ROSA MORANDO, Filippo
– Nacque il 19 novembre 1732 a Verona, nella parrocchia di S. Vitale, da Marcantonio e da Lodovica Bianchini, sorella di Giuseppe e nipote dell’archeologo, scienziato e storico Francesco Bianchini.
Il padre possedeva una ricca biblioteca di classici greci, latini e italiani. Rosa Morando studiò al collegio di S. Sebastiano dei gesuiti di Verona, avendo come maestro Valerio Baggi, il quale attendeva con Francesco Antonio Zaccaria all’edizione veronese del commento alla Commedia di Pompeo Venturi, più fedele al manoscritto originale rispetto a quelle già uscite nel 1732 e nel 1739. L’edizione uscì nel 1749 con il padre di Rosa Morando fra i sottoscrittori.
La grande aspettativa che Rosa Morando riponeva in quest’opera venne però delusa: leggendola, annotò alcune Osservazioni che pubblicò nel 1751.
Si tratta di una serie di schede dedicate a 25 passi dell’Inferno, a 34 del Purgatorio e a 27 del Paradiso, che diventano rispettivamente 36, 33 (con l’aggiunta di un’osservazione e l’eliminazione di altre due) e 27 (con l’aggiunta di un’osservazione e l’eliminazione di un’altra) nella seconda edizione, dove il tono diventa più aspro nei confronti di Venturi, accusato anche di imperizia nella valutazione delle figure poetiche e di scarsa conoscenza dell’italiano antico; le chiose aumentano di ampiezza, aprendosi anche a discussioni linguistiche più generali.
Una delle schede contenute nelle Osservazioni, relativa al celebre incipit di Purgatorio IX sulla «concubina di Titone antico», suscitò una piccola schermaglia. Scipione Maffei scrisse due lettere sull’esegesi del passo (Epistolario, a cura di C. Garibotto, II, Milano 1955, pp. 1357 s., 1380-1383), mentre il veronese Antonio Tirabosco nel 1752 pubblicò la Considerazione sopra un passo del Purgatorio di Dante Alighieri. Venturi credeva si trattasse dell’alba della Luna e che i «passi» con cui la Notte «sale» fossero le «ore orientali», e dunque stessero per scoccare le prime tre ore della notte (oggi parleremmo delle nove di sera). Rosa Morando pensava invece all’alba del Sole; i «passi» sono le quattro vigilie in cui si può dividere la notte: le nove ore della notte (le tre del mattino, in termini odierni). Le «stelle» ornano la fronte non dell’alba, secondo Rosa Morando, ma dell’Oriente. Tirabosco controbatte a questa ricostruzione e ribadisce l’interpretazione di Venturi. Rosa Morando replica a sua volta nella Lettera al padre Giuseppe Bianchini (1754, pp. 50-69), non mutando opinione. Nell’edizione del 1757 delle Osservazioni Rosa Morando ripropone la sua interpretazione, ma in modo meno apodittico, affacciando anche la possibilità che il «freddo animale» sia la costellazione dei Pesci, per ovviare alla difficoltà sintattica, rilevata da Tirabosco, derivante dal riferire «sua fronte» non alla Concubina, ma all’Oriente (questa infatti, e non lo Scorpione, è la costellazione con cui sorge il Sole in primavera).
In una breve recensione alle Osservazioni, Zaccaria le definì «bazzecole da nulla, e false» (Storia letteraria d’Italia, V, Venezia 1753, pp. 54 s.), difendendo Venturi dall’accusa mossagli da Rosa Morando di non avere trovato nel Vocabolario della Crusca alcune parole usate da Dante e obiettando che Venturi aveva scritto il suo commento prima dell’apparizione della quarta edizione della Crusca (1729-1738). Rosa Morando rispose nella Lettera al padre Giuseppe Bianchini, nella quale rende omaggio a Baggi, respingendo le imputazioni antigesuitiche che gli erano state mosse da Baggi stesso in una lettera indirizzata a un amico e svolgendo un’approfondita analisi del commento di Venturi, definito un’epitome di commenti precedenti.
Rosa Morando considera «facilissima cosa» (p. 22) scrivere un commento alla Commedia, attesa la grande copia di commenti già realizzati; tuttavia, nei pochi passi del poema che richiedono davvero di essere chiariti, Venturi non ha osato (o saputo) avanzare una sua proposta esegetica. Vengono quindi aggiunte otto nuove chiose a passi dell’Inferno, sette delle quali andranno a far parte dell’edizione del 1757. Sulla questione del rapporto con la quarta edizione della Crusca, Rosa Morando nota che dalla chiosa a Purgatorio II, 97 si evince che il commento è stato composto nel 1730; in altri luoghi, inoltre, sono citate alcune opere di Maffei composte dopo il 1728 (ma i riferimenti a queste ultime saranno stati inseriti da Baggi). Analizzando inoltre alcune delle anonime «contronote» che erano state inserite a piè di pagina nell’edizione del 1739 del commento, Rosa Morando osserva che le chiose presenti nell’edizione del 1749 rispondono alle obiezioni delle contronote, quindi sono state rimaneggiate dopo l’uscita della quarta edizione della Crusca; nel commento, inoltre, si imputano alla Crusca alcuni errori presenti nella terza edizione del Vocabolario, ma corretti nella quarta.
Nel 1755 Rosa Morando pubblicò due tragedie, il Medo e la Teonoe, dichiarate imitazioni della Merope di Maffei: simile la trama (sono tutte tratte da Igino), identica la scelta di evitare l’argomento amoroso, abolire i cori e usare l’endecasillabo sciolto. Un fuggevole cenno al Medo si legge nei Teatri antichi e moderni di Maffei («una bella tragedia, che quando si reciterà, sarà applauditissima»: edizione 1753, p. 20). L’opera avrebbe dovuto essere rappresentata dalla compagnia dei Filarmonici di Verona, ma ciò accadde solo nel 1764: in tale occasione se ne diede alle stampe una nuova edizione.
Nella prefazione alla Teonoe, tracciando una storia dell’endecasillabo sciolto, Rosa Morando contesta l’uso del verso martelliano a rima baciata da parte di «certo moderno Italiano», che «nuova mostruosità aggiunse alla presente infamia della drammatica poesia» (p. n.n.). L’accusa era velatamente diretta a Carlo Goldoni, il quale replicò con garbo nella prefazione alla ristampa della Sposa persiana (1761) citando i giudizi benevoli di Maffei (che condannava l’uso del martelliano nella tragedia, non nella commedia). Molto più severa la replica di Pietro Chiari nella Dissertazione storica e critica sopra il teatro antico e moderno premessa alla raccolta delle sue Commedie in versi (Venezia 1756, pp. 31-32).
Nel 1756 pubblicò una raccolta di sonetti e canzoni, tutti improntati a un petrarchismo arcadico. Fra di essi, la traduzione della Dori di Albrecht von Haller.
Morì l’11 agosto 1757 e fu sepolto nella chiesa di S. Luca a Verona.
Era socio delle accademie dei Filarmonici e dei Meccanici di Verona, dei Ricoverati di Padova e degli Agiati di Rovereto.
Opere. Osservazioni sopra il comento della Divina Commedia di Dante Alighieri stampato in Verona l’anno 1749, Verona 1751 (nuova ed. in La Divina Commedia di Dante Alighieri, III, Venezia 1757, pp. 2-55); Lettera al padre Giuseppe Bianchini intorno a quanto fu scritto nella Storia letteraria d’Italia contro le Osservazioni sopra il Comento del p. Venturi, Verona 1754; Medo, tragedia, Verona 1755 (nuova ed. con profondi cambiamenti, Verona 1765); Teonoe, tragedia, Verona 1755; Sonetti e canzoni, Verona 1756; Poesie inedite di F., e di Domenico R.M., Verona 1827 (contiene la favola pastorale Le nozze boscherecce). Alcune opere inedite giacciono tra la Civica di Verona, la Bartoliana di Vicenza e la Biblioteca provinciale dei cappuccini di Trento.
Fonti e Bibl.: Profili biografici: D. Pindemonti, in Memorie per servire all’istoria letteraria, X (1757), pp. 189-192; F.A. Zaccaria, in Annali letterarj d’Italia, II (1762), pp. 503-507; I. Pindemonte, in Elogj italiani, VI, Venezia 1782, pp. 5-29 (poi rifuso in Id., Elogi di letterati, II, Verona 1826, pp. 185-206); G.B. Da Lisca, Elogio di F.R.M., Verona 1796; Nuovo dizionario istorico, XII, Bassano 1796, pp. 154 s.; B. Gamba, Galleria dei letterati ed artisti più illustri delle provincie Austro-Venete..., II, Venezia 1824, ad vocem; L. Carrer, M.R., F., in Biografia degli italiani illustri..., a cura di E. de Tipaldo, II, Venezia 1835, pp. 466-468; G. Veludo, M. (R., F.), ibid., VII, Venezia 1840, pp. 363-366; S. Tolio, F.R.M., in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, s. IV, XII (1912), pp. 129-171. Per gli studi danteschi: G.G. Orti, Sopra un inedito manoscritto contenente alcune osservazioni dantesche di F.R.M., Verona 1833; A. Torre, Il commento del padre Pompeo Venturi alla Divina Commedia, in Giornale dantesco, V (1898), pp. 97-106; M. Carrara, Studi, edizioni e polemiche dantesche a Verona nel XVIII secolo, in Miscellanea maffeiana, Verona 1955, pp. 72-78; M. Puppo, Studiosi veneti di Dante nel periodo illuministico, in Dante e la cultura veneta, Firenze 1966, pp. 496-499; A. Cosatti, La riscoperta di Dante da Vico al primo Risorgimento, Roma 1967, ad ind.; S. Vazzana, R.M., F., in Enciclopedia dantesca, IV, Roma 1973, p. 1040; G. Da Pozzo, La critica dantesca dall’Arcadia al Foscolo, Verona 1975, pp. 193-196; A. Vallone, Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, II, Milano 1981, ad ind.; R. Tissoni, Il commento ai classici italiani nel Sette e nell’Ottocento (Dante e Petrarca), Padova 1993, ad ind.; D. Colombo, Per l’edizione del commento dantesco di Baldassarre Lombardi, in Rivista di studi danteschi, XI (2011), 2, pp. 322-373; L. Mazzoni, Le polemiche dantesche fra Giovanni Iacopo Dionisi e Baldassarre Lombardi. Con dodici lettere inedite (I), in L’Alighieri, XXXVIII (2011), pp. 34-37; Id., Dante a Verona nel Settecento. Studi su Giovanni Iacopo Dionisi, Verona 2012, p. 100; Id., Apogeo ed eclisse della filologia. I cultori veronesi di Dante nel XVIII secolo e le loro sorti, in Seicento & Settecento, IX (2014), pp. 129-131; Id., Fra Dante, Petrarca, Boccaccio e studi eruditi. Carteggio Giovanni Iacopo Dionisi-Bartolomeo Perazzini (1772-1800), Verona 2015, ad indicem. Per la polemica con Goldoni: A. Neri, Aneddoti goldoniani, Ancona 1883, pp. 25-29; C. Goldoni, La sposa persiana, Ircana in Julfa, Ircana in Ispaan, a cura di M. Pieri, Venezia 1996, p. 50.