FINITO (gr. τὸ πεπερασμένον; lat. finitum; fr. fini; ted. das Endliche; ingl. finite)
La nozione di finito è correlativa a quella d'infinito e quindi in rapporto ai due sensi d'infinito anch'essa duplice. Se l'infinito è preso nel senso di indeterminato, il finito sarà la perfezione dell'infinito; se invece è preso nel senso di compiutezza, il finito è il deficiente. In corrispondenza ai due sensi la nozione del finito si fa derivare o dalla limitazione dell'infinito o dall'esperienza che ci darebbe solo cose finite, dalle quali ricaveremmo, rimovendo il limite, la nozione dell'infinito. La filosofia aristotelica tende a considerare come perfetto il finito: l'universo è finito, spazio e tempo sono finiti, finita la serie delle cause, il processo del ragionamento, ecc. Il neoplatonismo toglie valore al finito. La filosofia del cristianesimo ottiene la nozione di Dio elevando all'infinito le perfezioni del finito, quindi considera il finito come logicamente antecedente. Per gli scolastici il finito non è il determinato, ma ciò che è limitato da altro. Descartes considera anteriore la nozione di infinito: "per concepire l'essere finito occorre limitare qualcosa nella nozione generale dell'essere". Spinoza considera finito ciò che è terminato da altro della sua stessa natura (il corpo dal corpo, il pensiero dal pensiero). Così si passa al concetto del finito in Hegel; per il quale il finito è ciò che ha in sé una determinazione che lo costringe a riferirsi sempre all'altro da sé, quindi si può dire che è non solo ciò che perisce, ma ciò che ha dentro di sé il germe del perire". Il finito è il limitato, il perituro.
Bibl.: Bonitz, Index aristotelicus, s. v.; Spinoza, Eth., I; Hegel, Wissenschaft der Logik, I, B, trad. it., Bari 1925, pp. 118-146; Spaventa, Logica e metafisica, Bari 1911, pp. 190-224.