FIORENTINI VACCARI GIOIA, Giuseppe Antonio
Nacque a Ferrara probabilmente nella seconda metà del XVII secolo. Risale al 1687 l'adozione del cognome Gioia, in seguito alla morte di un Alfonso, dottore in legge ferrarese, parente della madre del F., in quello stesso anno e senza lasciare discendenti.
Medico, dedito a studi filosofici oltre che letterari, fu membro della colonia ferrarese dell'Arcadia (fondata nel 1699) col nome di Fedrio Epicuriano. Fu un ammiratore di G. Chiabrera, definito "forte savonese" nella canzonetta "Dove il Po l'argin guerriero" (pubblicata postuma tra gli Anacreontici eburleschi del sec. XVIII, Venezia 1790. Fu molto stimato nell'ambiente culturale sia romano sia ferrarese "per la gentilezza" (Crescimbeni, Comentajj, IV, p. 174) e la vastità di interessi. Intraprese insieme con altri arcadi (P. Figari, V. Leonio) un rimaneggiamento dal verso sciolto all'ottava rima dell'Italia liberata di G.G. Trissino, lasciata incompiuta, da quanto sembra di capire, a causa dello scarso impegno di alcuni colleghi (Crescimbeni, Le Vite..., II, p. 287). Della sua produzione poetica rimangono alcuni componimenti inseriti da G.M. Crescimbeni nelle Rime degli Arcadi.
Nel volume VI delle Rime (Roma 1717, pp. 196-204) sono presenti otto sonetti e due canzonette, composti dal F. probabilmente nel primi anni del Settecento. Tre i componimenti encomiastici: "Qual d'Oriente il Messaggier del giorno", "Da lei, ch'è in Dio, Santa immortal sua idea", "Deh non aver suoi puri voti a sdegno", quest'ultimo composto per Clemente XI e presente dunque anche nella Corona poetica a lui offerta nel 1701 (IX, p. 59). Il sentimento amoroso anima i sonetti "L'Oceano gran padre delle cose" (precedentemente pubblicato dal Crescimbeni nei Comentajj, III, ibid. 1711, p. 356), "Sdegno, della ragion forte guerriero", "Io giuro per l'eterne alte faville" e la canzonetta "Vaglie Donne amorosette", sicuramente composta entro il 1702, poiché era stata in quell'anno utilizzata dal Crescimbeni quale esempio della "maniera anacreontica" nei suoi Comentajj (I, ibid. 1702, p. 171). Di ispirazione autobiografica il componimento "Pianta son'io, lo di cui verde Aprile", nel quale il poeta fa riferimento ad una non meglio identificata "mano ostile" che avrebbe troncato il suo "giovanile vigore". Particolarmente elegante il sonetto dedicato all'arrivo della notte, tutto giocato sul contrasto fra il buio e la luce ("0 della cieca ombrosa umida notte/placide oscure figlie, ampie tenebre"). Nella canzone "Tessiam serto d'alloro" il F. affronta infine con movenze petrarchesche lo spinoso problema della riscossa politica e civile di un'Italia "mesta" e "dolente". Si tratta nel complesso di componimenti che, pur utilizzando schemi ormai consolidati nell'ambito della produzione primo-settecentesca e, in particolare, arcadica, si distinguono talvolta per l'eleganza delle tecniche versificatorie e per l'adesione ad un mondo interiore non sempre espresso attraverso i consueti riferimenti letterari.
Particolare fortuna ebbe la canzone, composta per Clemente XI, "Sommo Pastor", che fu pubblicata autonomamente (Roma 1702) e fruttò al F. la benevolenza e la protezione di questo pontefice.
Non si hanno notizie della sua produzione in prosa legata agli studi di oratoria e filosofia, se si eccettua la segnalazione del Borsetti (II, p. 418) riguardante la presenza di molti inediti presso gli eredi.
Morì a Ferrara il 23 febbr. 1717.
Fonti e Bibl.: G.M. Crescimbeni, Comentarj intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Roma 1702, I, pp. 171, 349 s.; IV, Venezia 1730, p. 174; Id., Dell'istoria della volgar poesia, VI, ibid. 1730, p. 386; Id., Le Vite degli Arcadi illustri, II, Roma, pp. 287 s.; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrariae 1735, p. 418; L. Ughi, Diz. stor. degli uomini illustri ferraresi, I, Ferrara 1804, p. 223.