Fisica
Opera di Aristotele, in otto libri, che apre la serie degli scritti sulla natura (la ‛ fisica ' in senso più ampio) e ha per oggetto gli aspetti più generali della realtà mobile.
Nel Medioevo latino veniva inclusa tra i cosiddetti Libri naturales. Di essa furono fatte tre versioni dal greco e due dall'arabo. La più antica, detta perciò vetustissima, era dal greco e comprendeva soltanto i primi due libri: essa è stata conservata nel cosiddetto Fragmentum Vaticanum. Da questa e probabilmente, anche da un'altra, perduta, dipende la vetus, pure dal greco, eseguita da Giacomo Veneto forse nel 1170. Una revisione della vetustissima e della vetus è infine la nova, di Guglielmo di Moerbeke. La prima traduzione dall'arabo fu quella di Gherardo da Cremona (sec. XII); la seconda, conservata unita al commento " magno " di Averroè, è probabilmente opera di Michele Scoto, eseguita a Toledo prima del 1220. La F. fu commentata in latino da Adamo di Buckfield, Alberto Magno, Roberto Grossatesta, Tommaso d'Aquino, Sigieri di Brabante (la paternità del commento attribuitogli è però controversa), Giovanni Duns Scoto, Ruggero Bacone, Egidio Romano, Enrico di Gand. In latino furono tradotti il commento greco di Simplicio e quelli arabi di Alfarabio e Averroè. A Parigi la lettura di essa e di tutti i Libri naturales fu dapprima proibita (1210 e 1215), indi praticata (da R. Bacone nel 1245) e infine resa obbligatoria (1255).
La F. è una delle opere di Aristotele che D. conosce meglio (in If XI 101 Virgilio la designa come la tua Fisica) e adopera più di frequente: la cita infatti una ventina di volte esplicitamente, quasi sempre con l'indicazione precisa del libro, e in vari altri casi ne riprende tacitamente la dottrina. Il titolo con cui normalmente l'opera è citata da D. è Fisica (Physica), ma talvolta compare anche Naturale Auditus (Mn I IX 1, II VI 5, III XV 2), titolo latino molto diffuso (cfr. il commento di s. Tommaso In Phys. I lect. I, n. 4 " liber Physicorum, qui etiam dicitur de Physico sive Naturali Auditu "). Talora infine essa è indicata da D. come la prima delle opere di fisica (Cv II XIV 4 questi tre movimenti soli mostra la Fisica, sì come nel quinto del primo suo libro è provato), il che è perfettamente conforme all'intenzione di Aristotele.
La versione usata da D. è sicuramente quella di Guglielmo di Moerbeke, come appare dai passi in cui essa è riportata o tradotta letteralmente o quasi, cioè Mn III IV 4 falsa recipiunt et non sillogizantes sunt (cfr. Phys. I 3, 186a 7-8, t.c. 22: stessa espressione); Mn I IX 1 generat enim homo hominem et sol (cfr. Phys. II 2, 194b 13, t.c. 26 " homo enim, hominem generat... et sol "); Quaestio 61 Cum igitur innata sit nobis via investigandae veritatis circa naturalia ex notioribus nobis, naturae vero minus notis, in certiora naturae et notiora (cfr. Phys. I 1, 184a 16-18, t.c. 2 ." Innata autem est ex notioribus nobis via et certioribus, in certiora naturae et notiora "); Cv IV II 6 Lo tempo, secondo che dice Aristotile nel quarto de la Fisica, è " numero di movimento, secondo prima e poi " (cfr. Phys. IV 11, 219b 1, t.c. 101 " hoc enim est tempus, numerus motus secundum prius et posterius "); e Cv IV XVI 7 Ciascuna cosa è massimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propria, e allora è massimamente secondo sua natura; onde allora lo circulo si può dicere perfetto quando veramente è circulo (cfr. Phys. VII 3, 246a 13-16, t.c. 18 " unumquodque enim tunc maxime perfectum est, cum attingit propriae virtuti, et tunc est maxime secundum naturam; ut circulus tunc maxime secundum naturam est, cum maxime circulus sit "). Talora però si ha l'impressione che D. abbia presente anche la versione di Michele Scoto, che egli poteva trovare nel commento di Averroè, come ad es. in Mn III XV 1 cum virtutes uniuscuiusque rei consequantur naturam eius propter finis adeptionem, che è probabilmente un'eco del passo precedentemente citato, il quale nella traduzione di Scoto al posto di " attingit " ha " adeptum est ".
Oltre a riportare letteralmente i passi della F., spesso D. li riassume o li parafrasa, sia direttamente sia passando attraverso la mediazione di qualche commentatore. Esempi di riassunto o parafrasi diretta sono VE II X 1 cognitionis perfectio uniuscuiusque terminatur ad ultima elementa (cfr. Phys. I 1, 184a 12-14, t.c. 1 " tunc enim cognoscere arbitramur unumquodque, cum causas primas et prima principia cognoscimus, et usque ad elementa "; ma si veda anche Averroè In Phys. I 1 1, che parla di " scientia perfecta "); Cv II I 13 la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza (cfr. Phys. I 1, 184a 16-18, t.c. 2 già citato, ma anche Tommaso In phys. I lect. I, n. 7, che parla di " naturalis ordo "); Mn III XIV 2 quamvis natura dicatur de materia et forma, per prius tamen dicitur de forma (cfr. Phys. II 1, 193b 6-7, t.c. 12 " Et magis natura hoc [sc. forma] est quam materia "); If XI 103-104 l'arte vostra quella [natura], quanto pote; / segue (cfr. Phys. II 2, 194a 21-22, t.c. 22 " ars imitatur naturam "; ma per i vv. 99-100 natura lo suo corso prende / dal divino 'ntelletto e da sua arte, cfr. Tommaso In Phys. II lect. XLV, n. 268 " Natura nihil est aliud quam ratio cuiusdam artis, scilicet divinae, indita rebus "); Mn II VI 5 naturam semper agere propter finem (cfr. Phys. II 8); Cv IV IX 2 questo [il mondo] è a certo termine (cfr. Phys. III 5); Cv II XIV 4 questi tre movimenti soli [locomozione, alterazione e accrescimento] mostra la Fisica (cfr. Phys. V 1, 225b 7-9, t.c. 9 " necesse est tres esse motus " e tutto il c. 2); Cv IV X 9 ogni cosa che è alterata conviene essere congiunta con l'altera[nte cagi]one (cfr. Phys. VII 2, 244a 25-26, t.c. 11 " At vero neque alterati neque alterantis ullum medium est ", ma si vedano anche Averroè In Phys. VII 3, che dice " coniungitur ", e Tommaso In Phys. VII lect. IV, n. 911, che dice " absque medio coniunctus "); Ep XIII 70 Continens se habet ad contentum in naturali situ sicut formativum ad formabile (cfr. Phys. IV 4, 211b 10-14, t.c. 35 " id quod continet videtur forma esse; in eodem enim sunt extrema continentis et contenti ").
Semplici echi, anche se diretti, della F. si possono considerare Mn III III 17 cur ad eos ratio quaereretur, cum sua cupiditate decenti principia non viderent? (cfr. Phys. I 2, 185a 1-3, t.c. 8 " non amplius ratio est ad destruentem principia "); Pd XIII 125 Parmenide, Melisso (cfr. Phys. I 3, 186a 6-8, t.c. 22 " Parmenides et Melissus "); XIII 76-78 ma la natura la dà sempre scema, / similemente operando a l'artista / ch'a l'abito de l'arte ha man che trema (cfr. Phys. II 8, 199a 33-b 1, t.c. 82 " Peccatum autem fit et in iis quae fiunt secundum artem... Quare manifestum est quod contingit et in iis quae secundum naturam fiunt "); I 141 com'a terra quïete in foco vivo e tutti i passi analoghi, quali ad es. Pg XVIII 28, Pd IV 77-78, XXIII 40-42 (cfr. Phys. II 1, 192b 36, t.c. 5 " igni ferri sursum ").
Abbastanza evidente è la mediazione di Averroè in Cv III XI 1 però che... conoscere la cosa sia sapere quello che ella è, in sé considerata e per tutte le sue c[au] se (cfr. Phys. I 1, 184a 12-14, t.c. 1, già citato, integrato da Averroè In Phys. I 1 1 " quoniam omnis, qui dicit se scire aliquid, non dicit hoc nisi quoniam scivit illud per suas omnes causas "); Cv IV XV 16 contra quelli che niega li principii disputare non si conviene, e Quaestio 21 contra negantem principia alicuius scientiae non sit disputandum in illa scientia (cfr. Phys. I 2, 185a 1-3, t.c. 8 già citato, mediato, per il disputare, da Averroè In Phys. 12 1, ma forse anche da Alberto Magno Phys. I II 1, e da Tommaso In Phys. I lect. II, n. 15); Quaestio 62 Quae quidem via, licet habeat certitudinem sufficientem, non tamen habet tantam, quantam habet via inquisitionis in mathematicis (cfr. Phys. I 1 184a 16-18, t.c. 2 già citato, integrato da Averroè In Phys. I 1 2 " quod est contrarium in mathematicis "); Pd XIII 100 si est dare primum motum esse, formulazione del problema dell'eternità del moto (cfr. Phys. VIII 1-2) in termini averroistici (cfr. Averroè In Phys. VIII 1 1, ad t.c. 7 " utrum motus... possit esse primus "), ripresi anche da Alberto Magno (Phys. VIII 13 " quod tunc oportebit dare... Si autem detur... ").
Altrove traspare la mediazione di Alberto Magno: così, ad es., in Cv II XIII 18 Pittagora, secondo che dice Aristotile nel primo de la Fisica, poneva li principii de le cose naturali lo pari e lo dispari, che non deriva dalla Metafisica, come credono Moore, Toynbee e Nardi, ma da Phys. I 5, 188b 33, t.c. 48 (" alii autem imparem et parem "), commentato da Alberto Magno (Phys. I III 2), che attribuisce questa dottrina a Pitagora (e forse da Tommaso In Phys. I lect. X, n. 80, che l'attribuisce ai pitagorici; del resto il riferimento ai pitagorici si poteva evincere dallo stesso testo aristotelico: cfr. Phys. III 5, 204a 30-34, t.c. 38 " principium... par... sicut Pythagorici dicunt "); Cv III III 2-5 (l'ordine degli esseri naturali e il loro luogo proprio), che, come ha mostrato il Nardi, suppone la dottrina aristotelica della " mirabilis potentia loci " (cfr. Phys. IV 1, 208b 34, t.c. 7) e in generale dei luoghi naturali (cfr. Phys. IV 1, 208b 10, t.c. 4; 5, 212b 33, t.c. 48; VIII 3, 253b 33 ss., t.c. 24), sviluppata in senso neoplatonizzante da Alberto Magno nei primi capitoli del suo De Natura locorum, che D. cita in Cv III V 12; infine in tutti i passi in cui è menzionata la distinzione tra natura universalis e natura particularis (Cv I VII 9, III IV 10, IV IX 3, XXVI 3, Quaestio 44-45 e 48), distinzione che in Aristotele non c'è, anche se ci sono entrambi i concetti di natura (cfr. H. Bonitz, Index aristotelicus, Berlino 1870, 1961, 836a 34-38), ed è invece introdotta, come ha mostrato il Moore, da Alb. Magno Phys. II I 5.
Altrove infine è evidente la mediazione di Tommaso d'Aquino, per es. in Cv IV XI 9 disse Aristotile che " quanto più l'uomo subiace a lo 'ntelletto, tanto meno subiace a la fortuna ", che deriva da Phys. II 5, 197a 5-8, t.c. 52 (" fortuna causa sit... in his quae in minori sunt secundum propositum eorum quae propter hoc sunt "), ma ne riporta letteralmente il commento tomistico (In Phys. II lect. VIII, n. 216 " Quanto aliquid magis subiacet intellectui, tanto minus subiacet fortunae "); If XI 99-100, che già abbiamo visto; Cv IV II 6 Lo tempo... è... " numero di movimento celestiale " (cfr. Phys. IV 14, 223b 21-22, t.c. 133 " unde et videtur tempus esse sphaerae motus ", integrato da Tommaso In Phys. IV lect. XXIII, nn. 635-636 " sphaerae caelestis "); Quaestio 61 viam inquisitionis in naturalibus oportet esse ab effectibus ad causar (cfr. Phys. I 1, 184a 16-18) t.c. 2 già citato, e Tommaso In Phys. I lect. r, n. 8 " demonstrat per effectus ").
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