Filosofie e teologie politiche
Neoplatonismo e politica da Plotino a Proclo
I secoli III-V sono l’epoca del ‘neoplatonismo’, l’ultima filosofia in un contesto religioso pagano, databile da Plotino (205-270) alle scuole di Atene e di Alessandria (V-VI secolo). È tuttora discussa la legittimità definitoria di una filosofia politica propriamente neoplatonica, giacché l’orientamento mistico e ascetico della tarda filosofia d’ambito pagano è spesso apparso come antitetico all’elaborazione di un autentico pensiero politico. Se è vero, dunque, che la filosofia tardoantica è platonica, tuttavia l’eredità del platonismo politico vi resterebbe affatto marginale. Questa valutazione tradizionale, però, è stata recentemente messa in discussione. Ciò vale in primo luogo per i pensatori più celebri, come Plotino, Porfirio (234-305 circa), Giamblico (245-325 circa), Proclo (412-485). Esiste infatti un buon numero di passi nelle loro opere nei quali sono affrontate questioni relative alla politica. Inoltre è notevole, e ancora non del tutto investigato, il coinvolgimento di questi pensatori nelle vicende storiche del tempo. La portata politica del neoplatonismo diventa ancor più grande se si includono in questo movimento di pensiero autori come Giuliano imperatore (330/331-363), del quale è effettivamente noto il legame con i circoli filosofici del IV secolo. Se sia possibile considerare Giuliano come esponente di un neoplatonismo specificamente politico è, come vedremo, una questione difficile da risolvere e forse destinata a rimanere aperta. In ogni caso, è importante investigare il rapporto tra il suo progetto politico e l’ambiente filosofico dell’epoca. Da simili considerazioni emerge un quadro del neoplatonismo più complesso e sfaccettato di quanto non si sia usualmente portati a credere. Da un lato, le scuole filosofiche si rivelano come elementi di primo piano nella cruciale transizione tra III e IV secolo: la valutazione dei neoplatonici come filosofi distaccati dal mondo e sostanzialmente estranei ai rivolgimenti del loro tempo appare dunque, almeno per quella precisa fase storica, poco fondata. D’altro lato, figure di intellettuali come Giuliano e Temistio (317-388 circa) stanno sempre più mostrando agli occhi degli studiosi uno spessore specificamente filosofico che merita di essere discusso con strumenti appropriati.
Il presente contributo prende le mosse da Plotino e da Porfirio considerando la loro dottrina delle virtù politiche o civili e il passaggio da una concezione integralmente teoretica della purificazione dell’anima (Plotino) a una posizione dai contorni meno rigorosamente intellettualistici (Porfirio). Si prenderà poi in esame il neoplatonismo siriaco di Giamblico e della sua scuola: qui emerge, più che nei predecessori, un interesse propriamente politico, che è importante mettere in rapporto con le principali novità introdotte da questo filosofo rispetto a Plotino e a Porfirio. Saranno poi considerate l’eredità di Giamblico nel IV secolo e la riflessione filosofica e politica di Giuliano imperatore: è questo il momento in cui l’interazione tra neoplatonismo e politica appare più stretta. In conclusione, saranno presentati sinteticamente il neoplatonismo politico di Proclo, sintesi estrema del paganesimo morente, e la svolta rappresentata dal De civitate Dei di Agostino1.
Nella Vita di Plotino, premessa alla sua edizione delle Enneadi, Porfirio informa che Plotino, dopo aver trascorso undici anni presso la scuola di Ammonio Sacca ad Alessandria (232-243), ha seguito l’imperatore Gordiano III nella sua sfortunata spedizione in Oriente2. Dopo essere transitato per Antiochia, Plotino si stabilisce a Roma (244), dove ha rapporti stretti con l’élite politica e intellettuale (è interessante che Plotino non abbia mai visitato Atene, per quanto possiamo sapere). La sua scuola – ma si trattava piuttosto, a quanto pare, di un circolo di intellettuali – è frequentata da senatori, letterati e altre personalità di rango sociale elevato. Inoltre, Plotino intrattiene rapporti stretti con l’imperatore Gallieno e la moglie Salonina, tanto che, come riferisce ancora Porfirio, sarebbe suo intento fondare in Campania Platonopoli, una città governata secondo le leggi di Platone3. Il progetto però fallisce per l’opposizione di altre persone vicine all’imperatore. Porfirio si premura inoltre di informare che Plotino è stato impegnato nelle occupazioni pratiche, facendo ufficio di esecutore testamentario per gli orfani4. Questa serie di informazioni, da cui emerge l’attivo coinvolgimento di Plotino nelle vicende storiche e politiche del suo tempo, è però bilanciata da elementi che vanno in direzione opposta. La biografia si apre con la celebre descrizione di Plotino, filosofo che sembra vergognarsi di essere in un corpo, rifiuta di farsi ritrarre e di parlare di sé stesso5. Se Plotino è impegnato nelle contingenze pratiche, in realtà il suo intelletto non è mai distratto dalla contemplazione teoretica6. Egli si adopera per distogliere il discepolo Zeto dagli incarichi politici7, mentre un altro discepolo, il senatore Rogaziano, arriva a rinunciare al suo incarico dismettendo la proprietà e licenziando i servi8. C’è però un altro aspetto ancor più significativo. Se è vero che Plotino attraversa la crisi del III secolo, niente di tutto questo traspare nelle sue opere. Si sono voluti trovare riferimenti al contesto dell’epoca nella descrizione delle tragiche vicissitudini umane in Enneadi III 2,6-8, oppure nell’allusione alle istituzioni politiche che gli gnostici hanno il torto di rifiutare9: ma è difficile trarre conclusioni precise da passi così generici10. Gli scritti che compongono le Enneadi sono, quanto altri mai nella filosofia antica (e non), privi di riferimenti al contesto storico e sociale in cui sono stati composti (il contrasto con Platone è in questo caso davvero stridente).
Inoltre, è imprudente basarsi sulla biografia composta da Porfirio per ricostruire l’atteggiamento filosofico di Plotino verso la politica. Anche lasciando da parte l’intricatissima questione dell’attendibilità del resoconto porfiriano, si deve considerare che una posizione ascetica e fondata sul primato della teoresi rispetto alla prassi può perfettamente coesistere con una condotta di vita attiva. Questo vale in generale e vale, in particolare, nella Tarda antichità, un periodo in riferimento al quale dicotomie che a noi sembrano ben stabilite (razionalità vs irrazionalismo, ascesi vs vita attiva) possono risultare poco fondate11. D’altronde, alcuni aspetti della biografia plotiniana, che hanno fatto pensare a un coinvolgimento nelle controversie politiche e ideologiche del tempo, restano male documentati. Ad esempio, poco si sa sull’ambiente in cui si è svolta la formazione filosofica di Plotino ad Alessandria e sugli eventuali rapporti della scuola di Ammonio con le élite culturali e politiche dell’Impero. Probabilmente questi legami sono effettivamente esistiti, se autori influenti come Plotino, Longino e (sebbene la questione sia molto dibattuta) il cristiano Origene sono tutti passati per Ammonio Sacca: tuttavia i contorni restano imprecisi e, soprattutto, è difficile stabilire quale fosse il carattere dell’insegnamento impartito in quella scuola12. Per quel che si sa, si tratta di autori molto diversi e in relazione ai quali è complesso individuare una comune matrice ammoniana. Persino il progetto di fondare ‘Platonopoli’ si presta a interpretazioni diametralmente opposte: può indicare tanto la volontà di perseguire un progetto politico, quanto quella di fondare una comunità di filosofi separata dalle vicende circostanti. Le informazioni sono semplicemente troppo poche per trarre conclusioni precise. Plotino, dunque, è certamente stato un componente della più elevata élite intellettuale dell’Impero, ma da questo non possiamo inferire un suo attivo coinvolgimento politico, né – men che mai – ciò basta a ritrovare uno specifico aspetto politico nel suo pensiero.
In realtà, l’unico criterio in base a cui può essere plausibilmente valutata la filosofia di Plotino è dato dal contenuto dei suoi scritti e, malgrado alcuni ingegnosi tentativi di dimostrare il contrario, è quasi impossibile rintracciare una filosofia politica nelle Enneadi. L’unica vera eccezione è costituita dalla discussione delle virtù politiche o civili nel trattato I 2 (19) Sulle virtù13. Come sempre, il titolo dello scritto non è plotiniano e può risultare fuorviante (Porfirio informa che Plotino non apponeva titoli ai propri trattati). Plotino, infatti, non vi offre tanto una classificazione schematica delle virtù (anche se le virtù sono l’oggetto principale della sua discussione), ma si propone di spiegare come l’anima possa fuggire dai mali di questo mondo raggiungendo il fine di assimilarsi a dio14. La discussione della virtù avviene in questo preciso contesto, collegato all’interpretazione del Teeteto di Platone15: è un tema corrente nell’esegesi platonica prima di Plotino, il quale riprende una questione tradizionale affrontandola secondo la sua peculiare prospettiva filosofica. Plotino unisce l’esegesi del Teeteto (dottrina del fine dell’uomo identificato con l’assimilazione a dio) con quella del Fedone (dove le virtù sono considerate quali purificazioni dell’anima: Phd. 69 c) e con la distinzione delle quattro virtù cardinali di cui tratta il IV libro della Repubblica (Pl., R. 431 e): saggezza (φρόνησις), coraggio (ἀνδρεία), temperanza (σωφροσύνη), giustizia (δικαιοσύνη). La classificazione platonica è ripresa, specificando però che le quattro virtù si ritrovano su più livelli differenti e ordinati gerarchicamente. Il grado inferiore è per l’appunto costituito dalle virtù politiche o civili: esse riguardano non solo la parte razionale dell’anima, ma anche quella desiderativa, e consistono in un limite e in una misura imposti alle passioni e ai desideri: la vera purificazione non ha luogo attraverso di esse16. Ben diverse sono le virtù «superiori»17, di tipo teoretico e contemplativo (le quattro virtù cardinali sono ridefinite in questo senso: I 2, 6), all’interno delle quali vanno situate sia, come momento preparatorio, la purificazione dell’anima dal corpo, sia la contemplazione dell’Intelletto18.
La classificazione plotiniana dei gradi di virtù è stata ampliata e rielaborata a partire da Porfirio, modificando profondamente il suo senso. Per quanto riguarda Plotino, alcuni punti devono essere rapidamente richiamati. In primo luogo, la posizione delle virtù politiche è limitata. Nel caratterizzarle, Plotino prescinde da ogni prospettiva collegata al vivere in comune: esse riguardano semplicemente la limitazione dei desideri e delle passioni individuali19. Inoltre, il loro compito è confinato a rendere migliore l’anima rivolta ai corpi. Solo attraverso le virtù contemplative, e dunque in modo esclusivamente teoretico e conoscitivo, l’anima può realmente purificarsi, elevandosi rispetto al mondo empirico e stabilendosi nell’intelligibile in accordo alla sua natura più vera. Plotino non afferma, sia ben chiaro, che le virtù civili siano superflue: in nessun passo delle Enneadi è dichiarato un indifferentismo amorale rispetto alla condotta pratica (si vedano le osservazioni contro gli gnostici in II 9,15,22-40). Tuttavia, la posizione delle virtù politiche resta marginale. Plotino sostiene che il saggio le possiede ma solo in potenza, mentre esse sono sostituite (e non solo completate) dalle virtù superiori e teoretiche20. Il saggio non è inattivo, ma Plotino sembra suggerire che le sue azioni discendono in modo quasi automatico, come un corollario, dalla contemplazione teoretica, senza che vi sia calcolo e deliberazione21. Se si escludono alcuni passi, la cui importanza non va comunque esagerata, Plotino non pone in luce nessun aspetto specificamente politico dell’azione del saggio, e mantiene fermo il principio secondo cui la vera felicità coincide con il possesso della vita perfetta e intelligibile, rispetto alla quale l’azione pratica non dà un contributo significativo: «può essere felice anche chi non agisce, e non meno ma più di colui che ha agito»22. Un secondo punto va posto in evidenza. Come si vedrà, nella riflessione politica neoplatonica è di centrale importanza stabilire l’esistenza di azioni o pratiche distinte dalla semplice conoscenza teoretica e capaci di purificare l’anima garantendo il contatto con il divino (da qui l’importanza della teurgia). In questo contesto si afferma l’idea, avanzata già da Porfirio, che esista una classe di virtù catartiche, la cui posizione sarebbe intermedia tra quelle civili e quelle teoretiche. La dottrina di Plotino è diversa, poiché, sebbene nel trattato I 2 parli a più riprese di purificazione, tuttavia egli non individua affatto una specifica classe di virtù purificative23. Per Plotino la purificazione è un processo di natura intellettuale, teoretica, che non è associato a specifiche pratiche. Il fine pienamente attingibile attraverso la conoscenza intellettuale è rendersi identici a dio: ciò è possibile perché l’anima non è completamente discesa nel corpo, ma la sua parte superiore rimane insediata nell’intelligibile condividendo la contemplazione teoretica perfetta dell’Intelletto divino24. L’itinerario della filosofia consiste nel riappropriarsi di questa natura superiore – della quale non siamo ordinariamente consapevoli anche se ci caratterizza come la nostra essenza più propria – e nel farne il centro della nostra attività psichica. Il progressivo abbandono, a partire già da Porfirio, di questa forma estrema di intellettualismo, e una profonda trasformazione nella concezione dell’uomo e dei suoi limiti conoscitivi aprono le porte alla riflessione politica neoplatonica, che in alcuni casi si configura come una vera e propria ideologia dell’ultima reazione pagana contro i cristiani.
La relazione tra Plotino e Porfirio costituisce uno dei punti più controversi nel neoplatonismo. Porfirio è non solo allievo di Plotino (fa parte per cinque anni, dal 263 al 268, della sua scuola a Roma, prima di lasciarla per recarsi in Sicilia), ma anche editore dei trattati e autore della celebre biografia sopracitata. Pubblicata nel 301, nell’ultimo periodo della sua attività, l’edizione delle Enneadi fa probabilmente parte del progetto di Porfirio per rivendicare l’eredità filosofica di Plotino in contrapposizione a Giamblico (che di Porfirio era forse stato allievo, prima di stabilirsi nella sua nativa Siria fondando una scuola ad Apamea o a Dafne, presso Antiochia)25. In effetti, Porfirio respinge in buona parte la principale innovazione del platonismo di Giamblico, ossia l’idea per cui l’ascesa dell’anima al divino sarebbe garantita non dalla contemplazione intellettuale riservata ai filosofi, ma da pratiche teurgiche (specifiche pratiche rituali rivelate dagli dei per permettere di entrare in contatto con loro, delle quali anche i filosofi avrebbero bisogno)26. Porfirio, però, non è stato solo un seguace fedele di Plotino: su alcuni punti centrali, egli ha di fatto iniziato il processo di allontanamento dall’intellettualismo plotiniano che si compie dopo di lui. Alcune opere di Porfirio (Sugli scritti di Giuliano il Caldeo, Sulle immagini divine, Sulla filosofia desunta dagli Oracoli), in buona parte perdute, ma ampiamente ricostruibili attraverso citazioni posteriori, testimoniano del suo vivo interesse per i culti religiosi ellenici e, d’altronde, il suo impegno a favore della religione tradizionale è ampiamente confermato dalla polemica anticristiana nel Contro i cristiani (di difficilissima ricostruzione)27. Tutto è controverso circa questi aspetti dell’opera porfiriana. Ad esempio, è possibile (ma niente affatto dimostrabile) che Porfirio sia stato tra gli ispiratori della Grande persecuzione di Diocleziano (altri invece ipotizzano un suo legame con Aureliano)28. Probabilmente l’incertezza è destinata a permanere, ma ormai gli interpreti tendono a respingere l’idea che gli scritti religiosi di Porfirio appartengano tutti a una fase giovanile e segnata dall’irrazionalismo, prima dell’incontro con Plotino. In realtà, è forse più plausibile che si debba collocarli avanti nel tempo e che queste opere siano parte del progetto ideologico anticristiano di Porfirio. Dividere rigidamente aspetti razionali e aspetti irrazionali non è corretto per Porfirio, come non è corretto farlo per gli altri autori tardoantichi. La sua opera appare come un’organica difesa della tradizione ellenica contro il cristianesimo, e questo carattere complessivo dà conto di punti apparentemente distanti come, da un lato, l’interesse per i culti religiosi, dall’altro il progetto di incorporare Aristotele all’interno del platonismo commentandone i trattati e mostrando la fondamentale armonia di Platone e di Aristotele, i due maestri della filosofia ellenica29. D’altronde l’adesione all’intellettualismo di Plotino da parte di Porfirio implica alcune significative correzioni, particolarmente evidenti nel caso della dottrina delle virtù.
La Sentenza 32 di Porfirio è espressamente dedicata alla dottrina delle virtù ed è largamente basata sul trattato I 2 di Plotino. Come molto spesso accade nelle Sentenze, però, la sintesi e la sistemazione della dottrina plotiniana implicano alcuni cambiamenti30. In primo luogo, il testo di Porfirio è esplicitamente strutturato come una classificazione sistematica dei gradi di virtù (come si è visto, questo non vale per il trattato I 2 di Plotino)31. Inoltre, Porfirio si allontana da Plotino su alcuni punti centrali. Mentre Plotino ritiene che il dio a cui ci assimiliamo mediante la virtù non sia esso stesso virtuoso, Porfirio individua una specifica classe di virtù proprie del mondo intelligibile: le virtù paradigmatiche32. Questa innovazione va forse collegata alla particolare dottrina metafisica di Porfirio, secondo cui le cause di livello metafisico superiore ‘pre-contengono’ in sé le qualità di cui sono causa (Plotino invece riteneva che vi fosse una totale eterogeneità tra i principi intelligibili e ciò che dipende da essi)33. Più importanti per la presente trattazione sono due altri aspetti. In primo luogo, Porfirio caratterizza le virtù politiche in modo diverso da Plotino e inserendo uno specifico riferimento alla vita in comune: «esse hanno di mira una comunanza che non reca danno al vicino e sono dette ‘civili’ in base alla gregarietà e alla comunanza»34. Inoltre, tra le virtù civili e le virtù contemplative Porfirio inserisce, come una classe intermedia e a sé stante, le virtù purificative35. Si ha qui una novità di grande interesse, perché Porfirio viene di fatto ad ammettere che esistono pratiche distinte dalla pura contemplazione teoretica e capaci di aiutare l’anima verso la purificazione e l’ascesa a dio. Può darsi che egli si riferisse alla teurgia (di cui ammetteva un uso limitato e comunque subordinato alla contemplazione intellettuale), oppure al vegetarianesimo (Porfirio è autore del De abstinentia, un’opera quasi interamente conservata, in quattro libri, sull’astinenza dalla carne). Comunque sia, la presenza di un gruppo di virtù purificative, distinte da quelle intellettuali e contemplative, apre una breccia nell’intellettualismo di Plotino, il quale aveva riassorbito la purificazione nella teoresi. Dopo Porfirio la gerarchia dei gradi di virtù si complica ulteriormente: i neoplatonici più tardi ammettono, ad esempio, l’esistenza di virtù teurgiche36. La via verso questo sviluppo è già tracciata in Porfirio, anche se egli ne contesta gli sviluppi più radicali.
Giamblico ha una posizione cruciale nel pensiero tardoantico e può essere considerato quasi come un secondo fondatore del neoplatonismo dopo Plotino. A lui infatti risale l’introduzione di alcune novità che hanno avuto un decisivo influsso sull’ultima filosofia greca, in particolare sul neoplatonismo della scuola di Atene. Come si è accennato, Giamblico in realtà sviluppa e porta alle estreme conseguenze elementi già presenti prima di lui, ma ciò non deve indurre a sminuire la portata del suo contributo. In primo luogo, egli introduce nel platonismo una decisa svolta in senso religioso e difende la necessità di aderire a specifiche pratiche rituali (la teurgia) affinché l’anima possa elevarsi a dio. Questa svolta è stata spesso deprecata come una deriva irrazionalistica, ma è in realtà ancorata a precise concezioni filosofiche, che Giamblico (un autore raffinato e provvisto di ottima tecnica filosofica) elabora in polemica con i predecessori. Diversamente da Plotino, Giamblico ritiene infatti che l’anima discenda completamente, tutta intera nel corpo: non vi è una parte di essa che resta insediata nell’intelligibile. Una simile concezione dell’uomo e delle sue capacità conoscitive comporta una netta rottura rispetto all’intellettualismo plotiniano. Anche se Giamblico sembra ammettere l’esistenza di alcune anime privilegiate e pure, le quali non perdono contatto con l’intelligibile, non è questo punto a risaltare in primo piano37. Acquista invece grande rilievo l’idea che la contemplazione intellettuale da sola non possa essere considerata un mezzo capace di garantire l’assimilazione a dio. Per Giamblico, tutti (anche i filosofi) devono seguire specifiche pratiche rituali rivelate dagli dei per conseguire quel fine. Sono gli Oracoli caldaici a fondare sotto il profilo teorico la base della teurgia: si tratta di una silloge, largamente ispirata al Timeo di Platone, ora perduta e conservata solo attraverso fonti posteriori, per lo più neoplatoniche, la cui redazione definitiva è databile alla seconda metà del II secolo (gli Oracoli sono associati alle due misteriose figure di Giuliano il Caldeo e Giuliano il Teurgo). Fino a Porfirio la ricezione degli Oracoli rimane limitata (è assente in Plotino). Da Giamblico in poi, essi acquistano invece una posizione centrale, tanto da diventare, secondo la definizione di Franz Cumont, la Bibbia dei neoplatonici. In effetti, da Giamblico in poi l’ultima filosofia ellenica si configura come una sorta di via verso la salvezza, uguale e contraria al cristianesimo, rivolta alle élite intellettuali e politiche pagane dell’Impero38. Anche un altro cruciale elemento introdotto da Giamblico, che riguarda l’esegesi testuale, può essere letto in questo senso. Egli, infatti, sistematizza le pratiche esegetiche ormai in uso da secoli, codificando il metodo di studio dei testi ‘autorevoli’ (organizzato in questioni preliminari da affrontare prima della lettura guidata di un’opera) e stabilendo un curriculum di studio fondato su un vero e proprio canone di testi destinati a essere affrontati in successione, così da garantire il progresso intellettuale e morale dell’allievo. Possiamo ricostruire il curriculum platonico fissato da Giamblico a partire dai Prolegomeni alla filosofia di Platone (un manuale del VI secolo)39. Vi sono inclusi dodici dialoghi organizzati in due cicli e disposti secondo un ordine ascendente che corrisponde alla scala delle virtù (con al vertice quelle teoretiche) e alla classificazione delle scienze (con al vertice la teologia): Alcibiade, Gorgia, Fedone, Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico, Fedro, Simposio, Filebo, Timeo, Parmenide. Colpisce l’assenza di Repubblica e Leggi. Può darsi che questi dialoghi fossero esclusi per le loro dimensioni, che mal si adattano a un curriculum (diverso è evidentemente il caso del Gorgia). In ogni caso, i neoplatonici certamente hanno letto e commentato sia la Repubblica (è conservato il commento di Proclo) sia le Leggi, ma la posizione di questi dialoghi nell’ultimo platonismo è marginale rispetto a Parmenide e Timeo40.
La nuova concezione dell’anima e dell’uomo, unita all’abbandono dell’intellettualismo, apre lo spazio per una rinnovata riflessione sulla politica, che è ben attestata in alcune Epistole di Giamblico conservate nell’Antologia di Giovanni Stobeo41. Emergono in primo luogo i rapporti di Giamblico con l’élite dell’Impero. Alcuni tra gli allievi destinatari delle epistole hanno avuto una significativa posizione politica: è, in particolare il caso di Discolio (che potrebbe identificarsi con un prefetto del pretorio d’Oriente), al quale è destinata una lettera sulla virtù del saggio governante42, e soprattutto di Sopatro di Apamea, l’interlocutore più ricorrente43. Pur essendo pagano, Sopatro è stato consigliere di Costantino, partecipando alla fondazione di Costantinopoli nel 330 prima di cadere in disgrazia ed essere messo a morte: è un episodio ben noto della politica costantiniana, che testimonia del prestigio politico della cerchia di Giamblico44. Oltre alle vicende biografiche, è però il contenuto delle Epistole a dimostrare un vero interesse per la politica. Giamblico si sofferma sulle qualità del buon re presentando il suo governo con un’immagine che riproduce in ambito politico il governo divino nel cosmo ed è fondata sull’esercizio delle virtù, in particolare la saggezza (φρόνησις)45. In tal modo, l’azione del buon governante può essere considerata simile a quella del filosofo nella Repubblica che, dopo aver contemplato il Bene, rientra dentro la caverna per riprodurre il modello dell’ordine che egli ha conosciuto46. Di qui proviene l’idea secondo cui la filantropia sarebbe massimamente propria del buon re: il sovrano, attraverso di essa, renderebbe beneficio ai governati47. La responsabilità politica è in tal modo concepita essenzialmente nei termini di una educazione morale, promossa dal governante al fine di sviluppare nello Stato una vita virtuosa.
L’ascendenza platonica di simili dottrine è innegabile, ma è abbastanza difficile ritrovarvi uno specifico riflesso politico della teologia neoplatonica (le cui tesi caratteristiche di fatto non compaiono nelle epistole politiche). In effetti, la tesi secondo cui il governante è immagine del governo cosmico di dio, caratterizzato da ordine e bontà, corrisponde all’ideologia ellenistica e romana sulla regalità e trova numerosi paralleli ben anteriori a Giamblico (non solo nel platonismo: sono tesi rappresentate nello stoicismo, negli scritti pseudo-pitagorici, in Dione Cristostomo)48. Giamblico ha accordato agli scritti della tradizione pitagorica un ruolo fondativo, concependo il suo platonismo religioso e matematizzante come una vera e propria forma di ‘pitagorismo’ (anche questa è una novità rispetto a Plotino e a Porfirio)49. Non sorprende dunque che egli si sia ispirato alle concezioni formulate negli scritti pitagorici apocrifi (da lui considerati autentici), in cui si trovano espresse dottrine di ascendenza platonica, combinate con elementi stoici e peripatetici50. Tutto questo appartiene a un patrimonio di riflessione politica ben consolidato all’epoca di Giamblico, del quale è piuttosto difficile individuare il tratto specificamente neoplatonico.
Un altro aspetto sul quale è stata recentemente portata l’attenzione riguarda l’interesse per il tema della legge51. Mentre la dottrina del buon re che riproduce l’ordine cosmico ha come suo modello ultimo il re filosofo della Repubblica, la priorità accordata alle leggi riconduce per l’appunto al dialogo delle Leggi, dove Platone delinea il governo non della città ideale, ma della sua migliore approssimazione possibile in un mondo imperfetto. Qualche allusione al tema della legge si può trovare anche in Plotino52, ma è impossibile trarne reali conclusioni di portata filosofico-politica53. Nella lettera indirizzata a un certo Agrippa54, Giamblico pone invece grande enfasi sulla legge, che sembra configurarsi come un criterio indipendente dal governante e a cui egli stesso deve conformarsi per assolvere il suo compito. Ne emerge una collocazione diversa, più modesta, del monarca, che è concepito come guardiano delle leggi, non come colui che esemplifica in sé il buon governo del tutto. Si tratta, ancora una volta, di tesi niente affatto originali e ben presenti nella tradizione precedente55. Tuttavia, una simile posizione è senza dubbio più congeniale ai peculiari presupposti filosofici di Giamblico: come si è detto prima, infatti, egli ritiene che all’uomo sia preclusa l’adeguata conoscenza delle realtà divine, finché si trova nel corpo. La figura del re filosofo è in apparente contrasto con una concezione piuttosto pessimistica delle capacità conoscitive dell’uomo, mentre l’idea che il monarca sia guardiano delle leggi appare più consona a essa. Tuttavia il legame tra il primato della legge e la concezione filosofica dell’uomo non è esplicitamente discusso da Giamblico e si può dunque solo supporre l’esistenza di una connessione come quella appena richiamata.
È però indubbio che, a partire da Giamblico, il tema della legge acquisti un notevole rilievo. Si possiedono, ancora attraverso Stobeo, gli estratti di una lettera indirizzata da Sopatro a suo fratello su «Come praticare il posto di governo che gli è stato assegnato»56. Sarebbe allettante supporre che la lettera sia stata scritta dall’allievo di Giamblico e consigliere di Costantino, ma è più probabile che l’autore sia suo figlio (Sopatro 2) e il destinatario il fratello Imerio57. Anche questo scritto è caratterizzato da una concezione piuttosto modesta del governante, almeno se paragonata a quella del re filosofo. Il bene a cui deve tendere Imerio non è, infatti, il bene assoluto, ma quello relativo alla situazione in cui si trova ed è consono ai rapporti di potere in cui è collocato. L’obiettivo è la vita eccellente, che nel quadro del neoplatonismo può essere identificata con la divinizzazione dell’uomo nei limiti del possibile attraverso la pratica delle virtù58. Anche in Sopatro, il tema della legge assume una notevole importanza, e la filantropia propria del governante comporta l’amministrazione della giustizia come strumento di educazione dei governati. Nel VI secolo, gli ultimi neoplatonici di Alessandria svilupperanno questi temi dividendo (in accordo al Gorgia di Platone) la filosofia pratica in due branche corrispondenti alla scienza legislativa e alla scienza giudiziaria e subordinando la seconda alla prima, giacché la giustizia è amministrata in accordo a canoni formulati dal legislatore. Questa divisione sarà giudicata più appropriata rispetto alla divisione aristotelica in etica, economica e politica59.
La svolta religiosa impressa da Giamblico è cruciale per comprendere il platonismo del IV secolo, caratterizzato da figure di filosofi-sapienti di affiliazione dottrinale giamblichea le cui biografie, ricche di elementi prodigiosi, sono narrate nelle Vite dei filosofi e dei sofisti di Eunapio di Sardi60. Per ciascuna di queste personalità si adatta particolarmente bene la caratterizzazione di «pagan holy man» coniata dalla ricerca moderna61. Ciò però non vuol dire che si tratti di santoni o guru sprovvisti di consapevolezza filosofica. Per quel che possiamo comprendere (le loro opere sono in grandissima parte perdute), essi sono invece degli intellettuali raffinati, che sviluppano il lavoro esegetico intrapreso dai predecessori e si confrontano con problemi dottrinali complessi relativi all’interpretazione di Platone e Aristotele. La stessa svolta religiosa dell’ultimo platonismo si basa, come già si è ricordato, su precise assunzioni teoriche e non è riducibile a una semplice deriva verso l’irrazionalità. Sarebbe dunque sbagliato e semplicistico ridurre il neoplatonismo (anche il neoplatonismo del IV secolo, che si intreccia indissolubilmente con l’ultima reazione anticristiana) a una semplice ideologia identitaria dell’ultimo paganesimo. Tuttavia, gli aspetti filosofici si uniscono indissolubilmente ad altri che per la sensibilità contemporanea appaiono incompatibili, in particolare l’uso delle pratiche teurgiche. Come si è già notato, sono in realtà aspetti complementari di un unico atteggiamento, ed è di centrale importanza non privilegiarne l’uno a scapito dell’altro.
L’immediata posterità di Giamblico costituisce ancora oggi un capitolo poco studiato ed è in parte avvolta nell’oscurità. Per quel che possiamo ricostruire, i suoi allievi hanno intrapreso strade piuttosto diverse. Alcuni, come Teodoro di Asine e il commentatore di Aristotele Dessippo, sembrano ritornare a un platonismo di matrice porfiriana distaccandosi di fatto dal loro maestro. L’impostazione religioso-teurgica è invece propria della cosiddetta scuola di Pergamo, composta da Edesio (allievo di Giamblico) e dai suoi discepoli. Sono questi filosofi (Massimo di Efeso, Crisanzio, Prisco) che assicurano la formazione filosofica del giovane Giuliano, fornendo le premesse speculative del suo progetto di restaurazione dell’Ellenismo, e quindi entrando a far parte della sua cerchia e accompagnandolo fino alla morte nella campagna contro la Persia62. Un altro indirizzo filosofico contemporaneo è rappresentato, a Costantinopoli, da Temistio. Anche in questo caso, coesistono aspetti a prima vista contraddittori. Professore di filosofia e politico del più alto livello, Temistio è noto agli storici per le sue orazioni, mentre gli storici della filosofia ne ricordano le parafrasi di trattati aristotelici. Sembra difficile stabilire una connessione tra opere di tipo così differente (gli scritti aristotelici di Temistio, alcuni dei quali sono conservati, hanno un carattere abbastanza arido e tecnico che ai nostri occhi si accorda male con i temi affrontati nelle orazioni)63. Ancora una volta, va però richiamato il carattere proprio della cultura filosofica antica, e tardoantica in particolare, nella quale possono coesistere aspetti difficilmente conciliabili per gli studiosi di oggi. È particolarmente importante tener presente, in Temistio come in Giuliano, che filosofi dilettanti o impegnati nella vita politica potevano avere una formazione raffinata, nella quale erano inclusi elementi tecnici che un lettore moderno riserverebbe ai filosofi in senso stretto (ad esempio, è ben attestata la controversia che ha opposto Temistio e un certo Massimo, forse Massimo di Efeso, sull’interpretazione della sillogistica aristotelica, e nella quale Giuliano ha fatto da arbitro64). D’altronde, elementi apparentemente lontani possono in realtà essere parti complementari di una posizione unitaria. Ad esempio tutta l’opera di Temistio è caratterizzata dalla presa di distanza, per lo più implicita, dal tipo di filosofia elaborato da Giamblico e dai suoi allievi. Ciò è visibile nelle parafrasi aristoteliche, nelle quali non c’è traccia della lettura metafisica e pitagorizzante sviluppata da Giamblico. Fatto molto significativo, Temistio ritiene inautentico il trattato di Archita sulle categorie65, a cui Giamblico aveva invece accordato una posizione centrale nella sua interpretazione di Aristotele. Più che uno scrupolo filologico, la posizione di Temistio appare come una vera e propria critica dell’esegesi pitagorizzante di Giamblico, che era invece probabilmente sviluppata dai filosofi vicini a Giuliano (in particolare Prisco e Massimo di Efeso)66. La discussione con Giuliano sul rapporto tra filosofia e politica può essere anche vista come un altro capitolo di questo dibattito, e non è un caso che proprio l’interpretazione di Aristotele costituisca uno dei punti principali di disaccordo tra Giuliano e Temistio.
Le orazioni di Temistio contengono una ripetuta difesa della scelta di essere pienamente implicato nella politica venendo meno a quella che appariva come la corretta vita filosofica. A partire da questo dibattito, Temistio elabora la sua posizione sul rapporto tra politica e filosofia, secondo la quale non solo non vi è opposizione tra le due, ma la politica è il naturale completamento della filosofia, affinché i filosofi non siano tali solo a parole67: da qui la critica, di ascendenza platonica68, rivolta ai filosofi non socievoli e selvaggi69. Questo elogio della vita attiva del filosofo costituisce il retroterra dell’Epistola a Temistio di Giuliano. Per Temistio un filosofo-imperatore deve essere un vero filosofo-re pienamente impegnato nella pratica di governo, incarnazione vivente della legge e immagine del governo divino nel mondo: Temistio aveva forse esortato Giuliano, negli scambi precedenti l’Epistola a Temistio70, a seguire questo modello. Nella sua risposta71, Giuliano respinge la posizione di Temistio, distaccandosene in alcuni punti e ridimensionando l’importanza della figura del re filosofo. Egli d’altronde nega di essere tale e distingue la sua posizione rispetto a quella di coloro che hanno una piena formazione filosofica72. La critica dell’unione, difesa da Temistio, tra monarchia e filosofia passa attraverso il confronto tra le figure di Socrate e Alessandro, che Giuliano propone a tutto vantaggio del primo: anche se Socrate non è stato signore di nessuno, egli ha infatti compiuto imprese più grandi di Alessandro salvando molti uomini con la filosofia73. Inoltre, Giuliano si richiama alle Leggi di Platone difendendo il primato delle leggi rispetto al monarca, che ne è guardiano restando sottoposto a esse74. Con una certa ironia, Giuliano argomenta che Aristotele (il filosofo di cui Temistio è interprete autorevole) non sostiene affatto l’unità di filosofia e vita politica, ma rivendica la priorità della prima sulla seconda75.
L’Epistola a Temistio ripropone il problema dell’esistenza di una filosofia politica specificamente neoplatonica. Il primato accordato alle leggi e la distinzione stabilita tra monarca e filosofo richiamano effettivamente i temi già emersi in Giamblico e sembra dunque plausibile un diretto influsso del neoplatonismo sulla riflessione politica di Giuliano. D’altra parte, esistono anche considerazioni contrarie a questa ipotesi. In effetti, sono assenti, ancora una volta, richiami espliciti alle dottrine neoplatoniche sul cosmo e sull’anima. I riferimenti a Platone e ad Aristotele sono abbondanti, ma non è semplice collegarli a un’esegesi propriamente neoplatonica: forse sono desunti proprio da Temistio e, in ogni caso, il richiamo a Platone era tradizionale nel IV secolo, e diffuso ben oltre le cerchie filosofiche76.
Vi sono però altri aspetti dell’opera di Giuliano, nei quali l’intreccio tra platonismo e politica appare più pronunciato. Non si tratta tanto dei suoi scritti specificamente politici, ma dei grandi inni teologici Alla Madre degli dei e A Helios re. Qui la presenza di elementi dottrinali propri della metafisica e della cosmologia neoplatonica è veramente incontestabile ed è stata fatta oggetto di indagine accurata77. Resta da vedere se simili elementi costituiscano un corpo estraneo rispetto all’ideologia di Giuliano, oppure se contengano aspetti propriamente politici. È plausibile propendere per questa seconda ipotesi78. Si può in primo luogo notare un cambiamento di accento tra il modo in cui Giuliano presenta sé stesso nell’Epistola a Temistio e quello degli scritti successivi (in particolare le due orazioni contro i cinici e gli inni teologici). Giuliano appare sempre più cosciente di essere un filosofo e monarca scelto dagli dei79, immagine in terra del demiurgo platonico. Egli continua a distinguere la sua condizione da quella del vero filosofo (Massimo di Efeso), ma la distinzione è certamente meno marcata che nell’Epistola a Temistio80. La connessione fra teologia e ideologia politica viene in primissimo piano nell’Inno alla Madre degli dei (composto tra il 22 e il 25 marzo del 362). Qui, nell’invocazione alla Madre degli dei e nell’esegesi del mito di Cibele e Attis, si intrecciano tre temi portanti del progetto filosofico e ideologico di Giuliano: la concezione della romanitas come sintesi perfetta della sapienza dei greci e dei romani, universale e ispirata dagli dei; la fondazione cosmologica (basata sull’esegesi allegorica del mito) della romanitas, che si configura in tal modo come universale ed eterna; infine, la spiegazione dei segni e simboli divini contenuti nel mito e delle norme etiche derivate da essi81. Nell’inno Giuliano si presenta dunque come il sacerdote e l’iniziato che spiega la trama del mito di Attis al suo pubblico. Letti propriamente, i crudeli paradossi del mito di Cibele e Attis (l’amore di Cibele per il giovane, il tradimento di Attis con una ninfa e la conseguente autoevirazione di Attis) sono segni e simboli che rivelano la dimensione cosmica del potere romano. In un simile contesto trovano senso le sezioni cosmologiche dell’inno, nelle quali Giuliano, fondandosi probabilmente su Giamblico, espone una versione della cosmologia neoplatonica basata sulla gerarchia dei princìpi divini e sulla figura del mediatore (Attis) tra il mondo divino e il sensibile. La vicenda di Attis diventa così il simbolo del processo di trasformazione della materia bruta in un cosmo, grazie alla mescolanza con le forme intelligibili82. Al significato cosmologico si associa quello antropologico e soteriologico, poiché il mito è visto come simbolo della vicenda dell’anima umana, dalla discesa nei corpi alla sua ascesa di purificazione verso il principio divino. Sono qui ben riconoscibili alcuni elementi del neoplatonismo post-giamblicheo, come la gerarchia dei principi divini desunta dagli Oracoli Caldaici, la concezione della purificazione e la teurgia. Se la cosmologia dell’Inno non è un corpo isolato, ma è collegata organicamente al progetto ideologico-politico dell’imperatore, quest’opera è un autentico documento di ‘neoplatonismo politico’. Un discorso del tutto analogo può farsi, d’altronde, per la teologia solare dell’Inno a Helios re e, infine, per la polemica anticristiana del perduto Contra Galileos. In ciascuno di questi scritti, Giuliano mette in luce aspetti diversi di un’unica idea fondamentale, che egli elabora con piena coscienza della riflessione teologica e filosofica a lui vicina: l’oikoumene romana è stata creata nella sua universalità dalla provvidenza divina e non è una semplice invenzione umana83.
Alcuni studi recenti hanno approfondito queste analisi ponendo in luce elementi diversi, ma complementari, nella presentazione di Giuliano. Da un lato, si è sottolineato il condizionamento implicito del modello cristiano, percepibile nel modo in cui egli articola la sua visione teologica. Questo potrebbe spiegare perché, sia nell’Inno alla Madre degli dei sia nell’Inno a Helios, Giuliano si allontani, almeno in parte, da Giamblico lasciando cadere alcuni punti della sua teologia (ad esempio la concezione del primo principio al di là dell’essere e completamente ineffabile), semplificandoli, e cercando di dotare il paganesimo di un sistema dogmatico quanto più possibile coerente e competitivo rispetto a quello dei suoi avversari84. Ma l’influenza va anche nella direzione opposta, se è vero che la concezione della romanitas universale teologicamente fondata di Giuliano – fornendo una struttura ideologica capace di resistere per secoli – ha fatto da modello al modo in cui proprio i suoi avversari più accaniti (in particolare Gregorio di Nazianzo) hanno elaborato il loro universalismo cristiano, trasponendo e adattando in un nuovo contesto la concezione universalistica dell’Impero pagano di Roma85. Se si uniscono tutti questi elementi, si ottiene un quadro di interesse e complessità notevoli. Giuliano riprende e adatta (con buona padronanza tecnica) la dottrina teologica del neoplatonismo post-giamblicheo facendone la base ideologica e speculativa del suo progetto fondato sulla restaurazione dell’Ellenismo e l’universalismo dell’Impero. In questo, egli subisce comunque il condizionamento implicito del modello cristiano, di cui riprende alcuni aspetti trasponendoli in un contesto diverso, e presenta la teologia neoplatonica come una visione religiosa di cui egli è il massimo rappresentante, pontefice massimo. D’altronde, l’opera di Giuliano agisce anche in direzione opposta, fornendo una struttura ideologica universalistica in base a cui la patristica elabora una determinata concezione di Chiesa.
Con Giuliano il neoplatonismo pagano celebra un effimero trionfo e con il suo breve regno si chiude definitivamente ogni reale possibilità di restaurazione del paganesimo. Ciò, però, non significa affatto che la filosofia pagana si estingua subito dopo di lui. In realtà, la vicenda del neoplatonismo è ancora lunga, se si considera che nel V secolo si formano le scuole di Alessandria e di Atene, dove operano pensatori come Ammonio, Siriano, Proclo, Damascio e Simplicio. Le loro opere sono fondamentali sia per ricostruire l’ultimo pensiero greco sia per spiegare la transizione tra la filosofia antica e le tradizioni dei secoli successivi. Le vicende che nel 529 conducono alla chiusura della scuola platonica di Atene per opera di Giustiniano e all’esilio dei filosofi in Persia dimostrano che i filosofi pagani ateniesi sono un gruppo certamente assai poco numeroso, ma vitale e giudicato dall’imperatore come potenzialmente pericoloso86. Molto dopo la sua morte, Giuliano continuerà a essere celebrato dalle élite pagane e il suo regno sarà visto come un modello: è ad esempio significativo che, nella biografia di Proclo, Marino di Neapoli usi proprio Giuliano quale punto di riferimento cronologico (Proclo morì «nel centoventiquattresimo anno dal regno dell’imperatore Giuliano»87). Anche i temi propri del neoplatonismo politico richiamati nel presente contributo (la figura del re filosofo, l’idea che il governo umano sia immagine di quello divino sul cosmo, la scala delle virtù, la legge) non cessano di essere sviluppati dopo Giuliano, sia in ambito pagano, sia in adattamenti cristiani (per esempio nell’ecclesiologia dello Pseudo-Dionigi Aeropagita) la cui influenza si estende ben oltre l’Antichità88. Da questo punto di vista, il neoplatonismo politico non finisce certo con Giuliano imperatore ed è anzi, nelle sue varie propaggini, una tradizione particolarmente longeva. Tuttavia, è innegabile che la fine del IV secolo segni una reale rottura. In primo luogo, la riflessione degli ultimi pensatori pagani sulla filosofia politica appare sempre più separata dal contesto storico circostante. Il progetto di restaurazione dell’Ellenismo a opera dell’imperatore Giuliano, per quanto tragico e votato al fallimento, è profondamente radicato nelle vicende del suo tempo e offre una prospettiva eccezionale per comprendere l’evoluzione politica e culturale del IV secolo. Lo stesso non può dirsi della sintesi estrema del paganesimo, elaborata, oltre cent’anni dopo, dai platonici di Atene, che per questo aspetto appaiono come autori raffinati e interessanti, ma piuttosto estranei al mondo circostante e incapaci di decifrarne lo sviluppo. D’altro canto, proprio all’inizio del IV secolo Agostino di Ippona elabora nel De civitate Dei un quadro teorico nuovo, profondamente diverso da quello neoplatonico, per interpretare le vicende umane: egli segna davvero l’inizio di una nuova fase nella filosofia politica.
In conclusione, è opportuno soffermarsi brevemente su due passaggi appena accennati. In primo luogo, la riflessione filosofico-politica di Proclo, che si può ampiamente ricostruire attraverso il suo commento alla Repubblica. Qui egli ripropone, inquadrandola in un complesso contesto metafisico, la concezione politico-cosmologica ormai familiare del re filosofo come guardiano della città nella quale si riflette l’ordine perfetto dell’universo. Tuttavia, l’accento della discussione procliana cade sul versante teologico assai più che su quello politico, e ciò emerge pienamente nella sua discussione dell’idea del Bene89. Mentre, come si è visto supra, Giuliano adatta la gerarchia neoplatonica dei principi metafisici alle esigenze del suo discorso ideologico e religioso, in Proclo si ha una situazione opposta, giacché è la speculazione teologica e metafisica (basata sulla dottrina dell’Uno come primo principio assolutamente trascendente e ineffabile) che regola tutta la discussione sul Bene. In tal modo, la fondazione teologica della politica, propria del neoplatonismo, tocca il suo esito estremo e le tensioni che, come si è detto sopra, rendono interessante e feconda la riflessione politica tra Porfirio e Giuliano sono di fatto annullate, giacché in Proclo l’etica e la politica sono sostanzialmente assorbite nella teologia.
Ben diverso è il percorso che, qualche decennio prima, segna la riflessione politica di Agostino. La prima fase del suo pensiero, esemplificata nel De ordine, riprende coordinate filosofiche ben note, delle quali il vescovo di Ippona fornisce una trasposizione in ambito cristiano. Vi si ritrovano la concezione del curriculum di studi che guida l’ascesa dell’anima a Dio e l’idea che il governo politico sia subordinato alla conoscenza della legge divina conseguita dal saggio90. Sono combinati elementi neoplatonici e pitagorici, insieme alla concezione giusnaturalistica, di matrice platonica e stoica, che vede la città terrestre come immagine della città cosmica governata da Dio. Questo quadro filosofico è però irreversibilmente trasformato nel De civitate Dei. Qui non emerge più un adattamento cristiano di teorie formulate nella tradizione precedente, ma l’elaborazione di un quadro teorico alternativo a quello dei filosofi pagani91. Cade cioè l’idea cruciale secondo cui il buon governo terreno è immagine del governo cosmico di Dio, tesi che era stata fatta propria non solo dal giovane Agostino, ma da altri autori cristiani, in particolare Eusebio nel De laudibus Constantini. Attraverso un serrato dialogo critico con la tradizione filosofica ellenica, Agostino elabora l’idea secondo cui vi sono due città, quella divina e quella terrena, le quali si mescolano e si intrecciano nelle vicende di questo mondo prima di essere separate dal giudizio finale, e il cui rapporto non è affatto quello che sussiste tra un modello e la sua immagine. La città di Dio e quella terrena sono infatti distinte da due tipi di amore, l’amore di Dio e l’amore di sé fino al disprezzo di Dio. Il loro destino è differente: la prima è diretta al paradiso, la seconda all’inferno. Elemento cruciale di novità rispetto al neoplatonismo politico è che l’appartenenza alla città di Dio non è garantita dall’ascesi ottenuta mediante un percorso intellettuale unito a pratiche teurgiche rivelate dagli dei, ma dalla grazia divina, che è l’unico fondamento in base a cui gli uomini, discendenti di Adamo ed Eva dopo il peccato e dunque massa damnata92, possono essere salvati. Solo la Grazia determina i predestinati rigenerandoli e rendendoli pellegrini di questo mondo. Si tratta di un quadro dottrinale semplicemente incomparabile con il platonismo politico pagano. Il De civitate Dei è un’opera vastissima e complessa: non è certo questa la sede per proporre un resoconto, neppure sommario, dei temi che la percorrono93. È però evidente che la ‘teologia politica’ su cui si costruisce il maturo pensiero di Agostino ha basi del tutto diverse dalla teologia politica neoplatonica. Questo non vuol affatto dire che in Agostino siano assenti elementi propri del pensiero pagano: il De civitate Dei è anzi costruito su una trama complessa di richiami e allusioni alla tradizione più antica (in particolare Varrone, Cicerone, Porfirio). Tuttavia, la nuova concezione elaborata dal vescovo di Ippona segna non solo la trasposizione cristiana di teorie filosofiche pagane, ma il loro scardinamento in nome di una posizione differente.
1 Opere d’insieme: The Cambridge History of Greek and Roman Political Thought, ed. by C. Rowe, M. Schofield, Cambridge 2000; The Philosopher and Society in Late Antiquity. Essays in Honour of Peter Brown, ed. by A. Smith, Swansea 2005; The Cambridge History of Philosophy in Late Antiquity, ed. by L.P. Gerson, 2 voll., Cambridge 2010; Filosofia tardoantica: Storia e problemi, a cura di R. Chiaradonna, Roma 2012. Sul platonismo politico antico, cfr. A. Neschke-Hentschke, Platonisme politique et théorie du droit naturel. Contributions à une archéologie de la culture politique européenne, I, Le platonisme politique dans l’antiquité, Louvain 1995, dove si ridimensiona la portata politica del neoplatonismo. Il dibattito sul neoplatonismo politico ha però ricevuto notevole impulso dal fondamentale lavoro di D.J. O’Meara, Platonopolis. Platonic Political Philosophy in Late Antiquity, Oxford 2003. Un’antologia commentata di fonti relative al pensiero politico tardoantico è inoltre Miroirs du prince de l’Empire romain au IVe siècle, éd. par D.J. O’Meara, J. Schamp, Fribourg 2006. Non sono mancate alcune riserve rispetto alle conclusioni di O’Meara: si veda, ad esempio, la recensione di M. Perkams in Jahrbuch für Antike und Christentum, 50 (2007), pp. 234-237. Di seguito alcuni studi rappresentativi su temi specifici. Sulla biografia di Plotino: Porphyre, La vie de Plotin, éd. par L. Brisson et al., 2 voll., Paris 1982-1992. Su etica e politica in Plotino: J. Dillon, An Ethic for the Late Antique Sage, in The Cambridge Companion to Plotinus, ed. by L.P. Gerson, Cambridge 1996, pp. 315-335; A. Linguiti, Plotino sulla felicità dell’anima non discesa, in Antichi e Moderni nella filosofia di età imperiale, Atti del II Colloquio internazionale (Roma 21-23 settembre 2000), a cura di A. Brancacci, Napoli 2001, pp. 213-236; A. Schniewind, L’éthique du sage chez Plotin. Le paradigme du spoudaios, Paris 2003; G. Catapano, Plotino. Sulle virtù (I 2 [19]), Pisa 2006. Sul neoplatonismo dopo Plotino sono assolutamente fondamentali gli studi di H.D. Saffrey, Recherches sur le néoplatonisme après Plotin, Paris 1990; Id., Le Néoplatonisme après Plotin II, Paris 2000. In generale su Porfirio, cfr. M. Zambon, Porphyre et le Moyen Platonisme, Paris 2002, e L. Brisson et al., Porphyre de Tyr, in Dictionnaire des philosophes antiques, éd. par R. Goulet, V b, Paris 2012, pp. 1289-1468. Sulla dottrina delle virtù nel neoplatonismo: H.D. Saffrey, A.-P. Segonds, Introduction, in Marinus, Proclus ou sur le bonheur, éd. par H.D. Saffrey, A.-P. Segonds, C. Luna, Paris 2001, pp. LXIX-XCVIII; R. Sorabji, The Philosophy of the Commentators, 200-600 AD, I, Psychology (with Ethics and Religion), London 2004, pp. 337-344; L. Brisson, J.-M. Flamand, Sentence 32: Notes, in Porphyre, Sentences, éd. par L. Brisson, II, Paris 2005, pp. 628-642; G. Catapano, Alle origini della dottrina dei gradi di virtù: il trattato 19 di Plotino (Enn., I 2), in Medioevo, 31 (2006), pp. 9-28; A. Linguiti, Etica, in R. Chiaradonna, Filosofia tardoantica: Storia e problemi, cit., pp. 233-252. In generale su Giamblico, cfr. Iamblichi Chalcidensis in Platonis Dialogos Commentariorum Fragmenta, ed. by J.M. Dillon, Leiden 1973; C. Steel, The Changing Self. A Study on the Soul in Later Neoplatonism: Iamblichus, Damascius and Priscianus, Brussel 1978 (trad. it. Il Sé che cambia. L’anima nel tardo Neoplatonismo: Giamblico, Damascio e Prisciano, a cura di L.I. Martone, Bari 2006); D.P. Taormina, Jamblique critique de Plotin et de Porphyre: Quatre études, Paris 1999; Iamblichus and the Foundations of Late Platonism, ed. by E. Afonasin, J.M. Dillon, J. Finamore, Leiden 2012. Su etica e politica nelle Epistole di Giamblico, cfr. Giamblico. I frammenti delle Epistole, ed. by D.P. Taormina, R.M. Piccione, Napoli 2010. Sul dibattito relativo alla teurgia si possono trovare due aggiornate trattazioni sintentiche: R. Sorabji, The Philosophy of the Commentators, 200-600 AD, I, Psychology (with Ethics and Religion), cit., pp. 381-396; S. Knipe, Filosofia, religione, teurgia, in R. Chiaradonna, Filosofia tardoantica, cit., pp. 253-272. Sul confronto tra filosofi pagani e cristianesimo: The Conflict between Paganism and Christianity in the Fourth Century, ed. by A. Momigliano, Oxford 1963 (trad. it. Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel IV secolo, Torino 1968); Pagan Monotheism in Late Antiquity, ed. by P. Athanassiadi, M. Frede, Oxford 1999; P. Athanassiadi, La lutte pour l’orthodoxie dans le platonisme tardif: De Numénius à Damascius, Paris 2006; Porfirio. Filosofia rivelata dagli oracoli, con tutti i frammenti di magia, stregoneria, teosofia e teurgia, a cura di G. Muscolino, Milano 2011; Le traité de Porphyre contre les chrétiens. Un siècle de recherches, nouvelles questions, Actes du Colloque international organisé à l’Université de Paris IV-Sorbonne (Paris 8-9 septembre 2009), éd. par S. Morlet, Paris 2011; E. DePalma Digeser, A Threat to Public Piety: Christians, Platonists, and the Great Persecution, Ithaca (NY) 2012. Su Giuliano, Temistio e il loro contesto filosofico e culturale: G. Dagron, L’empire romain d’Orient au IVe siècle et les traditions politiques de l’hellénisme: le témoignage de Thémistios, Paris 1968; P. Athanassiadi, Julian: An Intellectual Biography, London 1992, J. Bouffartigue, L’empereur Julien et la culture de son temps, Paris 1992; M. Di Branco, La città dei filosofi. Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano, Firenze 2006; I. Tanaseanu-Döbler, Konversion zur Philosophie in der Spatantike: Kaiser Julian und Synesios von Kyrene, Stuttgart 2008; Kaiser Julian ‘Apostata’ und die philosophische Reaktion gegen das Christentum, hrsg. von C. Schäfer, Berlin-New York 2008; A. Marcone, Di Tarda Antichità. Scritti Scelti, Firenze 2008; M.C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, Milano 2011; S. Elm, Sons of Hellenism, Fathers of the Church. Emperor Julian, Gregory of Nazianzus, and the Vision of Rome, Berkeley 2012. Particolare importanza hanno le seguenti traduzioni, corredate di ricchi apparati: Giuliano Imperatore, Alla madre degli dei e altri discorsi, a cura di J. Fontane, C. Prato, A. Marcone, Milano 1987; Temistio, I discorsi, a cura di R. Maisano, Torino 1995; Politics, Philosophy and Empire in the Fourth Century: Themistius’ Select Orations, ed. by P. Heather, D. Moncur, Liverpool 2001. Sulle scuole neoplatoniche di Atene e Alessandria e i loro metodi di insegnamento, cfr. Simplicius, Commentaire sur les Catégories, I, Introduction, première partie (p. 1-9, 3 Kalbfleisch), éd. par I. Hadot, Leiden 1990; J. Mansfeld, Prolegomena: Questions to be Settled before the Study of an Author, or a Text, Leiden 1994. La letteratura su Proclo è molto vasta e una bibliografia completa e aggiornata si può trovare in Proclus: Fifteen Years of Research (1990-2004). An Annotated Bibliography, ed. by P. d’Hoine, C. Helmig, C. Macé et al., in Lustrum, 44 (Göttingen 2002), e in http://hiw.kuleuven.be/dwmc/plato/ proclus/proclusbiblio.html (27 lug. 2012). Sul pensiero politico e il commento alla Repubblica, cfr. Proclus, Commentaire sur la République, éd. par A.-J. Festugière, 3 voll., Paris 1970; M. Abbate, Gli aspetti etico-politici della Repubblica nel commento di Proclo (Dissertazioni VI-VII e XI), in La Repubblica di Platone nella tradizione antica, a cura di M. Vegetti, M. Abbate, Napoli 1999, pp. 207-218; Proclo, Commento alla Repubblica di Platone: Dissertazioni I, III-V, VII-XII, XIV-XV, XVII, a cura di M. Abbate, Milano 2004. La bibliografia su Agostino è eccezionalmente vasta. Un’aggiornata trattazione d’insieme è G. Catapano, Agostino, Roma 2010. Più specificamente sul pensiero politico nel De civitate Dei, cfr. A. Neschke-Hentschke, La cité n’est pas à nous. “Res publica” et “civitas” dans le XIXème livre du De civitate d’Augustin d’Hippone, in La Repubblica di Platone nella tradizione antica, cit., pp. 219-244.
2 Porph., Plot. 3.
3 Porph., Plot. 9; 12.
4 Porph., Plot. 9,5-10.
5 Porph., Plot. 1.
6 Porph., Plot. 8.
7 Porph., Plot. 7,20-21.
8 Porph., Plot. 7,31-34.
9 Plot., II 9,9.
10 Cfr. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, III, Roma-Bari 1966, pp. 455-456 nota 555: L’intuizione del tempo nella storiografia classica; E. DePalma Digeser, A Threat to Public Piety, cit., pp. 84-85.
11 A questo riguardo, sono illuminanti le osservazioni di P. Brown, The Making of Late Antiquity, Cambridge (MA)-London 1978 (trad. it. Genesi della tarda antichità, Torino 2001, pp. 72-108 e passim).
12 M. Zambon, Porfirio e Origene: Uno status quaestionis, in Le traité de Porphyre contre les chrétiens, cit., pp. 107-164, fornisce una dettagliatissima ricostruzione della questione dei ‘due Origene’ presso la scuola di Ammonio.
13 πολιτικαί: cfr. Pl., Phd. 82AB.
14 Plot., I 2,1,1-5.
15 Pl., Tht. 176AB.
16 Cfr. Plot., I 2,2,13-17; I 2,3,1-10.
17 Plot., I 2,3,2.
18 Plot., I 2,4,15-20.
19 Plot., I 2,2,15-20.
20 Plot., I 2,7,10-12; 21-28.
21 Cfr. J. Wilberding, Automatic Action in Plotinus, in Oxford Studies in Ancient Philosophy, 34 (2008), pp. 373-407.
22 Plot., I 5,10,10-12. In VI 9,7,20-28 Plotino, per spiegare l’esperienza dell’unione dell’anima con l’Uno, fa riferimento a Minosse, il leggendario legislatore greco che, dopo essere stato unito in amicizia a Zeus, legifera a immagine di quella unione con dio. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., p. 74, sottolinea con argomenti molto interessanti il significato politico di queste righe, che però non va troppo accentuato: l’analogia, infatti, non è sviluppata ed è veramente difficile ascrivere una specifica azione politica o legislatrice al saggio plotiniano.
23 Su questo, cfr. G. Catapano, Alle origini della dottrina dei gradi di virtù, cit.
24 Plot., IV 8,8; I 1,10 e 12.
25 Le fonti biografiche su Porfirio e Giamblico sono particolarmente controverse e lacunose. Non è neppure dimostrabile con sicurezza che Giamblico abbia frequentato Porfirio essendo suo allievo. Spesso gli interpreti espandono le scarse notizie disponibili fornendo un quadro dei fatti interessante, ma in larga parte ipotetico o addirittura fantasioso. Una discussione sobria e documentata può trovarsi in L. Brisson et al., Porphyre de Tyr, in Dictionnaire, cit., pp. 1291-1298, e in J.M. Dillon, Iamblichi Chalcidensis, cit., pp. 3-18.
26 Un resonto del dibattito tra Porfirio e Giamblico sulla teurgia – restituito particolarmente dalla Lettera ad Anebo di Porfirio (perduta, ma ricostruibile principalmente attraverso Giamblico) e dal De mysteriis di Giamblico – si può trovare in S. Knipe, Filosofia, religione, teurgia, cit., pp. 257-269.
27 Frammenti delle opere religiose in Porphyrius, Fragmenta, hrsg. von A. Smith, Stuttgart-Leipzig 1993, pp. 351-441. È possibile che Porfirio abbia dedicato anche un’opera al culto solare, cfr. ivi, pp. 477-478. Il dibattito sul Contro i cristiani è ancora aperto. Si vedano i contributi raccolti in Le traité de Porphyre contre les chrétiens, cit., e M. Zambon, Contra Christianos, in Porphyre de Tyr, cit., pp. 1419-1447.
28 Il legame con Diocleziano è stato ripetutamente ipotizzato dagli interpreti, in base alla testimonianza di Lattanzio (la cui valutazione è comunque molto difficoltosa); da ultima, E. DePalma Digeser, A Threat to Public Piety, cit. Il legame con Aureliano è invece teorizzato da Porfirio. Filosofia rivelata dagli oracoli, cit.
29 Cfr. G. Karamanolis, Plato and Aristotle in Agreement? Platonists on Aristotle from Antiochus to Porphyry, Oxford 2006, pp. 243-330.
30 Cfr. C. D’Ancona, Les Sentences de Porphyre entre les Ennéades de Plotin et les Éléments de Théologie de Proclus, in Porphyre, Sentences, cit., pp. 139-274, in partic. 228-230 sulla Sentenza 32.
31 Porph., Sent. 32,1-5.
32 Porph., Sent. 32,63-70.
33 Questa interpretazione è stata avanzata da M. Zambon, recensione a Marinus, Proclus ou sur le bonheur, cit., in Adamantius, 10 (2004), pp. 443-446.
34 Porph., Sent. 32,8-10.
35 Porph., Sent. 32,15-20.
36 Cfr. H.D. Saffrey, A.-P. Segonds, Introduction, in Marinus, Proclus ou sur le bonheur, cit., p. LXXXIII, con una tavola sinottica che paragona le liste di Porfirio, Marino, Damascio, Olimpiodoro, Michele Psello. Da ultimo, l’ampia discussione di D.P. Taormina in Giamblico. I frammenti delle Epistole, cit., pp. 244-271.
37 R. Sorabji, The Philosophy of the Commentators, cit., p. 96.
38 Alcuni studi relativi ai temi qui accennati si trovano menzionati supra, nota 1. Sulla concezione dell’anima, si vedano in particolare i frammenti dell’opera perduta di Giamblico, De anima, conservati in Giovanni Stobeo e editi in Iamblichus, De anima, a cura di J.M. Dillon, J. Finamore, Leiden 2002, da consultare con la recensione di C. D’Ancona, À propos du De anima de Jamblique, in Revue des Sciences philosophiques et théologiques, 90 (2006), pp. 617-639, che mette in luce il retroterra polemico dell’opera verso Plotino e Porfirio. Per la critica alla dottrina dell’anima non discesa, cfr. anche Procl., in Ti. 5, III 333,28-334,15 (Diehl) = Iambl. fr. 87 (Dillon). Per quanto riguarda gli Oracoli caldaici e la loro ricezione nel neoplatonismo, si vedano adesso gli studi raccolti in Die Chaldaeischen Orakel: Kontext-Interpretation-Rezeption, hrsg. von H. Seng, M. Tardieu, Heidelberg 2010.
39 Cfr. Anon., Prolegomena in Platonis Philosophiam, 26, pp. 39,16-40,44 ed. Segonds-Westerink.
40 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 62-65.
41 Lo studio di riferimento è Giamblico. I frammenti delle Epistole, cit. Le sezioni di carattere politico sono tradotte anche in Miroirs du prince de l’Empire romain, cit., pp. 11-43.
42 Stob., IV 5,74-75.
43 Stob., I 5,18; II 2,6-7; II 31,122; II 46,16; III 1,17; III 1,49; III 11,35; III 31,9; III 37,32; IV 39,23.
44 Cfr. S. Mazzarino, La data dell’Oratio ad sanctorum coetum, il ius italicum e la fondazione di Costantinopoli: Note sui ‘Discorsi’ di Costantino, in Id., Antico, tardoantico ed età costantiniana, I, Il basso impero, Bari 1974, pp. 99-150, in partic. 116-125; H. Schlange-Schöningen, Kaisertum und Bildungswesen im spätantiken Konstantinopel, Stuttgart 1995, pp. 667-669.
45 Epistola ad Asfalio sulla prudenza: Stob., III 3, 26.
46 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., p. 91.
47 Stob., IV 5,75; IV 5,76.
48 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 97, 148, con ampia lista di paralleli. Come osserva O’Meara, la medesima dottrina teocratica si trova trasposta in ambito cristiano nell’Elogio di Costantino di Eusebio.
49 Cfr. D.J. O’Meara, Pythagoras Revived: Mathematics and Philosophy in Late Antiquity, Oxford 1989.
50 Una trattazione d’insieme si trova in B. Centrone, Platonism and Pythagoreanism in the Early Empire, in The Cambridge History, cit., pp. 559-584.
51 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 87-105.
52 Plot., VI 9,7,20-28.
53 Cfr. supra, nota 22.
54 Stob., IV 5,77.
55 Stob., IV 5,51-60. Una ricca lista di paralleli relativi a questa epistola (lo stoicismo e Cicerone, i trattati pseudo-pitagorici, oltre a Platone e Aristotele) si trova nelle note di D.P. Taormina in Giamblico. I frammenti delle Epistole, cit., pp. 506-508.
56 Traduzione annotata in Miroirs du prince de l’Empire romain, cit., pp. 45-69.
57 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 112-115.
58 Si veda l’introduzione di D.J. O’Meara in Miroirs du prince de l’Empire romain, cit., p. 47.
59 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 56-57, 98.
60 Cfr. R.J. Penella, Greek Philosophers and Sophists in the Fourth Century A.D. Studies in Eunapius of Sardis, Leeds 1990; Eunapio, Vite dei filosofi e dei sofisti, a cura di M. Civiletti, Milano 2007, e gli importanti studi di R. Goulet, Études sur les Vies des philosophes de l’Antiquité tardive, Paris 2001, pp. 303-386; Id., Mais qui était donc le gendre de la sœur de Priscus? Enquête sur les philosophes d’Athènes au IVe siècle après J.-Chr., in Studia Graeco-Arabica, 2 (2012), pp. 33-77. Una discussione di carattere storico si può trovare in M. Di Branco, La città dei filosofi, cit., pp. 29-48.
61 Cfr. G. Fowden, The Pagan Holy Man in Late Antique Society, in Journal of Hellenic Studies, 102 (1982), pp. 33-59.
62 Un’aggiornata discussione d’insieme si trova in M.C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, cit., pp. 23-76. Su Prisco e Giuliano, cfr. R. Goulet, Priscus de Thesprotie, in Dictionnaire des philosophes antiques, V b, cit., pp. 1528-1539.
63 Una trattazione sintetica si trova in I. Kupreeva, Themistius, in The Cambridge History of Philosophy in Late Antiquity, cit., I, pp. 397-416.
64 Si veda lo scritto di Temistio In risposta a Massimo sulla riduzione dei sillogismi di seconda e terza figura a quelli di prima, conservato in arabo e edito (ancorché in modo insoddisfacente) in A. Badawi, La transmission de la philosophie grecque au monde arabe, Paris 19872 (la disputa è ugualmente attestata in Ammon., in APr. 31,15-25). Per un’analisi del contenuto, cfr. J. Barnes, Truth, etc. Six lectures on Ancient Logic, Oxford 2007, pp. 377-382.
65 Cfr. Boeth., in Cat. 162A.
66 Un documento particolarmente importante per ricostruire questi dibattiti è la Lettera 12 di Giuliano a Prisco: cfr. R. Goulet, Priscus de Thesprotie, cit.
67 Cfr. Them., Or. 20,239A-D.
68 Pl., R. 486B.
69 Cfr. Them., Or. 21,253c; Or. 22. Si veda S. Elm, Sons of Hellenism, cit., pp. 96-106.
70 S. Elm, Sons of Hellenism, cit., p. 105.
71 La data di composizione è discussa (355-356 oppure 361, sempre che non si ammetta una redazione in due fasi): cfr. Giuliano Imperatore, Alla madre degli dei e altri discorsi, cit., p. 7.
72 Iul., ad Them. 254B.
73 Iul., ad Them. 264CD.
74 Iul., ad Them. 257D-259B.
75 Iul., ad Them. 263BD.
76 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 92-93, 120-123 (a favore di una specifica connotazione filosofico-politica neoplatonica dello scritto, ispirata dalle Leggi di Platone). Tuttavia il carattere tradizionale delle tesi sulla legge e la regalità difese nell’epistola è sottolineato da A. Marcone in Giuliano Imperatore, Alla madre degli dei e altri discorsi, cit., p. 263. Sul problema del neoplatonismo politico di Giuliano, cfr. M. Perkams, Eine neuplatonische politische Philosophie – gibt es sie bei Kaiser Julian?, in Kaiser Julian ‘Apostata’, cit., pp. 105-125, il quale tende a distanziarsi da O’Meara.
77 Cfr. M.C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, cit., pp. 139-314.
78 Si veda in questo senso S. Elm, Sons of Hellenism, cit., pp. 106-143.
79 Cfr. Iul., Ad Heraclium Cynicum, 227C-234C.
80 Iul., Ad Heraclium Cynicum, 227C-234C.
81 S. Elm, Sons of Hellenism, cit., pp. 118-136.
82 Ad Matrem deorum 162A-165A.
83 S. Elm, Sons of Hellenism, cit., pp. 286-321.
84 Cfr. M.C. De Vita, Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, cit.
85 Cfr. S. Elm, Sons of Hellenism, cit.
86 Cfr. M. Di Branco, La città dei filosofi, cit., pp. 192-197, fornisce un ottimo resoconto dell’ampio dibattito storiografico in merito.
87 Marin., Procl. 36,1-2.
88 Si rinvia ancora un volta a D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 159-197.
89 Procl., in R., Diss. XI. Si segue M. Abbate, Gli aspetti etico-politici della Repubblica, cit., pp. 214-215.
90 Cfr. D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 152-153.
91 Cfr. A. Neschke-Hentschke, La cité n’est pas à nous, cit.; D.J. O’Meara, Platonopolis, cit., pp. 154-158.
92 Aug., civ. XV 1,2.
93 Per un panorama aggiornato, cfr. Augustinus, De civitate Dei, hrsg. von C. Horn, Berlin 1997.