere d'ostacolo alla navigazione e cagionare rigurgiti che si propagano a monte per un certo tratto, dove a un tempo si verificano diminuzioni di velocità della corrente, cioè il contrario di ciò che avviene nel caso d'una vera piena (dovuta sempre ad aumento della quantità d'acqua).
Profilo longitudinale e profilo trasversale delle valli. Terrazzi. - Per mezzo dell'erosione e dell'accumulazione, i fiumi regolano la pendenza fra la sorgente e la foce (o la confluenza) e dispongono l'alveo secondo una curva detta profilo longitudinale normale o profilo di equilibrio, cioè corrispondente allo stato d'equilibrio tra la quantità di carico che il fiume riceve dal suo bacino idrografico e quello che è in grado di asportare (v. erosione). Per raggiungere questo stato, il fiume incide tutte le parti del suolo che stanno al disopra del profilo stesso; tutte quelle che si trovano al disotto sono colmate. In queste si formerà un ripiano alluvionale, in quelle, per lo più, un solco stretto e profondo. Il raggiungimento del profilo di equilibrio riguarda non soltanto il fiume principale, ma anche tutti gli affluenti e subaffluenti che gli si uniscono, per modo che il profilo del corso che risulta dall'unione di tutti rappresenta la prosecuzione del profilo d'equilibrio di ciascun affluente.
In ogni fiume che ha raggiunto questo stato si distinguono due parti: il corso superiore nel quale il fiume erode più o meno, il corso inferiore in cuì esso accumula se il mare non ne asporta i materiali. Tra il corso inferiore e il superiore si può anche distinguere il corso medio, nel quale il fiume ora erode, ora accumula. L'accumulazione può avvenire in qualunque tronco in cui si muova del materiale, ma è soprattutto caratteristica del corso inferiore, assai poco pendente (alla foce la pendenza è nulla): il fiume compie facilmente diversioni, si divide in rami e occorre regolarlo. Nel corso superiore l'erosione continua e ne sono caratteristiche le differenze di pendenza, i tratti in cui le acque scorrono tranquille e quelli nei quali invece precipitano in cascate. Queste sono caratteristiche di una corrente non ancora sistemata. Quando un fiume non ha ancora raggiunto il profilo normale il suo corso è interrotto da gradini, e questi sono di roccia in posto non ancora abbastanza erosa, senza contare il caso, tutt'altro che raro, della formazione di gradini d'altra origine (cioè dovuti a frane, coni di deiezione, morene) venuti a disturbare il lavoro di sistemazione dell'alveo. Allora vi si succedono molteplici tronchi che presentano i caratteri di corso inferiore, di superiore o di medio, con laghi, forre, allargamenti e salti. Non di rado, anche poco a monte della foce rumoreggiano cascate e rapide, per modo che, come per certi fiumi dell'Europa orientale, non si può parlare di un corso superiore nel senso poco fa definito. Ogni cascata tendendo, per erosione, a retrocedere, quelle prossime alle foci con il tempo si spostano a monte, n entre la corrente lavora a dare al proprio alveo la pendenza nomiale. Quanto al profilo trasversale delle valli, la forma iniziale, dipendente dall'intensità dell'erosione in senso verticale, è la forra con le pareti molto inclinate o addirittura verticali; l'inclinazione poi si attenua, e con il procedere del disfacimento delle pareti il profilo trasversale assume la forma di V.
Il corso dei fiumi è spesse volte accompagnato da terrazzi, che possono essere incisi nella roccia in posto o in alluvioni deposte in un periodo di diversa attività della corrente (nell'era quaternaria), nelle quali alluvioni poi il fiume scavò il nuovo alveo. Questo il caso più semplice.
Deviazioni e spostamenti. - Abbiamo già avuto occasione di conoscere le catture che dipendono dall'erosione regressiva e per le quali un fiume può deviare in un'altra valle. Ma i fiumi compiono cambiamenti di corso che dipendono o da cause estranee alla natura delle loro rive oppure dal prevalere dell'erosione laterale su quella in profondità. Come ogni movimento che avviene sulla superficie terrestre, anche quello dell'acqua corrente subisce una continua deviazione dovuta al movimento rotatorio del pianeta, verso destra nell'emisfero boreale, verso sinistra nell'australe. L'effetto però, come dimostra il calcolo, è ritenuto troppo piccolo rispetto ad altri fattori dai quali dipendono la velocità e la direzione delle acque correnti. Causa regionale di spostamento dei fiumi è stato riconosciuto il vento, quando è dominante e investe la superficie sotto un angolo piuttosto forte. Altri cambiamenti del corso dipendono dall'erosione laterale. Ciò avviene in regioni piane; fra i monti il fiume scorre imprigionato in un solco, la valle, che esso non può abbandonare se non per cause geologiche esigenti lunghissimo tempo. Nei fiumi di pianura, per riguardo alla posizione altimetrica relativa all'alveo, si possono distinguere due principali tipi: fiumi che scorrono infossati, o come si diceva un tempo, incassati, in un solco più o meno profondo, e finalmente fiumi detti pensili perché con le loro deiezioni elevano il letto sopra la pianura circostame e l'attraversano come su un terrapieno. Assai facili e assai dannose sono le loro diversioni che avvengono durante le piene (Adige, Huang ho). Queste diversioni possono essere soltanto parziali, in quanto producono soltanto nuovi rami, la cui attività di solito non è lunga e può anche riprendersi. Delle diversioni parziali che avvengono sempre dove i fiumi accumulano e per lo più nei corsi inferiori, si possono distinguere casi diversi. Quello più noto è caratteristico dei delta diramati, nei quali cioè ogni ramo ha la sua foce indipendente. Altre volte un braccio si diparte dalla corrente principale per poi ritornarvi, come fanno i paranamirins dell'Amazzoni; altre diversioni ancora, come i furos dello stesso Amazzoni, vanno a unirsi a un affluente a monte della confluenza di questo nel corso principale.
Un genere tutto diverso di cambiamenti di corso è quello delle correnti tra sponde basse e costituite da materiali sciolti, delle quali il filone oscilli da una sponda all'altra. Questo serpeggiamento del filone, diversamente spiegato dai varî autori, è causa delle forti tortuosità che si chiamano meandri, le convessità dei quali si susseguono invertite, cioè rivolte alternatamente sulla destra e sulla sinistra del fiume. E come si è visto dicendo della formazione dei renai, il fiume erode le rive concave e depone sulle convesse sino all'altezza delle piene, alternatamente a destra e a sinistra della corrente; elimina le pareti sporgenti nella valle, e il piano di alluvioni laterali s'ingrandisce in proporzione della grandezza dei meandri che il fiume può descrivere. Più il fenomeno continua e più forti si fanno le tortuosità. Quando queste sono strettamente avvicinate, per essere arrivate a descrivere archi superiori a 180°, il terreno circuito dal meandro non separa la parte superiore dalla inferiore della corrente se non per mezzo di un istmo che si fa sempre più stretto, tanto che la corrente stessa può facilmente reciderlo (cut-off), abbandonando il meandro. Durante una piena, i meandri possono essere abbandonati anche per recisione attraverso le curve (il "taglio corto", short cut, della scuola americana). Stagni dalla figura semilunare, che sono meandri abbandonati, si notano dappertutto lungo i fiumi a meandri, e il popolo nostro li chiama morte di fiume, mortizze, lanche o ancone. I meandri cambiano continuamente il loro posto lateralmente e verso valle. L'estensione dei meandri d'un fiume è limitata dalla condizione che il fiume non può scorrere con una pendenza minore di quella che compete al profilo normale. La larghezza che in un fiume di pianura può avere la zona dei meandri, cioè la zona limitata dalla tangente alle curve più esterne sui due lati della corrente, è in rapporto costante con la larghezza del fiume, e quanto maggiore è il volume delle sue acque tanto più larga è la zona dei meandri.
I fiumi e l'uomo. - Facendo parola delle piene si è accennato anche alle difese contro le inondazioni: con ciò si è entrati già a considerare una delle molteplici relazioni fra l'uomo e i fiumi. Infatti è assai vario e complesso l'uffizio che spetta ai fiumi nella vita dei popoli e nella loro economia. L'acqua corrente non è soltanto un pericoloso nemico che l'uomo civile sa correggere, ma è una sostanza necessaria alla nostra vita e una preziosa fonte di energia. La storia dei paesi aridi, come le steppe e i deserti, fa apprezzare la vitale importanza dell'acqua. La diminuzione delle portate, le diversioni naturali o la distruzione di un canale derivatone a opera d'una tribù nemica, o d'un terremoto, portano seco la morte delle coltivazioni dell'oasi, la cui popolazione si vede tolta d'un tratto, e irreparabilmente, la possibilità di vivere. Ove si pensi poi alle strette relazioni economiche e politiche che si stabiliscono tra gli agricoltori delle oasi e i pastori delle steppe, fatti consimili non si devono trascurare quando si vogliano ricercare le cause delle emigrazioni dall'Asia centrale e delle terribili invasioni dei nomadi che la storia narra.
L'irrigazione derivata dai fiumi rese possibile l'agricoltura nelle oasi fluviali dell'Egitto e della Babilonia. Gli sforzi intellettuali per trar profitto dell'acqua e costruire opere irrigatorie, tali che riuscissero utili alla collettività, e la necessità stessa di disciplinare la distribuzione del prezioso liquido, diedero impulso alla scienza e a fermi ordinamenti politici.
I fiumi che sboccano nel mare, osservava il Ratzel, ne rappresentano la prosecuzione nell'interno delle terre emerse. E perciò mettono l'interno delle terre che attraversano in comunicazione con il mondo, tanto più efficacemente quanto meglio sono navigabili e quanto più opportuna è la posizione geografica delle loro foci. Il Danubio che sbocca in un mare interno, non ha per le comunicazioni mondiali l'importanza dell'estuario del Tamigi con il porto di Londra. E i grandi fiumi della Siberia e del Canada, sfocianti nel Mar Glaciale, non hanno importanza per il traffico. Risalendone la corrente, l'uomo occupò per la prima volta le rive di molti fiumi, per poi espandersi lontano da queste. Anche l'esplorazione scientifica, la penetrazione economica e politica, la colonizzazione di regioni sconosciute si fecero più volte a ritroso di un gran fiume. Per contrario, la conoscenza dei paesi percorsi da fiumi interrotti da cascate (come in Africa) andò molto a rilento e il problema delle loro sorgenti venne risolto non già risalendoli, ma prendendoli, per così dire, alle spalle. Nonostante le interruzioni che presentano, i grandi fiumi africani costituiscono oggidì le vie di comunicazione più rapide, più economiche e più sicure. E tutti i fiumi (e tronchi fluviali) navigabili hanno una grande importanza per i trasporti. Nei paesi di civiltà non europea, dove la viabilità per terra è assai trasandata, come in Cina, essi sostituiscono le ferrovie; nei paesi dell'Europa e negli stati di origine europea la navigazione interna completa il servizio dei trasporti. Anche i fiumi non navigabili hanno importanza nel determinare la posizione delle vie di comunicazione, perché i fondi delle valli, essendo coperti di fertili alluvioni e ricercati come sedi, queste devono comunicare con i paesi vicini per mezzo di strade e di ferrovie che seguono le valli. Tuttavia la tecnica moderna ha emancipato l'uomo da questa completa dipendenza delle comunicazioni dal tracciato naturale dell'idrografia: se l'uomo civile non è in grado di mutare il corso dei fiumi, sa costruire ferrovie e autostrade senza dover seguire strettamente le linee segnate dalla natura.
Attraendo gli uomini con il beneficio dell'acqua e delle fertili alluvioni, i fiumi servono, più che a separare le popolazioni rivierasche, a unirle e a fonderle insieme. I fiumi che presentino queste condizioni non possono fungere bene da confini politici. Tuttavia, in generale, rispetto ai paesi situati a destra e a sinistra dei loro corsi e ai movimenti diretti trasversalmente, i fiumi hanno soprattutto valore di ostacoli e come tali prevalentemente agirono in determinate situazioni storiche. Il Reno, quando il suo corso era fiancheggiato da impraticabili paludi e da imponenti selve, separò Galli da Germani e la civiltà romana dai Barbari; oggi unisce i Tedeschi delle sue rive. L'ostacolo è tanto più serio quanto più largo è il fiume e quanto più paludose e perciò inaccessibili sono le sue rive. Sotto questo riguardo i fiumi presentano anche un particolare interesse per l'arte militare.
Le comunicazioni sono un fenomeno antropogeografico strettamente correlativo a un altro: le sedi umane. E i fiumi, fossero o no navigabili, ebbero, per la ragione anzidetta, parte preminente nella formazione e nello sviluppo delle sedi e particolarmente delle città, benché queste, secondo la diversa importanza dei fiumi e dei tronchi fluviali, si presentino molto diverse le une dalle altre. Certo che si trovano sui fiumi molte città tra le più importanti e le più antiche. L'acqua, la pesca, la fertilità delle alluvioni, rispondono al bisogno essenziale dell'alimentazione quotidiana. Il fiume poi fornisce energia e dà perciò vita alle industrie, e diviene via commerciale. Nella formazione di centri urbani fluviali ebbero importanza i luoghi indicati come passi obbligati per i movimenti in direzione trasversale, i punti dove incominciava o cessava la navigazione, e gli abitati sorti dove il fiume cambiava direzione o situati alle confluenze.
Per l'idraulica fluviale, v. idrotecnica; piene, per l'utilizzazione pratica, v. acque pubbliche.
Bibl.: J. Brunhes, Travail des eaux courantes, in Mémoires de la Société Fribourgeoise des Sciences Naturelles, II, fasc. 4: Géologie et géographie: W. M. Davis, River terraces in New England, in Bulletin of the Museum of Comp. Zoology at Harvard College, XXXVIII, geological series, V, n. 7, Cambridge Mass. 1902; Fisher, Terraces of the West River ecc., in Proc. of the Boston Society of the Nat. Hist., XXXIII (1906); H. Gravelius, Flusskunde, Lipsia 1914; U. Masoni, Corso d'idraulica, Napoli 1924; L. Metchnikoff, La civilisation et les grands fleuves hist., Parigi 1889; Ponti, La meteorol. nei suoi rapporti con l'idraulica fluviale, in Giorn. del Genio civile, 1895; A. Supan, Grundzüge der phys. Erdkunde, 7ª ed., I e II, Lipsia 1930; Torricelli, Idraulica teorica e pratica, in Trattato dell'ingegnere e architetto, Milano 1899 segg.; G. Turazza, Costruzioni idrauliche, ibid.; W. Ule, Physiogr. d. Süsswassers, Lipsia 1925.
Fiumi internazionali.
Sono quei fiumi che nel loro corso attraversano il territorio di due o più stati, ovvero separano stati differenti in maniera da costituire tra essi un confine.
Non è recente la creazione d'un regime convenzionale diretto a disciplinare il comportamento degli stati rivieraschi relativamente alla loro potestà sui fiumi internazionali, quando siano navigabili, per determinare in questo caso anche la posizione giuridica di quegli stati le cui navi siano in grado di risalire la corrente provenendo dal mare. Questo sistema di norme riguarda i fiumi internazionali europei più importanti (Reno, Danubio, Schelda, Mosa), molti grandi fiumi dell'America Meridionale e Centrale, il Congo e il Niger, ed è fondato sul consenso degli stati interessati nei singoli fiumi a rimuovere le cause di certi contrasti determinati dall'agire di taluni stati che, possedendo l'imboccatura del fiume, possono chiuderlo, come lo chiudevano, al traffico degli altri stati situati più a monte. Causa questa, naturalmente, di danno enorme non soltanto a codesti stati, ma anche ad altri stati non rivieraschi, veniva impedita ogni comunicazione e ogni traffico di navigazione con gli stati ripuarî più interni.
Il concetto comune che domina il regime convenzionale è quello della libera navigazione sui fiumi internazionali, applicato rispetto ad alcuni di essi, in vista di speciali motivi e di particolari circostanze, con certi mutamenti che però non alterano né tanto meno influiscono, sia pure indirettamente, sul principio generale della libertà di navigazione per la bandiera di tutti gli stati contraenti, sulla base di perfetta eguaglianza, con diritto di servirsi delle rive per gli scopi e per i bisogni della navigazione.
Per assicurare l'attuazione dei principî stabiliti nei trattati, specie nei riguardi di certi grandi fiumi d'Europa, particolarmente importanti per il traffico internazionale, sono state istituite da accordi internazionali speciali commissioni, composte sia di soli delegati degli stati ripuarî sia con partecipazione anche di delegati di stati non ripuarî, i quali, per il loro rango di grandi potenze, avrebbero un interesse indiretto al mantenimento del regno e giuridico concernente le vie navigabili d'interesse internazionale, come la convenzione di Barcellona del 20 aprile 1921 definisce i fiumi e parti di fiumi che nel loro corso naturalmente navigabile sino al mare attraversano o separano il territorio di più stati.
Questa convenzione, contenente un vero e proprio Statuto sul regime delle vie navigabili d'interesse internazionale (reso esecutivo in Italia con r. decr. 22 luglio 1923), vuol essere una nuova tappa sulla via della generalizzazione del principio di libertà proclamato già dall'atto finale del congresso di Vienna del 9 giugno 1815 che riprese e completò (articoli 108-117) l'opera iniziata dal trattato di Parigi del 30 maggio 1814. Con tale trattato era stato difatti dichiarato all'art. 5 che la navigazione del Reno fosse sempre aperta a tutti, né potesse per alcun motivo venire interdetta a nessuno, aggiungendo che i diritti fiscali spettanti agli stati rivieraschi dovessero essere contenuti in limiti tali da non ostacolare la libertà delle comunicazioni fluviali e del commercio, mentre la convenzione di Magonza del 31 marzo 1831, sostituita poi da quella di Mannheim del 17 ottobre 1868, conchiusa fra il Baden, la Baviera, la Francia, l'Olanda e la Prussia, ebbe cura di rimuovere certe cause di contrasti derivanti dall'interpretazione che i Paesi Bassi pretesero dapprima di poter dare al trattato di Vienna.
Precedentemente a questi trattati un regime convenzionale concernente il Reno (oltre la Mosa e la Schelda, aperte già alla libera navigazione da parte di tutti gli stati ripuarî in seguito al decreto del 16 novembre 1792 del Consiglio provvisorio della Repubblica francese) era già in vigore in base alla convenzione conclusa a L'Aia il 16 maggio 1795 tra la Francia e l'Olanda. Con altri trattati il regime della navigazione nei fiumi internazionali si andò estendendo; e così col trattato di Londra del 19 aprile 1839 l'Olanda e il Belgio consentirono d'applicare alla Schelda le norme del trattato di Vienna; con quello di Parigi del 30 marzo 1856 vennero estese al Danubio, ma attraverso un regime particolare, le norme stabilite dal congresso di Vienna; con l'atto generale della conferenza di Berlino del 26 febbraio 1885 si statuì la libertà di navigazione sul fiume Congo e sui suoi confluenti per tutte le navi di commercio, senza distinzione di nazionalità.
Il problema della navigazione fluviale è stato preso in esame nel 1921 dalla Società delle nazioni, conformemente alla missione affidatale dal Patto di provvedere alla libertà delle comunicazioni e all'equo trattamento del commercio dei suoi membri. Lo scopo perseguito dalla società fin dai suoi primi passi è stato quello di cercare di sottoporre la navigazione dei fiumi internazionali a un regime più organico e più uniforme e generale che fosse possibile, in rispondenza al contenuto dell'art. 338 del trattato di Versailles. Tale regime è stato sancito dalla convenzione di Barcellona del 20 aprile 1921, ha davvero una base larghissima, essendo stato accettato da 41 stati, ed essendo estensibile di diritto agli stati ex nemici. Ai termini del nuovo statuto (art.1), sono d'interesse nazionale (e perciò soggetti al regime di libertà della navigazione stabilito dal trattato):1. tutte le parti naturalmente navigabili dal mare e verso il mare di un corso d'acqua che separa o attraversa differenti stati, nonché ogni parte d'altra via d'acqua natuialmente navigabile che ricollega al mare i corsi d'acqua prima nominati; 2. i corsi d'acqua nazionali che gli stati interessati dichiarino, per atto unilaterale o per trattato concluso con il loro consenso, soggetti al regime della convenzione. Gli affluenti sono considerati a sé e, quindi, nazionali se inclusi nel territorio di uno stato solo, d'interesse internazionale se separano ovvero attraversano più stati.
Il regime dello statuto, pur essendo congegnato sul principio del libero esercizio della navigazione alle navi e ai battelli degli stati contraenti sulle vie d'acqua d'interesse internazionale già indicate, con trattamento di perfetta eguaglianza per tutte le bandiere, per tutte le provenienze o destinazioni di merci e per tutti i cittadini delle parti contraenti, senza distinzione se si tratti di stati rivieraschi o no, stabilisce certe condizioni speciali per l'attribuzione di determinati diritti e per il relativo esercizio di essi. Così gli stati rivieraschi possono riservare alla propria bandiera il piccolo cabotaggio tra i porti della sezione del fiume che è sotto la loro potestà; la riscossione di tasse dev'essere operata in misura corrispondente alle spese di manutenzione del fiume, essendo esclusa ogni riscossione di pedaggio o balzello come corrispettivo della concessione di uso del fiume; l'amministrazione dei fiumi e la polizia della navigazione sono affidate ai singoli stati per la sezione del corso d'acqua sottoposto all'autorità di ciascuno, con facoltà di emanare regolamenti relativi alla difesa doganale, sanitaria e dell'ordine pubblico. Lo statuto, oltre a disposizioni particolareggiate e relative alla manutenzione dei fiumi e ai lavori occorrenti per la navigabilità, all'esercizio del potere di polizia, al funzionamento della giurisdizione, si occupa particolarmente della situazione giuridica già creata a certi fiumi internazionali per il fatto di trovarsi sottoposti al governo di determinati organi internazionali (Reno, Danubio, Elba, Oder: questi due ultimi divenuti fiumi internazionali per disposizione del trattato di Versailles); per essi continuano ad avere vigore gli atti di navigazione e i regolamenti speciali che li riguardano in quanto non contrastano con la convenzione
Gli organi internazionali diretti a controllare e a favorire la libera navigazione sono: la Commissione Centrale per la navigazione del Reno, istituita con l'atto di Magonza del 1831, riveduta poi dalla convenzione di Mannheim del 1868 e ricostituita dal trattato di Versailles (v. reno); le Commissioni del Danubio: quella europea, istituita col trattato di Parigi 30 marzo 1856, e quella del Medio Danubio, istituita dal trattato di Versailles del 28 giugno 1919 (v. danubio); la Commissione dell'Elba e la Commissione dell'Oder, istituite dal trattato di Versailles (articoli 340-341) allo scopo di regolare la navigazione nei due fiumi. Per quanto riguarda la navigazione sul Congo nessuna innovazione è stata apportata ai trattati che hanno determinato i regolamenti relativi a questo fiume. La libertà di navigazione su di esso e su i suoi confluenti, stabilita nell'atto generale della conferenza di Berlino del 26 febbraio 1885, è estesa a tutte le navi di commercio senza distinzione di nazionalità, sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, non solo per le navi neutrali, ma anche per le navi appartenenti ai belligeranti. Sono consentite riscossioni di tasse a solo titolo di rimborso di spese. Le strade, le ferrovie, i canali laterali, costiuiti per ovviare al fatto che in alcune sezioni il Congo non è navigabile, sono sottoposti al trattamento generale del fiume. Venne anche istituita una commissione con poteri eguali a quelli conferiti alla commissione europea del Danubio; ma in fatto tale organo non funziona. Al Niger è stato fatto lo stesso trattamento del Congo col medesimo atto generale della conferenza di Berlino del 1885. Venne affidato ai singoli stati ripuarî (Ingnilterra e Francia) il compito di applicare nel percorso del fiume sul proprio territorio le norme stabilite per la sua navigazione.
Bibl.: E. Caratheodory, in F. Holtzendorff, Handbuch des Völkerrechts, II, Amburgo 1885 segg., pp. 279-377; A. River, Principes du droit des gens, I, Parigi 1896, p. 141-143; E. Engelhardt, Du régime conventionell des fleuves internationaux, Parigi 1879; E. Nys, Le droit international, L'Aia 1912; G. Diena, Principî di diritto internazionale, I, Napoli 1908, p. 196, 202; F. Sacomoni, Il regime dei fiumi internazionali del Trattato di Versailles, in Riv. di diritto internaz., 1922, pp. 542-556; A. Cavaglieri, Corso di diritto internazionale, Padova 1925, p. 279 segg.; C. Longo, Diritto internazionale pubblico e privato, Napoli 1930, p. 129-133.
Fiumi sacri.
I fiumi, per la santità della loro scaturigine (v. fonte: Le fonti sacre), per i benefici che arrecano con l'irrigazione, per la loro associazione a tutta la storia d'un gruppo umano dalle prime emigrazioni guidate dal loro corso fino allo stanziamento definitivo nel territorio da essi bagnato, sono stati quasi sempre ritenuti sacri.
Nel mito in genere i fiumi sono concepiti come maschi; nelle varie mitologie, e specialmente nella greca (v. più oltre), sono padri di eroi.
Tutte le civiltà più antiche come la cinese, l'egizia, la mesopotamica, sono nate lungo il corso dei fiumi. Il Fiume Giallo (Huang ho) è venerato come il primo dei quattro grandi fiumi contrapposti alle quattro sante montagne i cui spiriti proteggono il territorio cinese. Il Nilo fu venerato tra le maggiori divinità e assimilato perfino a Osiride, il dio più rappresentativo dell'Egitto. In ogni nomo un sacerdote era addetto al suo culto; le sue funzioni propiziatrici si esplicavano specialmente nel momento dell'inondazione. Una volta all'anno v'era il matrimonio sacrificale d'una giovinetta che in vesti nuziali veniva annegata nelle acque del fiume. L'Eufrate e il Tigri erano considerati divinità. Il codice di Hammurabi prescrive l'ordalia nelle acque del "dio-fiume" Eufrate all'individuo accusato di stregoneria. Non mancano inni e dediche al fiume. Il Gĭordano è stato sempre sacro per le genti siro-palestinesi. Il Gange è considerato dal mito come una delle forme di Vishnu e ritenuto in formularî brahmanici come scaturiente dalla triade induistica, donde è disceso a irrigare l'India. Nelle sue acque sante e purificatrici si crede siano risanate anche le macchie dell'anima oltreché quelle di colpe legali: donde l'uso frequentissimo delle abluzioni e quello di gittare nelle sue onde i cadaveri, quale arra di purificazione per il destino ultramondano dell'anima. Sacre sono per un profondo spazio di terreno anche le rive.
Il rispetto sacro per i fiumi è attestato da varî riti delle popolazioni primitive e da usanze del folklore moderno: offerte al fiume che si deve attraversare; riti propiziatorî nella costruzione di ponti che violano in qualche modo la libertà e l'azione del fiume; bagni specialmente in certe epoche (solstizio d'estate; o 24 giugno, festa di S. Giovanni Battista) per ottenere fertilità, ovvero per allontanare le avversità in quanto la corrente porta via ogni male; proibizione di attraversarlo a chi si trovi in stato d'impurità, ecc.
Antichità classica. - Presso i Greci e gl'Italici antichi il culto dei fiumi fu diffusissimo, benché ordinariamente di carattere locale; di rado un culto fluviale si diffuse al difuori della propria regione, come avvenne, p. es., in Grecia, per i culti di Acheloo e di Alfeo.
I fiumi, come i mari, le fonti, le sorgenti, che Omero (Iliad., XXI, 196 segg.) rappresenta come tutti emananti dal profondo Oceano (v.), acquistano una determinata figura mitica in Esiodo (Teogonia, v. 337 segg.), che li dice figli di Oceano e di Tetide. A seimila si faceva ascendere il numero dei figli delle due divinità: tremila femmine (fonti e sorgenti) e altrettanti maschi (i fiumi). Talvolta però essi si trovano designati anche come figli o discendenti di Zeus, riguardato come l'origine prima di tutte le acque piovute sulla terra. Come dei, anche i fiumi siedono con gli altri dei a consesso (Iliad., XX, 7): hanno rapporti di parentela, mogli e figli; nella guerra troiana partecipano ai combattimenti; hanno sacerdoti (Dolopione sacerdote dello Scamandro, in Iliad., V, 77), ricevono sacrifici (di cavalli), ecc. Spesso incontriamo degli dei fluviali anche in leggende di contenuto erotico (si ricordi la lotta di Eracle con Acheloo per Deianira); e ad essi, come in genere alle divinità dell'acqua, veniva attribuita la facoltà di trasformare il proprio aspetto (metamorfosi dell'Acheloo, del Crimiso, ecc.).
I fiumi venivano riguardati e venerati come fattore essenziale di fecondità e di prosperità per le regioni da essi attraversate, delle quali si rappresentavano spesso come i più antichi re, come capostipiti delle più nobili famiglie, come iniziatori e artefici delle prime forme di civiltà: tali furono le attribuzioni dello Scamandro nella Troade, dell'Inaco in Argo, dell'Asopo a Fliunte e Sicione, del Cefiso in Beozia, del Peneo in Tessaglia. E, perché fecondatori delle terre, essi venivano ritenuti benefattori e protettori della gioventù (κουροτρόϕοι "allevatori dei giovani").
Quanto al culto, per molte città e regioni della Grecia ci sono testimoniati - già in Omero - templi e sacerdoti di dei fluviali. Chi doveva attraversare un fiume si purificava le mani e faceva al dio una preghiera e, possibilmente, l'offerta (cfr. Hesiod., Op. e Giorni, 737 segg.) di un bianco destriero (come a Posidone): sacrificio costoso e quindi raro, ma di cui si conoscono esempî famosi, come quello di Serse allo Strimone (Herod., VII, 113). Feste annuali con un agone ginnico in onore di Acheloo si celebravano nell'Acarnania: e riti di simil genere conosce anche l'antichità italica e romana; come, p. es., l'offerta di bianchi cavalli al Clitunno. Rituale era l'offerta dei capelli da parte dei giovani. Ché nell'Italia antica - preromana e romana - il culto dei fiumi non fu meno diffuso che in Grecia. Oltre quello del Clitunno, si ricordano i culti locali del Numicus di Lavinio, del napoletano Sebeto, del Po (Padus pater): a Roma, il fiume dell'Urbe venne adorato sotto il nome generico di Volturnus ("il dio del fiume", da volvĕre), cui si aggiunse l'epiteto Tiberinus: da questo Volturnus Tiberinus si sviluppò poi un dio a sé, il Tiberinus pater; ma all'antico Volturno rimasero dedicati lo speciale sacerdote e le speciali feste del fiume (flamen Volturnalis, feste Vulturnalia del 27 agosto). Il nome generico del fiume si localizzò poi in Campania come nome proprio, nel Volturno, anch'esso oggetto di culto.
Iconografia. - L'immaginazione degli antichi fu specialmente colpita dalla violenza e dal fragore delle acque del fiume in piena, simili all'impeto incontenibile e al muggito del toro; a questo animale si assimilò il fiume, e la forma taurina divenne la rappresentazione più comune delle divinità fluviali; contribuendovi forse anche il confronto fra la benefica azione fecondatrice dei fiumi e la proverbiale capacità generativa del toro. Di tale figurazione simbolica s'impadronì in modo particolare il mito dell'Acheloo (v.). Nelle arti figurative la difficoltà di distinguere, in molti casi, il toro fluviale dal toro comune, indusse assai per tempo gli artisti ad adottare, a lato della figura del toro ordinario, quella del toro a testa umana (o androprosopo): tipo che, adoperato dapprima per l'Acheloo, prevalse poi rapidamente e rimase il solo usato ad esprimere le divinità fluviali; e ciò, a cagione dell'estesa rinomanza della leggenda di Acheloo, uno dei pochissimi dei fluviali non esclusivamente locali e l'unico di cui ricorra la figurazione nella pittura vascolare. A poco a poco anche la protome di toro andò scomparendo dalle rappresentazioni degli dei fluviali, i quali, dalla fine del sec. V in poi, non conservarono nell'arte altro ricordo della loro antica figurazione taurina se non le corna. Di una siffatta progressione ci offrono esempio cospicuo le monete, la classe di gran lunga più numerosa di monumenti con rappresentazioni di divinità fluviali: eccellono le serie numismatiche della Sicilia e della Magna Grecia. Nelle monete del sec. IV la divinità fluviale si presenta generalmente in figura di un giovane nudo, più di rado di un uomo barbato (talora soltanto la testa); spesso mancano le corna taurine. Divinità fluviali si trovano rappresentate sporadicamente anche in figura di serpente, di drago, di orso, di cane (in ogni caso, il compagno rituale degli dei fluviali), di cinghiale, o in figura del tutto umana senza nessuna dipendenza da una precedente rappresentazione taurina; il più bello e famoso esempio di questo tipo è la statua del Nilo, nel museo del Vaticano.
Bibl.: v. fonti sacre; per l'antichità classica, v.: F. G. Welcker, Griechische Götterlehre, Gottinga 1857-1862, I, 652 segg.; III, 44 segg.; P. Gardner, Greek riverworship, in Transact. of the Royal Society of history, 2ª ser., XI (1878), p. 173 segg.; Lehnerdt, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, I, 1487 segg.; O. Waser, s. v. Flussgötter, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, VI, 2774 segg.; L. Preller e C. Robert, Griech. Mythologie, 6ª ed., Berlino 1887, p. 32 segg.; 545 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 224 seg.; Imhoof-Blumer e O. Keller, Tier- und Pflanzenbilder auf Münzen und Gemmen des klass. Altertums, Lipsia 1889; S. Mirone, in Revue Numismat., XXI (1917-18), pag. 1 segg.; G. Giannelli, in Riv. It. di Numismatica, 1920, pag. 105 segg.; A. Baumeister, Denkmaäler des klass. Altertums, I, Monaco 1895, pag. 569 segg.