FISICO-CHIMICA FISIOLOGICA (XV, p. 477)
FISIOLOGICA La fisico-chimica fisiologica ha ricevuto un grande impulso negli ultimi anni, particolarmente per l'introduzione nella tecnica di alcuni metodi che hanno raggiunto un alto grado di sviluppo, e cioè particolarmente per i metodi di ultracentrifugazione, di elettrodialisi, di cataforesi, di polarografia e di misura del pH con l'elettrodo a vetro, e per la introduzione degli isotopi nella tecnica biologica.
La vecchia classificazione delle soluzioni in soluzioni vere, soluzioni colloidali e sospensioni si è dimostrata sempre più di carattere scolastico, non essendovi alcuna differenza tra questi tre tipi di sistemi, eccetto che nella grandezza delle particelle in soluzione che è inferiore a 1 mμ per le prime, 1-200 mμ per le seconde, superiore a 200 mμ per le terze. Questi valori limiti non vanno intesi in senso troppo assoluto, poiché le caratteristiche imposte alla soluzione dipendono oltre che dalla grandezza delle particelle, anche dalla loro configurazione architettonica e dalla struttura chimica.
Molte sostanze colloidali sono state preparate allo stato molto puro, tanto da ottenerle cristallizzate, e ciò si è potuto ottenere dializzando a lungo le soluzioni in ambiente a bassa temperatura, ed asportando le ultime tracce di elettroliti per mezzo della elettrodialisi, che consiste nel far passare della corrente continua attraverso la soluzione contenente il colloide in esame, essendovi interposta la membrana dializzante, attraverso la quale gli elettroliti possono facilmente passare.
Membrane dializzanti possono essere preparate in collodio in modo tale da possedere pori di una determinata voluta grandezza, così che non solo si possono separare particelle colloidali da elettroliti, ma anche particelle colloidali da altre a dimensioni diverse.
Un altro metodo molto appropriato per separare particelle colloidali è quello della ultra-centrifugazione sviluppato particolarmente dallo scandinavo Svedberg.
Per mezzo dell'ultracentrifuga la soluzione viene sottoposta ad una forza che è parecchie migliaia di volte la forza di gravità, e che diventa quindi sufficiente a far sedimentare non solo le particelle sospese, come si pratica nelle comuni centrifughe, ma anche le piccole particelle in soluzione colloidale.
Naturalmente le particelle più pesanti sedimentano più rapidamente di quelle più leggere e più piccole, e, usando dei sistemi ottici particolari, ad es. rilevando l'assorbimento luminoso con un fotometro, o l'indice di rifrazione con il refrattometro, a livelli varî del tubo di centrifugazione, è possibile seguire la velocità di sedimentazione delle particelle colloidali presenti in soluzione, e stabilire 1) se tutte le particelle colloidali hanno la stessa grandezza (omogenee), o una grandezza diversa (eterogenee), e 2) calcolare la grandezza media delle particelle. Dalla grandezza della particella così stabilita si può più facilmente calcolare il peso e, se la particella è costituita da una singola molecola, tale peso rappresenta il peso melecolare della sostanza. Questo metodo è stato particolarmente applicato alla chimica delle proteine.
È noto che le particelle colloidali, particolarmente quelle del tipo sospensoide, portano delle cariche elettriche distribuite sulla superficie dell'intera particella. Perciò, quando la soluzione colloidale sia posta in un campo elettrico, queste particelle migrano verso uno dei poli, quello avente carica di segno opposto: questo processo è noto col nome di elettroforesi o cataforesi.
L'applicazione di questo metodo alle soluzioni colloidali ha reso brillanti risultati non soltanto nell'isolamento di alcune singole sostanze colloidali, ma anche nello studio delle caratteristiche di ogni singolo colloide nelle soluzioni naturali che contengono molti colloidi, quale è ad es. il plasma sanguigno.
Il principio di questo metodo si basa sull'introduzione della soluzione in esame in un tubo a U, ai cui estremi si applicano due elettrodi collegati con una sorgente di corrente continua; gli ioni proteici (colloidali) migrano allora verso un elettrodo o verso l'altro con una velocità che dipende a) dalle dimensioni e b) dalla carica elettrica dei singoli ioni.
Così le molecole ionizzate di albumina, più piccole ed aventi una carica elettrica maggiore, migrano molto più rapidamente delle molecole di globulina o di fibrinogeno, di dimensioni maggiori, ed a carica elettrica minore.
Se, dopo un certo tempo dal passaggio della corrente, senza agitare minimamente il tubo, si dosano con metodo ottico, interferometrico o refrattometrico, le proteine lungo una delle due branche del tubo a U, si otterrà un tracciato quale quello della figura, nel quale si osservano diverse onde, dovute ognuna a presenza di proteine di un determinato tipo. Le molecole di albumina sono quelle che hanno migrato più lontano dell'elettrodo, poi vengono le globuline di cui si distinguono con questo metodo tre frazioni dette α, β e γ; ultimo, più vicino all'elettrodo, si trova il fibrinogeno che può essere distinto in due componenti, ϕ e ε, l'ε trovandosi in grande concentrazione vicino all'elettrodo.
Il frazionamento elettroforetico delle proteine plasmatiche, e particolarmente delle globuline, non corrisponde al frazionamento chimico, quale si può ottenere trattando il plasma aggiungendovi proporzioni varie di solfato d'ammonio in soluzione satura, che è causa della precipitazione delle globuline. Il metodo elettroforetico ha grande valore nello studio dei varî componenti delle proteine plasmatiche, ed ha trovato applicazione in patologia nello studio dei cambiamenti ai quali va soggetto il tracciato elettroforetico in seguito a malattie; esso acquisterà sicuramente grande valore nel prossimo futuro, sia per la diagnosi sia per la prognosi delle malattie. Nell'industria esso è stato applicato per ottenere in elevata concentrazione un particolare tipo della frazione proteica plasmatica, particolarmente quella γ-globulinica, poiché in questa frazione si trovano concentrati quasi tutti gli anticorpi.
Il polarografo ha trovato utile applicazione nella determinazione di certi ormoni e vitamine, nella determinazione quali- e quantitativa di varie sostanze inorganiche nei complessi liquidi naturali, nel differenziare il siero di sangue normale da quello patologico, nella misura del consumo di ossigeno di cellule animali o vegetali. (v. polarografo in questa App.)
Il metodo elettrometrico di misura del pH con l'elettrodo a vetro ha sostituito, si può dire, quasi ogni altro metodo di determinazione del pH, particolarmente da quando si sono potuti costruire vetri a elevata conduttività elettrica, e circuiti amplificatori con valvole elettrometriche, tali che la misura viene effettuata con un comune galvanometro a indice, anziché con il costoso elettrometro.
L'elettrodo a vetro ha trovato applicazione in tutte le determinazioni di pH di sistemi biologici, anche di quelli che, per contenere sistemi ossido-riduttivi, quale ad es. il sangue che contiene emoglobina ridotta ed ossigenata, non sarebbero suscettibili di misurazione con l'elettrodo a chinodrone o con quello a idrogeno; quest'ultimo aveva anche l'inconveniente che non poteva essere usato, senza portare elaborate correzioni, per liquidi che, come quasi tutti i liquidi biologici, contenevano anidride carbonica, che veniva asportata, modificandovi il pH, dal gorgogliamento dell'idrogeno in corrispondenza dell'elettrodo.
Con questo metodo il liquido non viene contaminato, e può servire per altre analisi; l'elettrodo a vetro può essere fatto piccolo a piacere, e può anche essere usato per misurare il pH di sogtanze apparentemente solide, quali il formaggio, il burro, e varî tessuti animali (muscoli), poiché è sufficiente che la superficie del vetro sia bagnata con uno strato sottilissimo di liquido. Con questo elettrodo, infatti, Dubuisson ha potuto misurare le variazioni del pH del muscolo durante la contrazione, con metodo più attendibile di quanto aveva fatto in precedenza R. Margaria con un metodo colorimetrico, per impregnazione del muscolo vivente con un indicatore.
Per la possibilità di una misura rapida e attendibile del pH del sangue, le condizioni acido-base dell'organismo sono state bene investigate dal punto di vista fisiologico e da quello patologico, e sono entrate nel dominio anche della clinica, particolarmente per lo studio della funzionalità dell'apparato respiratorio, o di alcune condizioni che implicano un anormale metabolismo.
L'uso degli isotopi nella tecnica biologica ha portato dei cambiamenti fondamentali, particolarmente in alcuni concetti riferentisi al metabolismo intermedio (v. isotopismo in questa App.).
Bibl.: R. Margaria, Principi di chimica e fisico-chimica fisiologica, 6ª ed., Milano 1947; Hawk, Oser, Summerson, Practical physiological chemistry, 12ª ed., Filadelfia 1947.