Villani, Filippo
, Cronista e letterato fiorentino (1325-1405). Figlio di Matteo (v.) e nipote di Giovanni (v.), vede il suo nome tradizionalmente legato al completamento di quelle Croniche che pongono la famiglia V. al centro della vita politica trecentesca e della letteratura fiorentina coeva. Ma, come ebbe a notare Hans Baron, più di questo lavoro (esteso fino all'anno 1364, dopo la morte del padre Matteo avvenuta nella peste del 1363) - che evidenzia al più uno storico di schietta municipalità toscana - merita attenzione la produzione tarda dello scrittore, successiva al 1380, quando il V., cancelliere a Perugia dal 1376 al 1381, sembra venire incontro, dedicandosi tutto alle lettere, a istanze di cultura umanistica e soprattutto a un'interpretazione di D. che ha un posto nella complessa esegesi della fin de siècle trecentesca.
Se nella pratica cronistica " in volgare " del V. si riconoscono i costumi letterari di un annalista tardo-gotico, già con l'opera " latina " Liber de origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus (scritta tra il 1381 e il 1388 in prima redazione [codice Laurenziano Ashburnhamiano 942] e ripresa in nuova stesura tra il 1395 e il 1397 [codice Barberiniano XXXII 130, ora Vat. Barb. 2610]), ci troviamo al cospetto di un genere letterario parzialmente rinnovato e di una cultura che ha fatto tesoro del magistero erudito boccacciano e dell'umanesimo civile di Coluccio Salutati, amico e corrispondente del Villani.
Il Liber si presenta infatti come evocazione umanistica della Firenze " del buon tempo antico " dalle origini a Matteo V.: diviso in due parti, narra nella prima le leggende sulla fondazione di Fiesole e dell'antica Firenze; nella seconda (la più importante) si dilunga in una ‛ pinacotheca ' di personaggi celebri o memorandi della città (poeti, teologi, giuristi, fisici, oratori, astrologi, capitani, pittori e musici). La tecnica narrativa prescelta è quella assai retorica degli elogia biografici (poi canonici nella cultura quattrocentesca: forse il Giannozzo Manetti del De Illustribus longaevis e l'Anonimo magliabechiano delle Vite di XIV huomini singhulary in Firenze dal 1400 innanzi debbono qualcosa al V.), ma non manca mai l'approfondimento del dato erudito - di notevole esattezza nei confronti di un artista come Giotto - e la coscienza di un impegno politico che favorisce i ritratti di D., Petrarca e Boccaccio.
Proprio il ‛ medaglione ' dantesco (De Vita et moribus Dantis poetae comici insignis), scritto con affettuosità memoriale di tipo boccacciano (il Trattatello in laude di D. ne è fonte) e un ethos che deriva dal Salutati del De Saeculo et religione e pare preludere alla Vita dantesca di L. Bruni, costituisce il cuore dell'opera e, forse, il vertice letterario di questo scrittore.
Il V. infatti, non pago di tracciare la consueta liturgia biografica (la descriptio persone del poeta, la sua vita nobilmente schiva e studiosa), presenta, con orgoglio, un D. " officiosus civis " e modello di universalità di cultura (" ingenii praeacuti et locupletissimi... atque intellectus proponendum divini "). Ma soprattutto, con operazione indubbiamente originale, correla il poeta a Giotto e Cimabue, in un trittico di voci artistiche ‛ moderne ' nel quadro di un'evoluzione dell'arte che, per il V., nel periodo compreso tra Claudiano e D., conoscerebbe solo un desolante abissus tenebrarum. Tesi ragguardevole in ordine alla coscienza di una certa idea di Medioevo, che il V. tenta d'integrare in senso estetico proponendo la Commedia come opera sacrale (" opus angelicum "), e identificandone il messaggio nel suo eccezionale carattere di esperienza totalizzante (che descrive " hominum mores, actusque, virtutes et vitia ").
Pochi anni dopo la stesura del Liber, già celebre tra i contemporanei come eliconius vir, il V. ha la possibilità di passare dall'apologetica laus Dantis a più concreti approdi al testo della Commedia. Cade infatti negli anni tra il 1391 e il 1402 il mandato dello Studio fiorentino per condurre, dalla cattedra che era stata del Boccaccio, " lecturae Dantis Aldigheri cum salario florinorum centum quinquaginta pro anno " (cfr., per i documenti, U. Marchesini, F. V., cit. in bibl.). L'anziano cronista vi si dedica con grande impegno critico in una duplice direzione: il restauro testuale della Commedia e un Comentum esegetico a tutti i canti, in latino.
Il codice Laurenziano di Santa Croce (26 sin. 1) è la prima tappa di quest'attività, un lavoro filologico di pregio, opera, naturalmente, non di un critico testuale, quanto piuttosto di un ‛ copista per passione ', certo da avvicinare ad altri illustri notai-retori amanuensi coevi (ad es. Ser Santi da Vailana copista del codice Laurenziano Ashburnhamiano 834 o Ser Guido da Pratovecchio trascrittore del codice Corsiniano 1365). Il codice, tra i più importanti per la tradizione antica della Commedia, ha sempre attirato l'attenzione degli esegeti (basti pensare al Foscolo, al Witte, al Barbi), anche perché, traditi da una datazione (1343) apposta dalla mano quattrocentesca di Sebastiano de Bucellis, per lungo tempo gli studiosi hanno creduto di trovarsi al cospetto di un codex vetustissimus, mentre invece, come ha dimostrato il Petrocchi (Introduzione 11 ss.), ribadendo la datazione del lavoro (1391), il codice del V. s'inserisce nella tradizione dei testi postboccacciani, anche se non mancano scelte originali e geniali contaminazioni che rendono questo testimone prezioso tra i preziosi.
Il Comentum del V. (che nacque forse parallelamente alla stesura del codice della Commedia) ci è giunto purtroppo mutilo e circoscritto al solo primo canto dell'opera nel codice Chigiano LVII 253; pur conservando nel frammento tramandato il sapore di un introductorium ad usum scholarium. Il V. vi affronta, con esiti assai ineguali, una lettura della Commedia in netta chiave profetica, condotta secondo i quattro livelli esegetici (letterale, allegorico, morale e anagogico) stabiliti dalla medievale pratica dell'accessus ad auctores. A questo proposito il V. utilizza - ed è fatto di primaria importanza - categorie dedotte dall'epistola a Cangrande, attribuita senz'ombra di dubbi a D. stesso. Se si aggiunge a questo documento la presenza di altre fonti importanti (Bibbia, Virgilio, Claudiano, Pomponio Mela, Maimonide, Bernardo Silvestre ed esegeti come Pietro, Guido da Pisa e, forse, il Bambaglioli) si può capire come il pericolo di sincretismo pesi su questa ‛ lettura ', aggravata anche da un latino assai grigio che pare scomoda prerogativa del V. (cfr. le censure che sullo stesso notevole Liber dette il Salutati [in Epistolario, a c. di F. Novati, III, Roma 1891, 373 e 481; e in marginalia pungenti glossando il codice Ashburnhamiano 942, ad es. a f. 36v]). Dall'insieme dell'esegesi, ora stringata, ora effusiva, emerge comunque una chiave interpretativa di tipo ‛ figurale ': per il V. il D. agens della Commedia ripeterebbe nella sua anabasi tra civitas infernalis e Ierusalem coelestis la dialettica dell'homo viator cristiano alla ricerca di un ordine comunque perduto nella storia. In tal modo D. sarebbe ‛ figura ' individua di poeta e modello dell'umanità intiera alla ricerca del riscatto sotto l'egida della ragione (Virgilio), della teologia (Beatrice) e della fede (s. Bernardo): " ita tamen, ut in ipsius poetae typo omnium sit ingenium unicum viatoris hominis, pro temporis qualitate diversimode variatum ". Questa tesi tropologica (che ha analogie con passi dell'inedita stesura del Comentum di Pietro [codice Vaticano Ottoboniano latino 2687, ad es. c. 212r]) è comunque tormentata da digressioni moraleggianti (sul viaggio di Enea e D.; sul veltro-dux-imperator) e spesso dall'incapacità di legare questa struttura trascendente all'immanenza della storicità della Commedia dantesca. Il V. confonde, con un'intercambiabilità inaccettabile per un intellettuale del maturo Trecento, le categorie del poeta vates e del poeta theologus, tentando però con l'idea dell'homo viator assunto a categoria di venire incontro a certe istanze di unità strutturale, che avranno la loro sanzione più tardi, nel nostos tra hyle e nous presente nella lettura platonica di un Landino, che del V. parve ricordarsi nell'Apologia Dantis che precede il suo Commento alla Commedia del 1481. Riconoscimento tardivo per un cronista che, sempre desideroso di cogliere l'aurora di tempi nuovi, rimase per presenza di matrici medievali, come ha detto il Baxandall, suo più recente studioso, un " semi-humanist ", capace d'intendere il passato con la fantasia di un classicista e la passionalità di un " uomo di parte ".
Bibl. - Opere. Per le Croniche, di solito pubblicate in appendice alle edizioni di G. e M. V., in mancanza di un'edizione critica, si rinvia, tra le tante ristampe, a quella di Trieste, 1857. Manca un'edizione critica o comunque soddisfacente del Liber: il De Origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus ex codice Mediceo Laurenziano nunc primus editus..., a c. di G. C. Galletti, Firenze 1847, unica edizione integrale dell'opera, è in realtà basato sul codice Laurenziano Gaddiano LXXIX inf. 23, che è copia scorretta del Laurenziano Ashburhnamiano 942. Bisogna pertanto preferire edizioni derivate dal codice barberiniano, ma purtroppo limitate alle sole biografie di D., Petrarca e Boccaccio, come quella curata da D. Moreni, Vitae Dantis, Petrarchae et Boccacii a Philippo Villanio scriptae ex codice barberiniano, Firenze 1826; o quella di A. Solerti, in Vite di D., Petrarca e Boccaccio scritte fino al sec. XVI, Milano, s.d. [ma 1904]. Sul volgarizzamento della seconda parte del De origine civitatis Florentiae: G. Tanturli, Il " De' viri inlustri di Firenze " e il " De Origine civitatis Florentiae "... di F.V., in " Studi mediev. " s. 3, XIV (1973) 833-881. Unica edizione del Comentum: F.V., Il Commento al primo canto dell'Inferno, a c. di G. Cugnoni, Città di Castello 1896. Studi. Sul Liber, v. G. Calò, F.V. e il Liber de origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus, Rocca San Casciano 1904; H. Baron, La crisi del primo Rinascimento italiano (1955), traduz. ital. Firenze 1970, 343-346 e passim; M. Baxandall, Giotto and the Orators, Oxford 1971 (cap. F.V. and the Pattern of Progress). Sulla tecnica narrativa del Liber, v. A. Massèra, Le più antiche biografie del Boccaccio, in " Zeit. Romanische Philol. " XXVII (1903) 209 ss.; C.A. Madrignani, Di alcune biografie umanistiche di D. e Petrarca, in " Belfagor " XVIII (1963) 29-32. Sull'idea di una rinascita D.-Giotto da valutarsi come superamento del Medioevo, esiste, anche circoscritta al solo V., una biografia vastissima, in gran parte di storici dell'arte che considerano fondamentali le pagine di Filippo. Tra gli studi più celebri ricordiamo: J. von Schlosser, Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters, Vienna 1896, 370 ss.; ID., Zur Geschichte der Kunsthistoriographie; F. Villanis Kapitel über die Kunst in Florenz, in Präludien, Berlino 1927, 261 ss.; ID., La letteratura artistica, traduz. ital. Firenze 19674, 52-53, 106 ss.; C. Frey, Il libro di Antonio Billi, Berlino 1892, 73 ss.; L. Venturi, La critica d'arte alla fine del Trecento (V. Cennini), in " L'Arte " XXVII (1925) 233 ss.; H. Weisinger, Renaissance Theory of the Revival of the Fine Arts, in " Italica " XX (1943) 163 ss.; F. Antal, La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel Trecento, e nel primo Quattrocento, traduz. ital. Torino 1960, 527-531; M. Bonicatti, Studi sull'Umanesimo, Firenze 1969, 82 ss.; E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell'arte occidentale, traduz. ital. Milano 1971, 31. Sull'ambiente culturale del V., orientano ancora assai bene taluni interventi di storici: R. Palmarocchi, I V. (Giovanni, Matteo, Filippo), Torino 1937; cui possono aggiungersi, per taluni documenti, N. Faraglia, Alcune notizie intorno a Giovanni e Filippo V., in " Arch. Stor. Province Napoletane " XI (1886); U. Marchesini, Due mss. autografi di Filippo Villani, in " Arch. Stor. Ital. " s. 5, II (1888) 366-393; B.L. Ullman, F. Villani's Copy of his History of Florence, in Studies in the Italian Renaissance, Roma 1955, 241 ss.; W.K. Ferguson, Il Rinascimento nella critica storica, traduz. ital. Bologna 1969, 37-38. Sul codice Laurenziano del V., vedi La D.C. di D.A. ricorretta sopra quattro dei più autorevoli testi a penna da C. Witte, Berlino 1862, pp. LXVIII-LXIX; M. Barbi, Per il testo della D.C., Roma 1891; M. Casella, Studi sul testo della D.C., in " Studi d. " VIII (1924) 6-7, 23; G. Petrocchi, L'antica tradizione manoscritta della Commedia, in " Studi d. " XXIV (1957) 12 ss.; Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, Firenze 1957, 34; Mostra di codici ed edizioni dantesche, ibid. 1965, 57-58. Sul V. lettore di D.: U. Marchesini, F.V. pubblico lettore della D.C. in Firenze, in " Arch. Stor. Ital. " s. 5, XVI (1895) 273-279. Sul Comentum, oltre la recensione di L. Rocca al testo edito dal Cugnoni (in " Bull. " IV [1897] 81-95), sono da vedere: E. Cavallari, La fortuna di D. nel Trecento, Firenze 1921, 225-228; A. Ciotti, Il concetto di " figura " e la poetica della " visione " nei commentatori danteschi della Commedia, in " Convivium " III (1962) 412 ss.; F. Mazzoni, La critica dantesca nel sec. XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 289-290, 296-297; B. Sandkühler, Die früben Dantekommentare und ihr Verhältnis zur mittelalterlichen Kommentartradition, Monaco 1967; P. Brieger, Pictorial Commentaries to the Commedia, in Illuminated Manuscripts of the Divine Comedy, a c. di P. Brieger, M. Meiss e C.S. Singleton, I, Princeton 1969, 88-89; B. Basile, Il " Comentum " di F. V. al canto I della " Commedia ", in " Lettere Ital. " II (1971) 197-224.