Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo studio dell’economia si caratterizza come una disciplina autonoma nel XVIII secolo ma è solo in quello successivo che vengono individuati i problemi filosofici che la contraddistinguono, grazie in particolar modo a John Stuart Mill. Il Novecento ha dato risposte articolate alla teoria economica, rimanendo nel solco delle analisi effettuate da Mill ma declinando questo genere di problematiche in modi molto differenti fra loro.
La nascita di una disciplina economica autonoma
L’analisi di temi di carattere economico si può far risalire ad Aristotele (384-322 a.C.) e ai filosofi scolastici, ma solo con i fisiocratici e l’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) di Adam Smith (1723-1790), nel Diciottesimo secolo, l’economia acquista una sua identità come oggetto di studio e disciplina. In quegli anni la riflessione filosofica è intimamente intrecciata con quella economica. Costruire una scienza della società, sul modello della fisica newtoniana, che si fonda sulle leggi generali della mente e dell’azione, è l’obiettivo di Smith come di David Hume. Sia Smith che David Ricardo hanno una concezione inclusiva dei moventi economici dell’azione umana. La ricerca individuale di ricchezza e di felicità pervade tutta la vita umana e non è confinata, come avverrà da Mill in poi, solo ai comportamenti della sfera economica.
Solo con il lavoro di John Stuart Mill assistiamo a una chiara individuazione dei problemi filosofici che caratterizzano la nascente disciplina economica. Essi si possono suddividere nelle loro linee principali in tre componenti: il metodo, cioè la definizione di come generare e giustificare le ipotesi in campo economico; la razionalità, cioè come si caratterizzano i principi alla base dell’azione; il benessere, cioè cosa è giusto perseguire per l’individuo e per la società.
Questioni di metodo
La discussione sul metodo e in particolare il ruolo delle osservazioni empiriche nella scoperta e controllo delle teorie economiche, deve il maggiore contributo a John Stuart Mill. Per il padre del metodo induttivo la complessità dei fenomeni economici e la presenza di molte cause congiunte non permettono l’applicazione dei metodi a posteriori tipici delle scienze della natura, basati sulla generalizzazione delle cause a partire dall’osservazione degli effetti empirici. Mill propone invece un metodo a priori che capovolge il rapporto fra cause ed effetti. Innanzitutto si devono identificare le singole cause dei fenomeni economici. Ciò può avvenire attraverso l’ introspezione per i principi fondamentali, come il desiderio di ricchezza, di soddisfare i piaceri presenti e l’avversione al lavoro. Dalle leggi causali si deducono gli effetti economici che poi vengono confrontati con la realtà empirica. Se gli effetti non si accordano con i fenomeni ciò non mette in discussione i principi causali primi, ritenuti veri, ma solo la nostra esattezza nell’avere tenuto in considerazione tutti i fattori. La posizione di Mill è stata criticata da fronti opposti. C’è chi, da posizioni realiste, gli ha imputato una scarsa apertura al ruolo della ricerca empirica sia nella individuazione della teoria che nella sua falsificazione. All’opposto c’è chi, da posizioni strumentaliste, ha contestato la sua preoccupazione sulla natura causale e realistica dei principi esplicativi.
Alla prima corrente appartiene Terence Hutchinson che contesta la natura infalsificabile dei principi teorici introdotti per via introspettiva. Al contrario se si vuole mantenere la natura empirica della teoria economica anche questi principi devono venire sottoposti al controllo osservativo, ad esempio utilizzando metodologie di ricerca di tipo psicologico. Recentemente l’utilizzo di esperimenti in campo economico sembra proprio andare in questa direzione. Inoltre anche la natura vaga delle cause di disturbo permette alla teoria di essere sempre salvata di fronte a qualsiasi anomalia empirica. Secondo Daniel Hausman, invece, la clausola ceteris paribus dovrebbe specificare chiaramente quali sono i fattori di disturbo rilevanti che devono essere chiamati a giustificare eventuali controesempi empirici. A questa corrente appartengono quei metodologi dell’economia che si rifanno all’insegnamento di Karl Popper (1902-1994) e di Imre Lakatos (1922-1974). La loro preoccupazione è che gli economisti facciano finta di essere falsificazionisti, ma in realtà non si preoccupino mai di definire una base empirica con cui controllare la teoria o differenti teorie in competizione. Inoltre da parte di molti esponenti di questa corrente vi è la preoccupazione filosofica di costruire teorie che corrispondano alla realtà dei meccanismi causali responsabili dei fenomeni economici. A riguardo si pensi alla recente svolta cognitiva e neuroeconomica che è motivata proprio dal fine epistemologico di scoprire il funzionamento mentale e neuronale dei processi di ragionamento e decisione economica.
La seconda corrente, di tipo strumentalista, parte da una serie di premesse epistemologiche. Se è vero, come sostiene la tesi di Duhem-Quine, che le teorie non sono falsificabili perché non è definita a quale parte delle stesse – ipotesi, leggi, principi, equazioni ecc. – o delle ipotesi ausiliarie – ipotesi sul funzionamento degli strumenti, sulla raccolta dei dati, sulla specificazione dei parametri ecc. – è rivolta l’anomalia, e se le teorie sono sottodeterminate dai dati empirici – cioè infinite teorie possono spiegare i dati stessi –, allora non ha senso avere preoccupazioni realiste nei confronti delle assunzioni delle teorie. Come sostiene Milton Friedman i modelli economici devono essere solo strumenti di predizione. Le buone teorie economiche (come il buon giocatore di biliardo) sono quelle che generano previsioni corrette sui prezzi e le quantità (fanno tiri corretti), come se fossero vere (come se il giocatore conoscesse le complesse formule fisico-matematiche che indicano il percorso ottimale della biglia). Non importa come sono stati introdotti gli assunti teorici, se a livello ipotetico, introspettivo o induttivo, e se essi corrispondano o meno alla realtà, purché essi funzionino da scatola nera predittiva (non risulta chiaro, però, cosa fare della scatola nera quando genera in modo sistematico previsioni scorrette). Lo strumentalismo sembra ispirare buona parte dell’attività teorica della economia neoclassica. L’obiettivo è la costruzione di modelli che rappresentino un mondo economico semplificato, quindi non reale, e che per la loro maneggevolezza matematica e cognitiva ci consentano di elaborare previsioni sui fenomeni economici. La negazione della natura empirica e realista del metodo in campo economico raggiunge il suo apice con l’approccio retorico di Deidre McCloskey. Non esiste più alcun criterio metodologico per valutare le teorie, ma ciò che conta è solo la capacità retorica di persuasione.
La razionalità
Nella tradizione filosofica si possono riscontrare due principali correnti relativamente alla razionalità. Nella prima, la ragione è la forza che libera dai pregiudizi, che permette di distinguere il vero dal falso, che differenzia l’uomo dall’animale. Essa mantiene, come in Aristotele, il doppio carattere descrittivo dei procedimenti propri della ragione e normativo, nel senso della regola per il retto uso di essa. Come sostiene Cartesio, gli uomini hanno disparità di opinioni solo in quanto applicano la ragione in maniera diversa. A questa visione olimpica e universale si contrappone la seconda posizione che è espressa dal neoplatonismo, San Tommaso (1224-1274), la scolastica medievale, Francesco Bacone (1561-1626) e in grande parte Kant. L’intelletto è da considerare superiore alla ragione perché dotato di quel carattere intuitivo e immediato che gli permette di comprendere direttamente la realtà empirica. La razionalità che viene posta alla base della teoria della scelta in economia nel XIX secolo fino alla odierna economia neoclassica, appartiene alla prima corrente. Essa è olimpica, universale e ha il doppio carattere normativo e descrittivo. La teoria è normativa in quanto definisce quale tipo di scelta deve essere compiuta in base a determinate preferenze e credenze razionali. Le preferenze sono razionali se sono complete e transitive. Le credenze sono razionali se soddisfano gli assiomi del calcolo della probabilità. Le scelte sono razionali se massimizzano l’utilità. È quindi irrazionale scegliere una certa alternativa fra varie opzioni se un’altra massimizza l’utilità. La teoria è descrittiva perché afferma che nella realtà un agente economico non sceglierà mai un’alternativa fra varie possibili se ne ha a disposizione una seconda che massimizza l’utilità. Questa teoria della scelta razionale trova la sua origine nella definizione milliana dell’ homo oeconomicus come sfera di azione dell’uomo separata e limitata ai contesti economici secondo i principio del massimo perseguimento del benessere. A partire da questa premessa, comune anche ad altri autori come Nassau , l’economia classica e neoclassica hanno sviluppato a livello formale i principi razionali di scelta alla base del modello di agente economico. Ciò ha portato a trasformare quelle che erano al tempo di Mill solo regole e precetti comportamentali vaghi in veri e propri modelli formali come quelli costituiti dalle equazioni della teoria della decisione bayesiana.
La teoria della razionalità è stata sottoposta a vari tipi di critiche. La prima riguarda il carattere normativo e a priori della razionalità. Secondo le teorie internaliste della razionalità la sorgente normativa della ragione deve venire dalle capacità intuitive e cognitive dell’uomo. Questa critica alla parte normativa si collega facilmente a quella sulla componente descrittiva della razionalità. Come già Hutchinson aveva messo in luce nel 1938, la natura empirica dell’economia non può riguardare solo la cintura di ipotesi ausiliarie (come quelle sulla tipologia di beni, sulla funzione dei costi, sulle istituzioni economiche ecc.) che contorna il principio di massimizzazione. Anche gli assunti fondamentali della razionalità devono avere portata empirica. Il concetto di razionalità limitata di Herbert Simon parte proprio da questa finalità descrittiva. L’attore economico di fronte alla complessità dell’ambiente e in possesso di capacità cognitive limitate non è in grado di fare complicati calcoli di massimizzazione dell’utilità, ma si accontenta di fare scelte soddisfacenti (satisficing). La critica empirica alla teoria della razionalità ottimizzante presente nell’economia neoclassica assume in questi anni vari aspetti, che negli ultimi tempi sembrano convergenti. L’economia sperimentale, a partire da Vernon Smith, si è concentrata su una serie di test sperimentali sui comportamenti e le istituzioni del mercato e dell’impresa. L’economia comportamentale e l’economia cognitiva a partire dal lavoro di Simon fino a quello di Daniel Kahnemane Amos Tversky (1937-1996) e di Gerd Gigerenzer ha analizzato i processi di ragionamento e giudizio economico evidenziando gli errori sistematici e le euristiche utilizzate per ragionare e decidere. Recentemente un’enfasi particolare è stata messa anche sugli aspetti di tipo emozionale e intuitivo rilevanti nell’indirizzare i processi di decisione. La neuroeconomia da ultimo, sta utilizzando le tecnologie di rilevazione del funzionamento del cervello (come la risonanza magnetica funzionale) per verificare le ipotesi cognitive e per identificare configurazioni stabili di attivazione neuronale in rapporto alle varie tipologie di decisione economica. È evidente da quanto appena illustrato come le nuove correnti della ricerca economica abbiano sposato gli obiettivi del realismo epistemologico e come sia presente il tentativo riduzionista di spiegare l’azione economica attraverso i meccanismi causali neuropsicologici della mente umana.
Il benessere
L’economia a partire dall’opera di Adam Smith ha posto il perseguimento del benessere individuale come assunzione fondamentale della sua teoria dell’azione. Da questo punto di vista la componente descrittiva della teoria dell’azione dell’economia contemporanea è stata accusata di conformarsi a un’etica dell’egoismo. Solo l’utilità individuale, sostanziata da una maggiore ricchezza in beni materiali, sembra caratterizzare la scelta dell’attore economico. In realtà questa critica viene estesa, a torto, anche alla componente normativa della teoria della razionalità. Ciò non sembra corretto in quanto la parte normativa della razionalità è puramente formale, non asserisce nulla sul contenuto delle preferenze e della scelta, ma ne specifica solo la struttura logica. Infatti l’egoismo o l’altruismo di una scelta dipendono solo dal contenuto delle preferenze. Come sostiene Amartya Sen esse possono essere rivolte ad aumentare il proprio benessere economico o al contrario possono anche essere indirizzate a promuovere quello degli altri. Uno può perseguire una massimizzazione dell’utilità individuale nel sacrificarsi per gli altri invece che nel pensare solo a se stesso. A differenza della concezione neoclassica che vede l’individuo spinto solo da interessi egoistici, l’economia sperimentale ha messo in luce come a muovere l’agente economico siano anche disposizioni rivolte verso le condizioni sociali ed economiche degli altri. La ricerca dell’ottimo nell’interazione strategica fra più individui non può più avvenire con la premessa che gli attori in gioco abbiano la stessa struttura motivazionale di autointeresse, cioè orientata a massimizzare il proprio guadagno. Al contrario si deve tenere conto di una eterogeneità motivazionale caratterizzata anche da altruismo, equità, solidarietà, reciprocità o da sentimenti opposti negativi, ma in ogni caso orientati verso gli altri. Dal concetto di homo oeconomicus si sta passando a quello di homo reciprocans. Da questo punto di vista cambia anche la caratterizzazione ontologica dei beni economici obiettivo delle scelte individuali come di quelle collettive. Essi non sono solo più quelli materiali, come la finanza o gli immobili. O quelli immateriali come l’informazione e la conoscenza. Anche i beni relazionali, rappresentati dalla felicità nel relazionarsi con gli altri, dalla soddisfazione di sentirsi amato e di contraccambiare le attenzioni e gli aiuti altrui, diventano l’obiettivo dell’analisi economica.