FIRMIAN, Carlo, conte di
Uomo di stato, governatore della Lombardia austriaca, nato a Trento il 5 agosto 1718, morto a Milano il 20 luglio 1782. Figlio di Francesco Alfonso, consigliere intimo di Maria Teresa, e di Barbara dei conti di Thun. A Trento, a Ethal, a Innsbruck, fece i primi studî, che proseguì a Salisburgo e a Leida. Viaggiò in Francia; sostò a Parigi, divenne intrinseco di parecchi filosofi e si predispose ad accogliere con simpatia quelle correnti di liberalismo statale, che dovevano caratterizzare la sua politica. Forse, nella stessa Parigi, il F., di ritorno dall'Olanda, ebbe modo di conoscere un po' meglio il movimento giansenista. Così, si veniva educando al culto delle nuove idee, di cui poco dopo poteva apprezzare la popolarità e la diffusione in Italia. Tornato a Salisburgo, il F. fece della sua casa una dotta accademia. Le aderenze del padre presso la Corte gli spianarono la via dei pubblici onori. Carlo VI lo nominava, appena ventiduenne (1740), consigliere dell'aulico dicastero di Vienna. Ma, scioltosi questo consiglio, il F. si trovò libero e tornò in Italia, ove visse un po' di tempo tra Milano, Firenze e Roma.
Salito al trono imperiale Francesco I, il F. fu nominato consigliere intimo; e il 21 gennaio 1752, inviato presso la corte di Napoli quale ministro plenipotenziario, con la missione di dissipare i malumori che il trattato di Aquisgrana aveva suscitato nel cuore di Carlo di Borbone. E sortì buon esito. Il matrimonio di Ferdinando, figlio di Carlo, con l'arciduchessa Maria Carolina, fu preparato dalle trattative diplomatiche abilmente iniziate dal F. Gran mecenate, divenne famigliare di A. Genovesi, di G. A. Mazzocchi, di G. A. Serrao, di C. A. Martini, del Winckelmann. Entrato nella fiducia del ministro Kaunitz, il F. veniva designato ambasciatore a Roma, e nel 1759 preposto al governo della Lombardia, ministro plenipotenziario nello stato di Milano, luogotenente e vicegovernatore dei ducati di Mantova e Sabbioneta e del principato di Bozzolo: cariche che tenne finché visse.
Nella storia del movimento riformatore, che risanò le vecchie piaghe della Lombardia, i 23 anni di governo del F. rappresentano la fase più viva, per fervore di leggi e di opere, a volte tumultuose e farraginose, ma sempre feconde di discussioni, di pensiero, di lavoro. Grande figura, però, il F. non fu. Uomo di lotta e di volontà decisa neppure. Grandi disegni non ebbe: né gli sarebbe convenuto attuarli. Tutto stava nelle mani del Kaunitz; nulla si poteva senza il suo suggello. L'Austria permetteva la rinascita dello stato lombardo, ma per assorbirlo lentamente nel grande stato d'Asburgo; e ciò poneva limiti all'attività dell'inviato di Vienna. Il quale rimase l'anello di congiunzione, ma, pare, con una scarsa partecipazione personale, anche per effetto del gran numero di competenti che Milano offriva a Vienna e che Vienna ammetteva a collaborare fino al limite del proprio interesse. Quando il F. giunse a Milano, le riforme erano del resto già in cammino. Quindi, il F. non fece che proseguire nella via già aperta, attenendosi al programma che di volta in volta veniva consentito da Vienna. D'altra parte il Kaunitz vedeva di buon occhio che l'elemento locale italiano, figurasse in prima linea, per tenersi un po' al coperto da Roma, contro i cui interessi venivano a battere tutte le riforme. E il F. era l'uomo più adatto a prestare il suo aiuto in queste particolari circostanze.
Certo è che nel F. il mecenate superava il politico e per moltissima parte lo sostituiva, ne nascondeva i lati manchevoli. Così, mediante appoggi e favori ad uomini di merito che invocavano cattedre o impieghi, il F. contribuì fortemente a creare in Lombardia un'atmosfera feconda di propositi innovatori. Onde, pur ammesso che agl'Italiani vada riferita l'opera di preparazione e di svecchiamento spirituale, e il merito di avere segnalato al governo di Vienna abusi e rimedî, non può togliersi al F. il titolo di sagace conoscitore di uomini nella scelta che egli ne fece e nella designazione loro agli uffici meglio confacenti. Solo per virtù del F. essi ebbero libertà di parola e di scrittura, e tutti, anche i più avversi, trovarono sempre in lui un magistrato aristocratico, affabile, generoso. Lasciò una preziosa collezione di quarantamila volumi, che arricchirono la Biblioteca di Brera, l'Ambrosiana, la Trivulziana e ventimila incisioni (acquistate dai Borboni di Napoli e oggi al Museo Nazionale di quella città), statue, medaglie, quadri, arazzi, oggetti d'arte. Lasciò anche molti debiti.
Bibl.: A. T. Villa, Caroli Comitis Firmiani vita, Milano 1783; G. B. Gherardo conte d'Arco, Elogio di Carlo Conte di Firmian, Mantova 1753; Bibliotheca Firmiana, Milano 1783 (Catalogo della Bibl. del F.); C. Cantù, L'Ab. Parini e la Lomb. del sec. passato, Milano 1854, pp. 214 segg.; F. Cusani, Storia di Milano, Milano 1869, III; L. Benvenuti, Carlo Conte F. e la Lombardia, Trento 1872 (opera apologetica ricalcata sopra il ms. di Antonio Mazzetti, Vita e reggimento del conte C. di F., ecc., libri XII); C. Invernizzi, Riforme amm. ed econ. nello stato di Milano, Pavia 1910, in Boll. Soc. Pavese di S. P.; Arch. Stor. Lombardo, v. indici; E. Rota, L'Austria in Lombardia, Milano 1911; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929.