STROZZI, Filippo.
– Nacque a Firenze il 4 gennaio 1489 da Filippo e da Selvaggia Gianfigliazzi con il nome di Giovan Battista. Alla morte del padre, il 14 maggio 1491, la madre decise di chiamarlo Filippo (fu detto il Giovane per distinguerlo dal genitore).
Ebbe precettori Marcello Virgilio Adriani per il latino e fra Zanobi Acciaiuoli per il greco. Il giovane mostrò una spiccata predilezione verso le lingue classiche e continuò a praticarle per tutta la vita. Tuttavia la sua carriera, nella tradizione di famiglia, era destinata ai negozi mercantili e bancari. Cominciò a farsi le ossa a Napoli, la città in cui suo padre si era esiliato per diversi anni prima di rientrare in patria.
In sua assenza, a Firenze la madre trattò con Alfonsina Orsini, vedova di Piero de’ Medici, per un’alleanza matrimoniale con la cospicua dote di 6000 ducati per la figlia primogenita Clarice. La promessa di matrimonio, resa pubblica, fu contrastata dal governo di Pier Soderini. Secondo Francesco Guicciardini (1998), Strozzi «non si curava del giudizio de’ foggiettini», cioè del popolo minuto (p. 479). Rientrato a Firenze alla fine del 1508, affrontò un processo e venne condannato a pagare una multa di cinquecento ducati d’oro e fu bandito per tre anni (ma il bando fu presto revocato). Era in città alla fine del 1510 quando Prinzivalle Della Stufa tentò un colpo di mano promediceo, denunciato prontamente alle autorità repubblicane. Ma il gonfalonierato era ormai in crisi. Dopo il sacco di Prato, nella notte fra il 31 agosto e il 1° settembre 1512 Soderini fuggì da Firenze, i Medici rientrarono in città e ne ripresero il controllo assoluto: «Non c’è controversia alchuna, né azzoppato una sola gallina», commentò Strozzi scrivendo al fratello Lorenzo il 18 settembre (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, Serie terza, 178, 90).
Nei mesi successivi, l’elezione del cardinale Giovanni de’ Medici al soglio pontificio come Leone X cambiò improvvisamente le prospettive di Strozzi. Pur contrastato dalla fazione di Giuliano de’ Medici, Filippo era sostenuto fieramente da sua suocera Alfonsina. La familiarità di Strozzi con il cognato Lorenzo gli permise di ottenere accesso privilegiato al papa, che andò a visitare regolarmente. Nella primavera del 1514 Strozzi si trattenne a Roma per cercare di ottenere favori. Lo stesso Lorenzo si trasferì nell’Urbe per otto mesi dal settembre 1514 al maggio 1515, e durante quel soggiorno consolidò i suoi rapporti con il pontefice. Il 15 maggio 1515 Strozzi rientrò a Firenze insieme con il cognato. Da Roma, Benedetto Buondelmonti gli scrisse il 18 maggio, concludendo: «el Machiavello non pagate se non quello vorrà per amor di Francesco Vettori etc.» (Archivio di Stato di Firenze, MAP, CVIII 148bis, c. 2r). Questa testimonianza indurrebbe a pensare che Strozzi, con la mediazione di Vettori, compensò Niccolò Machiavelli per la scrittura del Principe, la cui copia dedicata a Lorenzo de’ Medici, fu presumibilmente consegnata prima del 23 maggio, data in cui fu resa ufficiale la sua nomina a capitano delle milizie fiorentine.
Nel giugno del 1515 divenne ufficiale la nomina di Strozzi a depositario della Camera apostolica e del Comune di Firenze. Questa doppia carica gli permise, nel corso degli anni a venire, di gestire i fondi cittadini e di stornarli direttamente nelle casse del papa (secondo i calcoli di Melissa Bullard, 1980, la somma totale fu di quattro milioni di ducati). Strozzi sostenne finanziariamente Lorenzo de’ Medici, tenutosi a distanza di sicurezza dal teatro di guerra in Lombardia. Dopo la battaglia di Marignano, in cui il giovane Francesco I trionfò contro gli imperiali, Strozzi accompagnò Lorenzo a Vigevano e a Milano per ingraziarsi il re vittorioso. Strozzi, in qualità di ambasciatore fiorentino presso Francesco I (sebbene non abbia esercitato mai veramente la carica) sostenne le spese di quel soggiorno fino al congresso di Bologna di dicembre, in cui il papa e il re si incontrarono.
Il patto segreto fra la Chiesa e la Francia prevedeva un’aggressiva politica papale, con un colpo di mano su Siena, dove Strozzi si recò personalmente nel marzo del 1516 e fu accolto dal nuovo leader cittadino, Raffaele Petrucci, il quale lo aiutò a districarsi da uno scandalo che lo aveva visto protagonista di una visita notturna in un convento cittadino. Il matrimonio con Clarice non fu tra i più felici. Secondo Benedetto Varchi, che lo conosceva bene, Strozzi fu «intemperatissimo, non guardando né a sesso né a età né ad altri rispetti» (1838-1841, II, p. 589). Strozzi fu coinvolto spesso in tresche con cortigiane, le cui lettere furono intercettate dalla moglie gelosa, che fece delle scenate non al marito, ma al suo socio d’affari, Francesco del Nero, cognato di Machiavelli.
La mossa che cambiò il destino di Strozzi fu la conquista di Urbino nel giugno del 1516. La prima fase fu relativamente facile, e il titolo ducale fu trasferito quasi senza colpo ferire a Lorenzo de’ Medici per ordine del papa, ma la vera guerra di Urbino scoppiò nel gennaio del 1517, quando il delegittimato duca Francesco Maria Della Rovere si ripresentò in forze sul proprio territorio e fu accolto dai propri fedeli sudditi. Strozzi fece del suo meglio per ottenere denari e sostenere lo sforzo di riconquista del piccolo ducato, ma la mancanza di leadership si rivelò fatale. Lorenzo fu ferito alla testa il 29 marzo 1517, lasciando il campo al legato, il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena. I costi del conflitto divennero presto insostenibili. Leone X riuscì ad assicurarsi enormi entrate grazie alla confisca dei benefici dei cardinali accusati di aver cospirato contro di lui (Petrucci, Sauli, Riario, Soderini e Adriani) e, il 1° luglio 1517, con l’elevazione di trentuno nuovi cardinali.
Chiuso il capitolo urbinate, Lorenzo doveva trovare moglie in Francia. Strozzi accompagnò il cognato durante le feste per il matrimonio con Madeleine de la Tour d’Auvergne, che si svolsero fra il maggio e il luglio del 1518, pur non nascondendo il proprio desiderio di tornare a casa. Tuttavia quel soggiorno gli permise di stabilire duraturi contatti con la corte di Francesco I che sarebbero stati cruciali in futuro.
Al rientro a Firenze Strozzi era considerato insieme con Francesco Vettori l’uomo più influente sul duca, ma dopo la nascita di Caterina de’ Medici morirono quasi simultaneamente la madre e il padre di quest’ultima, non senza un segreto sollievo di Strozzi, che non stimava affatto il cognato. L’orfanella fu affidata inizialmente a Clarice. Alla morte della suocera Alfonsina nel febbraio del 1520 scoppiò una disputa rancorosa sull’eredità, perché la nonna decise di designare come erede la nipotina, lasciando solo la legittima alla figlia Clarice che per rivalsa sottrasse alcuni gioielli di famiglia. Quando nel dicembre 1521, in circostanze sospette, morì anche Leone X, non c’era quasi nessuno dei suoi familiari che non gli fosse creditore di somme sostanziose. Nonostante l’elezione di Adriano VI, Strozzi riuscì tuttavia a mantenere il titolo di depositario della Camera apostolica; in quel periodo di dichiarata morigeratezza continuò le sue pratiche finanziarie piuttosto disinvolte.
Nel novembre del 1523 la nomina di Giulio de’ Medici con il nome di Clemente VII rappresentò un ritorno in auge di Strozzi, scelto come uno degli ambasciatori della Repubblica per congratulare il papa. Il fortissimo legame di interdipendenza fra il pontefice e il suo banchiere mise a dura prova le brillanti capacità di Strozzi il quale sapeva di dipendere dal ‘fiato’ cioè dalla salute fisica di Clemente.
Pur eletto con il sostegno della fazione imperiale, e in particolare del cardinale Pompeo Colonna, che assunse il titolo di vicecancelliere a lungo tenuto da Giulio de’ Medici, il nuovo papa decise verso la fine nel 1524 di schierarsi dalla parte della Francia. Il re scese in Italia con un potente esercito e iniziò l’assedio di Pavia. Ma il 24 febbraio 1525 avvenne la clamorosa sconfitta e la cattura del re. Clemente VII fu costretto a una difficile giravolta diplomatica, pur avendo perso la fiducia di Carlo V, che covava un profondo desiderio di vendetta nei suoi confronti.
Strozzi cercò di agire discretamente da consigliere e si fece intermediario del rinnovato favore del papa verso Machiavelli, di cui aveva sempre sostenuto il talento letterario e l’intelligenza politica (1525). Il 31 marzo 1526 Strozzi scrisse a Machiavelli una lunga lettera semiseria, descrivendo i suoi incontri con Barbara Salutati, la cantante e attrice che si esibiva nelle rappresentazioni della Mandragola. Nell’agosto del 1526 diede al papa lettere di Machiavelli con l’audace proposta di assalire il regno di Napoli.
La reattiva strategia di Machiavelli non ebbe seguito, ma il titubante pontefice si ritrovò presto in grave difficoltà. Il 20 settembre 1526 avvenne il disastroso sacco dei Colonna, che si concentrò sul Borgo vaticano. Il papa, su insistenza di Strozzi, trovò rifugio in Castel Sant’Angelo, mentre la città era occupata. Strozzi si offrì come ostaggio nelle mani degli imperiali per garantire la non belligeranza del papa contro i Colonna. Invece, Clemente VII scatenò una formidabile operazione contro i castelli colonnesi a sud di Roma.
Vedendosi a mal partito, Strozzi prese contatto con i fuorusciti fiorentini, in particolare con Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni, già ammiratori di Machiavelli negli Orti Oricellari, dichiarando di leggere «continuamente Livio et la Politica d’Aristotile, che da l’uno mi pare trarre la pratica, et da l’altro la theorica da huomo da bene, et virile cittadino» (Albertini, 1970, p. 184; Elam, 1993, p. 41). Erano letture da repubblicano estremista, tipiche dei boni homines ciceronianamente e oligarchicamente intesi. Al di là dei proclami ideologici, Strozzi intendeva salvarsi a ogni costo. Nel febbraio 1527 firmò una promessa segreta con il cardinale Colonna: in cambio della libertà senza versare il riscatto, si impegnò a far cacciare i Medici da Firenze. Tornato a Roma nell’aprile 1527, fu accolto gelidamente da Clemente VII. A dispetto del divieto di lasciare l’Urbe, il 3 maggio 1527 Clarice e Strozzi presero la via del mare usando un’imbarcazione fornita loro dagli Orsini, e giunsero a Livorno l’11 maggio, dopo aver indugiato un paio di giorni a Pisa, mentre le notizie sul sacco di Roma cominciavano ad arrivare in Toscana.
Rientrato a Firenze, Strozzi adottò una strategia molto più subdola ed efficace: comunicò al clan mediceo che il depositario, Francesco del Nero, aveva interrotto i pagamenti. Invitò quindi tutti i membri della famiglia a lasciare Firenze, il che avvenne fra il 16 e il 17 maggio. Nel racconto di un anonimo fiorentino i medicei avevano bisogno di «denari e Francesco del Nero allora depositario gliene negò animosamente, mosso si disse da Filippo Strozzi per essere suo creato [...] gli avea provvisti molto larghamente col credito di Filippo e suo, e allora inbrattatto gli neghò per il tutto. Cortona, sendo vile d’animo e di natione, ciedette il tutto a Filippo e ali altri cittadini e’ quali pensorno di ordinare un modo, come lo chiamorno di mettere lo stato in diposito sino a che si vedessi che seguìa del papa» (Firenze, Biblioteca nazionale, II.III.433, c. 67r).
Dopo la mancata consegna della fortezza di Pisa, Strozzi subì una vertiginosa perdita di credito. La ‘casta’ che si ritrovava in palazzo Medici fu oggetto di dicerie e bersaglio di intimidazioni fisiche, da cui non fu esente neanche il gonfaloniere Niccolò Capponi. La morte di Clarice nel maggio del 1528 offrì a Strozzi il pretesto per lasciare Firenze alla volta della Francia per affari. Nel 1529 si stabilì a Lucca durante l’assedio di Firenze. Alla caduta della Repubblica fiorentina nell’agosto 1530 procurò frumento agli affamati cittadini e riguadagnò parte del credito perduto.
Nel gennaio del 1532 uscì per i tipi di Antonio Blado l’editio princeps del Principe di Machiavelli con dedica a Strozzi ‘principe imaginativo’. Consapevole che Alessandro de’ Medici stava per essere prescelto come duca di Firenze, Strozzi affermava così in modo obliquo la sua indipendenza. Nelle parole di Varchi, «non aveva né capo alle repubbliche, né ambizione di regnare, ma solo d’essere amico a chi reggeva, di maniera che non gli fossero posti accatti né balzelli, e potesse non solamente portar l’arme, ma cavarsi (essendo uomo de’ suoi piaceri) le sue voglie» (1838-1841, II, p. 589). Fra le sue passioni vi erano la poesia e la musica (compose sonetti, anche per Tullia d’Aragona, e madrigali).
Offrì 20.000 ducati per la costruzione a Firenze di quella che sarebbe diventata la Fortezza da Basso (e la sua prigione). In quel frangente la priorità era ricucire il rapporto con Clemente VII, alleandosi con il comune scopo di portare a termine il matrimonio di Caterina de’ Medici con Enrico d’Orléans, che fu celebrato nell’ottobre del 1533 a Marsiglia. Compito di Strozzi era provvedere l’ingente dote della sposa, per un totale di 130.000 ducati. Il banchiere fu in grado di versare solo una parte della somma in contanti, e per gli anni a venire ebbe grandi difficoltà finanziarie cercando di bilanciare crediti e debiti. Si trattenne in Francia in qualità di nunzio fino all’estate del 1534. Alla morte di Clemente VII rientrò a Roma per ritrovarsi coinvolto in un virulento scandalo: i suoi agenti furono accusati di aver speculato sul prezzo del grano. La furia popolare fu attutita da un processo che gli comminò una multa relativamente bassa, ma la posizione di depositario con il nuovo pontefice Paolo III non fu confermata e i sospetti di malversazione vennero a galla. Per precauzione, Strozzi aveva distrutto i registri dei suoi conti per la Camera apostolica.
Ma il vero problema era a Firenze. L’ascesa di Alessandro de’ Medici come duca, voluta dal papa, diventò la sua nemesi. Nel dicembre del 1534 morì sua figlia Luisa, avvelenata forse su ordine del duca. E i contrasti di quest’ultimo con il cugino cardinale Ippolito de’ Medici, che rivendicava il ruolo di primo cittadino con il sostegno di Strozzi, esplosero violentemente. Nel giugno del 1535 fu scoperto un complotto per far saltare in aria il duca: l’ispiratore, Gian Battista Cybo, confessò di aver agito in sintonia con Ippolito, che si allontanò da Roma dove non volle tornare nonostante l’insistenza di Strozzi. Partito verso la Sicilia, durante una sosta a Itri, il cardinale cadde malato e morì il 10 agosto. Tutti sospettarono il duca di averlo avvelenato. Strozzi si circondò di guardie del corpo e rinvigorì la propria azione contro il duca. Alla fine dell’anno si recò a Napoli, dove giunse Carlo V, vittorioso a Tunisi. L’imperatore ascoltò le proteste dei fuorusciti capeggiati da Strozzi e dal cardinale Giovanni Salviati, ma non aveva nessuna intenzione di mettersi contro il proprio futuro genero (promesso alla figlia illegittima Margherita d’Austia). Le tensioni aumentarono durante il 1536, tramite gli incessanti viaggi in Francia e le prime prodezze militari in Piemonte del figlio Piero.
Il 6 gennaio 1537 avvenne l’inatteso omicidio di Alessandro per mano di Lorenzino de’ Medici, il «Bruto toscano», come Strozzi lo ribattezzò prontamente quando lo incontrò a Venezia. Superata l’iniziale diffidenza, gli promise di far sposare ai propri figli Piero e Roberto le sue sorelle. Quindi Strozzi condusse le preparazioni belliche da Bologna, criticando la debolezza dei cardinali Salviati e Ridolfi. Gli altalenanti atteggiamenti di Strozzi sono registrati negli scambi con Francesco Vettori e il fratello Lorenzo. Le lettere con Vettori sono dei documenti di eccezionale interesse per la storia politica e intellettuale di Firenze, e sono degne dei due più intimi amici di Machiavelli. Alla fine il realismo cinico di Vettori prese ancora una volta il sopravvento. Nonostante i propositi guerreschi, Strozzi si rifugiò a Ferrara dove si diede «buon tempo» in compagnia della cortigiana Tullia d’Aragona, che frequentava da almeno un decennio.
L’affrettato arruolamento e il caotico trasferimento delle truppe guidate dal figlio Piero portò alla sconfitta di Montemurlo il 1° agosto 1537. Strozzi si ritrovò intrappolato nella villa del suo alleato Baccio Valori. Dopo la cattura, tutti i fuorusciti furono decapitati a eccezione di Strozzi, imprigionato nella Fortezza da Basso, che lui stesso aveva contribuito a costruire. Il castellano Alessandro Vitelli usò la taglia di 50.000 ducati per proteggere l’incolumità dell’illustre ostaggio. Nella lotta diplomatica alla corte imperiale in Spagna, gli inviati di Cosimo, Averardo Serristori, e del cardinale Cybo, Antonio Guiducci, insistettero sulla necessità di eliminare il temibile avversario. L’inviato speciale, Bernardo Tasso, non riuscì a ottenere che vaghe rassicurazioni dai ministri imperiali.
Durante l’ozio forzato della prigionia, Strozzi tradusse Plutarco in latino e Polibio in italiano, dedicando l’operetta Del modo dell’accampare al suo «conservatore» Vitelli (fu stampata nel 1552 per i tipi del Torrentino, senza la dedica originale). Ma già nel giugno 1538 Vitelli fu costretto a cedere il controllo della Fortezza da Basso a don Juan de Luna, e il destino di Strozzi fu segnato, nonostante gli sforzi di tutti i parenti e amici, inclusa la delfina di Francia Caterina de’ Medici.
Non vi sono dubbi che fu lo stesso Strozzi a togliersi la vita il 18 dicembre 1538; lo confermano una lettera di Cosimo de’ Medici ai suoi agenti alla corte imperiale (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 3, cc. 99r-101v; Misc. Medicea, 54, 34, cc. 6-11) e un inedito rapporto del segretario di Pirro Colonna al suo signore (Archivo general de Simancas, Estado, Leg. 1439, 222). Strozzi riuscì ad allontanare i suoi carcerieri con uno stratagemma e si recise la gola con una spada, dopo aver lasciato un testamento (G.B. Niccolini, Filippo Strozzi, 1847, pp. 323-331) compendiato dalla citazione virgiliana «Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor» che profetizzava la vendetta dei suoi discendenti sui responsabili della sua morte. Il suo desiderio di esser seppellito nella cappella di famiglia in S. Maria Novella accanto alla moglie Clarice non fu esaudito.
La figura di Strozzi – evocata con empatia nella lunga Vita scritta dal fratello Lorenzo – secondo Vanni Bramanti (2017) incarna il «perfetto uomo del Rinascimento» con una «esistenza magnifica», tale da entrare nella «galleria degli eroi cari ai nostri romantici e risorgimentali antenati» (pp. 78 s.). Oltre alla tragedia di Gian Battista Niccolini (1847), va ricordato il romanzo storico Luisa Strozzi di Giovanni Rosini. Nel dramma di Alfred de Musset, Lorenzaccio, Strozzi incarna invece un moralista un po’ insipido, accanto al brillante protagonista: un’inversione di ruoli intellettuali e storici.
Fonti e Bibl.: C. Guasti, Le Carte Strozziane del R. Archivio di Stato in Firenze. Inventario. Serie prima, I, Firenze 1884 e II, 1891, passim. Moltissimi documenti sparsi nelle Serie seconda-quinta, ed è possibile darne solo un sintetico censimento: Serie terza, 50 (Polibio per Vitelli); 108 e 178 (lett. a Lorenzo Strozzi); 110 (lett. a Francesco del Nero); fondamentali le lettere miscellanee raccolte in Serie quinta, 1207-1209. Una selezione di tutte queste lettere è edita in G.B. Niccolini, Filippo Strozzi. Tragedia corredata d’una vita di Filippo e di documenti inediti, Firenze 1847, contributo che resta fondamentale con quello di A. Bardi, Filippo Strozzi (da nuovi documenti), in Archivio storico italiano, s. 5, XIV (1894), pp. 3-78. Su Filippo poeta, miscellanee di poesia cinquecentesca in Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi, 504 e Biblioteca nazionale, Magl., VII.360.
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