VITALE, Filippo
Figlio di Marino e di Laudonia Di Carlo, nacque a Napoli tra il 1589 e il 1590, e fu battezzato con ogni probabilità nella parrocchia di S. Giorgio Maggiore (D’Alessandro, in Filippo Vitale, 2008, pp. 7-9).
Il 1° ottobre del 1612 sposò nella chiesa di S. Maria della Carità Caterina Di Mauro, adottando i cinque figli che la vedova aveva avuto da Tommaso Di Rosa, morto nel 1610 (p. 10). Di questi, Diana e Giovan Francesco Stefano (meglio noti come Annella e Pacecco), battezzati rispettivamente il 20 maggio 1602 e il 27 dicembre 1607, intrapresero, al pari sia del padre che del patrigno, la carriera di pittori, mentre Maria Grazia, battezzata il 30 marzo 1605, contrasse matrimonio con il valenzano Juan Do nel 1626 (pp. 10 s.). Dall’unione tra Filippo e Caterina nacquero invece sei figli, tra i quali il primogenito Carlo Andrea, che il 5 novembre del 1613 fu tenuto a battesimo da Carlo Sellitto e da Giovanna Grauso, madre di Andrea Vaccaro, e la terzogenita Orsola Margherita, battezzata il 2 febbraio del 1620, la quale nel 1639 andò in moglie ad Aniello Falcone (pp. 11 s.).
Marino Vitale esercitava il mestiere d’indoratore nella strada di Monteoliveto, dove anche Sellitto aveva bottega (p. 9). Non sorprende, pertanto, che il primo committente di Filippo di cui abbiamo notizia sia da identificare in Giovanni Di Napoli, abate del monastero di S. Maria di Monteoliveto, che richiese al giovane un «S. Francesco», documentato al 18 maggio 1613, e successivamente una «Madonna con più figure», un «Crocifisso et altre figure» e una «S. Francesca», per i quali il 1° aprile del 1615 versò un acconto di cinque ducati (Porzio, in Filippo Vitale, 2008a, p. 15). Inoltre, tra il 1617 e il 1619 il pittore lavorò per Giovan Battista Noris, Giovan Donato Correggio e Annibale Cortoni (pp. 16 s.), committenti di Giovan Battista Caracciolo e di Sellitto nella distrutta chiesa di S. Anna dei Lombardi, che sorgeva a pochi passi dalla fondazione olivetana.
Vitale frequentò di sicuro l’atelier di Sellitto, con il quale aveva condiviso l’apprendistato presso il fiammingo Louis Croys nel primo decennio del secolo (Porzio, 2019, pp. 80, 175). Alla morte di Carlo, avvenuta prematuramente il 2 ottobre del 1614, Filippo si occupò della vendita di alcuni dei suoi beni e del completamento dell’impressionante Crocifisso che il più anziano collega aveva avuto l’incarico di realizzare per la chiesa napoletana di S. Maria in Cosmedin a Portanova, da cui l’opera fu trafugata nel marzo 1993 (pp. 206 s., n. A21). Vitale dovette apprendere da Croys e da Sellitto la tecnica del ritratto, ch’egli praticava già nel 1616 (Porzio, in Filippo Vitale, 2008a, p. 16), e la resa preziosa e micrografica delle superfici, maturata quasi certamente anche grazie alla conoscenza di Louis Finson e degli altri maestri nordici di stanza a Napoli.
Tra la fine del 1616 e la metà del 1619 Filippo realizzò l’Adorazione dei pastori, la Circoncisione, l’Adorazione dei Magi e la Pentecoste per il soffitto dell’Annunziata di Capua, alla cui decorazione parteciparono Giovan Battista Caracciolo, Giovan Vincenzo Forlì e il quasi sconosciuto Sebastiano Populi (Porzio, 2018). L’impresa, tra le più significative dell’arte napoletana nel primo Seicento, fu sfigurata dai bombardamenti alleati del 1943 e dai ritardati e malaccorti restauri che la interessarono tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento (Pacelli, 1984a).
L’altro punto fermo nella cronologia della produzione superstite dell’artista è rappresentato dalla Madonna col Bambino tra i ss. Gennaro, Nicola di Bari e Severo già nella chiesa napoletana di S. Nicolò alle Sacramentine e dal 1991 in deposito al Museo di Capodimonte. La pala, dalla schietta facies naturalistica e dal solido impianto monumentale, fu commissionata da Cesare Carmignano per la non più esistente cappella estaurita di S. Nicola a Pozzobianco, e venne pagata al pittore il 3 novembre 1618 (Porzio, 2014). Carmignano, l’influente nobile del seggio di Montagna che patrocinò l’omonimo acquedotto che riforniva la città di Napoli, dovette essere soddisfatto del risultato, se il 18 maggio dell’anno successivo versava un acconto al medesimo Vitale per una composizione, dispersa, «con la figura di Nostra Signora di Costantinopoli, s. Severo e s. Gennaro glorioso», da destinare a un suo oratorio privato a Casoria (ibid.).
L’aggiornamento sugli esordi napoletani di Jusepe de Ribera, già rilevabile nell’ancona delle Sacramentine, impronta altri capisaldi della maturità del maestro, quali l’Angelo Custode, siglato, alla Pietà dei Turchini di Napoli (Bologna, 1991, pp. 75, 78, 99; Rocco, 1991, p. 280, n. 2.31) e il S. Pietro liberato dal carcere del Musée des Beaux-Arts di Nantes (A. Hémery, in L’âge d’or de la peinture à Naples. De Ribera à Giordano (catal., Montpellier), a cura di M. Hilaire - N. Spinosa, Paris 2015, pp. 110 s., n. 12), che rivela affinità significative pure con la pala dello stesso soggetto che Battistello Caracciolo dipinse nel 1615 per il Pio Monte della Misericordia (Causa, 1994b, p. 204).
All’attività di Vitale tra la fine del secondo e la prima metà del terzo decennio del Seicento è stato ricondotto di recente il gruppo di opere radunato a lungo, sulla scorta di un’intuizione di Roberto Longhi, sotto il nome di comodo del Maestro dell’Emmaus Heim (più tardi ribattezzato Maestro dell’Emmaus di Pau: Bologna, 1991, pp. 63, 66). Al name-piece, la Cena in Emmaus già presso la galleria Heim di Parigi e in séguito approdata al Musée des Beaux-Arts di Pau (Navarro, 1991, p. 268, n. 2.13), sono stati congruamente associati l’Astronomo del Musée Girodet di Montargis (p. 269, n. 2.15); il S. Andrea dinanzi al proconsole Egeas presso Fabio Massimo Megna a Roma (p. 268, n. 2.14; Bologna, 1991, pp. 63, 66; Porzio, 2019, pp. 175 s., nota 31); il Martirio di s. Sebastiano in collezione privata fiorentina (Causa, 1994a); la Cena in Emmaus già presso Frascione a Firenze (Giacometti - Porcini - Porzio, in Filippo Vitale, 2008, p. 109, tav. 37); e, infine, la Negazione di s. Pietro in collezione privata milanese (Papi, 2005, pp. 58, 60 s.). La cifra inconfondibile di queste invenzioni, contrassegnate da impaginazioni arcaiche e rigorose e da un tratto pittorico unito e mimetico, che giunge a una restituzione del dato di natura così cruda da apparire talvolta provocatoria, aveva indotto a riconoscervi la paternità di un seguace nordico di Caravaggio attivo a Napoli nei primi anni del secolo (cfr. Porzio, 2012). L’identificazione del Maestro dell’Emmaus di Pau in Vitale è stata invece suggerita da Gianni Papi (in Filippo Vitale, 2008) e, in termini ancor più espliciti, da Vincenzo Pacelli (in Filippo Vitale, 2008, p. 33). Nuovi argomenti a favore di tale ipotesi sono stati proposti da Giuseppe Porzio, il quale ha attribuito al maestro napoletano due tele inequivocabilmente congiunte allo stile e al campionario fisionomico dell’anonimo: il Martirio di s. Biagio del Tweed Museum of Art di Duluth, Minnesota (Porzio, 2009a), e la precoce Cena in Emmaus già presso Leegenhoek a Parigi, della quale sono note altre due redazioni (Porzio, 2012; Papi, 2017, p. 18).
A partire dalla fine degli anni Venti Vitale mise a punto una versione edulcorata del suo linguaggio, influenzata dalla pittura bolognese e dalle aperture classicheggianti di Massimo Stanzione, nella quale sono ravvisabili un allentamento della tensione naturalistica, un’intensificazione della gamma cromatica e una rilettura in termini decorativi e virtuosistici dell’inclinazione iperrealistica di partenza. Tale formula riscosse un notevole successo commerciale, tanto da essere divulgata in modo seriale dalla bottega del maestro, dove dovette presto distinguersi la personalità di Pacecco, destinato a succedere a Filippo nella gestione dell’impresa familiare (Pacelli, 2008). Fra le prove più rilevanti di questa fase, in cui le spettanze tra patrigno e figliastro non appaiono sempre perspicue, vanno ricordati quanto meno il Compianto sul Cristo morto, firmato per esteso da Vitale, nel monastero napoletano di S. Maria Regina Coeli, all’origine della composizione di Pacecco nel Museo di S. Martino (pp. 19-21; G. Porzio, in Pacelli, 2008, pp. 298 s., n. 30); la Madonna col Bambino e s. Carlo Borromeo nella basilica di S. Domenico Maggiore a Napoli (M. Di Mauro, in Pacelli, 2008, pp. 273 s., n. 1); il Riposo durante la fuga in Egitto della Pinacoteca D’Errico a Palazzo S. Gervasio, Potenza (V. Pacelli, in Id., 2008, p. 278, n. 5); la Giuditta e Oloferne presso Maurizio Nobile a Parigi (N. Spinosa, in Artemisia Gentileschi e il suo tempo (catal., Roma), Milano 2016, pp. 284 s., n. 79); il Martirio di s. Orsola transitato da Caylus a Madrid, su cui è esemplata la tela di Pacecco in collezione privata napoletana (G. Porzio, in Filippo Vitale, 2008, pp. 79-81, nn. 11-12); e, infine, le differenti interpretazioni, quasi tutte di qualità ragguardevole, della Fuga di Lot da Sodoma conservate in collezioni private (Forgione, 2014).
Vitale morì il 18 marzo del 1650. Nei registri dei morti di S. Giuseppe Maggiore, di cui era parrocchiano, è ricordato che il suo corpo fu seppellito nel cimitero del convento della chiesa, secondo le indicazioni che il pittore stesso aveva fornito nel testamento (Pacelli, 1984a, p. 100). Nondimeno, nei libri dei defunti di un’altra chiesa, S. Giovanni Maggiore, è riportato che «Philippo Vitale», «marito di Catarina», venne sepolto a «Monte Calvario» (D’Alessandro, in Filippo Vitale, 2008, p. 13).
F. Bologna, Opere d’arte nel salernitano dal XII al XVIII secolo (catal., Salerno), Napoli 1955, p. 64 nota 2; V. Pacelli, Testimonianze, considerazioni e problemi di restauro sui dipinti seicenteschi dell’Annunziata di Capua, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa, Milano 1984a, pp. 85-119; Id., in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), I, Napoli 1984b, pp. 181, 498-504, nn. 2.274-2.277; C. Paolillo, Un inventario dei beni del principe di San Martino redatto da F. V. ed Andrea Abate, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1985, pp. 113-132; G. De Vito, Un contributo per F. V., in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Napoli 1987, pp. 105-111; V. Pacelli, F. V. nel secondo decennio del Seicento al seguito di Carlo Sellitto, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Napoli 1990, pp. 187-200; F. Bologna, Battistello e gli altri. Il primo tempo della pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli (catal.), a cura di F. Bologna, Napoli 1991, pp. 15-180 (in partic. pp. 63, 66, 69-116); F. Navarro, ibid., pp. 268 s., nn. 2.13-2.15; L. Rocco, ibid., pp. 276-282, nn. 2.25-2.34; S. Causa, Postilla al Maestro dell’Emmaus di Pau, in Paragone, XLV (1994a), 527, pp. 37-41; Id., Note di primo naturalismo: un contributo per F. V., ibid., 1994b, 529-533, pp. 203-211; Id., Gli amici nordici del Caravaggio a Napoli, in Prospettiva, 1999, n. 93-94, monografico: Omaggio a Fiorella Sricchia Santoro, II, pp. 142-157; G. Papi, Finson e altre congiunture di precoce naturalismo a Napoli, in Paragone, LII (2001), 619, pp. 35-47; Id., Maestro dell’Emmaus di Pau, in Il genio degli anonimi. Maestri caravaggeschi a Roma e a Napoli (catal.), a cura di G. Papi, Milano 2005, pp. 57-63; M. Cesari, Una Maddalena penitente: un tassello nel percorso di F. V., in Kronos, 2007, n. 11, pp. 93-103; V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa. 1607-1656, Napoli 2008; F. V. Novità ed ipotesi per un protagonista della pittura del ’600 a Napoli (catal.), coordinamento scientifico di G. Porzio, Milano 2008 (in partic. D.A. D’Alessandro, Verifiche documentarie e nuove ipotesi per la data di nascita di F. V., pp. 7-13; G. Porzio, Regesto documentario, 2008a, pp. 15-19; Id., Breve riepilogo della vicenda critica, 2008b, pp. 21-23; V. Pacelli, Tra rinnovamento e tradizione: i capisaldi di F. V., pp. 25-33; U. Giacometti - D. Porcini, Considerazioni sulla formazione e gli esordi, pp. 35-41; G. Papi, Il Maestro dell’Emmaus di Pau e F. V. Tracce dell’influenza di Cecco del Caravaggio a Napoli, pp. 43-55; U. Giacometti - D. Porcini - G. Porzio, Repertorio fotografico, pp. 92-125, tavv. 1-70); M. Cesari, Postille sulle «novità ed ipotesi» di una mostra dedicata a F. V., in Kronos, 2009a, n. 12, pp. 165-190; Id., Ipotesi su un San Sebastiano curato da Irene, ibid., 2009b, n. 13, monografico: Scritti in onore di Francesco Abate, pp. 181-186; G. Porzio, Ancora su F. V. Nuove acquisizioni, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Napoli 2009a, pp. 113-122; Id., in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), a cura di N. Spinosa, I, Napoli 2009b, pp. 76-82, nn. 1.11-1.15; Id., F. V. La Cène à Emmaüs (ou les Pèlerins d’Emmaüs), in Regards croisés. Sur quatre tableaux caravagesques (catal.), Paris 2012, pp. 14-23, 37; M. Di Mauro, Note su F. V. e i pittori della sua cerchia, in Studi di storia dell’arte, 2013, n. 24, pp. 187 s.; M. Cesari, F. V. nella pittura di Francesco Guarini: un rapporto da riconsiderare, in Francesco Guarini. Nuovi contributi, 2, a cura di M.A. Pavone - M. Pasculli Ferrara, Napoli 2014, pp. 101-112; G. Forgione, Una nuova "Fuga di Lot" di F. V., in Arte cristiana, CII (2014), pp. 101-104; G. Papi, Da Spadarino a F. V., in Id., Spogliando modelli e alzando lumi. Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggesco, Napoli 2014, pp. 157-163; G. Porzio, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio. Pittura a Napoli nel primo Seicento (catal., Napoli), a cura di M.C. Terzaghi, Cinisello Balsamo 2014, pp. 176-178, n. 31; G. Papi, Novità per Carlo Sellitto, in Davanti al naturale. Contributi sul movimento caravaggesco a Napoli, a cura di F. De Luca - G. Papi, Milano 2017, pp. 7-21; M. Cesari, Il «senso delle cose» nel "Compianto sul corpo di Abele" di F. V. Un caso iconografico nella Napoli del ’600, in L’Officina di Efesto, I (2018), pp. 25-43; G. Porzio, Il soffitto della chiesa dell’Annunziata a Capua. Nuovi documenti e precisazioni (e una nota su Giovanni Bernardino Azzolino), in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2017-2018, Napoli 2018, pp. 102-128; Id., Carlo Sellitto. 1580-1614, Napoli 2019, ad ind.; A. Russo, Sulla prima ora del caravaggismo a Napoli, in Caravaggio Napoli (catal., Napoli), a cura di M.C. Terzaghi, Milano 2019, pp. 81-91 (in partic. pp. 88-90).