FINALE
. Musica. - In senso di nota finale (finalis), insieme con l'estensione (ambitus) e la dominante (repercussio) è una delle basi che i teorici del canto liturgico della chiesa latina riconobbero, dopo Alcuino, nelle melodie sacre. La nota finale era il fondamento per ognuno dei due modi autentico e plagale. In un trattato, attribuito a Ottone di Cluny (morto nel 934), Octo tonora, i toni ecclesiastici (differentiae) sono distinti a seconda dell'ambitus delle melodie, preso in rapporto alla nota finale.
Le finali degli otto modi ecclesiastici non trasportati sono le seguenti: re (I e II modo), mi (III e IV modo), fa (V e VI), sol (VII e VIII) e quelle dei quattro modi aggiunti dal Glareano nel sec. XVI; la (IX e X), do (XI e XII).
Per finale si è inteso anche l'ultima parte della sonata, delle altre forme che ne derivarono (la sinfonia, il quartetto, ecc.) e anche di un'opera. Il finale di una composizione strumentale dell'epoca classica non ha una forma rigorosamente determinata come il I tempo, ma o segue il piano di questo o è trattato in forma di rondò o di variazione con carattere generalmente vivace e brillante. Nella forma "ciclica" moderna esso ha un carattere riassuntivo.
Quanto al finale dell'opera, E. Dent (Ensembles and finales in 18th century italian Opera, in Sammelbände der internationalen Musikgesellschaft, XII, p. 547 e XII, p. 112) afferma che il finale d'opera è il prodotto di due idee associate: l'idea puramente musicale, che è il desiderio di riunire più voci in un pezzo, e l'idea specialmente drammatica, che è la volontà di terminare un atto o un dramma con una scena impressionante, in cui si oppongano i varî caratteri dei personaggi. Questa fusione non avvenne nelle prime opere, in cui il dramma era sviluppato nei recitativi, separatamente dalla musica, che dominava nelle arie. La concezione del finale fu intuita e in parte realizzata da A. Scarlatti (morto nel 1725) e completamente attuata prima da N. Logroscino (morto nel 1763) e poi da Mozart e dai successori.