FINANZA LOCALE
(App. IV, I, p. 806)
L'importanza della f. l. nel contesto della finanza pubblica complessiva è provata dalla spesa degli enti pubblici territoriali che già nel 1985 è stata pari al 29% della spesa complessiva della pubblica amministrazione, escludendo dalla cifra quella per la componente sanitaria.
Comuni e province. − I mezzi finanziari delle province e dei comuni sono costituiti da entrate tributarie (che possono consistere in tributi locali in senso stretto, in quanto sono direttamente gestiti dagli enti locali, o in tributi erariali, il cui gettito è tuttavia attribuito agli enti locali) e da entrate extratributarie (derivanti dall'utilizzazione dei beni del patrimonio o demanio provinciale e comunale, da servizi municipalizzati o da mutui).
Entrate tributarie. − La legge delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971 n. 825, mentre aveva provveduto ad abolire la maggior parte dei tributi locali previgenti, in considerazione della scarsità del gettito prevedeva che le entrate delle province e dei comuni di natura tributaria fossero assicurate, da un lato, da alcuni tributi locali in senso stretto o di nuova costituzione o non aboliti, e, dall'altro, dal gettito di alcuni nuovi tributi erariali attribuito ai predetti enti.
A fianco di quelli mantenuti in vigore dalla citata l. 825, con l'art. 8 del D.L. 10 novembre 1978 n. 702 è stata introdotta una tassa sulle concessioni comunali, in conseguenza dell'attribuzione ai comuni delle correlative funzioni amministrative già spettanti allo stato. I comuni, inoltre, percepiscono una quota dell'ILOR (Imposta Locale sui Redditi), di cui al d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, nonché l'intero gettito dell'INVIM (imposta sull'Incremento di Valore degli Immobili), introdotta con il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, che − al pari dell'imposta locale sui redditi − è anch'essa accertata e riscossa direttamente dallo stato. In ordine all'imposta locale sui redditi deve tuttavia aggiungersi che, per effetto del D.L. 23 dicembre 1977 n. 936, convertito nella l. 23 febbraio 1978 n. 38, l'intero gettito di tale tributo è stato provvisoriamente devoluto all'erario, attribuendosi agli enti locali, destinatari di quote dell'imposta, entrate sostitutive a carico del bilancio statale. Tali misure sono destinate a essere prorogate annualmente finché non sarà stata realizzata quella riforma organica della finanza, che, prevista dall'art. 12 della menzionata l. 825 del 1971, dovrebbe attuarsi attraverso l'emanazione di un'apposita legge ordinaria la quale stabilisca una disciplina delle entrate tributarie delle province e dei comuni anche in relazione alle funzioni e ai compiti che a tali enti risulteranno assegnati per legge. In attesa di tale riforma, con l. 26 aprile 1983 n. 131 venne introdotta la SOCOF (Sovrimposta Comunale sul reddito dei Fabbricati) che i comuni ebbero facoltà d'istituire nel proprio territorio, relativamente all'anno 1983, determinandone l'aliquota in misura pari all'8%, o al 12%, o al 16% o al 20% del reddito dei fabbricati stessi stabilito secondo i criteri fissati per l'IRPEF o per l'IRPEG. Duramente contestata per la sua essenza e per le modalità di riscossione, detta imposta è stata dopo un anno abbandonata.
La mancata introduzione della progettata TASCO (Tassa per i Servizi Comunali), per far fronte alle difficoltà finanziarie dei comuni vieppiù indebitati anche a causa delle spese crescenti di personale, ha indotto l'esecutivo a ricorrere alla decretazione d'urgenza per il finanziamento degli enti locali (assegnazioni di mezzi per il fondo ordinario, per quello perequativo e a integrazione di quanto già stanziato) sempre in attesa della integrale riforma della f. locale.
Tale riforma successivamente è stata anticipata con l'introduzione dell'ICIAP (Imposta Comunale per l'esecuzione di Imprese e di Arti e Professioni), istituita con i DD.LL. 30 dicembre 1988 n. 549, e 2 marzo 1989 n. 66, convertiti nella l. 24 aprile 1989 n. 144, che ha costituito il tentativo di anticipare gli effetti del riordino complessivo dell'autonomia impositiva degli enti locali. L'imposta, che viene attribuita per il 90% ai comuni e per il 7% alle province (il restante 3% viene riversato all'erario per essere ridistribuito agli enti locali secondo criteri perequativi), è determinata in base al settore di attività ed è commisurata alla superficie dei locali. L'importo è fissato dai comuni entro livelli minimi e massimi prestabiliti nell'ambito della scala parametrale che è definita dalla legge; sono inoltre consentite maggiorazioni per zone speciali.
Sulla base di informazioni raccolte a livello regionale, sembra che i comuni abbiano disperso la scelta dell'aliquota su tutto il ventaglio consentito; l'applicazione dell'aliquota massima è stata più frequente nei comuni di maggiori dimensioni e in alcune aree centro-settentrionali. La correlazione dell'imposta alla dimensione dei locali, accoppiata al relativamente contenuto campo di variazione delle aliquote, fa sì che una parte significativa del gettito si concentri nelle imprese di ridotte dimensioni e nei servizi. Dal 1990, per effetto del D.L. 30 settembre 1989 n. 332 (convertito nella l. 27 novembre 1989 n. 384), la misura dell'imposta di base è correlata al reddito d'impresa, con una riduzione del 50% quando questo non è superiore ai 12 milioni annui, con il raddoppio quando oltrepassa i 50 milioni.
La riforma dell'autonomia impositiva degli enti locali, formulata in un disegno di legge di accompagnamento alla legge finanziaria per il 1990, prevedeva l'istituzione di una nuova imposta sul valore dei fabbricati e delle aree fabbricabili, destinata a sostituire gran parte delle imposte gravanti sugli immobili. Tale riforma si è concretata in un disegno di legge-delega presentato dal governo Amato al Senato il 14 luglio 1992 per la razionalizzazione e la revisione della disciplina di varie materie, tra cui la finanza territoriale. Con tale delega viene istituita l'ICI (Imposta Comunale sugli Immobili).
Entrate extratributarie. − Le entrate delle province e dei comuni diverse da quelle tributarie sono costituite da: 1) proventi derivanti dall'utilizzazione dei beni del demanio o del patrimonio comunale e provinciale; 2) proventi dei servizi municipalizzati; 3) proventi dei mutui. Fra tutte assumono particolare rilevanza i proventi derivanti da mutui, la cui assunzione da parte delle province e dei comuni è sottoposta a precise e tassative condizioni. Nonostante tali vincoli, tuttavia, l'indebitamento, soprattutto dei comuni, ha raggiunto proporzioni vistose, tanto da prescrivere agli enti locali l'adozione di particolari misure (quali l'obbligo di deliberare il bilancio di previsione in pareggio sancito dal D.L. 22 dicembre 1981, convertito nella l. 26 febbraio 1982 n. 51) e da richiedere negli ultimi anni una serie di interventi con il trasferimento del loro deficit a carico del bilancio statale.
Finanza regionale. − Per quanto concerne le regioni a statuto ordinario, la disciplina degli ordinamenti finanziari contenuta nella l. 16 maggio 1970 n. 281 che, dando attuazione al disposto dell'art. 119 Cost., prevedeva una tripartizione delle entrate tributarie in tributi regionali in senso stretto, quote di tributi erariali parzialmente devoluti alle regioni e tributi erariali confluenti nel fondo comune avente funzione perequativa, è stata mantenuta nella sua essenza e nella sua pratica applicazione. Poche variazioni sono state introdotte alla disciplina della l. 281, e non molto incidenti se non sul piano quantitativo, ossia sull'aumentare delle aliquote del prelievo, come, per es., per la tassa sulle concessioni regionali, regolate dalla l. 23 novembre 1979 n. 594, prima, e dalla l. 26 aprile 1983 n. 131, poi. Di maggiore importanza per la finanza regionale sono le somme del fondo comune alimentato da quote di tributi erariali, del fondo regionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto, istituito in l. 10 aprile 1981 n. 151, del fondo sanitario nazionale, di cui alla l. 23 dicembre 1978 n. 833, del fondo per i programmi regionali di sviluppo, il cui contenuto finanziario è fissato di anno in anno con la legge di bilancio, e infine con vari contributi speciali di carattere aggiuntivo alle spese effettuate dallo stato per l'intero territorio nazionale.
Per quanto concerne le regioni a statuto speciale, gli ordinamenti finanziari sono contenuti nei rispettivi statuti. Con l'attuazione della riforma tributaria, tuttavia, sono previste apposite norme dirette a coordinare tali statuti con il nuovo sistema tributario, assicurando comunque alle regioni entrate complessivamente non inferiori al gettito derivante dai tributi di loro competenza aboliti o modificati in seguito alla riforma. Intanto alle regioni sono attribuite somme d'importo pari a quelle riscosse in base a tributi soppressi, maggiorate annualmente di una percentuale variabile anno per anno.
Bibl.: G. Gera-G. Sorignani, La finanza regionale, Perugia 1980; Per le riforme della finanza locale, a cura di E. Gerelli, s. d. (Bologna 1981); M. Bertolissi, L'autonomia finanziaria regionale. Profili costituzionali, Padova 1983; G. Cerra, Problemi di finanza regionale, Milano 1985; G.C. Romagnoli, Nuove politiche di finanziamento degli enti locali in Italia, ivi 1985; Una finanza nuova per le regioni. Atti del convegno nazionale di Venezia, 25-28 febbraio 1988.