fiore
Il sostantivo è presente in tutte le opere di D. (eccezion fatta per la Vita Nuova); in alcuni casi è adoperato con valore di avverbio.
1. Il senso proprio del termine (" infiorescenza delle piante "), spesso in funzione comparativa, appare largamente attestato nelle Rime: tre volte (vv. 3, 5 e 19) nella ballata Per una ghirlandetta (LVI), tutta intessuta sul compiaciuto giuoco offerto dal nome della destinataria (Fioretta) e delle parole-chiave del componimento (ghirlandetta-fiore); e ancora in CIII 16 come fior di fronda, / così de la mia mente tien la cima, e CIV 99 fior, ch'è bel di fori, / fa disiar ne li amorosi cori. Il diminutivo ‛ fioretto ', in contesti affini, appare in C 47 la stagion forte e acerba, / c'ha morti li fioretti, e CI 12 il dolce tempo che riscalda i colli / e che li fa tornar di bianco in verde / perché li copre di fioretti e d'erba, oltre a Rime dubbie V 13. Presenze anche in Cv III XII 10 Ché non sarebbe da laudare la Natura se, sappiendo prima che li fiori d'un'arbore in certa parte perdere si dovessero, non producesse in quella fiori; IV II 7 è disposta la terra nel principio de la primavera a ricevere in sé la informazione de l'erbe e de li fiori, e nel calco biblico di IV V 6 è scritto in Isaia: " Nascerà virga de la radice di lesse, e fiore de la sua radice salirà " (cfr. Is. 11, 1 " Et egredietur virga de radice Iesse, / et flos de radice eius ascendet "). Più mossa la situazione della Commedia, dove la parola appare innanzitutto connessa a una vasta tipologia di comparazioni celebri e di alto valore poetico e suggestivo: così in If II 127 Quali fioretti dal notturno gelo...; Pg XXIV 147 quale, annunziatrice de li albori, / l'aura di maggio movesi e olezza, / tutta impregnata da l'erba e da' fiori...; Pd XXVII 80 Come a raggio di sol, che puro mei / per fratta nube, già prato di fiori / vider, coverti d'ombra, li occhi miei; / vid'io così..., e XXX 111 come clivo in acqua di suo imo / si specchia, quasi per vedersi addorno, / quando è nel verde e ne' fioretti opimo, / sì...; e cfr. ancora Pg XXVIII 56.
In altri casi, la presenza dei f. (rigorosamente esclusa dall'Inferno), è circoscritta a funzione esornativa nell'ambito di una descriptio di un locus amoenus, che da essi appare adornato con grazia primaverile. Così, la ‛ valletta ' dei principi negligenti è caratterizzata da l'erba e da li fior, dentr'a quel seno / posti (Pg VII 76); verde e fiori ricompaiono nella sua vivace pittura (VII 82 e IX 54), anche quando il paesaggio è turbato dal serpe tentatore: Tra l'erba e ' fior venia la mala striscia (VIII 100). Uguale fenomeno avviene per il Paradiso terrestre, di cui Virgilio può dire a D.: vedi l'erbette, i fiori e li arboscelli / che qui la terra sol da sé produce (XXVII 134). Matelda stessa è una donna soletta che si gia / e cantando e scegliendo fior da fiore (XXVIII 41), così come la sua prefigurazione Lia, che andava per una landa / cogliendo fiori (XXVII 99), in un paesaggio di fiori e... fresche erbette (XXIX 88). L'elemento floreale, tipico degli ultimi canti del Purgatorio, appare in tutto il suo tripudio all'apparire di Beatrice (Tutti dicean: ‛ Benedictus qui venis! ', / e fior gittando e di copra e dintorno, / ‛ Manibus, oh, date lilïa plenis! ' [XXX 20]) entro una nuvola di fiori (v. 28). Infine è da ricordare la variante porta i fiori, in luogo di porta fori, in If IX 70 (cfr. Petrocchi, ad l.).
Assai vari gli usi figurati della parola. Oltre alla metafora di Cv IV I 11 Filosofia, li cui raggi fanno ne li fiori rifronzire e fruttificare la verace de li uomini nobilitade, sono particolarmente notevoli gli usi di Rime LVII 15, ove il soave fiore / che di novo colore / cerchiò la mente mia, designa con senhal di gusto provenzale la donna amata (Fioretta? Violetta?), e CIV 79 giudizio o forza di destino / vuol pur che il mondo versi / i bianchi fiori in persi, ove, più che a un'allusione politica, sulla base del Boccaccio (Teseida VIII 6) si può pensare a una forte metafora per designare un sovvertimento generale del mondo. In Pg XXXII 73 i fioretti del melo / che del suo porne li angeli fa ghiotti sono, con metafora spinta sino alle soglie dell'allegoria, gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo; fiori e frutti santi (Pd XXII 48) sono le buone parole e le buone opere; vero frutto verrà dopo 'l fiore (XXVII 148), in un contesto di profezia biblica, accenna a una rigenerazione dell'umanità.
Numerose le funzioni allegoriche della parola, spesso originalissime. In Pg XXIX 148 questi sette [personaggi che chiudono la processione mistica, e rappresentano i libri minori del Nuovo Testamento]... di gigli / dintorno al capo non facëan brolo, / anzi di rose e d'altri fior vermigli, " hanno adornato il capo di rose vermillie e di fiori vermilli, che figurano la carità " (Buti).
Più complesso il caso di Pg XXXII 114 io vidi calar l'uccel di Giove / per l'alber giù, rompendo de la scorza, / non che d'i fiori e de le foglie nove (ricalcato da Ezech. 17, 3-4 " Aquila grandis magnarum alarum, longo membrorum ductu, piena plumis et varietate venit ad Libanum et tulit medullam cedri, summitatem frondium eius avulsit "), in cui i fiori distrutti dall'assalto dell'aquila allegorica contro il plaustro simboleggiante la Chiesa rappresentano la giustizia violata nella sua fioritura, che porta i colori (men che di rose e più che di vïole, v. 58) della passione di Cristo. Per allegorica personificazione, basata su di un giuoco di metafora continuata, i beati sono definiti fiori " perché siccome i fiori adornano di lor bellezze il prato, così questi beati adornavano di lor lucidezza e splendore il cielo. Ma sì come quelli sono a breve e corto tempo, così questi sono perpetui e sempiterni " (Vellutello); così in Pd XIX 22 perpetüi fiori / de l'etterna letizia; e ancora in XXX 65 e 95. Sulla medesima linea, Maria (Rosa Mystica) è il nome del bel fior ch'io sempre invoco / e mane e sera (XXIII 88), e la rosa dei beati è chiamata gran fior (XXXI 10), fior venusto (XXXII 126), e semplicemente fiore, in XXXI 16 e 19, XXXII 18 e 22, XXXIII 9.
A parte dev'essere considerato il luogo di Pd IX 130, ove il maladetto fiore / c'ha disvïate le pecore e li agni è il " fiorino " (v.), metaforicamente designato dal giglio impressovi, secondo uno stilema non ignoto alla lingua antica (cfr. fra Giordano Prediche [ediz. Narducci, Bologna 1867] 76 " Poni dinanzi alle bestie i fiori dell'oro [" i fiorini d'oro "]: non se ne curano ").
Nelle numerose occorrenze del Fiore, il termine, vera parola-chiave del componimento, sulla scia del complesso allegorismo del Roman de la Rose e di certa cultura duecentesca (dal trattatello De Rosa di Petrus de Mora al sonetto Tutto lo mondo si mantien per fiore di Bonagiunta), significa, con simbolica polisemia, l'immagine della donna amata e il suo signum virginitatis e a un tempo la rosa, visualizzazione cortese dell'Amore. Nel poemetto non mancano comunque sfumature di significato di notevole interesse, imputabili forse al singolare gusto stilistico dell'autore, che non esita, nominando il fiore, a passare dal tono cortese e trasognato alla maniera di un Guillaume de Lorris a cadenze sapide e libertine sullo stile dell'umoroso Jean de Meung. La prima tonalità emerge da luoghi come i' guardava un fior che m'abbellia, / lo quale avea piantato Cortesia / nel giardin di Piacere (I 2) e vi piaccia il fior guardare! / Ché se que' che 'l basciò punto lo sgrana, / non fia misfatto ch'uon poss'ammendare (XXII 12), ma i' son dato / del tutto al fior (XLII 3), che evidenziano una ieratica intangibilità del fiore come figura amoris. Questa risulta sottolineata poi da estatiche descrizioni ( fior che si forte m'ulio, VI 6; il fior... gli par aolente, XIII 14; prezioso fior, che tanto aulia, XXI 2); dal remoto isolamento del fiore sotto la sorveglianza di personificazioni allegoriche (Bellaccoglienza, ch'è dama del fiore, XV 10; a ben guardare il fior è mia credenza [Gelosia disse], XXIII 2, ma cfr. v. 10; del fior guardar fortemente s'attorna, XXVI 11; Gelosia... stava in sospeccione / ch'ella del fior non fosse barattata, XXVII 2; la guardia del fior è perigliosa, v. 9; se Venus ancor la vicitasse [Bellaccoglienza] / ... converrebbe ch'ella il fior donasse, v. 14; Cortesia... I no lle facesse far del fior larghezza, XXXI 8; in ben guardar il fior molto pensava, LXXIII 12; Gelosia... è sì spietata, / che dagli amanti vuole il fior guardare, CCXXXII 6); da gesti d'impadronirsene più volte rintuzzati (verso del fior tesi la mano, VI 9; del fior non cred'esser gioioso, VII 3; sì... dal fior m'ha /ungiate, IX 2; non ched egli al fior sua mano ispanda, XV 7; e ancora XVI 11 e XXVI 5); da atti di mal trattenuto trasporto erotico (basci il fior che tanto gli è 'n piacere, XVIII 10; io il fior basciasse, XIX 3; Vien'avanti e bascia 'l fiore, XX 9). In altri passi, la liturgia cortese (spesso venata di sensualità: cfr. XXXI 8 o anche XV 7) è sovrastata da un gusto realistico che la trasforma in una " Psicomachia erotica " (l'espressione è di C.S. Lewis), soprattutto nelle parole dell'Amante, di Malabocca e della Vecchia che sottolineano nel f. la figura concupiscentiae (i' ho fermo volere / di dilettar col fiore, XL 13; ma cfr. v. 14; fermo son... / d'amar il fior, XLVI 13; sì tosto com'i' ebbi il fior basciato, XLVIII 11; Ben lo dissi e dirò, ch'ella volea 6 donargli il fior, CXXXIV 8; tu... coglierai il fior dell'orto, CXCIX 7; tu avrai il fior in tuo dimino, v. 14; volli al fior porre la mano, cciil 3; i' pensava d'imbolarle il fiore, CCIV 12; le tolsi il fior, CCXXXII 9; e ancora CXXXV 8, CCXXII 12, CCXXVII 10, CCXXX 9 e 12). Estranei a questo quadro restano i casi di XLI 13 in me non ha nessuna / fazzon che non sia fior d'ogne bellezza, in cui fior è metafora usuale per il " colmo ", il " sommo ", e XCIV 13 in ogne roba porta frutto e fiore / religion, ancora metafora per lo " sbocciare " dei beni che derivano dal retto uso di " religione ".
2. In funzione avverbiale, il termine compare tre volte nella Commedia: in If XXV 144 e qui mi scusi / la novità se fior la penna abborra, XXXIV 26 pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno, / qual io divenni, e Pg III 135 mentre che la speranza ha fior del verde, in passi ove la parola vale " punto ", " un poco ", secondo un uso già considerato arcaico nel Cinquecento da Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua, ove leggiamo (Prose e Rime, a c. di C. Dionisotti, Torino 1966, 289): " leggesi eziandio Fiore, la qual particella presero i molto antichi nelle prose e nel verso invece di Punto ". La voce ha comunque attestazioni nella lingua dei siciliani e dei poeti toscani predanteschi. Così in Giacomo da Lentini Dal core mi vene 42, leggiamo: " ben mi pare morte non vedervi fiore ", e nella Tenzone di Monte e Schiatta Pallavillani (v. Monaci, Crestomazia 304 v. 16) è attestato: " Cierto a lo impero gli parà un sorso / a conquider chi fior di lui si lagna ". Lo stesso fiorentino Monte Andrea afferma (I' prendo l'armo 9): " amore lo core e l'arma gli agia presa, che già non cape illui poco né fiore ". Per una diversa interpretazione di If XXV 144 (" fior come ‛ fiori ', con riferimento ai ‛ fiori ' dello stile "), cfr. Pagliaro, Ulisse 368-370.
Bibl. - E. Langlois, Origines et sources du " Roman de la Rose ", Parigi 1891; C. Joret, La rose dans l'antiquité et au moyen dge, ibid 1892; L. FoscoLo Benedetto, Il " Roman de la Rose " e la letteratura italiana, Halle 1910; C.S. Lewis, Allegory of Love, Oxford 19382 (trad. ital. L'Allegoria d'Amore, Torino 1969, 108-150); G. Paré, Le " Roman de la Rose " et la scolastique courtoise, Parigi-Ottawa 1941; B. Seward, The Symbolic Rose, New York 1960, 1-52; S. Battaglia, La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli 1965, spec. 438 ss. Sull'allegoria di Pg XXXII 112: G. Fallani, Purgatorio XXXII, in Lect. Scaligera II 1197. Sull'evoluzione metaforica e allegorica del termine f.: P. Dronke, Flos Florum, in Medieval Latin and the Rise of European Love-Liric, I, Oxford 1965, 181-192; D.W. Robertson, A Preface to Chaucer. Studies in Medieval Perspectives, Princeton 1966, 93 ss.; J.E. Cirlot, A Dictionary of Symbols, Londra 1967, 263.