valori, filosofia dei
Indirizzo di pensiero che ha avuto particolare importanza nella prima metà del Novecento e alla cui nascita e diffusione contribuirono: la reazione al materialismo positivistico che aveva portato al discredito di qualsiasi realtà etico-religiosa e alla sua riduzione a fattori puramente biologici e sociali; il rifiuto di richiamarsi a una ragione assoluta come avveniva nel neohegelismo; l’esigenza di rispondere all’annuncio nietzschiano del trionfo del nichilismo e della svalutazione di tutti i valori tradizionali. La filosofia dei v. in senso proprio va quindi distinta da una più generale concezione del v. in senso metafisico e religioso, di cui si usa ritrovare la presenza già nella filosofia platonica e aristotelica e nel pensiero cristiano; essa costituisce piuttosto un tentativo di riaffermare la validità di principi etici, politici, religiosi, estetici, ecc, anche indipendentemente dalla metafisica o, meglio, nonostante il rifiuto di ogni metafisica. Non è quindi un caso che si faccia risalire la filosofia dei v. proprio a Kant, che nella «dignità» morale dell’uomo ravvisava il valore assoluto, distinto da ogni valore relativo delle cose in quanto sono subordinate a un qualsiasi altro fine che non sia quello morale. Tuttavia è soprattutto con l’opera di Lotze che, nell’Ottocento, si viene elaborando e diffondendo, anche sul piano terminologico, la concezione di un «regno dei valori» quali principi dotati di una validità propria, per quanto distinti e diversi dalla realtà nel senso comune del termine. Proprio l’esigenza di chiarire quale sia la garanzia, il fondamento di tale validità porta però la filosofia dei v. ad articolarsi in diverse tendenze, tra cui si distinguono usualmente quella psicologistica, quella neokantiana e quella fenomenologica. La prima (specialmente con Meinong e Chr. Ehrenfels) pone l’accento sul rapporto tra i valori e il desiderio e l’apprezzamento o, quanto meno, sulla loro desiderabilità, mentre la seconda (con Windelband e Rickert) intende preservare i valori da ogni possibile riduzione al piano emotivo e psicologico e riportarli invece a un a priori rigorosamente critico, dove la critica, però, a differenza di quella kantiana, vuole estendersi al mondo storico, del cui sviluppo appunto i valori sono principi e norma; in questo senso la filosofia dei v., soprattutto con Troeltsch, ha avuto notevole importanza all’interno dello storicismo. La tendenza fenomenologica porta poi a escludere qualsiasi fondazione o riduzione psicologistica dei valori, ma, al tempo stesso, a contestare che siano qualcosa di puramente formale. Tipica in questo senso la polemica di Scheler contro il formalismo dell’etica kantiana; secondo Scheler, Kant, per evitare ogni rischio di subordinazione dell’uomo a impulsi puramente sensibili e a posteriori, ha ridotto la morale a qualcosa di puramente formale, astratto, senza avvertirne tutta la ricchezza di contenuti, che non sono affatto empirici, ma tuttavia oggettivi, proprio in quanto valori. Si apre così la via, secondo Scheler, a un’analisi e classificazione di diversi livelli di valori, che vanno da quelli propri della sensibilità a quelli della convivenza sociale, per salire poi a quelli spirituali e, infine, a quelli religiosi. Anche per Hartmann il metodo fenomenologico è essenziale per cogliere il carattere di essere in sé dei valori, che costituiscono una sorta di vero e proprio mondo intelligibile o ideale indipendente dal fatto che li realizziamo o meno e dal variare delle nostre valutazioni, pur insistendo sul fatto che essi vanno considerati da un punto di vista rigorosamente critico che non consente di andare oltre l’uomo quale unica coscienza morale conoscibile nell’Universo. La filosofia dei v. ha avuto poi notevoli sviluppi anche in Francia in quella corrente che si è formata tra le due guerre e che è nota come «philosophie de l’esprit», e in partic. con Lavelle e Le Senne, con una polemica a sfondo esistenziale contro le concezioni puramente fenomenologiche dei valori, accusate di cadere in una prospettiva puramente contemplativa, oggettivante, classificatoria. Con Heidegger, infine, si è avuta una critica estremamente recisa contro ogni forma di filosofia dei v.: riprendendo il tema nietzschiano del tramonto e della svalutazione dei valori, Heidegger lo radicalizza e lo rivolge contro Nietzsche stesso, accusato di essere ancora prigioniero della metafisica proprio perché auspicava nuove «tavole di valori». In realtà, proprio attraverso la scoperta nietzschiana del carattere nichilistico della metafisica e delle sue categorie quali frutto della volontà di potenza, si è reso ormai chiaro che tali categorie sono valori nel senso matematico del termine, ossia quali strumenti di calcolo per dominare le cose a opera della tecnica, che è la realizzazione compiuta della metafisica e della scienza.