Erotico, film
Il f. e. rappresenta una tipologia cinematografica, codificatasi come vero e proprio genere tra gli anni Sessanta e Settanta, costantemente divisa tra l'esplicita confezione commerciale più o meno mirata verso un registro basso e volgare e l'impaginazione estetizzante e sofisticata di certi film d'autore in cui l'erotismo è parte integrante della struttura formale e narrativa (come in Ultimo tango a Parigi, 1972, di Bernardo Bertolucci o in Ai no korīda, 1976, Ecco l'impero dei sensi, di Ōshima Nagisa). Nel f. e. il racconto si sviluppa a partire da situazioni perverse, scabrose o dalla tensione del desiderio, su cui si modellano l'eros dei personaggi e il voyeurismo del pubblico, e possiede una struttura narrativa che ruota intorno alla dialettica nascondimento-esibizione dell'atto e delle attrattive sessuali, ottenuta mediante angolazioni e sotto luci oblique e soffuse, senza cioè quella 'ipervisibilità' anatomica che caratterizza il genere pornografico. Diversamente da quest'ultimo, inoltre, il f. e. si serve spesso di intrecci e snodi che sono tipici di altri generi: il comico, il film d'azione, il road movie, l'horror (esemplare l'opera dello spagnolo Jesús Franco) e, spesso, il film in costume, in cui il travestimento, l'abito, l'accessorio, assumono facilmente una connotazione feticista e comunque funzionale all'avvaloramento sessuale delle scene, in sintonia con uno dei topoi del f. e., quello del corpo 'velato' e poi denudato, 'travestito' e successivamente spogliato.
Anche se solo dopo gli anni Cinquanta giunse a codificarsi un vero e proprio genere erotico, in tutta la storia del cinema la figurazione del sesso, più o meno esplicita o allusa, è stata ricorrente, soprattutto nel caso in cui attrici o attori sono diventati sex symbol. Negli anni Dieci ebbero una discreta circolazione clandestina, soprattutto in Europa, alcuni cortometraggi anonimi che possono considerarsi protoerotici o persino già pornografici (a uno dei quali, girato in Italia con il titolo Eros e Priapo, di incerta datazione, pare avesse collaborato addirittura G. D'Annunzio). Negli anni Venti, l'erotismo cinematografico si manifestò soprattutto nello stile violentemente realistico o espressionista di talune cinematografie (la danese, la tedesca), e tipico di film come Dirnentragödie (1927; Tragedia di prostitute) di Bruno Rahn, o DasTagebuch einer Verlorenen (Diario di una donna perduta) e Die Büchse der Pandora (Lulù ‒ Il vaso di Pandora), entrambi del 1929 e diretti da Georg Wilhelm Pabst, in cui vengono rappresentati con crudezza, ma anche provocatoriamente, ambienti equivoci e perversioni che non mancarono di attirare le ire censorie, e che ruotavano soprattutto intorno all'erotismo irresistibile e ambiguo di attrici celebri: Louise Brooks, Greta Garbo, Asta Nielsen, Lya De Putti. Anche negli Stati Uniti, prima dell'autoregolamentazione censoria del Codice Hays, apparvero alcuni film pervasi dalla carica di un eros che si sprigionava in momenti rappresentativi: dalla galleria di personaggi disinibiti interpretati da Clara Bow, all'universo delirante dei film di Erich von Stroheim, in cui la notazione erotico-feticistica, unita al tema della corruzione che tutto pervade, è continuamente presente (come nell'orchestra di donne bendate a seno nudo in The merry widow, 1925, La vedova allegra). Nel cinema francese l'erotismo percorse le immagini di film come Fièvre (1921) di Louis Delluc, L'Atlantide (1921; Atlantide) di Jacques Feyder, Nana (1926; Nanà) di Jean Renoir, Un chien andalou (1929) di Luis Buñuel, in cui l'amour fou, l'erotica 'bellezza convulsa' invocata dai surrealisti e una certa sensualità impressionista dei corpi e dei paesaggi costituiscono i presupposti di quell'estetica più raffinata del f. e. che si sarebbe esplicitata in seguito con il cinema di Andrzej Žulawski e di Walerian Borowczyk, o nei film di autori come Louis Malle, Roman Polanski, Patrice Chéreau, Catherine Breillat. Ma furono soprattutto due film cecoslovacchi a cavallo degli anni Trenta, Erotikon (1929) ed Extáse (1933; Estasi) di Gustav Machatý, nella loro esaltazione 'panica' del corpo e della natura, di prorompente sensualità, a costituire materia di scandalo (il governo degli Stati Uniti nel 1935 condannò a un rogo simbolico la pellicola di Extáse), con le scene di nudo integrale della protagonista Hedy Kiesler (che avrebbe fatto fortuna a Hollywood come Hedy Lamarr).
Negli anni Trenta e Quaranta, però, anche a causa dell'atmosfera generale di repressione e censura dei regimi totalitari e dell'austerità puritana di quelli liberali, non c'era alcuno spazio per la nascita di un vero e proprio genere. L'erotismo rimase solo alluso nelle commedie sofisticate di Ernst Lubitsch o nelle tortuosità barocche dei film di Josef von Sternberg, il cui Der blaue Engel (1930; L'angelo azzurro) rivelò tutta la seduttiva ambiguità di Marlene Dietrich, o si avvertiva appena nelle commedie dei cosiddetti telefoni bianchi, per arrivare, negli anni della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra, a riversarsi in conturbanti apparizioni: quelle, per es., di Clara Calamai a seno nudo in La cena delle beffe (1942) di Alessandro Blasetti e nel sensuale e tormentato personaggio di Ossessione (1943) di Luchino Visconti, o di Rita Hayworth in Gilda (1946) di Charles Vidor. Negli anni Cinquanta furono ancora i corpi di alcune attrici a destare scalpore: da Carroll Baker nel pigiamino succinto in Baby Doll (1956; Baby Doll ‒ La bambola viva) di Elia Kazan, a Brigitte Bardot che, travolgente e provocatoria, balla il mambo in Et Dieu créa la femme (1956; Piace a troppi) di Roger Vadim, entrambe estremizzazioni torbide dell'ingenuità erotica di Marilyn Monroe, la cui femminilità aveva segnato il decennio. Si era alle soglie di quel rivolgimento dell'immaginario provocato dalla cosiddetta rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, e dal generale clima di liberazione sociale e politica: fu in questo mutamento del costume che si codificò, tanto a livello estetico quanto a livello più popolare e commerciale, il genere del film erotico.
Negli Stati Uniti, tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, una serie di avvenimenti contribuirono ad aprire una breccia nel puritanesimo imperante anche sugli schermi. La doppia pubblicazione, nel 1948 e nel 1953, del cosiddetto Rapporto Kinsey sulla sessualità influì su un processo che, mentre determinò un maggiore coraggio da parte di sceneggiatori e registi nella rappresentazione delle situazioni erotiche, costituì anche un presupposto importante per lo sviluppo del genere erotico che, nel cinema statunitense, si sarebbe polarizzato quasi subito intorno alla forma della pornografia. Due fenomeni, quello dei film 'nudisti' (nudies) e quello del film under-ground, contribuirono comunque al formularsi del lavoro di due registi che tra gli anni Sessanta e Settanta diedero un contributo significativo al f. e.: Russ Meyer e Paul Morrissey. Il film nudista era appannaggio di un gruppo di produttori indipendenti che sfidarono la censura nell'intento di aprire un nuovo mercato cinematografico; uno dei primi esempi fu Garden of Eden (1954) di Max Nosseck, che si avvalse delle immagini di un grande operatore come Boris Kaufman formatosi nei libertari anni Venti in Europa. L'Underground fu un movimento trasversale alle arti, che costituì un'autentica avanguardia cinematografica e che, a partire soprattutto dai film di Kenneth Anger (Fireworks, 1947, o Inauguration of the pleasure dome, 1954-1956), si caratterizzò cinematograficamente anche per il gusto dell'eccesso erotico e un uso diretto di immagini sessuali trasgressive, come appare evidente nei film degli anni Sessanta di Andy Warhol: Blow job (1963) e Couch (1964), My hustler (1965), The nude restaurant (1967) e The loves of Ondine (1968, in collaborazione con Morrissey), Blue movie (1969), in cui transessualismo, travestitismo, rapporti omosessuali ed eterosessuali, orgiasmo, entrano a far parte di una sperimentazione linguistica che si coniuga con le icone del pop. Meyer, ex fotografo di "Playboy", derivò il suo stile, fortemente ispirato all'action movie e alla commedia grottesca, direttamente dai film nudies e costruì con opere come Erotica (1961), Lorna (1964), Faster Pussycat, Kill! Kill! (1966), Mondo topless (1966), Vixen! (1969), Beyond the valley of the dolls (1970), Supervixens (1975), un universo dove l'eccesso erotico, la violenza e il sarcasmo diventano esuberanza e voracità immaginaria, e che precorre le atmosfere pulp dei film di Quentin Tarantino. I film di Morrissey (come Flesh, 1968, e Heat, 1971, Calore, prodotti da Warhol), immettono climi di torpida sessualità in cupi spaccati newyorkesi. Negli anni Ottanta e Novanta, il cinema d'autore statunitense ha poi incorporato quella stessa temperatura erotica nelle perversioni avvolte di mistero dei film di David Lynch, nell'impasto di erotismo e allucinazioni drogate di cineasti come Gregg Araki, Gus Van Sant o Larry Clark, nel clima di densa e nera sessualità dei film di Abel Ferrara, nell'erotismo più sfumato e raffinato di quelli di Philip Kaufman, nei compiacimenti patinati di 91/2 weeks (1986; 9 settimane e 1/2) di Adrian Lyne, nell'esplorazione ossessiva del corpo erotico di Basic instinct (1992) di Paul Verhoeven o ancora, in ambito canadese, nelle atmosfere glaciali, morbose e inquietanti delle opere di Atom Egoyan e di David Cronenberg. La contaminazione del f. e. con la commedia grottesca o con l'horror si riscontra anche nei film di John Waters interpretati dal travestito Divine (Polyester, 1981), giocati su un registro di folle sgradevolezza trash, o nelle inquietanti mutazioni erotico-anatomiche di quelli di Brian Yuzna (Society, 1989, Society ‒ The horror), come anche nelle variazioni tra eros e splatter delle produzioni di basso consumo della Troma Productions. A partire dalla fine degli anni Ottanta si è sviluppato un vero e proprio filone di film destinati al mercato ufficiale, a base di erotismo omosessuale commisto a stilemi di commedia (gay and lesbian movies).
In ambito europeo fu la cinematografia scandinava a introdurre componenti esplicitamente erotiche che non mancarono di scandalizzare. Ruppe le convenzioni già un film del 1951, Hon dansade en sommar (Ha ballato una sola estate) di Arne Mattson, con una scena di nudo integrale dei due giovani protagonisti, ma fu negli anni Sessanta che una forte carica di erotismo disinibito e a volte caricato di violenta angoscia caratterizzò film come Tystnaden (1963; Il silenzio) di Ingmar Bergman, con un'impudica e insistita scena di coito, o Nattlek (1966; Giochi di notte) di Mai Zetterling, in cui le fantasie sessuali sono ricondotte a un gioco psicoanalitico. Fecero scalpore soprattutto due film a metà tra l'inchiesta e la divulgazione sessuale non privi di scene indirettamente o volutamente erotiche: lo svedese Jag är nyfiken-gul (1967; Io sono curiosa) di Vilgot Sjöman e il tedesco Helga (1967) di Erich F. Bender.
Anche in Italia la formula del film-inchiesta, che morbosamente perlustrava comportamenti sessuali insoliti, vita notturna proibita, erotismo selvaggio, aprì una strada che, fornendo l'alibi della pretesa oggettività giornalistica, avrebbe condotto in seguito alla tipologia tutta italiana del film sexy 'travestito' da commedia di costume, magari con intenti di denuncia e di satira. Cominciò A. Blasetti con Europa di notte (1959) e poi con Io amo, tu ami… (1961), cui si aggiunsero il film collettivo Le italiane e l'amore (1961), supervisionato da Cesare Zavattini, e il film-inchiesta Comizi d'amore (1965) di Pier Paolo Pasolini, che perseguirono con più rigore di osservazione una radiografia del comportamento erotico e sessuale nell'Italia di quegli anni; nel 1962 Mondo cane di Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi costituì una versione compiaciuta e falsificante di quella formula, indugiando su una rappresentazione crudele e sgradevole di usi sessuali abnormi. Nella temperie sessantottina in cui la liberazione sessuale era all'ordine del giorno, Salvatore Samperi realizzò film come Grazie, zia (1968) e Cuore di mamma (1969), che uniscono arditezze erotiche e scene di nudo a moduli espressivi omologati dalla Nouvelle vague. Il suo cinema elaborò poi, a partire da Malizia (1973), la struttura della commedia erotica all'italiana, ricca di umori popolari e di fantasie adolescenziali che sarà ripresa durante tutti gli anni Settanta da Nando Cicero, Nello Rossati, Vittorio De Sisti, Marco Vicario, Fernando di Leo, Ugo Liberatore, Bruno Gaburro (e proseguita negli anni Ottanta e Novanta, in versione più patinata, da registi quali Giuliana Gamba, Gabriele Lavia, Aurelio Grimaldi). Un filone erotico che presentò, di volta in volta, la versione esotica, quella borghese, quella più popolare o provinciale, e che elaborò una galleria di tipi erotici maschili e femminili cui prestarono esibita fisicità, abilità istrionica e verve comica attori come Lando Buzzanca, Renzo Montagnani, Alvaro Vitali, e avvenenza, belle forme e sex appeal attrici come Edwige Fenech, Corinne Cléry, Barbara Bouchet, Lilli Carati, Carmen Villani, Zeudi Araya, Florence Guerin, Teresa Ann Savoy, Clio Goldsmith, Lory Del Santo. In questo contesto il cinema di Tinto Brass, almeno a partire da Nerosubianco (1969) e da Drop-out (1971), in cui filmava il versante più erotico della controcultura giovanile e della swinging London, è poi approdato, con opere come La chiave (1983), a una poetica dell'erotismo compatta e coerente, anche se spesso modellata su codici e ossessioni costantemente ripetuti, che trova le sue radici in un gusto trasgressivo assimilato durante il suo apprendistato nella Parigi della Nouvelle vague. Autori come Alberto Lattuada o Marco Ferreri seppero coniugare il proprio stile con una personale declinazione dell'erotismo, e anche la contaminazione tra eros e ambientazione storica trovò numerosi esempi nel cinema d'autore: Fellini Satyricon (1969) di Federico Fellini, Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976) di Pasolini, la cui 'trilogia della vita' (Il Decameron, 1971; I racconti di Canterbury, 1972; Il fiore delle Mille e una notte, 1974), in cui si rifigurano il sesso e l'eros secondo la carnalità gioiosa di una società preindustriale, diede involontariamente l'avvio a un filone più commerciale dove il f. e. si 'travestiva' di panni carnevalescamente boccacceschi.
Nel cinema francese, Jean-Luc Godard con Masculin, féminin (1966; Il maschio e la femmina), o prima ancora L. Malle con Les amants (1958), avevano spinto la rappresentazione del desiderio e del piacere erotico su azzardi formali espliciti che testimoniarono il mutamento dei costumi sessuali in atto. L'apporto dei registi della Nouvelle vague fu significativo anche per determinare un certo stile sofisticato e intellettualmente smaliziato del f. e. 'alla francese': ne fu un esempio La fiancée du pirate (1969) di Nelly Kaplan, il cui titolo di distribuzione italiana, Alla bella Serafina piaceva fare l'amore sera e mattina, snaturò, per ragioni commerciali, la carica libertaria di un film legato non solo al clima della cosiddetta rivoluzione sessuale ma anche alla Parigi cinefila di quel periodo. Una raffinatezza metalinguistica testimoniata anche (su un piano di erotismo cerebrale che nasceva direttamente dalla lezione di G. Bataille e dall'esperienza letteraria dell'école du regard) dal cinema dello scrittore-regista Alain Robbe-Grillet (per es. Glissements progressifs du plaisir, 1974, Spostamenti progressivi del piacere), ma soprattutto, all'interno di una messinscena stratificata e barocca, e su un piano di analoga raffinatezza morbosa, rintracciabile nel cinema di W. Borowczyk, esempio di rara coerenza espressiva di un cineasta rigorosamente 'immorale' nell'ambito del f. e., a partire dalle cadenze libertine di La bête (1975; La bestia) fino al sadomasochismo di matrice surrealista di Cérémonie d'amour (1988; Regina della notte). A. Žulawski riuscì a far emergere tutto il potenziale erotico di attrici come Romy Schneider, Isabelle Adjani, Sophie Marceau in storie di amour fou coniugate con una frenetica sensualità, quali L'important, c'est d'aimer (1974; L'importante è amare), Possession (1981), La femme publique (1984), e il cantante-regista Serge Gainsbourg in Je t'aime, moi non plus (1975) seppe trasferire in un controverso psicodramma sessuale le suggestioni della canzone omonima, che fecero scandalo nell'interpretazione sussurrata da una bellezza androgina come Jane Birkin; mentre il fotografo David Hamilton nel suo Bilitis (1976), da P. Louys, mise in scena estetizzanti morbosità adolescenziali. Il f. e. trovò nella serie di Emmanuelle (personaggio tratto dai romanzi di E. Arsan e interpretato da Sylvia Kristel) la sua saga cinematografica, inaugurata dal film omonimo del 1973 di Just Jaeckin, e composta di capitoli più o meno patinati sullo sfondo di un esotismo di maniera. Il filone Emmanuelle trovò poi da un lato, con gli episodi diretti negli anni Settanta in Italia dallo specialista di soft-porno Joe D'Amato (Aristide Massaccesi), una sua sanguigna rozzezza, e dall'altro, con Néa (1976; Lettere ad Emmanuelle) di N. Kaplan, film tutto incentrato sull'erotismo della scrittura, una sua curiosa 'variazione' femminista.Se nel cinema spagnolo gli inizi di un regista come Pedro Almodóvar furono caratterizzati dalla messinscena di stravaganze erotiche e da un divertito gioco sulla sessualità trasgressiva, cineasti come José Juan Bigas Luna, fin dallo scabroso ritratto di una spogliarellista che fa la prostituta in Bilbao (1978; La chiamavano Bilbao) e poi con Las edades de Lulú (1990; Le età di Lulù, dal romanzo di A. Grandes), interpretato da Francesca Neri, o Bambola (1996), con Valeria Marini, o anche come Vicente Aranda con Amantes (1991; Amantes ‒ Amanti) ed El amante bilingüe (1993; L'amante bilingue, dal romanzo di J. Marsé), con Ornella Muti, hanno giocato sul registro dell'erotico-grottesco o melodrammatico, iscrivendo i corpi di attrici sensuali in una drammaturgia raffinata e di derivazione letteraria ma rispettosa dei codici del film erotico. Nel cinema portoghese un'operazione analoga, sospesa tra messinscena della perversione e raffinati riferimenti filosofico-letterari, è stata realizzata con un rigore anche maggiore da João César Monteiro.
Fuori dal cinema europeo è stato il Giappone che, nonostante gli interdetti del moralismo nipponico, ha trovato in chiave cinematografica l'espressione di un erotismo a volte estremo e funebre, altre incantato e arcano, o ambiguo e torbido, sempre incorniciato in un'impaginazione estetica e iconografica legata ai moduli del cerimoniale e in una certa astrazione formalistica. Ne sono stati esempi molti film di Ōshima Nagisa, non solo Ai no korīda, ma anche Ai no bōrei (1978; L'impero della passione) e Senjo no merii kurisumasu ‒ Furyō (1985; Furyō), un film dalla esagitata carnalità come Nikutai no mon (1964; La porta del corpo) diretto da Suzuki Seijun, o il sadismo cupo di Edogawa Ranpo ryōkikan ‒ Yaneura no sanposha (1976; La casa delle perversioni di Tanaka Noboru, o in anni successivi il gelido catalogo di perversioni sessuali sospese tra dolore e piacere di Topazu ‒ Tōkyō dekadensu (1991, noto anche come Tokyo decadence) di Murakami Ryū, o il sottile gioco voyeuristico di Rokugatsu no hebi (2002, noto anche come A snake of June) di Tsukamoto Shin'ya.
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