VALENTINI, Filippo
– Nacque a Modena nel 1512 da Girolamo e da Taddea Molza, ed ebbe sette fratelli.
La sua famiglia apparteneva all’élite cittadina ed era in stretti rapporti con i duchi d’Este. Filippo ne seguì le tracce, ma si distinse anche per il suo impegno culturale e religioso, presto orientato verso l’eterodossia, godendo della protezione degli organi di governo della città e degli Estensi. Il letterato e sodale Ludovico Castelvetro lo descrisse come un giovane di precoci e notevoli doti intellettuali.
Valentini si formò alla scuola di Dionigi de’ Trimbocchi e soprattutto dell’umanista Panfilo Sassi, inquisito per le sue idee radicali (di matrice pomponazziana), ma protetto dal patriziato modenese. Brillante studente di diritto a Bologna, Valentini si laureò in utroque nel 1529 e partecipò forse al circolo di Achille Bocchi. Iniziò la sua carriera politica nel 1529 come assessore del podestà di Bologna Alfonso Sadoleto, per svolgere poi importanti incarichi e missioni diplomatiche per il Consiglio modenese dei Conservatori, malgrado le accuse di eresia. Nel 1532 sanò una controversia per l’approvvigionamento delle truppe e, nel 1540, rappresentò la Comunità presso Ercole II d’Este in una causa tra religiosi; fu membro della Compagnia di Santa Maria dei Battuti, amministratrice dei beni dell’ospedale, di cui riformò i capitoli nel 1541. Rinsaldò la sua posizione sociale il matrimonio contratto nel 1537, per volere del cardinale Jacopo Sadoleto, con la sua ricca nipote Margherita degli Erri, vedova con un figlio.
La sua attività culturale e religiosa corse parallela: autore di versi già nel 1527-29 (per una certa Giulia Robbia, non conservati), nel 1530 contribuì alla fondazione dell’Accademia modenese, che divenne il centro della cultura e del movimento eterodosso della città con fama nazionale. Priva di carattere istituzionale, l’Accademia fu promossa dal medico Giovanni Grillenzoni ed ebbe tra i suoi membri, oltre a Castelvetro, Francesco, Antonio e Bartolomeo Grillenzoni, Gabriele Falloppia, Niccolò Machella, Camillo Molza, Pellegrino degli Erri, Francesco Camorana, Ludovico Monte, Francesco Porto, Giovanni Bertari. Lo studio dei classici si accompagnò a quello dei problemi religiosi, con esiti eterodossi anche grazie alla lettura del Sommario della Sacra Scrittura, che nel 1537 fu occasione di una parodia ai danni del canonico Serafino da Fermo, il quale aveva condannato sia il libro sia la ‘setta luterana’ degli accademici; l’intervento del cardinale Sadoleto scongiurò la scomunica.
Nel 1535 per volere del Consiglio dei Conservatori fu nominato lettore di umanità nello Studio modenese e l’anno successivo ottenne per Francesco Porto l’insegnamento di greco. Un lungo libello sull’eccellenza del volgare (perduto), scritto su istanza del cardinale Sadoleto durante la polemica tra Paolo Sadoleto e Antonio Fiordibello, costituì il primo intervento di Valentini su una questione che l’avrebbe a lungo occupato, in particolare con la traduzione in ottave dell’Ars poetica di Orazio (rimasta manoscritta). Della sua produzione poetica ben poco è stato conservato: un poema, quattro epigrammi e dieci sonetti, nei quali assunse a modello Francesco Petrarca; diversi furono dedicati agli accademici. Si avvicinò al valdesianesimo grazie a Benedetto Varchi, cui fu legato dal 1525, e a Pietro Bembo, sui sonetti del quale scrisse le Annotazioni. A Padova frequentò ‘spirituali’ e fautori del rinnovamento della Chiesa, tra cui Ludovico Beccadelli, Gian Matteo Giberti, Reginald Pole, Luigi Alamanni e Gasparo Contarini, che lo assunse come segretario dopo averlo ascoltato recitare un suo componimento in latino sull’ascesa di Cristo in cielo, nel 1535 nella Cappella papale, mentre svolgeva l’incarico di accompagnatore del nipote dell’arcivescovo di Santa Severina, Matteo Sertorio.
Nel 1537 Valentini tornò a Modena e divenne ben presto il capo del movimento filoprotestante cittadino. Assunto un ruolo pastorale nella comunità, con la predicazione e la somministrazione della Cena (secondo la dottrina riformata), Valentini si astenne apertamente dalle cerimonie cattoliche e favorì, con gli altri accademici, la presenza di predicatori eterodossi come Antonio da Castellina, Egidio da Bergamo, Bernardino Ochino, Giovanni Bertari, Giorgio Filalete, detto il Turchetto, e soprattutto quella di Camillo Renato, delle cui dottrine spiritualistiche divenne fervente seguace. L’intervento a suo favore compiuto da Valentini presso Ercole II e altolocate protezioni consentirono a Renato di superare nel 1540 il processo inquisitoriale. Valentini si mobilitò poi con il cugino Bonifacio, sacerdote nel capitolo del duomo, in favore del predicatore ‘eresiarca’ Girolamo Teggia, collaboratore degli accademici. Durante il colloquio di Ratisbona, si legarono al circolo viterbiense di Pole che suggerì loro (senza esito) di presentare il Catechismo di Juan de Valdés come testo per il formulario di fede imposto loro dal vescovo Giovanni Morone e da Contarini nel 1542. Fallito il tentativo di influire su Contarini divenendo suo ‘auditore in civile’ a Bologna, Valentini fuggì lasciando al cardinale una lettera significativa del proprio agire. Fu infine costretto a sottoscrivere il formulario con i suoi sodali il 1° settembre, scegliendo da allora la via della dissimulazione.
Il passaggio di Morone agli ‘spirituali’ e il costante sostegno del Consiglio cittadino permisero però la continuazione della propaganda che, con l’ausilio della predicazione di Bartolomeo Della Pergola, Bartolomeo Fonzio, Tommaso Bavellino, rese Modena una «Achademia errorum» (Il processo inquisitoriale..., 2011-2015, I, p. 285) fino agli anni Settanta del Cinquecento. Valentini fu molto influenzato dalle loro dottrine, in particolare da quelle radicali di Della Pergola, che ripropose in un sonetto elogiativo premesso al Della vera tranquillità dell’animo di Ortensio Lando (1544). Grazie a Giovan Battista Scotti ottenne testi riformati d’Oltralpe e contatti con le comunità di Bologna e di Ferrara, raccolte intorno a Renata di Francia; a Modena sostenne il predicatore Giovanni Francesco da Bagnacavallo.
Ai primi anni Quaranta risale il suo trattato pedagogico Il principe fanciullo, dedicato a Ercole II e a Renata d’Este per il futuro duca Alfonso (inedito sino al 2000). Precoce esempio di antimachiavellismo, il testo costituì un’originale sintesi delle concezioni pedagogiche e politiche erasmiane e dei molteplici interessi dell’autore. L’azione inquisitoriale fu neutralizzata dai duchi estensi e dai protettori in Curia e ignorata dal Consiglio dei Conservatori, che lo confermò nei suoi ranghi nel 1542, 1543, 1545, 1547 con incarichi prestigiosi (sovrintendente alle opere pubbliche e capo degli Ufficiali per l’Unione delle opere pie modenesi, responsabile della complessa gestione delle confraternite cittadine); nel 1544 fu nominato commissario della località di San Martin dei Ruberti. Tuttavia, nel 1547 Valentini si allontanò accettando l’incarico di auditore del governatore di Parma Camillo Orsini e l’anno successivo di podestà di Trento offertogli dal cardinale Cristoforo Madruzzo, entrambi vicini agli ‘spirituali’. Al rientro in patria nel 1550 fu iscritto nell’elenco dei dottori collegiati, venne eletto due volte nel Consiglio comunale e nel 1552 sindaco di Modena, carica per cui occorreva ascendenza illustre e «ottima condicione e fama» (de Bianchi, detto Lancellotti, 1862-1884, VIII, p. LXXX) e che lo impegnò nel governo complessivo della città. In linea con le sue idee, organizzò un esercito cittadino e proibì il meretricio. Celebrò Carlo V per la Pace di Augusta con un lungo poema dai contenuti irenici di impronta erasmiana. Nel 1555, a seguito del mutamento della politica del duca e forse per le pressioni di Annibal Caro, fu convocato a Roma dal S. Uffizio insieme con Castelvetro, Bonifacio Valentini e Antonio Gadaldino, nonostante l’abiura in forma privata fatta di fronte al vescovo di Modena Egidio Foscarari. Non sortendo effetto le vivaci proteste del Consiglio cittadino e le iniziative del segretario ducale Giovan Battista Pigna, nel 1557 fuggì in Valtellina. In una lettera di commiato ad Alfonso d’Este manifestò l’amarezza per il fallimento storico del suo ideale di sovrano, garante del bene e della difesa dei suoi sudditi, e delle sue aspettative di cambiamento della Chiesa. Ercole II cercò comunque di difenderne la reputazione e gli interessi nella controversia insorta con la moglie per la dote.
Dopo deludenti esperienze professionali e religiose a Coira (al servizio degli ambasciatori francesi Matthieu Coignet e Jean-Jacques de Cambray) e a Zurigo (nel 1560-62), si stabilì a Chiavenna inserendosi nella cerchia degli esuli italiani ‘non conformisti’. Affidò a Francesco Betti i suoi manoscritti per farli stampare dal basileese Konrad Waldkirch, meditando di tornare in Italia. A causa dell’intransigenza del pastore Scipione Lentolo, nel 1570 si trasferì a Piur, dove morì in data ignota, dopo il 1572.
Fonti e Bibl.: F. Valentini, Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata e Ercole II d’Este, a cura di L. Felici, Firenze 2000 (introduzione alle pp. 1-154 con tutti i riferimenti documentari).
G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, V, Bologna 1781-1786, pp. 306-319; T. de Bianchi, detto Lancellotti, Cronaca modenese, a cura di C. Borghi - L. Lodi - G. Ferrari Moreni, Parma 1862-1884, ad ind.; L. Castelvetro, Racconto delle vite d’alcuni letterati del suo tempo scritto per suo piacere, in app. a G. Cavazzuti, Lodovico Castelvetro, Modena 1903, pp. 10-14; S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone, Milano 1979, ad ind.; Ead., Dai Paesi Bassi all’Italia. Il “Sommario della Sacra Scrittura”. Un libro proibito nella società italiana del Cinquecento, Firenze 1997, ad ind.; A. Roncaccia, Ludovico Castelvetro e F. V. in due sonetti di corrispondenza, in Italique, V (2002), pp. 77-92; L. Felici, Frammenti di un dialogo. Ludovico Castelvetro e i suoi rapporti con gli Accademici modenesi, in Ludovico Castelvetro. Letterati e grammatici nella crisi religiosa del ’500, a cura di M. Firpo - G. Mongini, Firenze 2008, pp. 315-355; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, con la collaborazione di L. Addante - G. Mongini, I-III, Roma 2011-2015, ad ind.; M. Firpo - G. Maifreda, L’eretico che salvò la Chiesa. Il cardinale Giovanni Morone e le origini della Controriforma, Torino 2019, ad indicem.