film
Vedere oltre lo schermo
Un film è certamente divertimento, ma spesso è qualcosa di più. Può essere allora utile conoscerne il linguaggio, analizzarne il contenuto (spesso nascosto), andare oltre la trama, il racconto o il fascino immediato delle immagini e dei suoni. Impariamo a conoscere tutti gli elementi che danno al film il suo significato autentico. Saper leggere un film, una volta che se ne conosca la lavorazione e il linguaggio, significa vederlo con altri occhi, meno ingenui e più consapevoli
Tra i molti divertimenti quotidiani (giocattoli, libri, dischi, giochi di carte, passatempi, programmi televisivi) il film è quello che forse ci coinvolge maggiormente, per la forza evocativa delle immagini in movimento, il fascino degli attori, la suggestione dei paesaggi. Sia se andiamo a vederlo in una sala cinematografica ‒ che è il suo luogo naturale, con il grande schermo e la sala buia ‒ sia se lo seguiamo sul teleschermo ‒ che è più piccolo, domestico e richiede meno concentrazione ‒ esso ci procura un piacere particolare, che va al di là del suo valore artistico e spettacolare. È infatti il frutto di un meticoloso lavoro di preparazione e di esecuzione, realizzato con il contributo di decine o centinaia di persone. Un lavoro complesso che traspare nelle immagini del film, per la loro magnificenza e la loro qualità. Se a volte è meno evidente, è per la natura discreta dello spettacolo. In ogni caso tuttavia c'è alla base un progetto, dall'ideazione alla programmazione, che è interessante e divertente conoscere.
Quando si dice "andiamo al cinema", ciò significa che andiamo a vedere un film. In questo caso il termine cinema viene usato per indicare la sala cinematografica e il termine film si riferisce allo spettacolo che vi si proietta. In realtà il cinema non è soltanto la sala di spettacolo. Anzi, quando usiamo in tal modo la parola ne facciamo un uso improprio, anche se è un uso comune e molto diffuso. Più correttamente si dovrebbe chiamare cinema (abbreviazione di cinematografo) l'apparecchio, inventato dai fratelli Lumière alla fine dell'Ottocento, che consente la ripresa e la proiezione delle immagini semoventi della realtà in movimento. Per estensione, tuttavia, il termine è venuto a indicare con il tempo l'intera fase di lavorazione di un film, e anche l'insieme di tutti i film prodotti dalle origini a oggi. Un termine, come si vede, alquanto elastico, estensivo, con il quale si copre un vasto campo di significati. In altre parole, come noi usiamo chiamare letteratura sia l'arte dello scrivere sia i libri che sono stati scritti, così possiamo chiamare cinema l'arte di fare i film e la totalità dei film realizzati. E come si scrive la storia della letteratura, così si può scrivere la storia del cinema, parlando soprattutto e specificamente dei film prodotti nel corso degli anni.
Ma che cos'è il film, che costituisce la base stessa del cinema, la sua ragion d'essere? Si può dire che è l'oggetto che il cinema produce, il prodotto finale che esce dalla fabbrica cinematografica, come un'automobile esce da una fabbrica di auto. Il suo nome viene dall'inglese film, che significa "pellicola" (tanto che sino agli anni Venti del secolo scorso si diceva, in italiano, "la film", al femminile). Materialmente è infatti una pellicola, cioè un nastro trasparente su cui sono state impressionate fotograficamente (fotografia) immagini che si chiamano fotogrammi. Può avere varie lunghezze, dai pochi metri ai tremila e più. A seconda della lunghezza e quindi della durata di proiezione si hanno film di lungometraggio, di mediometraggio o di cortometraggio.
Nel corso dell'intera storia del cinema (più di un secolo dall'invenzione a oggi) ne sono state prodotte molte centinaia di migliaia, forse un milione, comprendendo tutti i film di diversa durata. Un patrimonio cospicuo ‒ solo in parte salvato dalle ingiurie del tempo e dalle distruzioni naturali e belliche ‒ che costituisce complessivamente la memoria storica del Novecento, con qualche estensione negli ultimi anni dell'Ottocento, e che continua a protrarsi nel nostro secolo. Vi sono istituzioni che hanno il compito primario di salvare questo patrimonio. In particolare le cineteche, che non soltanto conservano i film, ma li restaurano, facendoli poi circolare presso il pubblico, il quale può così vedere o rivedere i film del passato, come nelle biblioteche può leggere i libri stampati anche molti secoli fa.
Come ogni opera dell'ingegno, della tecnica e dell'arte, anche un film nasce da un'idea iniziale, che si sviluppa in un progetto dettagliato in base al quale si procede poi alla realizzazione. A differenza tuttavia di un libro, un quadro o un brano musicale ‒ che possono essere prodotti da un solo artista ‒ un film richiede la collaborazione di molti. Fanno eccezione certi film d'autore, d'avanguardia o sperimentali che possono essere realizzati anche da una sola persona.
In primo luogo devono essere scritti il soggetto e la relativa sceneggiatura. Il soggetto può essere una breve storia originale in cui si presenta l'intreccio del film, oppure può prendere spunto da un romanzo o da un'opera teatrale. La sceneggiatura è la descrizione particolareggiata di tutte le scene in cui si articola il soggetto nel corso del suo svolgimento narrativo e drammatico. Questo lavoro può essere affidato a una sola persona o a un gruppo ristretto di persone.
Per procedere invece alla realizzazione del film e risolvere tutti i problemi relativi sono necessarie decine o centinaia di tecnici e artisti. In primo luogo ci vuole un produttore che trovi i soldi necessari (spesso molti milioni di euro) per finanziare il film. Poi sono indispensabili regista, attori, comparse, fotografi (operatori), scenografi, fonici, montatori, musicisti e tutti quegli altri tecnici che devono contribuire alla buona riuscita dell'operazione. Non si tratta dunque di un'impresa semplice, né di un lavoro di pochi giorni.
Ci sono film realizzati in qualche mese e anche meno, ma ce ne sono altri che hanno richiesto più di un anno di lavorazione. Non solo: se si guarda all'industria cinematografica come si è venuta strutturando nel corso dei decenni ‒ soprattutto nel periodo d'oro del cinema mondiale, quello compreso fra gli anni Venti e gli anni Sessanta del Novecento ‒ si nota subito che la produzione di un film segue regole non molto diverse da quelle di un qualsiasi prodotto industriale. Se non proprio di una 'catena di montaggio' come nelle fabbriche di auto o simili, di certo si può parlare di un lavoro settoriale basato su regole molto rigide.
Ciò appare evidente dall'organizzazione del lavoro delle grandi case di produzione hollywoodiane che avevano al loro interno sezioni particolari dove lavoravano i vari tecnici di ogni settore. Disponevano anche di un vero gruppo di lavoro artistico che raccoglieva, sotto contratto pluriennale, registi, soggettisti, sceneggiatori e naturalmente attori, attrici e comparse. Ogni casa possedeva una serie di squadre tecnico-artistiche che lavoravano alla realizzazione di un certo numero di film, di vario genere spettacolare, stabilito dal piano produttivo annuale. Una vera industria dello spettacolo che ‒ sebbene sia entrata in crisi negli ultimi decenni del secolo scorso a causa anche della diffusione capillare della televisione e di altri generi di divertimento popolare ‒ continua a realizzare film secondo un modello produttivo sostanzialmente inalterato nel tempo, pur in modi e forme diversi. Pertanto, si può dire che un film è il risultato finale di un progetto, innanzitutto industriale e commerciale prima ancora che artistico e culturale. Un progetto che, se è interessante, artisticamente valido, impostato come si deve e realizzato nel migliore dei modi, dà origine a un'opera d'arte che entra di diritto, a tutti gli effetti, nel novero dei capolavori della cultura contemporanea.
Dopo che il progetto iniziale di un film viene sviluppato attorno a un soggetto e a una sceneggiatura e dopo l'acquisizione dei capitali necessari, si passa alla sua realizzazione. Tale realizzazione segue le regole tradizionali dell'industria cinematografica, a meno che non si tratti di produzioni indipendenti, poco costose e che richiedono una struttura più agile e meno macchinosa. In primo luogo si organizza il set, cioè il luogo dove si svolgeranno le riprese. I set possono essere ovviamente più d'uno, collocati in posti diversi, in esterni o in interni, costruiti per l'occasione ‒ magari in un teatro di posa, vale a dire in uno studio cinematografico ‒ oppure utilizzando la realtà esistente. Quindi si definiscono nel dettaglio ‒ con l'aiuto determinante degli scenografi e dei costumisti ‒ tutti i particolari delle scenografie, che possono anch'esse essere naturali o artificiali, e dei costumi che gli attori dovranno indossare. In una fondamentale collaborazione fra regista, direttore della fotografia e tecnico delle luci si studia il carattere visivo e dinamico da dare alle singole inquadrature, cioè alle immagini che di volta in volta saranno registrate dalla cinepresa. Ciò viene fatto sulla base delle indicazioni della sceneggiatura, oppure su proposta dello stesso regista, se la sceneggiatura è appena abbozzata o addirittura quasi inesistente, priva di indicazioni precise. Questo si verifica a volte in certo cinema d'autore, in cui il regista è di fatto sovrano assoluto, non condizionato da regole compositive stabilite da altri: fu il caso, per esempio, di un regista come Rossellini.
Una volta preparato quello che possiamo definire il quadro di riferimento generale, si passa alla scelta e alla preparazione degli attori che devono interpretare i vari personaggi del film. Solitamente nella sceneggiatura sono indicati i loro caratteri, le loro psicologie, i dialoghi che dovranno recitare, oltre alle azioni che dovranno compiere. La scelta degli attori è spesso fondamentale, perché da essi può dipendere il risultato finale e quindi il successo o l'insuccesso del film. Come a teatro, sul palcoscenico, ma con la possibilità di ripetere più volte la stessa scena o particolari di essa, anche sul set il lavoro degli attori e del regista che li guida diventa il momento centrale dell'intera rappresentazione. Qui sono in gioco tutti gli elementi tecnici e artistici della realizzazione. Vi contribuiscono, oltre al regista e agli attori, il direttore della fotografia, l'operatore alla macchina da presa, il direttore delle luci, il fonico, il costumista, il truccatore, lo scenografo e molti altri tecnici con funzioni diverse, più modeste e apparentemente marginali, ma in realtà anch'esse determinanti per la buona riuscita del prodotto.
Ogni scena viene spesso ripetuta più volte affinché riesca come il regista vuole e raramente viene girata tutta in una volta, anche perché la posizione della cinepresa ‒ all'interno della scena ‒ può mutare, secondo le indicazioni del regista, con il variare dell'angolo di ripresa, che in termini tecnici si chiama angolazione.
Terminato il lavoro sul set, che può durare anche molti mesi ma normalmente si esaurisce in sei o sette settimane, il film può dirsi concluso nella sua prima fase di lavorazione. Tutto ciò che doveva essere registrato dalla cinepresa è stato registrato, senza possibilità di modificazioni. Se per caso manca qualche raccordo utile alla comprensione della storia è possibile effettuare aggiunte successive, realizzate fuori del set.
L'edizione di un film. Sono invece proprio i raccordi, intesi in senso più ampio e non specificamente tecnico, a costituire la seconda parte della lavorazione di un film, quella che è chiamata edizione e che comprende il montaggio e la postproduzione. Si tratta, in primo luogo, di selezionare tutto il materiale girato, eliminando le riprese non riuscite, ripetute, considerate eventualmente inutili in questa fase; di correggere eventuali errori, di intervenire ‒ se è possibile ‒ sulle singole inquadrature per migliorarne, per esempio, il colore e, infine, di 'montare' il materiale selezionato, considerato ormai come definitivo e immodificabile.
Il montaggio è un'operazione che richiede non soltanto un montatore di professione, ma anche la sua stretta collaborazione con il regista. È infatti il montaggio che dà al film la sua forma definitiva: i teorici russi degli anni Venti del Novecento, come Ejzenštejn o Vsevolod I. Pudovkin, lo consideravano la base estetica del film, la sua struttura portante, il principio stesso dell'arte cinematografica. La forma ultima data dal montaggio al film consente a ogni scena, a ogni sequenza, di trovare il suo giusto posto nell'insieme della rappresentazione, e quindi di conferire al film il suo ritmo, la sua cadenza temporale. Senza contare che con il montaggio, cioè con l'incollatura dei vari pezzi di pellicola impressionata, si possono ottenere effetti dinamici sorprendenti, con risultati altamente drammatici: valga per tutti la famosa sequenza della scalinata di Odessa in La corazzata Potëmkin di EjzenŠstejn, del 1925.
Il missaggio. Si passa poi all'operazione di missaggio, che può essere definito il montaggio del suono; parole, rumori, musica sono registrati su tre supporti separati, che poi vengono uniti e sovrapposti in un unico supporto. Tale supporto prende il nome di colonna sonora, mentre per colonna visiva s'intende il film muto, senza suoni.
A questo punto, se il film non è stato girato in presa diretta, gli attori devono registrare le loro voci e quindi doppiare il film. In quest'ultima fase di montaggio finale si può provvedere all'aggiunta di effetti speciali anche particolarmente sensazionali.
Dopo lo sviluppo e la stampa della pellicola la lavorazione può considerarsi finita. Il film è pronto per l'uscita nelle sale cinematografiche: è ormai un prodotto artistico che comincia il suo cammino pubblico.
Quando il film esce nelle sale, lo si può vedere e se ne può dare un giudizio personale: comincia così la fruizione del prodotto. Il film non è più patrimonio di coloro che lo stanno realizzando, ossia del regista e del produttore (che ne sono il proprietario rispettivamente artistico e commerciale): è ormai proprietà di tutti, nel senso che tutti se ne possono appropriare come ci si appropria di un romanzo o di un quadro, di un brano musicale o di un dramma teatrale. Siamo noi, con la nostra cultura, il nostro gusto, la nostra esperienza e sensibilità, a farlo nostro. In questa condizione privilegiata non dovremmo limitarci a vedere un film passivamente, a subirlo come qualcosa di imposto o ad accontentarci di usarlo come semplice divertimento, superficiale e di breve durata, ma dovremmo cercare di comprenderlo per i suoi valori e nei suoi significati.
Il linguaggio cinematografico ha regole proprie, che sono diverse rispetto a quelle del linguaggio verbale o di altre forme d'arte, anche se presentano con esse importanti affinità. In un certo senso il linguaggio cinematografico racchiude le regole di tutti gli altri linguaggi artistici.
Un film, fatto di scene e sequenze, suoni e ritmi, è strutturato come un romanzo e una sinfonia, come un testo letterario e un testo musicale. È costruito sulle inquadrature, che vanno dal campo lungo e lunghissimo ‒ che ci mostrano il paesaggio o l'orizzonte ‒ al primo e primissimo piano ‒ che ci presentano una figura ravvicinata o un volto. Questo alternarsi dei campi e dei piani costituisce la sintassi del linguaggio cinematografico.
Analizzando un tale linguaggio, si riescono a capire molte cose: possiamo cogliere lo sguardo di un attore o il movimento della cinecamera; il passaggio da una scena all'altra o il taglio secco di un'inquadratura; la scelta di ricorrere al montaggio alternato ‒ che mostra l'alternarsi di azioni che avvengono contemporaneamente in luoghi diversi ‒ o quello parallelo ‒ che mostra azioni diverse che alternativamente si ripetono e il cui rapporto non è di simultaneità, ma di affinità o di contrasto (per esempio scene che mostrano la vita di persone ricche alternate a scene che mostrano la vita di persone povere).
Se riusciamo a distinguere campi e piani gli uni dagli altri nel corso della rappresentazione, a vederne le relazioni reciproche e a coglierne il significato formale, siamo nella condizione di entrare nel vivo del film.