FIRMIAN, Carlo Gottardo, conte di
Nato il 15 ag. 1718 a Trento, quinto figlio del barone Franz Alphons e di Barbara Elisabeth, dei conti Thun-Hohenstein del ramo Castel Thun, fu battezzato il giorno stesso nella chiesa di S. Maria Maddalena.
La storia della famiglia Firmian può essere ricostruita con sufficiente precisione fino al XII secolo. Dal 1476, in seguito al matrimonio di Nikolaus von Firmian con Dorothea von Metz, i Firmian risiedettero nel castello di Mezzocorona, a tutt'oggi proprietà di famiglia; designati nel 1478 marescialli ereditari del principe vescovo di Trento e nel 1526 baroni dell'Impero, servirono lealmente per molte generazioni tanto il vescovo quanto il sovrano. Solo a partire dalla fine del XVII secolo i Firmian perseguirono anche le carriere ecclesiastiche, e Salisburgo e le sue diocesi suffraganee ne costituirono il centro strategico. Questo vale sia per Leopold Anton Eleutherius (1679-1744; dal 1727 principe arcivescovo di Salisburgo) sia per i figli del suo fratello minore Franz Alphons, da lui appoggiati e promossi. Franz Alphons, invece, continuò la tradizione del servizio al principe rivestendo diverse cariche, e nel 1749 venne elevato al rango di conte insieme ai suoi figli. In un primo momento Franz Alphons poté mantenere e incrementare l'importante posizione occupata dai suoi antenati nella vita sociale e culturale di Trento; poi posero fine a tale situazione sia la rinuncia del figlio maggiore Leopold Errist alla carica di coadiutore a Trento, rivestita solo per pochi anni (1748-1756), sia la vendita del palazzo cittadino, resasi necessaria a seguito della morte dello stesso Franz Alphons per estinguere i debiti. Tra i figli di Franz Alphons il suddetto Leopold Ernst (1708-1783) fu nominato nel 1739 vescovo di Seckau da suo zio, vescovo di Passavia (1763), e nel 1772 fu elevato alla porpora cardinalizia. Vigil Maria (1714-1788) rinunciò nel 1753 alla diocesi suffraganea salisburghese di Lavant, affidatagli dallo zio nel 1744: per questo fu compensato con il rango di principe dell'Impero conferitogli ad personam e rimase fino al termine della sua vita preposito del capitolo metropolitano di Salisburgo. Franz Laktanz (1712-1788) era destinato a continuare la famiglia. Il fedecommesso creato per lui nel 1736 poté mantenere alla famiglia Firmian fino al XIX secolo la residenza estiva di Leopoldskron presso Salisburgo, fatta costruire dal principe arcivescovo; lì Franz Laktanz, titolare di alte cariche presso la corte arcivescovile ed egli stesso abile disegnatore e incisore, conservava le sue considerevoli collezioni artistiche.
Il F., solo tra i fratelli, supererà quest'ambito geografico determinato dalla nascita e dalle relazioni di parentela. Per le prime tappe della sua educazione - l'Accademia dei nobili diretta dai benedettini ad Ettal, in Baviera, e lo studio triennale della filosofia all'università benedettina di Salisburgo (1731-1734 e 1734-1737 rispettivamente) - furono tuttavia decisivi i rapporti familiari. Subito dopo il F. e il fratello maggiore Vigil si recarono per un anno a Leida (1738-1739), dove, come molti altri giovani signori provenienti dall'Impero, studiarono diritto soprattutto presso Ph.R. Vitriarius. Conobbero così il clima intellettuale di una università protestante e anche il giansenismo, grazie ad una visita ai rappresentanti della Chiesa di Utrecht.
Di ritorno a Salisburgo i fratelli fecero la conoscenza di Giambattista De Gaspari, originario di Levico.
L'intensa riflessione sul problema del cripto-protestantesimo portò tuttavia il De Gaspari - incaricato in un primo tempo dell'apologia dell'espulsione dal paese di circa 20.000 protestanti avvenuta solo pochi anni prima - a formulare un giudizio severo sull'attività pastorale e sull'insegnamento accademico nell'arcidiocesi, sulle forme di devozione barocche, in particolare il culto mariano e il cosiddetto voto sanguinario. L'influenza spirituale degli scritti di L.A. Muratori, particolarmente efficace e ripetutamente sottolineata dal De Gaspari, nonché gli eventi turbolenti di Salisburgo lasciarono tracce profonde nei giovani parenti dell'arcivescovo e nel loro entourage. Più tardi tutti (molti di loro in alte posizioni ecclesiastiche) si faranno notare come esponenti del cattolicesimo riformistico teresiano.
La stampa di una satira composta dal De Gaspari sull'ambiente retrivo di Salisburgo - resa possibile dalla mediazione di Muratori - fu occasione del primo viaggio a Venezia del F. (carnevale 1741) e di contatti non solo coll'editore G.B. Pasquali, tanto importante per il primo illuminismo italiano, ma sicuramente anche col suo finanziatore, il console inglese Joseph Smith. È probabile che questi abbia fatto conoscere per la prima volta al giovane F. lo stile di vita di un mecenate e collezionista di rango internazionale e che abbia rafforzato in lui l'interesse per tutto ciò che era inglese, destato forse già dal matematico e astronomo della corte salisburghese, lo scozzese P. Bernhard Stuart. Questo interesse, che divenne una vera e propria anglomania, accompagnerà il F. per tutta la vita.
Nei difficili anni della guerra di successione austriaca, che in un primo momento rese inaccessibili le carriere nei dicasteri imperiali ai sostenitori di Maria Teresa, il F. risiedette per lo più a Salisburgo, ma anche a Innsbruck. Ivi, prendendo parte alle riunioni della Academia Taxiana, di recente fondazione, consolidò il suo interesse per la storia, sia per la ormai tradizionale critica delle fonti, ispirata a modelli maurini, sia per la più moderna storia dell'Impero, considerata insieme al diritto naturale e al diritto pubblico scuola di formazione del funzionario statale, quale era rappresentata a Innsbruck dal giurista Paul Joseph Riegger (padre del noto canonista giuseppino Joseph Anton).
Il lungo viaggio di formazione in Italia intrapreso probabilmente nel 1743 portò il F. per un certo tempo a Firenze.
I rapporti personali che vi strinse sono ben documentati dal successivo carteggio con Lorenzo Mehus, per i cui studi tardoumanistici il F. mostrò un interesse di tipo filologico e storico letterario, interesse destato in lui dal suo mentore De Gaspari e dai filologi olandesi di Leida. La cerchia fiorentina di amici menzionata nelle lettere a Mehus, politicamente vicina alla reggenza lorenese, coincideva pressoché del tutto con i membri del circolo massone scoperto e disciolto pochi anni addietro (Ph. Stosch, A. Cocchi, G.M. Buondelmonti, G. Cerretesi, O. Buonaccorsi, A. Niccolini). Intrattenne buoni rapporti anche con l'incaricato d'affari inglese H. Mann e col nunzio pontificio A. Archinto, futuro segretario di Stato e protettore di J.J. Winckelmann. Anche l'ammissione del F. all'Accademia Etrusca di Cortona (1744) fu dovuta ai suoi rapporti con questa cerchia, mentre G. Lami sembra avere svolto per lui un ruolo più marginale. Non esistono, invece, indizi di una sua formale adesione alla massoneria, né allora né successivamente.
Trasferitosi nel giugno del 1744 a Roma, presso suo cugino, l'uditore della Sacra Rota e vescovo di Gurk Joseph Maria Thun, il F. venne a contatto con il progetto della riconquista asburgica del Regno di Napoli, perseguito dal Thun e prima di lui dal suo predecessore J.E. Harrach. I numerosi rapporti del Thun con la società romana e con gli ambienti eruditi spianarono la strada al Firmian. Questi si trattenne a Roma fino al tardo autunno del 1745, anche dopo la partenza del Thun (nel frattempo resosi oltremodo inviso alla Curia) nel marzo dello stesso anno.
Tra le molte esperienze umane e intellettuali romane, le più importanti furono probabilmente le lunghe visite quotidiane alla biblioteca del cardinale D.A. Passionei, ricca di letteratura giansenista e deistico-preilluminista. Questa frequentazione lasciò tracce nell'atteggiamento fortemente critico del F. nei confronti dei gesuiti, atteggiamento che durò finché visse. Accanto a ulteriori contatti filogiansenisti (G.G. Bottari e P.F. Foggini) e rigoristi (T.M. Mamachi), la cerchia intorno all'avvocato concistoriale G. Forti, come "l'Archetto", di forte impronta toscana, alimentò l'interesse del F. per questioni moderne concernenti il diritto naturale, quello delle genti e l'economia. Sembra però che il F., appassionato fin dal periodo salisburghese alla controversia confessionale, si dimostrasse piuttosto scettico nei confronti degli sforzi irenici del cardinal A.M. Querini, allora di grande attualità. Queste frequentazioni e la parentela con il discusso Thun rendevano in quel momento impensabile per il F. - che prima della partenza aveva ricevuto gli ordini minori - stringere rapporti con la Curia in vista di un'eventuale carriera ecclesiastica. Oltre tutto, lo zio, che aveva dato un impulso decisivo alle carriere dei fratelli, era morto a Salisburgo nell'ottobre del 1744. Fortunatamente, però, l'anno seguente fu accolta la supplica subito indirizzata al neoeletto imperatore Francesco I Stefano con la richiesta del posto di consigliere aulico già promesso da Carlo VI. Nominato il 9 ott. 1745, il F. lasciò immediatamente Roma per Vienna, non tralasciando di rendere omaggio, strada facendo, a noti eruditi come Giovanni Bianchi (Ianus Plancus) a Rimini, Scipione Maffei a Verona e soprattutto al venerato L.A. Muratori a Modena.
Per i giovani consiglieri di cappa e spada il seggio al Consiglio aulico era per lo più solo un trampolino di lancio verso la carriera diplomatica. In contrasto con la maggioranza dei suoi pari il F., allora quasi trentenne, prese molto sul serio l'attività presso quella suprema corte d'appello dell'Impero, che era al tempo stesso la prima istanza per le questioni riguardanti i feudi imperiali in Italia. Ciò è confermato tanto dai protocolli di presenza quanto dal numero dei casi da lui esaminati. Il suo orizzonte si ampliò grazie ai rapporti con i consiglieri togati e alla intensa frequentazione dei diplomatici britannici sin dal suo arrivo a Vienna. Qui egli acquistò anche un'ottima conoscenza della lingua e della letteratura inglesi. Sperò, ma invano, allora, come più tardi a Milano, in un suo impiego in Gran Bretagna.
I rapporti con l'Italia non s'interruppero neppure durante gli anni viennesi del F. (soggiomi a Vienna di A. Niccolini, S. Bertolini, G.D. Mansi ecc.). Insieme agli intellettuali italiani che gravitavano intorno alla Bibliotheca Palatina (tra questi alcuni fuorusciti napoletani), il F. si adoperò per diffondere e dare ampia risonanza alle opere del Muratori nei paesi ereditari asburgici. In questa cerchia di studiosi, che egli riunì ben presto in una sorta di piccola accademia privata, si mantenne viva la tradizione anticuriale di un Giannone e si discussero opere appena pubblicate, come il Congresso notturno delle Lammie di G. Tartarotti, gli Disciplinarum metaphysicarum elementa di A. Genovesi, il Siècle de Louis XIV di Voltaire e soprattutto l'Esprit des lois di Montesquieu, mentre i nuovi amici britannici dei F. attirarono la sua attenzione sulla cultura inglese.
Dopo che anche la speranza di un uditorato alla Sacra Rota era venuta meno per i costi connessi - per consuetudine gli uditori proposti dai sovrani assolvevano anche le funzioni d'incaricato d'affari - avvenne il decisivo balzo di carriera, probabilmente grazie al forte sostegno di Ignaz von Wasner, un diplomatico di lunga esperienza che, durante la guerra di successione austriaca, aveva rappresentato gli interessi di Maria Teresa presso la corte di S. Giacomo. Alla fine del 1752 il F. fu nominato ministro plenipotenziario imperiale a Napoli e, poco dopo, il suo stipendio, determinato in un primo momento in base ad uno schema retributivo unitario, fu aumentato considerevolmente. Tuttavia, le difficoltà finanziarie accompagneranno il F. fino alla morte: egli, infatti, non disponeva di un patrimonio personale cui ricorrere per le spese di rappresentanza, com'era prassi consolidata dei diplomatici dell'epoca.
Durante il viaggio per Napoli, dopo una breve visita a Firenze, il F. assolse ad alcuni difficili incarichi segreti presso la corte romana, che la coppia imperiale non voleva evidentemente affidare al poco stimato cardinal protettore Alessandro Albani. Il F. dimostrò una notevole abilità diplomatica e inoltrò a Vienna il desiderio espresso da Benedetto XIV in persona di una soluzione concordataria delle questioni ecclesiastiche pendenti nei Paesi Bassi, in Lombardia e negli Stati ereditari austriaci e boemi, aggiungendo proposte intorno alla persona del negoziatore (13. Cristiani, G. Verri).
A Napoli, dove giunse agli inizi di marzo 1754, accanto alla sua missione ufficiale (ivi compresa la mediazione in una controversia tra il Regno di Napoli e l'Ordine di Malta) il F. aveva l'incarico strettamente segreto di saggiare con una cauta tattica dilatoria i progetti matrimoniali sottoposti dalla corte napoletana a quella di Vienna. Al tempo stesso, nel Nord della penisola il gran cancelliere e ministro plenipotenziario Beltrame Cristiani si adoperava a Milano per l'espansione dell'area di influenza asburgica in Italia, mediante un contratto matrimoniale con la casa d'Este (1753). Non stupisce perciò che "l'affare maggiore" - i progetti matrimoniali - occupi gran parte dell'intensa corrispondenza del F. con lo stesso Cristiani. Né egli ritenne di poter lasciare Napoli per condurre a Roma, secondo il suggerimento del Cristiani, le trattative per il concordato tra la Lombardia austriaca e la Santa Sede.
Retrospettivamente il F. definì il periodo napoletano il più bello della sua vita, e ciò malgrado fosse stato colpito da una grave malattia dovuta ad una infezione intestinale. Egli stabilì un ottimo rapporto non solo con B. Tanucci, di buon auspicio per la sua missione, ma ebbe anche interessanti contatti con eruditi napoletani, come il medico e vulcanologo F. Serrao, l'originale principe di Sansevero Raimondo de Sangro, e soprattutto con A. Genovesi, che nella sua autobiografia riferisce delle stimolanti serate in casa Firmian e in un altro contesto lo loda in quanto "tagliato a posto per un Ministro di Stato"; e ancora ebbe contatti con viaggiatori di passaggio, tra cui O. Guasco (amico e traduttore di Montesquieu; conosciuto dal F. nel periodo viennese) e non da ultimo Winckelmann, cui il F. - egli stesso uno dei primi visitatori di Paestum - rese possibile il viaggio per vedere templi greci. Particolarmente intensi rimasero i contatti con gli inglesi, nonostante la mutata situazione politica.
Il F. era riuscito a ottenere un grosso prestito, da tenere rigorosamente segreto, a causa della neutralità napoletana nella guerra dei sette anni. Alla sua inaspettata e frettolosa partenza da Napoli nel novembre del 1758 per la nuova destinazione di Milano, dove era stato nominato a succedere al Cristiani morto il 3 luglio 1758, la questione dei progetti matrimoniali non era ancora definitivamente chiarita, anzi era stata intenzionalmente tenuta in sospeso dalla corte imperiale, nonostante l'insistenza del Tanucci. Il fatto che si finisse per dare la preferenza al legame auspicato da Parigi tra il principe ereditario Giuseppe e l'infanta Isabella di Parma - ciò che comprensibilmente deluse e irritò la corte partenopea - raffreddò anche i rapporti fino ad allora molto cordiali fra Tanucci e il Firmian. Il contratto di matrimonio stipulato infine nel 1759 dal successore del F. a Napoli, L. von Neipperg, portò, grazie alla rinuncia di Vienna alla reversione di Parma, ad una sostanziale modifica dell'assetto italiano fissato dalla pace di Aquisgrana; nello stesso tempo, con il rafforzamento delle due linee dinastiche borboniche in Italia, creò nella politica internazionale quel lungo periodo di stabilità che fu la premessa essenziale delle riforme teresiano-giuseppine in Lombardia. A tale opera il F. doveva dedicare i restanti ventiquattro anni di vita.
La valutazione della parte avuta dal F. nell'Illuminismo milanese e del suo influsso sullo sviluppo delle riforme lombarde è tuttora controversa, a partire dal giudizio negativo di P. Verri ("Intanto ci teneva depressi un ministro invisibile e rintanato fra una galleria di cattivi quadri, fra una libreria di volumi conosciuti pel solo frontispizio, segnando comodamente senza leggerli i decreti che gli presentavano i suoi scrivani favoriti ...": in F. Valsecchi, L'assolutismo illuminato in Austria e in Lombardia, Bologna 1931-1934, II, p. 146). Un giudizio equo e libero da preconcetti politici e nazionali dovrà prima di tutto considerare quale ambito d'azione spettasse istituzionalmente a un "ministro plenipotenziario presso il governo generale della Lombardia austriaca". Il Cristiani, altamente stimato dall'imperatrice e dal cancelliere W.A. von Kaunitz, aveva potuto mantenere in certa misura il consueto ambito d'azione di un governatore milanese (come si vide ad esempio nella conduzione delle trattative concordatarie), malgrado la riorganizzazione del vertice governativo avvenuta nel 1753, lo scioglimento del Consiglio d'Italia e l'incorporazione del Dipartimento d'Italia da poco istituito nella Cancelleria di Stato; con l'entrata in carica del F., invece, si affermò il nuovo programma.
Seguendo il modello dei Paesi Bassi austriaci, il ministro plenipotenziario a Milano e vicegovernatore di Mantova - queste le cariche ricoperte dal F. - era di fatto la longa manus di Vienna nella Lombardia (formalmente governata da un arciduca, temporaneamente rappresentato da Francesco III d'Este duca di Modena). L'ambito d'intervento del ministro plenipotenziario, privato dei suoi poteri in campo giudiziario in favore del consultore del governo di recente istituzione, è rilevabile dalla corrispondenza bisettimanale tra Vienna e Milano: il F. è in sostanza il destinatario delle direttive. Spesso, tuttavia, è lui stesso a prendere iniziative, a fare proposte o a cercare di modificare quelle di Vienna, cosicché la questione del suo ruolo effettivo è valutabile solo caso per caso. Se da una parte la definizione riduttiva di "cari da guardia" di Vienna (Valsecchi, cit., p. 149) o addirittura di "ambasciatore in terra straniera" (C. Mozzarelli, Per la storia delpubblico impiego nello Stato moderno: il caso della Lombardia austriaca, Milano 1972, p. 8) risponde solo parzialmente ai fatti, dall'altra il titolo di governatore ricorrente nella letteratura meno recente non è esatto.
In questa sede, dalla quantità quasi smisurata del materiale documentario (utilizzato da C. Capra per dipingere un magistrale quadro della Lombardia del XVIII secolo) si possono estrapolare solo alcuni aspetti che appaiono particolarmente significativi per delineare la personalità del Firmian. I ventiquattro anni della sua attività in Lombardia si possono suddividere in tre fasi, in cui la coincidenza tra iniziativa individuale e riforma amministrativa non è affatto casuale.
Inizialmente il compito principale del F. fu l'attuazione del censimento. Le consultazioni avute con Pompeo Neri a Firenze, probabilmente per iniziativa del F., durante il viaggio di ritorno da Napoli a Vienna, certamente influirono su di lui nel fargli assumere una posizione estremamente critica verso il patriziato milanese (da questo ricambiato con un astio crescente) e un atteggiamento contrario ai compromessi nei confronti dei numerosi ricorsi che avevano bloccato i lavori della giunta diretta dal Neri. Appena giunto a Milano, dopo un prolungato soggiorno a Vienna, nel giugno 1759, egli si prefisse una linea più rigida, che tuttavia non fu accettata integralmente da Vienna (per quanto concerne l'istituzione di un nuovo tribunale per i ricorsi); però vennero concessi al F. i collaboratori da lui richiesti, che dovevano rispondere direttamente a lui. Già in quest'occasione, come anche successivamente, è evidente la preferenza del F. per i suoi conterranei dell'area trentino-tirolese (G. Schreck, al quale seguì più tardi il figlio, o G.N. Cristani di Rallo, proveniente da una famiglia legata per più versi ai Firmian) e per i collaboratori chiamati dalla Toscana lorenese, dai quali si aspettava una particolare competenza tecnico-giuridica (N. Pecci, G. Santucci, P. Moneta, C. Biondi e J. de Saint-Laurent dal F. introdotto all'Accademia Colombaria di Firenze nel 1758, approdato in Lombardia già nel 1759). Sembra che il F. abbia nutrito una particolare fiducia anche nei riguardi dei fuorusciti filoaustriaci del Regno di Napoli (G. Forziati, D. Montani).
Per quanto riguarda la politica estera, il F. dovette affrontare un numero di questioni minore rispetto al suo predecessore; tuttavia i rapporti con i Grigioni costituirono un problema centrale nei primi anni da lui trascorsi a Milano. Nelle trattative il F. si rivelò un energico rappresentante degli interessi politico-commerciali dei paesi ereditari (in particolare del Tirolo) e riuscì a mantenere all'Austria la posizione privilegiata - minacciata dalla concorrenza veneziana - nel traffico di transito anche in opposizione alle richieste dei detentori della Ferma generale di Milano. Le concessioni sul piano della politica ecclesiastica e confessionale, che in cambio furono fatte o dovevano essere fatte agli Svizzeri e in particolare alla famiglia Salis, che dominava i Grigioni e la Valtellina, rispondevano all'atteggiamento fondamentalmente giurisdizionalista comune al F. e al Kaunitz in materia religiosa e all'approvazione di una tolleranza de facto per ragioni di politica estera o economica. Pertanto, già all'inizio degli anni Sessanta venne meno l'impressione positiva che il F. aveva lasciato di sé presso la Curia pontificia nel 1758, mentre all'inverso il rigido atteggiamento romano nella questione dei Grigioni (come pure in quella del sussidio ecclesiastico lombardo) è da annoverare tra gli elementi scatenanti l'offensiva di Vienna sul terreno della politica ecclesiastica.
Dopo la fine della guerra dei sette anni, l'opera di rinnovamento nell'intera monarchia austriaca e in particolare in Lombardia entrò in una nuova fase. Le decisioni più importanti vennero prese a Vienna nell'autunno del 1765. Il confronto tra un memoriale redatto dal F. subito dopo il suo arrivo a Vienna, nei primi giorni di ottobre, sotto forma di un elenco di domande e risposte, e le risoluzioni prese di fatto (la Ferma mista, l'istituzione del Supremo Consiglio d'economia, l'insediamento di una Deputazione agli studi e di una Giunta speciale per le materie ecclesiastiche e miste che precorse la Giunta economale) dimostrano che le proposte presentate dal F. vennero in quasi tutti i campi rese più incisive e radicali dagli interventi del Kaunitz e in particolare del referendario del Dipartimento d'Italia, L. Giusti, un buon amico dell'ex mentore del F., De Gaspari. Come mostrerà negli anni seguenti l'energica attuazione degli intenti riformistici del 1765, il F. s'identificò completamente con la linea tracciata da Vienna, tanto che nel 1766, allorché l'imperatrice volle trasferirlo in Toscana, il cancelliere lo ritenne "indispensabile" in Lombardia. In alcuni settori il F. tentò a sua volta d'intervenire in modo più radicale rispetto a quanto si auspicava a Vienna (per esempio nel campo della censura). La "svolta degli anni sessanta" (Capra), in ogni caso, avvenne grazie ad un'armonica cooperazione tra Vienna e Milano, anche se non mancarono tensioni all'interno della "triade" (A. Wandruszka, Osterreich und Italien im 18. Jahrhundert, Wien 1963, p. 67) Kaunitz-Firmian-Sperges (quest'ultimo dal 1766 alla testa del Dipartimento d'Italia).
Dalla fine degli anni Sessanta presero invece corpo a Vienna un atteggiamento critico e una crescente irritazione verso il modo, giudicato indolente, con cui il F. gestiva gli affari; gli venne rimproverata in particolare l'eccessiva fiducia riposta nei suoi segretari personali e nei conterranei (A. Salvadori, L. Troger e altri); su tale giudizio, espresso in seguito anche da contemporanei bene informati quali Pietro Leopoldo o il consigliere Sperges, potrebbero aver pesato in modo determinante tanto il viaggio in Italia di Giuseppe II, con le impressioni riportate da Milano dal giovane imperatore, quanto le accuse mosse da Luigi Cristiani, figlio di Beltrame e futuro presidente della nuova Camera dei conti, assai ben visto a corte. La posizione del F. in Lombardia fu considerevolmente indebolita sia dalla riforma degli organi amministrativi milanesi, attuata nel 1770-71, sia dall'assunzione del governatorato da parte dell'arciduca Ferdinando, al quale fu sottoposta direttamente anche l'amministrazione di Mantova (1771). Dal 1778 infine fu insediato a Milano il successore designato, il conte J.J. Wilczeck, che si era distinto in diversi incarichi dell'amministrazione lombarda e come diplomatico a Firenze e Napoli. Questa situazione rifletteva in un certo modo sia la benevolenza dell'imperatrice verso l'ormai anziano plenipotenziario che non si voleva offendere con un richiamo dal servizio - simile fu la lealtà di Maria Teresa verso G.R. Carli - sia le intenzioni di Giuseppe II, che voleva accelerare il processo di centralizzazione della monarchia austriaca facendo appello alla nuova leva di funzionari.
A quest'ultima fase dell'attività del F. a Milano risalgono, tuttavia, le grandi misure riformistiche in campo ecclesiastico, che furono ritenute il merito principale del F. già da un contemporaneo per altri versi critico come G. Gorani. Con una valutazione analoga, anche se di segno negativo, F. Maass ha visto nel F. colui che avrebbe sempre insistito presso il cancelliere di Stato per una politica ecclesiastica più energica. In verità, nonostante giudizi talvolta divergenti intorno alle singole situazioni, il F. e il Kaunitz condivisero una linea comune, a cominciare dalla critica alle trattative concordatarie condotte da B. Cristiani in modo troppo compiacente verso la Curia, alle nomine dei vescovi, all'assegnazione delle prebende e delle pensioni, alle prime misure contro la manomorta fino all'abolizione dei conventi. La corrispondenza riservata che il luogotenente dell'Economato regio, G. Vismara, scambiò con il F. durante il suo soggiorno viennese del 1770-71 mostra come la politica ecclesiastica lombarda fosse concertata da Milano e dal Dipartimento d'Italia in strettissima collaborazione. Per quanto riguarda il F., il giudizio circa una derivazione dal giurisdizionalismo napoletano come unico referente (i cattivi "zolfi di Napoli" che il F. avrebbe respirato, secondo il segretario di Stato pontificio) è solo in parte esatto; accanto ad esso sono presenti, infatti, anche i modelli della Toscana e di Venezia, come per esempio nella questione della legislazione sulla manomorta o nelle questioni della censura, sulla quale proprio un toscano, N. Pecci, presentò la proposta decisiva. Nell'assegnazione delle cattedre teologiche di Pavia il F. si servì invece delle esperienze filogianseniste del suo periodo romano, mentre per redigere un nuovo catechismo richiamò G. Leporini, un uomo proveniente dai circoli riformisti viennesi raccolti intorno a De Gaspari. Di certo il giurisdizionalismo del F. è riconducibile non tanto ad una presa di distanza illuministica nei confronti di questioni religiose, come nel caso del Kaunitz, quanto a uno statalismo che deve la sua aggressiva volontà di affermarsi sia alla tradizione dell'anticurialismo di stampo giannoniano (il F. possedeva una collezione manoscritta di consulte di G. Argento) sia all'ideale muratoriano della "pubblica felicità". A questo ideale di assolutismo riformatore che al bene pubblico subordina gli interessi particolari, il F. aveva aderito, come del resto molti suoi contemporanei, sin dal tempo delle prime riforme teresiane, ovvero dagli anni trascorsi a Vienna.
Come nella politica ecclesiastica anche in quella economica il F. si dimostrò un esponente della prima generazione riformista e del dirigismo statale ad essa collegato ("dispotismo ministeriale" nella sprezzante formulazione del Verri); perciò nelle questioni di politica annonaria egli certo non poteva aderire al più moderno, seppure moderato, liberismo di un Kaunitz, e men che mai alla posizione estrema del Verri. Il diario del conte K. von Zinzendorf che, come parecchi altri alti funzionari dell'era giuseppina, seguendo una prassi suggerita dal F., aveva fatto pratica nei dicasteri milanesi, dimostra che - verso la metà degli anni Sessanta - anche in ambito teorico gli interessi del F. erano in sostanza immutati e rimanevano fortemente condizionati dalle letture più significative degli anni giovanili (Pufendorf, di cui possedeva sette volumi di estratti; Grotius, Hobbes) e da quelle degli anni Quaranta e Cinquanta (Montesquieu, Genovesi, gli scritti di materia monetaria di Locke in traduzione italiana, ecc.). Mentre in più di un'occasione il F. mostrò un'affinità d'idee con G.R. Carli, presidente del Supremo Consiglio d'economia e più tardi del Magistrato camerale, si approfondì invece sempre più il suo conflitto con il Verri; questi combatté con forza non solo il proprio padre, Gabriele (tra l'altro assai stimato dal F.), ma, quasi fosse anch'egli una figura paterna, anche il Firmian. A ciò contribuì l'amarezza per i favori accordati dal F. e dal Kaunitz a C. Beccaria, in conseguenza dei quali si diffuse in tutta Europa un'autentica ammirazione per il governo illuminato milanese. Effettivamente il F. seguì con grandissima attenzione i progressi nel campo delle scienze naturali e della medicina, promuovendoli per quanto possibile (A. Volta, L. Spallanzani, P. Moscati). Fin dall'inizio degli anni Sessanta il F. curò soprattutto la riforma degli studi, tanto che nel già citato memoriale del 1765 l'aveva descritta come la questione più urgente.
In analogia con quanto detto sul pensiero politico-economico del F., gli studi di A. Scotti Tosini hanno messo in rilievo che il mecenatismo e il collezionismo d'arte del F., pur perdurando fino alla morte, dal punto di vista del gusto furono influenzati dalle correnti neoclassiche in voga a Roma e a Napoli negli anni Cinquanta e Sessanta. È invece riconducibile ai rapporti con Salisburgo il favore accordato al giovane W.A. Mozart, le cui opere Mitridate re del Ponto, Ascanio in Alba e Lucio Silla furono rappresentate per la prima volta a Milano (1770-1772).
Il F. morì a Milano il 20 giugno 1782 in seguito a una lunga e grave malattia (in particolare l'autopsia parlò di "polipi, calcoli e polmoni infraciditi").
Negli ultimi anni il F. dovette occuparsi del drammatico indebitamento causato dalla propria inarrestabile attività di collezionista. I prestiti e le sovvenzioni da parte dei fermieri generali, documentati dal carteggio F. - Greppi, erano probabilmente venuti meno già alla fine degli anni Sessanta, non altrettanto però l'entusiasmo per i libri (alla fine la biblioteca del F. comprendeva almeno 40.000 volumi), per i quadri e gli oggetti d'arredamento, né il piacere di una generosa ospitalità, lodata da moltissimi viaggiatori. Dopo la sua morte, dapprima furono venduti singoli pezzi particolarmente pregiati, poi fu messa all'asta l'intera proprietà: delle tante collezioni solo quella delle stampe passò integralmente ai Borboni di Napoli. La biblioteca e la galleria di quadri furono smembrate; il palazzo a Porta Nuova (già Melzi), che era stato affrescato dal pittore preferito, il conterraneo M. Knoller, e in cui il F. aveva vissuto quasi un quarto di secolo, andò distrutto durante la seconda guerra mondiale.
Fonti e Bibl.: Per la data e il luogo di nascita v. Trento, Archivio della Curia vescovile, Reg. batt. S. Maria Maddalena, c. 156; materiali sulla storia della famiglia, in Archivio di Stato di Trento, Archivio Firmian (principalmente tardo XVIII e XIX secolo) e Innsbruck, Tiroler Landesarchiv, Oö. Regierung e Oö. Kammer. Per gli studi universitari cfr. V. Redlich, Die Matrikel der Universität Salzburg 1639-1810, Salzburg 1933, p. 437 e Album studiosorum Lugduno-Batavae MDLXXV-MDCCCLXXV, Hagae Comiti 1875, col. 971.
Nessun fondo personale o archivio privato raccoglie organicamente gli scritti e la corrispondenza dei Firmian. Corrispondenza privata si trova tra gli atti ufficiali, per es. a Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv (d'ora in poi HHStA), Neapel, Gesandtschaftsarchiv, 2-5; Archivio di Stato di Milano (d'ora in poi ASM), Potenze estere post 1535, fasc. 88; ibid., Uffici p.a., 78. Una serie della corrispondenza privata finì in possesso del suo successore Wilczeck e fu affidata dagli eredi di quest'ultimo al Haus-, Hof- und Staatsarchiv e ivi distrutta (indice in HHStA, Registratur des Staatsarchiv, Z 5/1824). Frammenti della corrispondenza ufficiale del F. si trovano in numerose collezioni di autografi. Un discreto numero di lettere del F., soprattutto degli anni giovanili, è conservato tra le carte di vari corrispondenti: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss. 3494 e 3497 (lettere del F. a L. Mehus); Rimini, Biblioteca civica Gambalunga Fondo Gambetti (lettere a I. Plancus); Arch. segr. Vaticano, Fondo Garampi, vol. 280 (lettere del F. a G. Garampi); Venezia, Biblioteca Querini Stampalia, Mss. cl. VII (lettere al card. A.M. Querini); Lucca, Biblioteca statale, Mss. 1975 (lettere a G.D. Mansi); Mss. 1977 (lettere al Mansi dei corrispondenti viennesi F. Scheyb e G. Ramaggini, fonti d'informazioni per il F.); Rovereto, Biblioteca civica, Mss. 6. 18 (lettere del F. a G. Tartarotti); Modena, Biblioteca Estense, Arch. Muratoriano, 84/52 (lettere a L.A. Muratori); 75/53, 82/31 (pseudonime); 86/4b (anonime, ma di G. Ramaggini); Roma, Bibl. Corsiniana, ms. 32, D.5 (del F. a P.F. Foggini); Verona, Bibl. capitolare, Mss. 974 (a S. Maffei). Del periodo napoletano sono conservate le lettere del F. al giovane inglese Th. Steavens, a lui molto vicino, già segretario dell'ambasciata britannica a Vienna, in British Library, Add. Mss. 34732. Agli anni Sessanta risalgono le lettere ad A. Niccolini nell'archivio dei marchesi Niccolini di Camugliano, in Firenze.
Per il F. consigliere aulico cfr. HHStA, Reichshofrat, 35, Expectanzen und Fersicherungsdekrete A-G, ff. 469-480; Protocolli di sedute in Reichshofrat, XVIII, 109 ss. (dal 1746 in poi). Sulla dotazione finanziaria del neoeletto inviato a Napoli cfr. Vierma, Hofkammerarchiv, Kammerza Namtsbücher, 1753 e seguenti, per gli ulteriori stanziamenti straordinari. ASM: Dispacci reali, 232 (sulle sue entrate regolari a Milano); Dono Greppi, fasc. 320 (per le sue difficoltà finanziarie e i prestiti del fermiere generale); Uffici p. a., 78 e HHStA, Staatskanzlei, Personalia, 6 (per il suo tentativo di lasciare in eredità a Maria Teresa la sua biblioteca e le collezioni d'arte in cambio del pagamento almeno parziale dei suoi debiti); ASM, Uffici p. a., 79, e Studi p. a., 26 (sulla morte, il lascito, l'inventario delle proprietà, la messa all'asta e sugli acquisti, in particolare da parte delle biblioteche di Brera e dell'università di Pavia).
Sulla biblioteca, v. il catalogo: Bibliotheca Firmiana sive Thesaurus librorum quem Exc. Comes Carolus a Firmian... magnis sumptibus collegit, Mediolani 1783 in otto volumi, nonché due non numerati, di cui uno per i libri in inglese e uno per i manoscritti posseduti dal F.; il catalogo della collezione dei quadri e delle opere grafiche è in Gabinetto Firmiano, Milano 1783.
L'attività diplomatica del F. a Napoli è documentata in HHStA, Neapel, nelle serie Berichte, Weisungen, Instruktionen, Korrespondenzen e Gesandtschaftsarchiv. La sua corrispondenza con B. Cristiani in HHStA, Lomb. Korr., 82 (neu). I resoconti sulla missione romana del 1754 in HHStA, Neapel, Berichte, 2. La corrispondenza con il Tanucci, solo in parte definibile come privata, in B. Tanucci, Epistolario, III-V, Roma 1982-1985, ad Indices.
Per l'attività ufficiale del F. a Milano si può naturalmente rimandare genericamente ai fondi dello HHStA di Vienna (in particolare Italien, Span. Rat, Lomb. Korr. e Lomb. Collectanea), dello Hofkammerarchiv (Akten des Ital. Departments) e dell'Arch. di Stato di Milano. Il memoriale del 1765 si trova in HHStA, Alte Kabinettensaken, 32. Sui fondi viennesi si basò F. Maass per le sue fondamentali pubblicazioni di documenti concernenti la politica ecclesiastica: Vorbercitung und Anfänge des Josefinismus im amdichen Schriftwechsel des Staatskanzlers Fürsten von Kaunitz-Rittberg mit seinem bevollmächtigten Minister beim Governo generale der Österreichischen Lombardei Karl Grafen von F., 1763 bis 1770, in Mitt. d. Österr. Staatsarchiv, I(1948), pp. 289-444; Id., Der Josephinismus. Quellen zu seiner Geschichte in Österreich, I-II, Wien 1951-1953, ad Indices. Il giudizio della Curia romana sull'anticurialismo "napoletano" del F. in F. Dörrer, Römische Stimmen zurn Frühjosephinismus, in Mitt. d. Inst. für österr. Geschichtsforschung, LXIII (1955), p. 474.
Fonti importanti per il periodo milanese del F. sono naturalmente gli epistolari dei fratelli Verri, di C. Beccaria, P. Frisi, A. Volta, L. Spallanzani, cui in questa sede si rimanda solo in via generale; si rimanda anche all'importante Storia di Milano 1700-1796, di G. Gorani, a cura di A. Tarchetti, Bari 1989, ad Ind. Interessante anche K. von Zinzendorf, Tagebücher, ms. conservato allo HHStA, vol. X per l'anno 1765.
Alle origini dei lavori biografici riguardanti il F. stanno i due profili encomiastici apparsi subito dopo la sua morte: A.T. Villa, Caroli comitis Firmiani vita, Mediolani 1783, e G.B. conte d'Arco, Elogio di C. conte di F., Mantova 1783. Un chiaro intento apologetico contraddistingue anche l'ampia biografia del F. redatta da A. Mazzetti, alto funzionario del Regno lombardo-veneto, mai pubblicata e conservata manoscritta a Trento, Bibl. comunale, Mss. 1405-1407; Ibid. anche la ricca collezione di materiali del Mazzetti. Si basano su di essi L. Benvenuti, C. conte F. e la Lombardia, Trento 1872, e B. Zanei, L'opera di rinnovamento nella Lombardia austriaca durante il governo del conte C. di F., Trieste 1948. V. inoltre E. Garms Comides, Riflessi dell'illuminismo italiano nel riformismo asburgico: la formazione intellettuale del conte C. F., in L'illuminismo italiano e l'Europa. Atti dei Convegni Lincei XXVII... 1966, Roma 1977, pp. 75-96 (a p. 96 la frase citata di A. Genovesi) ed Ead., Un trentino tra Impero, antichi Stati italiani e Gran Bretagna: l'anglomane C. F., in Il Trentino nel Settecento fra Sacro Romano Impero e antichi Stati italiani, in Annali dell'Istituto storico italo-germanico di Trento, quaderno n. 17, Bologna 1985, pp. 467-494 (con riferimenti ai lavori precedenti dell'autrice sul F.). Sulla sua carriera: Ead., Überlegungen zu einer Karriere im Dienst Maria Theresias: Karl Graf F., in Österreich im Europa der Aufklärung. Kontinuität und Zäsur in Europa zur Zeit Maria Theresias und Josephs II, Wien 1985, I, pp. 547-556. Per i giudizi di Pietro Leopoldo e Sperges, cfr. Ead., Marginalien des 18 Jahrhunderts zu zwei Biographien des Grafe K F., in Mitt. des Österreich. Staatsarchivs, XXIII (1970), pp. 128-146.
Sulla famiglia Firmian: L. Balduzzi, I signori di Firmian, in Giornale araldico-diplomatico, VI (1879), pp. 130-152 (impreciso). Sul castello e sul palazzo Firmian a Mezzocorona, cfr. L. Melchiori, Il castello e l'eremitaggio di S. Gottardo a Mezzocorona, Mezzocorona 1989; Palazzo Firmian Mezzocorona. Contributi per una ricerca storico artistica finalizzata al restauro, Mezzocorona 1989. Sul palazzo di famiglia cfr. D. Reich, Il palazzo Firmian a Trento, in Strenna dell'Alto Adige 1898, pp. 45 s. Su Leopold Anton Eleutherius, Leopold Emst e Vigil Finnian cfr. Die Bischöfe des Heiligen Römischen Reiches 1648-1803. Ein biographisches Lexikon, a cura di E. Gatz, Berlin 1990 pp. 111-118; C. Donati, Ecclesiastici e laici nel Trentino del Settecento (1748-1763), Roma 1975.
Sul circolo muratoriano a Salisburgo e sull'Academia Taxiana di Innsbruck si veda E. Zlabinger, L.A. Muratori und Österreich, Innsbruck 1970 e E. Garms Comides, L.A. Muratori und Österreich, in Röm. hist. Mitteit., XIII (1970, pp. 333-351. Sulla missione del F. a Napoli: L. Auer, Tanucci e le relazioni diplomatiche fra l'Austria e il Regno di Napoli, in B. Tanucci. Statista, letterato, giurista, a cura di R. Ajello - M. D'Addio, I, Napoli 1986, pp. 239-258.
Per il periodo di governo dei F. a Milano si cita qui solo la più recente letteratura: Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, I-III, Bologna 1982, ad Indicem. L'opera fondamentale di D. Sella - C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, in Storia d'Italia (UTET), XI, Torino 1984, può essere integrata da C. Capra, Un intermediario tra Vienna e Milano: Luigi Lambertenghi e il suo carteggio con Pietro Verri, in Röm. hist. Mitteil., XXXI (1989), pp. 359-376, e C. Mozzarelli, Il Magistrato camerale della Lombardia austriaca (1771-1786), ibid., pp. 377-396. Sulla politica annonaria: A. Grab, La politica del pane. Le riforme annonarie in Lombardia nell'età teresiana e giuseppina, Milano 1985; sulla censura: A.P. Montanari, Il controllo dell'opinione pubblica: la censura dei libri nella Lombardia austriaca nel XVIII secolo, tesi di dott., Univ. di Torino, a. a. 1992-93 (cfr. ora Ead., Il controllo della stampa..., in Roma mod. e cont., II [1994], pp. 343-378).
La più recente interpretazione dell'assolutismo riformatore teresiano-giuseppino riguarda la figura, centrale anche per la Lombardia, del cancelliere di Stato: F. Szabo, Kaunitz and enlightened absolutism, Cambridge 1994.
Sul mecenatismo artistico e gli interessi culturali del F. cfr. A. Scotti Tosini, C. conte di F. e le belle arti, in Il Trentino nel Settecento, cit., pp. 431-465, e L. Brunazzi Celaschi, Note di vita politica e culturale parmense nella corrispondenza di F. con Du Tillot e Paciaudi, ibid., pp. 353-375. Sull'attività di collezionista si veda R. Muzzi Cavallo, La raccolta di stampe di C. F., Trento 1984.
Sull'inquadramento storico-culturale degli anni milanesi del F. si rimanda in primo luogo a F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 645-745; II, La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti, ibid. 1976, pp. 86-94; V, 1, L'Italia dei lumi 1764-1790, ibid. 1987, pp. 425-834. Utili due saggi su G.R. Carli: B. Costa, G. R. Carli presidente del Supremo Consiglio di economia pubblica (1765-1771), in Nuova Riv. stor., LXXVI (1993), pp. 277-318; A. Trampus, L'illuminismo e la "Nuova politica" nel tardo Settecento italiano: "l'uomo libero" di G. R. Carli, in Riv. stor. ital., CVI (1994), pp. 42-114.
Sul soggiorno di Mozart a Milano presso il F. cfr. Mozart in Italien (catal.), a cura di K. Amold, Wien 1971. Degno di nota per la veste tipografica: L'Europa riconosciuta. Anche Milano accende i suoi lumi (1706-1796), Milano 1987.