Catastrofico, film
Sviluppatosi nell'ambito del cinema spettacolare statunitense, il f. c. ha come principale motivo d'attrazione il disastro materiale causato da elementi naturali (tempeste, terremoti, valanghe, incendi) o da incidenti di grandi dimensioni (aerei, ferroviari, navali). L'espressione italiana rimanda alla categoria statunitense dei disaster movies prodotti negli anni Settanta come Airport (1970) di George Seaton e The towering inferno (1974; L'inferno di cristallo) di John Guillermin e Irwin Allen, ma anche ai kolossal di più recente produzione come Titanic (1997) di James Cameron o Armageddon (1998; Armageddon ‒ Giudizio finale) di Michael Bay. Classificabile come genere trasversale per gli stretti legami che intreccia con il cinema d'avventura, il genere fantastico, la fantascienza, ma anche per gli elementi drammatici o melodrammatici che risultano presenti al suo interno, ha raggiunto una definizione più compiuta solo negli anni Sessanta e, soprattutto, nel decennio successivo quando la spettacolarità della catastrofe rappresentata, sempre più perfezionata grazie allo sviluppo degli effetti speciali, è divenuta l'elemento centrale di questo tipo di film, finalizzato esclusivamente a catalizzare l'attenzione e le emozioni degli spettatori. Sino agli effetti apocalittici dei blockbusters della fine del 20° sec. e degli inizi del 21° sec., ottenuti grazie all'affermarsi della tecnologia digitale. D'altro canto, risulta evidente che dietro il successo di produzioni centrate sulla raffigurazione di eventi disastrosi (con altrettanto significativi periodi di eclisse del genere), affiorano paure collettive di vario tipo e più o meno sotterranee (per es., la sindrome del nucleare, il timore per la vulnerabilità dei sistemi militari di difesa statunitensi di fronte a nemici di natura diversa, la consapevolezza di possibili disastri ecologici, le diverse paure 'millenaristiche' ecc.) concretizzate e, al contempo, esorcizzate dalla narrazione cinematografica.Già alcune grandi produzioni degli anni Trenta presentano fondamentali aspetti riconducibili alla struttura del f. c., allorché, nell'ambito dell'aspra concorrenza tra le majors di Hollywood, vennero impiegati in misura sempre maggiore mezzi economici e tecnologici per creare effetti speciali sensazionalistici. Così, in un kolossal della Metro Goldwin Mayer come San Francisco (1936) di W.S. Van Dyke, alla turbolenta storia d'amore tra Clarke Gable e Jeannette MacDonald, fa da contrappunto l'impressionante sequenza del terremoto che di-strusse la città californiana nel 1906. San Francisco ottenne un successo di pubblico travolgente, e a Hollywood si comprese quanto la rappresentazione di calamità naturali potesse coinvolgere emotivamente il pubblico. L'elemento catastrofico tornò così a caratterizzare una tipologia di film in cui erano predisposte sequenze altamente spettacolari e il più possibile realistiche nel descrivere devastazioni materiali (crolli, ma anche esplo-sioni, inondazioni, cicloni). Come in The hurricane (1937; Uragano) di John Ford, dove una terribile tempesta fa da sfondo alla fuga di un indigeno dei mari del Sud e alla sua lotta con il governatore della regione. O in The rains came (1939; La grande pioggia) di Clarence Brown, in cui un'inondazione travolge Ranchipur e il dramma fa affiorare sentimenti e passioni. La differenza sostanziale con i disaster movies della seconda metà del 20° sec. è che in questi film il cataclisma risulta funzionale alla storia e ai suoi significati (e rimanda, per es. in The hurricane, al conflitto tra i due protagonisti e, per estensione, alle culture che rappresentano), e quindi la sua messa in scena non rappresenta il momento principale della storia, ma solo un culmine emotivo e spettacolare.
È nell'ambito di un più generale rinnovamento della fantascienza e del film spettacolare che il f. c. negli anni Settanta trovò un terreno fertile. Le innovazioni tecnologiche e il sempre più preponderante utilizzo degli effetti speciali favorirono questo genere di produzione, rendendo più credibili e verosimili i disastri ricostruiti sullo schermo. Se da un lato la nascita di un cinema intellettuale, impegnato e indipendente, cominciò a riflettere le contraddizioni di un decennio di cui gli statunitensi vivevano la drammaticità (la contestazione, la guerra del Vietnam, gli scandali politici dell'amministrazione Nixon), dall'altro crebbe la domanda del pubblico di film di pura evasione, che conferissero all'impianto narrativo dei generi classici (il poliziesco, l'horror e, appunto, la fantascienza) un livello di spettacolarità sempre più alto e realistico. Primo titolo che negli anni Settanta inaugurò una specifica serie di grande successo, basata anche sulla presenza di un nutrito cast di stelle, fu proprio Airport (cui fecero seguito Airport 1975, 1974, Airport '75, di Jack Smight; Airport '77, 1977, di Jerry Jameson; The Concorde ‒ Airport '79, 1979, Airport'80, di David Lowell Rich, nonché il film per la televisione Flight 90: disaster on the Potomac, 1985, Airport '90, di Robert Michael Lewis, svincolato in realtà dalla serie e vera storia dell'aereo che nel 1982 precipitò nel fiume Potomac). La struttura di Airport fece da modello, pressoché invariato, per le produzioni successive, e costituì il riferimento anche per film non appartenenti alla serie che però ne riproponevano schema e impianto. La vicenda si svolge infatti sempre su un asse narrativo molto semplice, reso con la massima essenzialità per far risaltare le sequenze catastrofiche. Un gruppo di persone variamente assortito (per età, sesso e classe sociale) resta assediato in uno spazio angusto e senza facili vie di scampo in balia dell'evento tragico (un incendio, un'inondazione, un terremoto). La situazione si risolve in maniera relativamente felice grazie all'intervento dell'eroe o attraverso un patto di mutua assistenza tra il gruppo dei superstiti. Lo schema del f. c., nel corso di tutto il decennio (fino agli anni Ottanta inoltrati) offre solo variazioni sul tema, tra le quali, ovviamente, la modifica della 'catastrofe'. Se il disastro aereo continuò a occupare i primi posti nel gradimento del pubblico (come confermato dall'esistenza di un 'clone' italiano della serie Airport, ovvero L'affare Concorde, 1979, di Ruggero Deodato, e di due celeberrimi spoof, riletture parodistiche: Airplane!, 1980, L'aereo più pazzo del mondo, di Jerry e David Zucker e Jim Abrahams e Airplane II: the sequel, 1982, L'aereo più pazzo del mondo… sempre più pazzo, di Ken Finkleman) in quanto proiezione di una fobia diffusa e condivisa come quella dell'aereo e del volo, anche i disastri navali entrarono a pieno titolo tra gli argomenti favoriti. Tra i film più significativi, The Poseidon adventure (1972; L'avventura del Poseidon) di Ronald Neame e I. Allen, cronaca minuziosa del catastrofico naufragio di un transatlantico che coinvolge il solito cast di stelle. Il film, vincitore nel 1973 dell'Oscar per gli effetti speciali, viene ricordato in particolare perché i protagonisti recitarono in set dalle scenografie capovolte (per simulare gli interni della nave durante il disastro). Il coregista e produttore Allen si specializzò nella realizzazione di disaster movies, tra i quali The swarm (1978; Swarm), che descrive gli effetti devastanti dell'invasione di api assassine in una regione degli Stati Uniti, e Beyond the Poseidon adventure (1979; L'inferno sommerso), sequel di The Poseidon adventure che racconta di una spedizione subacquea sulle tracce del relitto affondato anni prima. Ancora I. Allen produsse e diresse con John Guillermin uno dei più grossi successi commerciali del decennio, The towering inferno, considerato il migliore dell'intero filone, modello per numerosi prodotti spettacolari successivi (per es. Die hard, 1988, Die hard ‒ Trappola di cristallo, di John McTiernan). In questo film, durante l'inaugurazione di un grattacielo gli invitati restano isolati sul tetto a causa di un incendio divampato nei piani inferiori: un eroico pompiere (Steve McQueen) e l'architetto che ha progettato l'edificio (Paul Newman) cercano disperatamente di trarre tutti in salvo. The towering inferno riesce a sfruttare al meglio uno degli stereotipi del filone (l'assedio di un gruppo di uomini in un ambiente chiuso e delimitato) per approfondire i caratteri di ognuno, mentre sviluppa un tema ricorrente in questa tipologia di film: la denuncia del cinismo e dell'opportunismo degli uomini, cause del disastro. Nonostante gli effetti speciali di forte impatto, rimanda comunque all'avventura di stampo classico e all'impianto dei film spettacolari degli anni Trenta, come evidenziato dalle figure dei due eroici protagonisti resi celebri ed emblematici da divi come Steve McQueen e Paul Newman. Anche in un altro celebre film del periodo, Avalanche (1978; Valanga) di Corey Allen, la responsabilità del disastro è da ascrivere al bieco opportunismo degli uomini, in questo caso un miliardario senza scrupoli. Ma le catastrofi naturali che detengono il primato del maggior numero di rappresentazioni al cinema sono certamente gli uragani e le variazioni sul tema, ossia tempeste, tornadi, cicloni, come ben dimostra il già citato e pionieristico The hurricane di Ford. Negli anni Settanta, proprio di questo film venne prodotto un remake che sposta l'asse della narrazione sull'elemento spettacolare. In Hurricane (1979; Uragano) di Jan Troell, prodotto con notevole dispiego di mezzi da Dino De Laurentiis, il solito cast di stelle si trova a rivivere le medesime situazioni del film di Ford, ma questa volta l'intreccio è un mero pretesto per preparare il culmine narrativo, ovvero l'arrivo dell'uragano con la sua potenza distruttiva. Hurricane rappresenta alla perfezione il modello produttivo del f. c. dell'epoca: una cifra record di 22 milioni di dollari impiegata quasi esclusivamente per rendere verosimile, e quindi emozionante, la furia devastatrice della tempesta.
Negli anni Novanta il cinema ha sfruttato con notevole efficacia spettacolare il rinnovato diffondersi della fobia collettiva per il verificarsi in natura di fenomeni catastrofici (il celebre El Niño ha tenuto con il fiato sospeso l'America per mesi). Di qui il successo di Twister (1996) di Jan De Bont, sceneggiato addirittura dallo scrittore di best seller Michael Crichton. Il film riproduce alla perfezione le conseguenze di un tornado anche grazie agli effetti speciali della Industrial Light and Magic, che hanno reso celebri, per il livello di realismo raggiunto, alcune scene di distruzione di massa. È invece basato su un'imponente tempesta The perfect storm (2000; La tempesta perfetta) del tedesco Wolfgang Petersen. Il pretesto del film è una storia veramente accaduta: l'Andrea Gail, una barca di pescatori, salpò dalle coste del New England verso il cuore dell'Oceano Atlantico e non fece più ritorno, inghiottita da un uragano che neppure i meteorologi erano riusciti a prevedere. Grazie agli effetti speciali, le onde ricreate sullo schermo raggiungono livelli di impressionante verismo, ragione fondamentale dell'entusiastica accoglienza del film da parte del pubblico.
Tra i pericoli provenienti dal cielo e divenuti elementi di narrazione spettacolare, uno dei più rappresentati è la caduta di meteoriti o asteroidi. Su tale tema si sviluppa uno dei f. c. classici dei tardi anni Settanta, Meteor (1979) di R. Neame, che si situa sul crinale che separa il f. c. dalla fantascienza, presentando il canonico scontro tra uno scienziato e un militare, divisi sulle decisioni da prendere. Lo stesso spunto è stato ripreso anni dopo in Armageddon e Deep impact (1998) di Mimi Leder. Anche i terremoti e le eruzioni vulcaniche hanno suscitato l'interesse dei produttori dei f. c., data l'evidente spettacolarità dei fenomeni. Sono scosse sismiche di terribile forza quelle che, per es., scuotono Los Angeles in Earthquake (1974; Terremoto) di Mark Robson, con la distruzione fatale del Big One, il terremoto definitivo che gli abitanti della città temono da sempre. Il film vinse nel 1975 l'Oscar per i migliori effetti speciali anche grazie all'innovativo sensurround, un sistema acustico che permette un effetto realistico di vibrazione nelle sale cinematografiche. A conferma del rinnovato interesse per il filone negli anni Novanta, nel mediocre Dante's Peak (1997; Dante's Peak ‒ La furia della montagna) di Roger Donaldson, un geologo si batte contro i soliti politici cinici che non vogliono far evacuare una cittadina costruita alle pendici di un vulcano che sta per tornare in attività. Mentre nel più riuscito (almeno dal punto di vista spettacolare) Volcano (1997; Vulcano) di Mick Jackson, una vulcanologa e un professionista della protezione civile scoprono che proprio sotto Los Angeles un vulcano sta eruttando una quantità di lava sufficiente a distruggere la città.