Film a episodi
di Masolino d'Amico
L'espressione f. a e. designa una struttura cinematografica articolata in più parti, ciascuna delle quali rappresenta un'entità narrativa indipendente; il raccordo tra le varie parti può essere costituito dall'unità del tema (o della cornice narrativa, o da un unico autore letterario di riferimento), o dall'interprete (o coppia di interpreti) o dal regista. La brevità del racconto è funzionale all'incisività di un ritratto, di una critica di costume, o di un'idea drammatica.
In Italia il f. a e. non fu un'invenzione originale, bensì una rielaborazione di esempi precedenti (v. oltre: Il film a episodi nelle cinematografie europee ed extraeuropee), come lo statunitense If I had a million (1932; Se avessi un milione), otto episodi di sette registi diversi tra cui Ernst Lubitsch, e il francese Carnet de bal (1937; Carnet di ballo) di Julien Duvivier, specialista del genere (ne diresse cinque). Quest'ultimo, più che come un f. a e. in senso stretto, si presenta come un racconto unitario costituito dall'intrecciarsi di varie storie parallele in qualche modo autonome, proponendo una tipologia che si ripresenterà anche in altri casi. In Italia tuttavia il f. a e. ha costituito un genere nel quale il cinema nazionale si è specializzato, al punto di realizzarne ben 14 esemplari nel solo 1964, anno nel quale un f. a e. italiano, Ieri oggi domani (1963) di Vittorio De Sica, vinse l'Oscar per il miglior film straniero. Si tratta di prodotti dal tono leggero e brillante, solo molto di rado drammatico ‒ in tal caso il precursore dovrebbe essere considerato Paisà (1946), il capolavoro neorealista di Roberto Rossellini ‒, che sin dagli inizi imboccarono percorsi diversi.
Ad aprire la strada a questo filone del cinema italiano fu l'ampio e imprevisto successo nel 1952 di Altri tempi ‒ Zibaldone n. 1 di Alessandro Blasetti, un prologo e otto capitoli tratti da altrettanti racconti italiani dell'Ottocento con l'impiego di molti divi popolari (Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Amedeo Nazzari, Gina Lollobrigida, per la quale lo sceneggiatore Alessandro Continenza coniò in quell'occasione l'espressione maggiorata fisica). Il f. a e. si sviluppò poi lungo linee diverse. Innanzitutto si può individuare un filone a indirizzo letterario, fatto di storie rintracciate nel repertorio novellistico nazionale e non solo. In questo ambito, oltre a Tempi nostri ‒ Zibaldone n. 2 (1954, dove lo stesso Blasetti replicò la formula appena inaugurata con otto racconti di scrittori del Novecento, più uno sketch originale di Age e Furio Scarpelli), si incontrano Questa è la vita (1954) di Giorgio Pàstina, Mario Soldati, Luigi Zampa e Aldo Fabrizi, con quattro racconti di L. Pirandello tra i quali La patente, diretto da Zampa, con un memorabile Totò; L'oro di Napoli (1954) di De Sica, con cinque racconti di G. Marotta, anche qui con Totò e con una Sophia Loren pizzaiola; Il matrimonio (1954) di Antonio Petrucci, con tre atti unici di A.P. Čechov riuniti in un unico racconto; Cento anni d'amore (1954) di Lionello De Felice, con sei episodi tratti da racconti scritti da autori vari tra il 1867 e il 1954; Racconti romani (1955) di Gianni Franciolini, ispirato ad alcuni racconti di A. Moravia cuciti insieme abbastanza grossolanamente. Nel 1952 Domenico Paolella scoprì grazie a Canzoni di mezzo secolo una seconda possibilità del genere, quella della serie di cartoline illustrate legate ciascuna a un motivo famoso; anche qui l'esito commerciale assai positivo fu subito replicato dallo stesso regista in Canzoni, canzoni, canzoni (1953), cinque episodi tra cui uno con il nuovo divo comico Alberto Sordi, e in Gran varietà (1954). La voga per le rassegne che ripercorrevano mezzo secolo originò anche il frettoloso, raffazzonato Amori di mezzo secolo (1954), cinque episodi diretti da Glauco Pellegrini, Antonio Petrangeli, Mario Chiari, Pietro Germi e Rossellini. La possibilità, poi ripresa nel decennio successivo, di impiantare un film solo su dive fu sondata in Siamo donne (1953) con un prologo (di Alfredo Guarini) e con Alida Valli, Ingrid Bergman, Isa Miranda e Anna Magnani che interpretavano sé stesse rispettivamente per Gianni Franciolini, Rossellini, Zampa e Luchino Visconti. Cesare Zavattini propose con L'amore in città (1953), e senza fortuna di pubblico, l'inchiesta giornalistica su fatti di cronaca; anche in questo caso i registi coinvolti furono numerosi: Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Federico Fellini, l'esordiente Francesco Maselli e Alberto Lattuada. Nel 1959 Blasetti inventò con Europa di notte il giro turistico di numeri di nightclub in varie nazioni, genere che altri si affrettarono a continuare.In un periodo di crescente richiesta di film italiani, culminato nel 1962, anno in cui il prodotto nazionale incassò il 52% del totale, il f. a e. si rivelò spesso un buon investimento, in quanto consentiva di sfruttare la popolarità di una star impiegandola in una partecipazione significativa, ma anche di mettere a frutto il breve periodo libero di un bravo regista o di saggiare le possibilità di un esordiente. Permetteva inoltre di assecondare quella velocità di commento a caldo, spesso satirico, sugli avvenimenti e sulle questioni di attualità, nel quale si stava specializzando la cosiddetta commedia all'italiana, e di esaltare la tendenza italiana alla storiella breve, magari sconfinando nella barzelletta ‒ come in Ridere! Ridere! Ridere! (1954) di Edoardo Anton ‒ più congeniale ai nostri scrittori rispetto a una narrazione sostenuta (come il romanzo). Talvolta registi diversi furono messi insieme a lavorare su un tema comune (Boccaccio '70, 1962, di Mario Monicelli, Fellini, Visconti e De Sica; Controsesso, 1964, di Franco Rossi, Marco Ferreri e Renato Castellani; Thrilling, 1965, di Ettore Scola, Gian Luigi Polidoro e Lizzani); talvolta l'unità del prodotto fu garantita dal regista unico (I mostri, 1963, di D. Risi, venti episodi anche brevissimi sui difetti degli italiani affidati a Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi; così come Made in Italy, 1965, di Nanni Loy, undici episodi riuniti in cinque gruppi; I complessi, 1965, di D. Risi, Rossi e Luigi Filippo d'Amico, regista quest'ultimo dello splendido episodio Guglielmo il dentone con Alberto Sordi; i licenziosi ‒ conseguenza del diffondersi di una mentalità più permissiva ‒ Se permettete, parliamo di donne, 1964, otto episodi e debutto nella regia di Scola, e Questa volta parliamo di uomini, 1965, di Lina Wertmüller; Marcia nuziale, 1966, di Ferreri, quattro episodi grotteschi che prendono di mira altrettanti aspetti dell'istituzione matrimoniale; Vedo nudo, 1969, di D. Risi, sette episodi). Talvolta lo stesso attore o la stessa coppia di attori dava prova di camaleontismo apparendo in episodi eterogenei, magari per registi diversi (Sordi e Silvana Mangano in La mia signora, 1964, di Tinto Brass, Luigi Comencini e Mauro Bolognini; I tre volti, 1965, di Antonioni, Bolognini e Franco Indovina, tentativo di lanciare nel cinema l'ex imperatrice Soraya; Le streghe, 1967, di Visconti, Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Rossi e De Sica, tutti al lavoro per Silvana Mangano; Noi donne siamo fatte così, 1971, dodici sketch con Monica Vitti, tutti diretti da D. Risi); inoltre, puntando sul numero, si tornò a concepire film imperniati sulle donne (Le bambole, 1965, di D. Risi, Comencini, Rossi e Bolognini; Le fate, 1966, di Luciano Salce, Monicelli, Bolognini, Antonio Pietrangeli; Le dolci signore, 1967, con quattro attrici, protagoniste di quattro storie intrecciate, dirette da Zampa). Talvolta il produttore assemblava prodotti assai dissimili, magari in origine non concepiti per lo stesso film, nella speranza, del resto spesso esaudita, che a richiamare il pubblico bastasse il migliore di essi (RO.GO.PA.G., 1963, dalle iniziali dei registi Rossellini, Jean-Luc Godard, Pasolini e Ugo Gregoretti, ricordato essenzialmente per La ricotta di Pasolini; Capriccio all'italiana, 1968, sei episodi per cinque registi ‒ Bolognini, Steno, Monicelli, Pasolini e Pino Zac ‒ tra i quali spicca Che cosa sono le nuvole? di Pasolini, ultima apparizione di Totò). Si riaffacciò ogni tanto il film-inchiesta vagheggiato da Zavattini (Le italiane e l'amore, 1961, di autori vari tra cui Gianvittorio Baldi, Ferreri, Maselli, Nelo Risi, Lorenza Mazzetti; I nuovi angeli, 1962, sei episodi e un prologo, esordio di Gregoretti; I misteri di Roma, 1963, firmato, tra gli altri, da Luigi Di Gianni, Enzo Muzii, Ansano Giannarelli, Libero Bizzarri, Lino Del Fra e Giuseppe Ferrara). Senza contare peraltro i due fortunatissimi e scandalosi pseudo-reportage girati in mezzo mondo e firmati da Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara (solo il primo) e Franco Prosperi, Mondo cane (1962) e Mondo cane 2 (1963). Più di rado, si tornò a esplorare la letteratura (L'amore difficile, 1962, quattro registi per quattro scrittori: spicca L'avventura di un soldato, da un racconto di I. Calvino con il debutto nella regia di Nino Manfredi; gli altri registi sono Alberto Bonucci, Luciano Lucignani e Sergio Sollima che adattarono racconti di M. Soldati, A. Moravia ed E. Patti); in un caso il tema unificante fu il Vangelo, anche se il vero argomento era il Sessantotto (Amore e rabbia, 1969, cinque episodi per cinque registi: Lizzani, Pasolini, Jean-Luc Godard, Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio).
La recessione che colpì duramente il cinema italiano negli anni Settanta e Ottanta si fece sentire anche nell'ambito del f. a e., spesso per sua natura bisognoso di euforia e magari di imprudenza. Alcune tematiche collaudate furono comunque riproposte talvolta con buoni risultati, soprattutto grazie ad Alberto Sordi, che brillò negli episodi di cui era protagonista in Contestazione generale (1970) di Zampa; Le coppie (1970) di Monicelli, De Sica e Sordi stesso; I nuovi mostri (1977) di Monicelli, D. Risi e Scola; Dove vai in vacanza? (1978) di Salce, Bolognini e Sordi. Non ravvivati da momenti particolari furono i film Di che segno sei? (1975, quattro episodi di Sergio Corbucci), Signore e signori, buonanotte (1976, quattordici episodi diretti da Comencini, Loy, Luigi Magni, Monicelli e Scola), Basta che non si sappia in giro!… (1976) di Loy, Magni e Comencini, che tuttavia servirono a proseguire la routine. Del tutto a sé la 'trilogia della vita' di Pasolini, da tre grandi classici: Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle mille e una notte (1974). Negli anni Ottanta però i f. a e. sono diventati rarissimi; si ricordano Sesso e volentieri (1982) di D. Risi, dieci episodi con Johnny Dorelli, e il non riu-scito Rimini Rimini (1987) di S. Corbucci, con varie storie che si intrecciano in un unico racconto. Sposi (1988) di Pupi e Antonio Avati, Cesare Bastelli, Felice Farina e Luciano Manuzzi, cinque storie di coppie che si uniscono in matrimonio nello stesso giorno, presenta tuttavia qualche originalità; come pure Mortacci (1989) di Sergio Citti, ironica galleria di personaggi che aspettano di entrare nell'altro mondo.Nell'ultimo decennio del secolo il f. a e. ha mostrato tuttavia qualche segno di ripresa. Mentre si è toccato probabilmente il fondo con Anni '90 (1992), otto episodi barzellettistici e piuttosto volgari di Enrico Oldoini per Christian De Sica, Massimo Boldi e altri, il genere è stato rivisitato con ambizioni maggiori e con varietà di argomenti, tra gli altri, da Giuseppe Tornatore, Marco Tullio Giordana, Giuseppe Bertolucci e Francesco Barilli in La domenica specialmente (1991, quattro episodi tratti da racconti di T. Guerra); da Nanni Moretti nell'autobiografico Caro diario (1993); da Pappi Corsicato in Libera (1993, tre ritratti di donne partenopee affidati alla stessa attrice, Iaia Forte); da una comune di ben undici aspiranti registi under 30 nell'horror De generazione (1994), superati come numero dai quattordici (tra cui Risi e Monicelli) di Esercizi di stile (1996), per due attori soli; e infine da cinque giovani registi napoletani ‒ Corsicato, Antonietta De Lillo, Antonio Capuano, Stefano Incerti e Mario Martone ‒ in I vesuviani (1997), aspro ritratto della loro città.
di Bruno Roberti
Mentre in Italia il f. a e. ha prevalentemente utilizzato la forma della commedia di costume arrivando a costituirne una formula privilegiata, più diversificato è stato l'uso che di questa struttura narrativa si è fatto in altre cinematografie.
Carl Theodor Dreyer in Blade af Satans bog (1921; Pagine dal libro di Satana) in Danimarca e David Wark Griffith con Intolerance (1916) negli Stati Uniti adottarono la costruzione a episodi legati da un tema che viene esemplificato nel corso della storia umana (ossia la presenza delle incarnazioni del diabolico per Dreyer e le declinazioni dell'intolleranza per Griffith), allineando diacronicamente i vari racconti dall'antichità al presente. Nel 1923 Buster Keaton diresse insieme a Eddie F. Cline una sorta di parodia del film di Griffith con The three ages (Senti, amor mio o L'amore attraverso i secoli) il cui episodio contemporaneo ridicolizza l'American way of life e quello 'preistorico' vede l'attore a cavallo di un dinosauro a disegni animati in una delle prime unioni di animazione e riprese dal vero. Un analogo esempio di tale commistione tra intenti satirici e film storico, in questo caso con venature erotiche, è la coproduzione franco-tedesco-italiana Le plus vieux métier du monde (L'amore attraverso i secoli) realizzata nel 1967 da Franco Indovina, Mauro Bolognini, Michael Pfeghar, Claude Autant-Lara, Jean-Luc Godard e Philippe de Broca, in cui la chiave del f. a e. offre la possibilità di raccontare la storia della prostituzione attraverso le varie epoche, con intenti umoristici. Anche lo spunto morale-religioso ha dato luogo a f. a e., per es. con due versioni diverse di uno stesso tema: Les sept péchés capitaux (1952; I sette peccati capitali) una coproduzione italo-francese diretta da Georges Lacombe, Eduardo De Filippo, Autant-Lara, Carlo Rim, Yves Allégret, Roberto Rossellini, Jean Dréville e il film tutto francese dallo stesso titolo, uscito nel 1962 e diretto da Sylvain Dhomme, Edouard Molinaro, de Broca, Jacques Demy, Godard, Claude Chabrol, Roger Vadim, entrambi divisi tra il bozzettismo, l'apologo d'autore e lo sketch satirico; oppure nelle variazioni sulla falsariga del decalogo biblico di Le diable et les dix commandements (1962; Tentazioni quotidiane) realizzato da Julien Duvivier.
Anche per i generi horror e fantastico il f. a e. ha costituito una formula in cui racconti inquietanti e del terrore sono stati a volte inanellati in una struttura circolare o a cornice come negli inglesi Dead of night (1945; Incubi notturni o Nel cuore della notte) di Basil Dearden, Alberto Cavalcanti, Robert Hamer, Charles Crichton, e Dr. Terror's house of horrors (1964; Le cinque chiavi del terrore) di Freddie Francis, altre volte ispirati a fonti letterarie, come i racconti di E.A. Poe nello statunitense Tales of terror (1962; I racconti del terrore) di Roger Corman o nella coproduzione franco-italiana Histoires extraordinaires o Tre passi nel delirio (1968) di Vadim, Louis Malle e Federico Fellini, o ancora ricavati da popolari serie televisive come negli statunitensi Twilight zone ‒ The movie (1983; Ai confini della realtà) di John Landis, Steven Spielberg, Joe Dante, George Miller, Amazing stories (1986; Storie incredibili) di Spielberg, Robert Zemeckis, William Dear, e Tales from the crypt (1989; I racconti della cripta) di Walter Hill, Zemeckis, Richard Donner. In alcuni casi il f. a e. ha costituito l'occasione per riunire in un'unica opera differenti sguardi di autore, diverse cifre registiche intorno a un unico set geografico, reale o metaforico, espressione di un clima culturale o storico-politico. Tra gli esempi film come Paris vu par… (1965) di Claude Chabrol, Jean Duchet, Godard, Jean-Daniel Pollet, Eric Rohmer, Jean Rouch, che offre una visione collettiva di Parigi legata alle atmosfere della Nouvelle vague (e di cui nel 1984 fu realizzato una sorta di sequel, Paris vu par… vingt ans après, di Chantal Akerman, Philippe Garrel, Bernard Dubois, Frédéric Mitterrand, Vincent Nordon, Philippe Venault); Deutschland im Herbst (1978; Germania in autunno) di Alexander Kluge, Volker Schlöndorff, Rainer Werner Fassbinder, Alf Brustellin, Bernard Sinkel, Katja Rupé, Hans Peter Cloos, Edgar Reitz, Maximiliane Mainka, Peter Schubert, sul terrorismo nella RFT degli anni Settanta visto dai registi del nuovo cinema tedesco; New York stories (1989) di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Woody Allen, un atto d'amore nei confronti della metropoli statunitense; Montréal vu par…(1991), girato nella città canadese da Denys Arcand, Michel Brault, Atom Egoyan, Jacques Leduc, Léa Pool, Patricia Rozema; Les rendez-vous de Paris (1995; Incontri a Parigi), tre episodi di Rohmer costruiti sulla topografia parigina. Ma in questo ambito anche luoghi notevolmente più circoscritti, come le stanze di un albergo, possono costituire il pretesto per ambientare un f. a e. come avviene in Mystery train (1989; Mystery train ‒ Martedì notte a Memphis) di Jim Jarmusch o in Four rooms (1995) di Allison Anders, Robert Rodriguez, Quentin Tarantino, Alexandre Rockwell. Seguono la logica narrativa del luogo deputato, crocevia di storie e destini che costituiscono i vari episodi, film come Subway stories: tales from the underground (1997; Subway stories ‒ Cronache metropolitane) diretto da dieci registi statunitensi (tra cui Jonathan e Ted Demme, Bob Balaban, Abel Ferrara, Alison MacLean) e ambientato nella metropolitana newyorkese, oppure il canadese Cosmos (1996) di Jennifer Alleyn, Manon Briand, Marie-Julie Dallaire, Arto Paragamian, André Turpin, Denis Villeneuve che, come anche Night on Earth (1992; Taxisti di notte ‒ Los Angeles New York Parigi Roma Helsinki) di Jarmusch, lega le varie storie sulla base della costante narrativa rappresentata da un taxi.La struttura a episodi si è ben prestata anche a zibaldoni cinematografici il cui spunto è stato di volta in volta letterario, musicale o teatrale. In O. Henry's full house (1952; La giostra umana) prestigiosi cineasti come Howard Hawks, Henry Koster, Henry Hathaway, Henry King, Jean Negulesco si misurano con il mondo di uno scrittore come O. Henry; in Le plaisir (1952; Il piacere) di Max Ophuls lo spunto sono le novelle di G. de Moupassant; nella coproduzione italo-franco-spagnola Le quattro verità (1962) diretto da Luis García Berlanga, René Clair, Hervé Bromberger, Alessandro Blasetti vengono adattate le favole di J. de La Fontaine in quattro variazioni d'autore; in Aria (1988), di produzione inglese, il mondo del melodramma viene filmato, attraverso vari brani operistici, da dieci cineasti, alcuni del calibro di Robert Altman, Derek Jarman, Godard, Ken Russell, Bruce Beresford. In un film come La ronde (1950) di Max Ophuls la derivazione dalla commedia schnitzleriana si riflette nella particolare struttura circolare in cui il girotondo delle varie storie si dipana fluidamente conservando l'autonomia degli episodi. Questa tipologia di storie intrecciate mediante un filo conduttore è stata usata da J. Duvivier non solo in film come Carnet de bal (1937; Carnet di ballo), dove lo spunto è offerto da un vecchio carnet della protagonista che si mette alla ricerca dei suoi antichi spasimanti, o nel caleidoscopio di storie di Sous le ciel de Paris (1951; Sotto il cielo di Parigi), quanto nei film girati dal regista francese negli Stati Uniti, come, per es., Flesh and fantasy (1943; Il carnevale della vita), in cui i tre bizzarri episodi vengono inquadrati nel racconto di un narratore che in qualche modo risulta metafora occulta del destino (così come avveniva nel film di Ophuls citato), e Tales of Manhattan (1942; Destino, noto anche come Destino su Manhattan), in cui è un abito che passa di mano in mano a collegare i vari episodi, una struttura 'a collana' resa celebre già dieci anni prima da If I had a million (1932; Se avessi un milione) di Lubitsch, Norman Taurog, Stephen Roberts, Norman Z. McLeod, James Cruze, William A. Seiter, Bruce H. Humberstone. La frammentarietà del sogno e le suggestioni pittoriche hanno dato spunto tanto a un f. a e. tardosurrealista come Dreams that money can buy (1948), girato negli Stati Uniti da Hans Richter, cui collaborarono Marcel Duchamp, Alexander Calder, Fernand Léger, Max Ernst e Man Ray, quanto all'antologia onirica Konna yume o mita (1990; Sogni) di Kurosawa Akira, così come l'idea del tempo, del suo trascorrere e del suo concentrarsi in un breve lasso di racconto è alla base di un esperimento che ha dato luogo a due lungometraggi a episodi, Ten minutes older: the trumpet (2002) e Ten minutes older: the cello (2002), cui hanno preso parte quattordici registi tra cui, per il primo, Werner Herzog, Aki Kaurismaki, Chen Kaige, Victor Erice, per il secondo Godard, Bernardo Bertolucci, Claire Denis, Mike Figgis.
La drammaticità di due guerre come quella del Vietnam e quella del Golfo ha costituito la base di riflessione per due f. a e. come Loin du Viêt-nam (1967; Lontano dal Vietnam) di Alain Resnais, William Klein, Joris Ivens, Agnés Varda, Claude Lelouch, Chris Marker e Godard e Ḥarb al-H̠alīǧ wa ba ῾d (1991; La guerra del Golfo… e dopo!) diretto tra gli altri da Borhane Alaouié, Néjia Ben Mabrouk, Nouri Bouzid, così come il trauma dell'attentato alle torri gemelle è stato oggetto degli episodi di 11' 09''01 ‒ September 11 (2002) diretto da undici registi tra cui Youssef Chahine, Amos Gitai, Lelouch, Idrissa Ouedraogo, Sean Penn.