CINEMATOGRAFICA, FILOLOGIA.
– Conservazione e restauro del film. Il restauro del film. Bibliografia. Filologia del cinema e rassegne dedicate. Il cinema ritrovato. Le giornate del cinema muto.
Conservazione e restauro del film di Claudia Gianetto. – Considerato ormai da oltre trent’anni come un bene culturale a pieno titolo, il patrimonio cinematografico continua a porre interrogativi legati alla sua stessa sopravvivenza con nuovi e urgenti quesiti posti dalla ‘rivoluzione’ digitale in corso.
L’affermarsi della tecnica video e, negli ultimi quindici anni, della tecnologia informatica hanno trasformato le politiche degli organismi che conservano immagini e suoni (Fossati 2009). L’attuale diversificazione degli archivi risponde anche alla differente natura fisica dei materiali conservati che dà origine a nuove problematiche. L’apparente immaterialità del file digitale rischia di spostare l’attenzione degli operatori dal trattamento di un bene fisico (pellicola, nastro magnetico, disco) a quello di un intero sistema percepito come immateriale e in grado di rendere trasferibili i propri contenuti con estrema facilità (R. Salvadori, Gli archivi del cinema e dell’audiovisivo, introduzione a L’audiovisivo. Conservazione, valorizzazione, a cura di A. Di Brino, 2007).
La rivoluzione digitale prospetta una nuova epoca di distruzione del cinema tradizionalmente inteso, escluso quasi totalmente sia dal settore produttivo sia da quello distributivo. Con importanti eccezioni: alcune grandi produzioni tornano a scegliere la pellicola (per es., La grande bellezza o Interstellar) mentre molte delle cineteche aderenti alla FIAF (Fédération Internationale des Archives du Film) nelle loro sale e alcuni festival specializzati di rilievo internazionale, come Le Giornate del cinema muto di Pordenone e Il cinema ritrovato di Bologna, s’impegnano a garantire accanto alla proiezione in DCP (Digital Cinema Package) anche quella in 35 mm (v. oltre Filologia del cinema e rassegne dedicate).
La filosofia e la pratica cinetecaria andranno comunque ripuntualizzate sulla base di un assunto fondamentale: «Al momento attuale, il dispositivo più adatto alla conservazione prolungata delle immagini in movimento di qualsiasi tipo (comprese le immagini elettroniche e digitali) è un oggetto risultante dall’applicazione delle tecniche fotografiche» (Cherchi Usai, in Storia del cinema mondiale, 2001, p. 1030).
Accanto alle nuove opere digitali, gli archivi dei film nell’immediato futuro dovranno per quanto possibile continuare a conservare le migliaia di copie in pellicola sopravvissute e predisporsi ad accogliere l’ultima grande ‘dismissione’ del circuito commerciale: il cinema realizzato in pellicola poliestere (FIAF technical Commission, Preservation best practice, «Journal of film preservation», 2010, 83, pp. 34-36). Un’eredità per alcuni aspetti meno impegnativa delle precedenti (il nitrato infiammabile fino agli anni Cinquanta, l’acetato safety fino alla metà degli anni Novanta), trattandosi di film su supporto fotochimico ininfiammabile che ha unito all’alta qualità fotografica e meccanica anche una grande stabilità chimica con previsioni di buona conservazione oltre i cento anni, a parte danni da usura e macero, evitabili o contenibili entrambi (cfr. http://motion.kodak.com/motion/Products/Format_ Choices/index.htm).
Se uno dei vantaggi del digitale è l’assenza di perdita di informazioni e di qualità nel trasferimento dei dati, questi necessitano però di un apparato tecnologico che ne consenta la creazione, la gestione, la lettura, la proiezione e lo stoccaggio. I supporti attualmente adottati per il salvataggio di film in alta risoluzione digitale sono i nastri LTO (Linear Tape-Open), utilizzati anche per lo stoccaggio delle scansioni di film nati in epoca analogica. Un supporto che può contenere grandi quantità di informazioni, ma soggetto a smagnetizzazione e gestibile solo con sofisticate apparecchiature.
Le enormi potenzialità offerte dalla tecnologia digitale si accompagnano quindi a limiti oggettivi legati alla fragilità dei nuovi supporti, al loro veloce invecchiamento e ai costi ancora alti di trasferimento e gestione se proiettati sui grandi numeri delle collezioni di film conservati attualmente negli archivi e che saranno realizzati in futuro. Il dibattito sul ruolo delle cineteche nell’era del digitale è stato non a caso uno dei temi prioritari del Congresso annuale della FIAF tenutosi in Australia nell’aprile 2015 (http://www.fiafcongress2015.com.au/program/?IntCatld=27).
La diminuzione delle risorse economiche costringe le istituzioni cinetecarie alla prudenza nelle politiche di conversione digitale del patrimonio cinematografico proprio in ragione delle esigue garanzie di gestibilità a medio e lungo termine. Una cautela che sempre più dovrà accompagnarsi alla responsabilità di applicare criteri di selezione.
Se la tecnologia non è ancora in grado di rispondere ad alcuni requisiti in tema di conservazione è per contro evidente la sua utilità nelle pratiche di catalogazione, consultazione, valorizzazione e di restauro del patrimonio cinematografico. Ed è interessante come nel restauro di opere cinematografiche si stia concretizzando un processo di simbiosi tra analogico e digitale (Farinelli, Pozzi 2009).
Il restauro del film. – L’intervento di restauro del film, nel pieno rispetto della conservazione dell’opera, deve rispondere ad alcuni requisiti fondamentali e dunque prevedere: a) un lavoro organico sull’opera intesa come materia e come testo; b) la ricerca internazionale di tutti gli elementi filmici ed extrafilmici disponibili; c) il rispetto dell’autenticità e in particolare della storicità di ogni versione dell’opera; d) l’utilizzo di una tecnica adatta ad avere un duplicato di qualità il più possibile vicino al materiale d’epoca; e) la documentazione e la reversibilità dell’intervento stesso (Boarini, Opela 2010, pp. 37-39).
A realizzare il progetto di restauro di un film concorrono con sempre maggiore frequenza più istituzioni e più figure professionali grazie anche al dialogo che si è instaurato tra archivi dei film, laboratori e università. Questa fase, tuttora in corso, è segnata dalla nascita della riflessione teorica e metodologica sul restauro che, a partire da una distinzione tra differenti gradi d’intervento sui film – dal restauro archeologico a quello interpretativo – affronta la definizione del concetto di originale o autentico e definisce un corretto utilizzo delle fonti (Canosa, in Storia del cinema mondiale, 2001).
Nell’ultimo decennio negli interventi dedicati sia al cinema delle origini sia a quello sonoro (le opere di Friedrich Wilhelm Murnau, Charlie Chaplin, Giovanni Pastrone, John Ford, Alfred Hitchcock, Jean Renoir, Luchino Visconti, Robert Bresson, Roberto Rossellini, Elio Petri, Francesco Rosi ecc.) la pratica del restauro ha cercato un equilibrio tra tecnologia analogica e digitale in cui la seconda non sostituisca la prima, ma la integri (Farinelli, Pozzi 2009). Grazie soprattutto a questa attività di recupero del patrimonio cinematografico mondiale, sostenuta ora anche da nuovi organismi a essa interamente dedicati come la Film Foundation di Martin Scorsese, l’interesse per il restauro del cinema muto è ormai condiviso non solo dagli specialisti e dagli studiosi, ma anche da un pubblico sempre più vasto, come conferma lo straordinario successo della nuova versione di Metropolis (1927), di Fritz Lang, restaurata nel 2010.
Il recente caso di ricostruzione di Maciste alpino (1916), di Giovanni Pastrone, restauro realizzato dalla Biennale di Venezia con la collaborazione del Museo nazionale del cinema di Torino e il laboratorio L’immagine ritrovata di Bologna nel 2014, inserito in questo contesto di ricerca teorica e metodologica può essere un concreto terreno di bilancio e riflessione.
Maciste alpino è uno dei titoli più popolari del cinema muto italiano e il progetto di ricostruzione si è potuto avvalere, da un lato, della ricca documentazione d’epoca conservata negli archivi del Museo e, dall’altro, delle potenzialità offerte dalla tecnologia altamente specializzata sia nel trattamento delle pellicole delle origini sia nell’utilizzo del digitale nel campo del restauro cinematografico (Farinelli, Pozzi 2009).
L’analisi delle fonti d’archivio – in particolare i documenti di produzione della Itala Film, i fogli di montaggio, le didascalie su lastra fotografica, i visti di censura e la fitta corrispondenza (Tracce. Documenti del cinema muto torinese nelle collezioni del Museo nazionale del cinema, a cura di C. Ceresa, D. Pesenti Campagnoni, 2007) – ha permesso di verificare l’ordine di montaggio della copia, di ripristinare le didascalie italiane e inglesi preparate per la prima distribuzione negli anni Dieci e di ripresentare finalmente il film con la colorazione con cui l’opera conquistò le platee di tutto il mondo all’epoca della sua uscita.
La reperibilità delle copie sopravvissute ha reso possibile una comparazione dettagliata delle fonti filmiche e soprattutto l’individuazione tra gli elementi più antichi delle ‘matrici’ per realizzare il complesso intervento di ricostruzione: frammenti del negativo camera originale in nitrato e un positivo nitrato colorato, entrambi conservati dal Museo. A questi materiali si sono aggiunti un nitrato lacunoso conservato dalla Fondazione cineteca italiana di Milano e un frammento nitrato conservato dal British film institute di Londra. Tutti gli elementi in nitrato sono stati riparati e scansionati a una risoluzione di 4k e poi trattati digitalmente con differenti software nelle fasi di digital restoration, color correction e filmrecording.
Le didascalie originali sono state ricostruite sulla base dei documenti d’epoca e dei cartigli utilizzati dalla casa di produzione Itala nei film coevi. Le colorazioni originali sono state riprodotte a partire da una delle copie in nitrato con colorazioni d’epoca (imbibizione e viraggio), dagli appunti vergati sul negativo e dal ‘foglio di montaggio e tintura’ conservato a Torino.
Il restauro ha permesso il reintegro di numerose inquadrature la cui presenza nelle copie d’epoca è stata confermata dai documenti di produzione e che hanno reso decisamente più chiari alcuni passaggi narrativi. Con l’emendamento di queste lacune, in parte dovute agli interventi della censura avvenuti dopo la prima proiezione pubblica del film, la copia restaurata ha raggiunto il metraggio quasi completo di 1934 m (95 min a 18 ft/s) rispetto i 2084 m accertati dal nulla osta del 21 novembre 1916.
Il restauro di Maciste alpino, considerato il miglior film italiano di propaganda bellica realizzato nel corso della Prima guerra mondiale, ha permesso la generazione sia di nuovi materiali per la conservazione con il ritorno su pellicola negativa 35 mm poliestere e i nastri LTO delle scansioni, sia di copie per la proiezione in sala su supporto DCP a risoluzione 4k e su supporto pellicola 35 mm.
Bibliografia: C. Brandi, Teoria del restauro, Roma 1963, Torino 19774; R. Borde, Les cinémathèques, Lausanne 1983; P. Read, M.P. Meyer, Restoration of motion picture film, Oxford 2000; Storia del cinema mondiale, 5° vol., Teorie, strumenti, memorie, a cura di G.P. Brunetta, Torino 2001 (in partic. P. Cherchi Usai, La cineteca di Babele, pp. 965-1067; M. Canosa, Per una teoria del restauro cinematografico, pp. 1069-1118; G.L. Farinelli, N. Mazzanti, Il restauro: metodo e tecnica, pp. 1119-74); Il restauro cinematografico. Principi, teorie, metodi, a cura di S. Venturini, Pasian di Prato 2006, 20072; G.L. Farinelli, D. Pozzi, Il restauro cinematografico, in XXI Secolo - Comunicare e rappresentare, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2009, pp.533-41 (anche on-line: http://www.treccani.it/enciclopedia/il-re-stauro-cinematografico_(XXI-Secolo)/); G. Fossati, From grain to pixel. The archival life of film in transition, Amsterdam 2009;
V. Boarini, V. Opela, Charter of film restoration, «Journal of film preservation», 2010, 83, pp. 37-39, http://www.fiafnet.org/uk/publi cations/fep_journal.html; S. Dagna, Perché restaurare i film?, Pisa 2014; C. Gianetto, La pratica del restauro. Un caso di ricostruzione, in Introduzione al cinema muto italiano, a cura di S. Alovisio, G. Carluccio, Torino 2014, pp. 359-89.
Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 27 maggio 2015.
Filologia del cinema e rassegne dedicate di Marco Pistoia. – La costante e progressiva attività di due importanti rassegne, di valore e notorietà internazionale, quali Le giornate del cinema muto a Pordenone (diretta da David Robinson) e Il cinema ritrovato a Bologna (diretta per anni da Peter Von Bagh e oggi da Guy Borlée), hanno sempre più costituito, per gli studiosi italiani e stranieri, un fondamentale motore per un’attenzione filologica verso lo studio del cinema muto e di vari periodi di quello sonoro.
A queste si aggiungano le attività permanenti (da qualche anno svolte anche dalla Cineteca di Bologna) di altre importanti istituzioni, quali il Museo nazionale del cinema di Torino, la Cineteca nazionale di Roma, la Cineteca italiana di Milano. E se Torino da alcuni anni ha trovato una nuova e più ampia collocazione sia per il Museo, presso la Mole Antonelliana, sia per la sua Biblioteca, intestata al critico Mario Gromo, anche la Cineteca di Milano si è recentemente ristrutturata andando a occupare i vasti ambienti dell’ex Manifattura Tabacchi alla Bicocca.
Il cinema ritrovato. – Con l’acquisizione dell’enorme patrimonio (anche di documenti cartacei) lasciato da Charlie Chaplin, la Cineteca di Bologna – da alcuni anni attiva anche con una collana di studi nonché con edizioni critiche e restaurate di film in DVD – ha presentato, attraverso varie edizioni, le copie dei film di Chaplin suddivise per i periodi e le case di produzione della sua attività nel muto e nel sonoro. Qualcosa di analogo è stato poi fatto attraverso l’acquisizione di altri fondi, in particolare il Fondo Pier Paolo Pasolini e il Fondo Alessandro Blasetti, quest’ultimo finora meno noto, ma ricco di assai interessanti e cospicui documenti. Dedicandosi sia al cinema muto sia al cinema sonoro, Il cinema ritrovato – giunto quest’anno all’edizione numero 29 – ha continuato a presentare, nella settimana nella quale annualmente si svolge, una serie molto ricca di opere, generalmente suddivise in temi monografici: personali di registi quali John Ford, Howard Hawks, William Wellman, Raoul Walsh, Joseph Von Sternberg, Boris Barnet, Michael Curtiz, Jean Grémillon, Sacha Guitry, Allan Dwan, dei quali si sono proposti anche i primi film muti, Luigi Zampa, Raffaello Matarazzo, Riccardo Freda, Emilio Ghione, temi e periodi di storia del cinema quali il cinema giapponese muto e sonoro, il musical e Stanley Donen, il Cinemascope in declinazione americana ed europea, i personaggi femminili protagonisti dei film muti d’avventura, il cinema documentario ‘invisibile’, la nouvelle vague polacca, i classici indiani degli anni Cinquanta. Dagli inizi degli anni Duemila, a ogni edizione si celebra, con ampia messe di esempi, il cinema dei cento anni precedenti all’anno di riferimento, mentre dal 2015 partirà un altro grande progetto – anche di restauro – che riguarderà l’opera omnia di Buster Keaton (il Progetto Keaton, in collaborazione con Cohen Film Collection). L’edizione 2015 (prevista dal 27 giugno al 4 luglio) rivolgerà inoltre un ampio omaggio a Renato Castellani (sulla falsariga della riscoperta e rivalutazione di alcuni registi italiani, vedi Zampa), effettuerà un focus sugli esordi di Ingrid Bergman e una personale di Leo McCarey.
Le giornate del cinema muto. – A loro volta Le giornate del cinema muto, giunte nel 2015 (3-10 ottobre) alla trentaquattresima edizione e che da sempre hanno rivolto esclusiva, ma imprescindibile attenzione al cinema muto, segnalandosi come la rassegna di riferimento internazionale, hanno strutturato le loro annuali edizioni (che si svolgono mediamente nell’arco di otto giorni) sia con ‘personali’ sia con temi specifici come quello legato alla revisione del canone filmico (Il canone rivisitato), particolarmente stimolante e in grado di suscitare una rinnovata riflessione storico-critica. Punto fondamentale delle ‘personali’ è stato il cosiddetto Griffith Project, conclusosi nel 2008 e rivolto a curare e presentare l’opera omnia, a partire dagli oltre 400 cortometraggi, del primo grande maestro della storia del cinema. Negli ultimi anni si sono susseguite importanti sezioni dedicate a Džiga Vertov, alla filmografia muta di Anthony Asquith e altri registi inglesi, tra cui la coppia dicineasti delle origini Sagar Mitchell e James Kenyon. È inoltre stata riproposta all’attenzione internazionale un’altra significativa coppia di registi, Merian C. Cooper ed Ernest Schoedsack, oppure un grande interprete quale Ivan Mozžuchin (Mosjoukine), ma anche Lucio D’Ambra e la Collezione Desmet, il cinema afro-americano con particolare riguardo per Oscar Micheaux, le trasposizioni mute da Charles Dickens.
Le proiezioni di film muti, sia a Pordenone sia a Bologna, hanno sempre più incentivato l’attività di pianisti e talora di intere orchestre per l’accompagnamento dal vivo delle opere, di corto, medio e lungometraggio: alle orchestre si è assegnato il compito di eseguire partiture per lungometraggi – in prevalenza scritte appositamente per l’occasione – nelle serate iniziali e finali delle rispettive rassegne, ai pianisti, nonché compositori e talora anche direttori d’orchestra (da Timothy Brock a Neil Brand ad Antonio Coppola, da Donald Sosin a Maud Nelissen, da Günther Buchwald a Daniele Furlati) l’accompagnamento dei corti o mediometraggi e l’ideazione di una partitura originale per i lungometraggi.
Significativa è anche l’attività editoriale promossa da queste due cineteche e alimentata, presso la comunità scientifica, non solo grazie alle rispettive rassegne, ma anche ai rispettivi archivi di film: fra le pubblicazioni bolognesi si ricordano almeno la monografia di Christopher Frayling su Sergio Leone (C’era una volta in Italia. Il cinema di Sergio Leone, 2014), il romanzo di Chaplin all’origine di Limelight (Footlights, 2014, con un’analisi di David Robinson, Il mondo di Limelight), lo studio di Gian Piero Brunetta sui progetti non realizzati (Viaggi nell’isola del cinema che non c’è, 2015), la lunga conversazione di Goffredo Fofi con Mario Monicelli (Mario Monicelli. Con il cinema non si scherza, 2011), la ristampa aggiornata dei primi due volumi de L’avventurosa storia del cinema italiano (2009-2011), a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, la monografia di Alberto Pezzotta su Zampa (Ridere civilmente. Il cinema di Luigi Zampa, 2012) e quella di Denis Lotti su Ghione (Emilio Ghione. L’ultimo Apache, 2008), nonché Non solo dive. Pioniere del cinema italiano (a cura di Monica Dall’Asta, 2008).
Fra quelle della Cineteca del Friuli, Dal Dott. Calligari a Lola-Lola: il cinema tedesco degli anni Venti e la critica italiana (2001) di Vittorio Martinelli, Cinema muto italiano. I film “dal vero”, 1895-1914 (2002) di Aldo Bernardini, Lines of resistance. Džiga Vertov and the Twenties (2004, a cura di Yuri Tsivian), Walt Disney’s Silly simphonies. A companion to the classic cartoon series (2006, a cura di Russell Merritt e J.B. Kaufman), Alexander Shiryaev, master of movement (2009, a cura di Birgit Beumers, Victor Bocharov e David Robinson).
Nella pubblicistica, infine, un posto a parte spetta ai cinque volumi (più un sesto dedicato all’analisi dei film) della Enciclopedia del Cinema, edita tra il 2002 e il 2004 dall’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Un’opera ingente, alla quale hanno collaborato molti autorevoli studiosi, italiani e stranieri, dove la trattazione di temi di storia, estetica, teoria e critica del cinema è svolta con filologica acribia.